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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19589 - pubb. 02/05/2018.

Inammissibile la rivendica di cose fungibili


Cassazione civile, sez. VI, 22 Dicembre 2017, n. 30894. Est. Lamorgese.

Fallimento - Stato passivo - Rivendicazione, restituzione, separazione di cose - Cose fungibili o di denaro - Inammissibilità - Domanda di ammissione del credito allo stato passivo - Necessità


Le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, ai sensi dell'art. 103 l.fall., sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili possedute dal fallito ed esattamente individuate per specie, non anche in relazione alle cose fungibili ed, in particolare, al denaro, restando al loro riguardo configurabile un diritto di credito azionabile nei modi e con gli effetti previsti dagli art. 93 e segg. l.fall.. nei confronti della curatela del fallito. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Presidente -

Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - rel. Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Svolgimento del processo

La Siciliana Costruzioni Metalliche aveva chiesto la rivendica di beni che affermava essere detenuti dalla Società (*), fallita, ed acquisiti dal curatore.

Il giudice delegato ha rigettato la domanda, ritenendola non provata.

L'opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Messina, con decreto del 18 luglio 2016, il quale ha rilevato che i beni erano stati venduti previa autorizzazione del giudice delegato, che le somme ricavate erano state accantonate, che non vi erano beni da restituire e che non era stata proposta domanda di pagamento del controvalore dei beni, da proporre in sede di insinuazione tardiva al passivo.

La Siciliana Costruzioni Metalliche ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, cui si è opposto il Fallimento Società (*).

Motivi della decisione

La Siciliana Costruzioni Metalliche ha denunciato violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 c.c. e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio: la domanda di pagamento del controvalore non poteva essere proposta con l'opposizione, atteso che in quel momento i beni erano ancora nella disponibilità del curatore; il Tribunale, verificata la proprietà dei beni in capo ad essa, avrebbe dovuto condannare la curatela, che aveva beneficiato di un pagamento indebito, al pagamento del corrispettivo della vendita.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha correttamente rilevato che era venuto meno l'oggetto della domanda di rivendica, essendo i beni stati venduti, e che la ricorrente non aveva chiesto il riconoscimento del credito per il controvalore dei beni mediante domanda di insinuazione al passivo. Se è vero che, alla data della proposizione del ricorso in opposizione, i beni non erano stati ancora venduti, tuttavia non risulta che la società abbia chiesto il pagamento del controvalore in sede di insinuazione tardiva al passivo. Le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, ai sensi della L. Fall., art. 103, sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili possedute dal fallito ed esattamente individuate per specie, non anche in relazione alle cose fungibili ed, in particolare, al denaro, restando configurabile un diritto di credito azionabile nei modi e con gli effetti previsti dalla L. Fall., artt. 93 e segg., nei confronti della curatela del fallito (Cass. n. 352 del 1999).

Inoltre, il provvedimento del giudice delegato, confermato dal Tribunale, aveva rilevato la mancanza di prova a sostegno della domanda di rivendica per carenza di data certa delle fatture prodotte, coerentemente con il principio secondo cui l'opponente deve dimostrare non solo il suo titolo di acquisto sulla base di una scrittura privata di data certa, ma altresì il titolo, diverso dalla proprietà, idoneo a qualificare giuridicamente la detenzione del bene da parte del debitore (Cass. n. 13884/2015, n. 23215/2012).

Il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi.

Doppio contributo a carico del ricorrente come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2017