I crediti non evidenziati nel bilancio finale di liquidazione si intendono rinunciati?
Cassazione civile, sez. III, 26 Gennaio 2021, n. 1724. Pres. Roberta Vivaldi. Est. Rossetti.
Società commerciale – Estinzione – Rinuncia ai crediti per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale – Esclusione
La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun’altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione.
Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito. (massima ufficiale)
Fatti
1. Nel 2000 la società M.P. s.r.l. acquistò dalla società S. s.p.a. (che in seguito muterà forma e ragione sociale in S. s.r.l.) un autoveicolo che si rivelò difettoso.
L’acquirente convenne dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la venditrice chiedendo la risoluzione del contratto di vendita e la condanna del venditore alla restituzione del prezzo.
2. Nelle more del giudizio la società acquirente fu cancellata dal registro delle imprese, il (omissis) .
3. All’esito del secondo grado del giudizio redibitorio, la Corte d’appello con sentenza 4189/13 dichiarò risolto il contratto e condannò il venditore alla restituzione del prezzo, quantificato nell’importo di Euro 31.917,04.
4. Gli ex soci della M.P. (*) avvalendosi del titolo rappresentato dalla suddetta sentenza 4189/13 iniziarono l’esecuzione forzata nei confronti della S..
A tal fine notificarono alla S. - il ricorso non indica per quale ragione - due precetti: uno del 30 gennaio 2014 per l’importo di Euro 31.917 oltre accessori; l’altro il 19 maggio 2014 per l’importo di Euro 43.911 "comprensivo di interessi e Spese".
5. La S. propose opposizione ad ambedue i precetti.
Il presente giudizio ha ad oggetto l’opposizione proposta avverso il secondo dei precetti sopra indicati, cioè quello notificato il 19 maggio 2014.
A fondamento di tale opposizione la S. dedusse due motivi:
a) non era consentito ai creditori notificare un secondo atto di precetto per il medesimo credito;
b) nel bilancio finale di liquidazione della società creditrice non era stato appostato il credito vantato dalla società nei confronti della S.; quel credito, pertanto, doveva ritenersi rinunciato.
6. Con sentenza 24 febbraio 2016 n. 252 il Tribunale di Napoli Nord rigettò l’opposizione.
La Corte d’appello di Napoli, adita dalla soccombente, con sentenza 13.4.2017 n. 1669 accolse il gravame e dichiarò insussistente il diritto di P.M. e D.N.M. ad agire esecutivamente nei confronti della S..
A fondamento della propria decisione la Corte d’appello pose il seguente ragionamento:
-) la società creditrice M.P. è stata cancellata dal registro delle imprese nel (…);
-) a quell’epoca il credito restitutorio della M., scaturente dalla risoluzione del contratto di vendita, era contestato in giudizio ed illiquido;
-) pertanto il mancato inserimento nel bilancio finale di liquidazione di quel credito, unicamente alla indubbia consapevolezza della sua esistenza in capo al liquidatore, dimostravano per facta concludentia la volontà della società creditrice di rinunciarvi.
7. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.M. e D.N.M. , con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.
La S. ha resistito con controricorso.
Motivi
1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2909 c.c. e del giudicato interno.
Il motivo, al di là di tale intitolazione, contiene due diverse censure.
1.1. Con una prima censura i ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto "contestato e illiquido", al momento in cui la società creditrice venne sciolta, il credito oggetto del precetto. Sostengono che quel credito era invece liquido ed esigibile, ed oggetto di contestazione era solo la sua avvenuta estinzione per compensazione. E che quel credito fosse liquido ed esigibile al momento di scioglimento della società era circostanza accertata nel giudizio concluso dalla sentenza messa in esecuzione, e che pertanto non poteva essere diversamente valutata dal giudice dell’opposizione.
1.2. Con una seconda censura i ricorrenti sostengono che, in ogni caso, il mancato inserimento di un credito nel bilancio finale di liquidazione non costituisce una tacita manifestazione della volontà di rinunciarvi.
1.3. La prima delle suesposte censure è infondata.
Oggetto del giudizio concluso dalla sentenza messa in esecuzione era lo stabilire se il contratto di vendita dell’autovettura dalla S. alla M.P. si fosse o non si fosse risolto per inadempimento, e se l’acquirente avesse o non avesse diritto alla restituzione del prezzo.
Oggetto del presente giudizio di opposizione a precetto è lo stabilire se il liquidatore della società creditrice avesse o non avesse tacitamente rinunciato al credito di restituzione del prezzo.
I due giudizi hanno oggetti diversi, sicché nessun giudicato può essere invocato nel presente giudizio di opposizione, fondato sulla sentenza pronunciata all’esito della domanda di risoluzione del contratto e restituzione del prezzo.
1.4. La seconda censura è, invece, fondata.
La Corte d’appello era chiamata a risolvere il seguente problema di diritto: quale fosse la sorte dei crediti vantati da una società di capitali dopo l’estinzione di questa, se quei crediti non emergano dal bilancio finale di liquidazione.
La Corte partenopea ha risolto tale problema istituendo un rigido automatismo, in virtù del quale se il credito è controverso, e non è iscritto nel bilancio finale di liquidazione, automaticamente ("senz’altro", si legge nella sentenza impugnata) esso deve intendersi rinunciato per facta concludentia.
Questa soluzione non può essere condivisa per le ragioni che seguono.
1.5. I principi che governano la sorte dei crediti delle società commerciali estinte sono stati ricostruiti, in via generale, da una sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625323 - 01), di cui tanto le parti, quanto la Corte d’appello, si sono mostrati avvisati.
Non ne hanno però tratto, ad avviso di questo Collegio, le debite conseguenze.
La suddetta sentenza ha fissato tre principi generali in base ai quali stabilire la sorte dei crediti vantati da una società estinta, così riassumibili:
a) l’estinzione della società dà vita ad un fenomeno successorio;
b) dal lato passivo, tale successione comporta che dei debiti sociali rispondano i soci, nei limiti di quanto ad essi pervenuto per effetto del bilancio di liquidazione;
c) dal lato attivo, tale successione comporta che i crediti sociali risultanti dal bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci pro indiviso.
Questi sono i principi affermati ex cathedra dalle Sezioni Unite nella sentenza sopra ricordata.
1.6. La medesima sentenza ha poi affrontato anche il problema qui in esame, e cioè la sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non iscritti a bilancio, dopo l’estinzione della società.
Sui tale problema, esaminato alle Sezioni Unite solo obiter dictum, le SS.UU. hanno affermato che la sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non risultanti dal bilancio di liquidazione non può essere stabilita ex ante in base ad una regola generale, uniforme ed "automatica". Hanno invece, formulato delle ipotesi "aperte" (§ 4 e ss. dei "Motivi della decisione" di Cass. SU 6070/13).
Hanno, in particolare, stabilito che è compito del giudice di merito stabilire caso per caso se, in base alle peculiarità della fattispecie, possa presumersi ex art. 2727 c.c. una volontà della società di rinunciare ad un determinato credito.
Si è osservato nella suddetta sentenza, in particolare, che se il credito era illiquido; se il liquidatore sapeva della sua esistenza e non l’aveva inserito in bilancio; oppure se il credito "non poteva neppure essere iscritto nel bilancio", in tutti questi casi la mancata appostazione all’attivo può consentire di presumere una volontà della società di rinunciare a quella pretesa: ma pur sempre di presunzione si tratta, senza alcuna indefettibile implicazione unilaterale tra omessa indicazione del bilancio e remissione del debito.
Nel 2013, in definitiva, le Sezioni Unite non affrontarono se non incidenter tantum il tema dei residui attivi o delle sopravvenienze attive: si limitarono a stabilire che la sorte di tali crediti resta affidata ad una valutazione caso per caso, fermo restando però che l’estinzione della società dà sempre vita ad un fenomeno successorio.
1.7. Più di recente il tema è stato ripreso e sviluppato da questa Corte con la sentenza pronunciata da Sez. 1 -, Sentenza n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 - 01.
Tale decisione, integrando e completando i principi stabiliti nel 2013, ha affermato che:
-) anche i residui attivi e le sopravvenienze attive possono trasferirsi ai soci della disciolta società;
-) può ammettersi in astratto che la società possa rinunciare ai crediti suddetti, ma questa rinuncia non può presumersi ipso facto in base al solo rilievo che il credito non sia stato appostato in bilancio.
La remissione del debito, infatti, è pur sempre un atto negoziale che richiede una manifestazione di volontà. Tale manifestazione di volontà ovviamente potrà essere anche tacita, ma deve essere tuttavia inequivoca. Il silenzio, infatti, nel nostro ordinamento giuridico non può mai elevarsi a indice certo d’una volontà abdicativa o rinunciataria d’un diritto, a meno che non sia circostanziato, cioè accompagnato dal compimento di atti o comportamenti di per sé idonei a palesare una volontà inequivocabile.
La mancata appostazione d’un credito nel bilancio finale di liquidazione, tuttavia, non possiede i suddetti requisiti di inequivocità. Essa, infatti, potrebbe teoricamente essere ascrivibile alle cause più varie, e diverse da una rinuncia del credito: ad esempio, l’intenzione dei soci di cessare al più presto l’attività sociale; l’arriere-pensee di coltivare in proprio l’esazione del credito sopravvenuto o non appostato; la pendenza delle trattative per una transazione poi non avvenuta, e sin anche, da ultimo, la semplice dimenticanza o trascuratezza del liquidatore.
1.8. A tali principi, cui il Collegio intende dare continuità, non risulta conforme la sentenza oggi impugnata, dal momento che essa ha desunto l’esistenza della volontà della società estinta di rimettere il debito alla S. basandosi unicamente sulla natura controversa di esso e sulla mancata evidenziazione nel bilancio, e dunque senza avere accertato se quella omissione potesse ritenersi sintomo d’una volontà certa ed inequivoca.
La sentenza suddetta va dunque cassata con rinvio. Il giudice di rinvio tornerà ad esaminare l’appello proposto dalla S., applicando il seguente principio di diritto:
"la remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun’altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione.
Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito".
2. Il secondo motivo di ricorso, al di là della sua intitolazione formale, riproduce nella sostanza le medesime censure già oggetto del primo motivo di ricorso: e cioè l’eccezione di giudicato esterno e l’impossibilità di ravvisare una volontà abdicativa tacita dell’operato della liquidatore della società.
Varrà dunque per tali censure quanto già esposto nei §§ che precedono.
3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 c.p.c..
Sostengono che per effetto dell’auspicato accoglimento del ricorso per cassazione dovranno essere nuovamente regolate anche le spese. Ovviamente quella appena riassunta non è una censura rivolta verso la sentenza di primo grado; essa non è che l’invocazione degli effetti di cui all’art. 336 c.p.c..
4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Depositato in cancelleria il 26 gennaio 2021.