È tentata violenza l’invio di SMS ad un minore per coartarlo a compiere atti sessuali
Cassazione penale, 07 Maggio 2018, n. 19672. Est. Antonella Di Stasi.
Violenza sessuale – Tentativo – Mediante SMS diretti ad un minore per costringerlo ad atti sessuali – In caso di rifiuto del minore all’incontro – Sussiste
È configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. [Nella fattispecie, la Corte confermava la sussistenza della tentata violenza sessuale commessa con l’invio ad un minore di SMS dal chiaro contenuto minaccioso ed intimidatorio, diretti a costringere il destinatario a compiere o subire un atto sessuale contro la propria volontà, e risultati infruttuosi solo per il rifiuto all’incontro sessuale da parte del minore.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero - Presidente -
Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere -
Dott. DI STASI Antonella - rel. Consigliere -
Dott. SEMERARO Luca - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 11/05/2017, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del 24/5/2011 del Tribunale di Torino - con la quale R.D., all'esito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato responsabile dei reati di cui all'art. 600 quater c.p., comma 1, (capo a), art. 600 ter c.p., comma 3, (capo b) e artt. 56 e 609 bis c.p., commesso in danno del minore F.L. (capo c) e condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile con liquidazione di provvisionale - riteneva il reato di cui al capo a) assorbito in quello di cui al capo b) e rideterminava la pena in anni due di reclusione, confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.D., a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 56 e 609 bis c.p., e art. 56 c.p., comma 3.
Argomenta che la Corte territoriale aveva, erroneamente, ritenuto la configurabilità del tentativo di violenza sessuale valutando le risultanze istruttorie in maniera parziale e illogica, non emergendo, al contrario, dal contenuto degli sms inviati al minore nè l'inequivocità nè l'idoneità degli atti posti in essere; inoltre, il R. aveva interrotto spontaneamente i messaggi non proseguendo nella propria condotta ed accettando il rifiuto ad incontrarsi opposto dal minore.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena, lamentando che i Giudici di merito non avevano adeguatamente giustificato la determinazione della pena in misura lontana dal minimo edittale.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla correttezza dell'importo quantificato a titolo di provvisionale, del quale si lamenta l'eccessività perchè non commisurato alla natura di tentativo del reato di violenza sessuale.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali, proponendo doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione.
Il ricorrente, in sostanza, non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata, esponendo espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv. 253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv. 262722).
Nel ribadire che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, come si desume da una lettura sistematica degli artt. 606 e 619 c.p.p., ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va, al contrario, evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
I Giudici di merito hanno evidenziato la univoca intenzione dell'imputato di soddisfare la sua concupiscenza sottesa ai messaggi inviati e ricevuti dalla persona offesa e l'idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sua sfera sessuale in considerazione del chiaro contenuto minaccioso e della capacità intimidatoria dei messaggi.
I Giudici di merito hanno, pertanto, ritenuto integrato il reato di tentata violenza sessuale contestato al capo c) dell'imputazione, in quanto le modalità minacciose che avevano caratterizzato l'agire dell'imputato era idonee e dirette a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall'agente - compiere o subire un atto sessuale- e che erano state improduttive del risultato conseguito solo per il rifiuto all'incontro sessuale da parte del minore, che aveva anche trovato il coraggio di confidarsi con i genitori e di presentare denuncia.
La motivazione, come detto, è congrua e non manifestamente illogica ed è, altresì, conforme ai principi di diritto affermati da questa Suprema Corte in subiecta materia.
Costituisce, infatti, consolidato principio di diritto che è configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell'idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (Sez. 3, n. 35875 del 08/05/2007, Rv. 237499; Sez. 3, n. 27762 del 06/06/2008, Rv. 240828; Sez. 3, n. 4674 del 22/10/2014, dep. 02/02/2015, Rv. 262472).
E costituisce ius receptum l'affermazione che è configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell'evento non per volontaria iniziativa dell'agente ma per fattori esterni che impediscano, comunque, la prosecuzione dell'azione o la rendano vana (Sez. 2, n. 51514 del 05/12/2013, Rv. 258076; Sez. 5, n. 13293 del 28/01/2013, Rv. 255066; Sez. 5, n. 36919 del 11/07/2008, Rv. 241595).
Tale principio è stato ribadito anche in tema si reati sessuali, con l'affermazione che integra il reato di violenza sessuale tentata, e non un'ipotesi di desistenza volontaria, il mancato soddisfacimento delle richieste a sfondo sessuale del reo da parte della vittima della violenza o della minaccia, conseguente al rifiuto opposto da quest'ultima, in quanto l'impossibilità di portare a consumazione il reato per l'opposizione della parte offesa costituisce un fatto indipendente dalla volontà del reo (Sez.3, n.1397 del 14/12/2011, dep. 17/01/2012, Rv. 251644; Sez. 3, n. 51420 del 18/09/2014, Rv. 261389).
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua" - come avvenuto nella specie -, "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p., per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197).
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Va richiamata la regula iuris enunciata da questa Suprema Corte, secondo cui la pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell'ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto (Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Rv. 248348; Sez. 5, n. 5001 del 17/01/2007, Rv. 236068; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Rv. 230105).
Non è impugnabile, pertanto, con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, Rv. 263486).
4. Consegue, quindi, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2018.