Quando l’instaurazione di una nuova stabile convivenza di fatto non determina la revoca dell’assegno divorzile
Cassazione civile, sez. I, 12 Maggio 2022, n. 15241. Pres. Genovese. Est. Falabella.
Assegno divorzile – Funzione assistenziale e perequativo-compensativa – Nuova stabile convivenza del beneficiario – Conseguenze
L’instaurazione di una nuova stabile convivenza di fatto non determina la revoca dell’assegno divorzile qualora l’ex coniuge beneficiario risulti anche nell’attualità privo di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi (nella specie la Corte di legittimità ha cassato con rinvio il decreto confermativo della revoca dell’assegno per aver la Corte d’Appello omesso ogni indagine intorno alla situazione reddituale e patrimoniale della beneficiaria, invalida ed inabile al lavoro). (Daniele Nacci) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell’Avv. Daniele Nacci
Fatto
1. - Il Tribunale di Bari ha parzialmente accolto il ricorso di ZI.ZT. avente ad oggetto la revisione delle condizioni di divorzio tra il medesimo e M.R.. Ha disposto, in particolare, la revoca dell'assegno dell'importo di Euro 5.000,00 mensili posto a carico dell'ex marito.
2. - Avverso tale decreto ha proposto reclamo la predetta Mi.. Nella resistenza di M., la Corte di appello di Bari, con decreto del 23 luglio 2019, con sentenza del 23 luglio 2019, ha respinto l'impugnazione. Nel provvedimento impugnato è rilevato che in presenza dell'accertata stabile convivenza more uxorio tra M.R. e altro soggetto, D.G.G., doveva farsi applicazione del principio per cui l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso.
3. - Avverso il provvedimento della Corte pugliese ricorre per cassazione, con cinque motivi, M.R.. ZI.ZT. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi
1. - Il primo motivo oppone l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, in particolare, l'omesso esame dell'accertamento contenuto nella ordinanza resa inter partes da Cass. 30 gennaio 2017, n. 2314 in relazione alla qualificazione del rapporto tra la ricorrente e D.G.; oppone, altresì, la motivazione meramente apparente. Si deduce che questa Corte, pronunciandosi sull'impugnazione avverso la sentenza di appello resa nel giudizio di divorzio, aveva affermato che il rapporto tra l'istante e D.G. doveva essere circoscritto nell'ambito dell'amicizia o, al più, di una relazione sentimentale, escludendo così di netto la sussistenza di una famiglia di fatto. Si deduce che nel giudizio sulla modifica delle condizioni di divorzio avrebbe dovuto quindi accertarsi se i nuovi fatti allegati da Mi. a sostegno della domanda di revoca dell'assegno "fossero compatibili anche con il quadro amicale precedentemente accertato": in tal senso, tutte le circostanze valorizzate nella sentenza impugnata come espressive del rapporto di convivenza more uxorio "sarebbero apparse coerenti con la qualificazione amicale".
Il motivo è inammissibile.
Come è ben noto, l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
La ricorrente non individua alcun fatto nel senso sopra indicato, ma riferisce, piuttosto, di un giudizio che è stato oltretutto espresso non già nell'ordinanza n. 2314 del 2017 di questa Corte, quanto, piuttosto, dai giudici di merito del procedimento di divorzio tra gli odierni contendenti (cfr. punto 12 della nominata pronuncia). Peraltro, il giudizio di fatto speso nel corso del giudizio avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra M.R. e ZI.ZT. non è in alcun modo sovrapponibile a quello formulato nel successivo giudizio sulla revisione dell'assegno di divorzio, il quale si basa su evidenze successive (cfr. il decreto impugnato, ove si ha riguardo a una attività investigativa del 2017, mentre la sentenza di appello del giudizio di divorzio è stata resa nel 2014): è sintomatico, in proposito, che la Corte di appello, nel provvedimento qui in esame, dia conto di come l'iniziale relazione tra la controricorrente e D.G. nel corso del tempo "sia divenuta una stabile convivenza more uxorio".
Per il resto, il motivo di ricorso si risolve nel richiamo di elementi, tratti dalle relazioni investigative acquisite agli atti che, ad avviso dell'istante sarebbero rivelatrici della mancata instaurazione della convivenza more uxorio tra M.R. e D.G.. E' noto, però, che la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42) e dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097).
2. - Il secondo mezzo denuncia l'omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, l'omesso esame del contratto di locazione del 13 aprile 2015 e l'omesso esame di "circostanze attestanti la risalenza e l'effettiva dimora di D.G.G. nella sua residenza in (*)". Si rileva che la Corte di Bari avrebbe omesso di considerare evenienze che andavano valutate unitamente a quelle acquisite in sede investigativa, e prese in considerazione dai giudici del merito.
Il motivo è inammissibile.
Esso, oltre a denunciare un difetto di autosufficienza - giacché contiene il richiamo a documenti non trascritti e non localizzati (sono inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione: Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695) - è chiaramente orientato a una diversa lettura del materiale probatorio: ma il ricorso per cassazione non può, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mirare a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34776; in senso conforme: Cass. 4 marzo 2021, n. 5987).
3. - Col terzo motivo viene lamentata la violazione o falsa applicazione della regola giurisprudenziale che estende gli effetti ablatori dell'assegno divorzile, espressamente contemplati dal L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, alla sopravvenuta costituzione di una famiglia di fatto da parte dell'ex coniuge beneficiario; ci si duole, inoltre, della omessa considerazione degli elementi costitutivi della famiglia di fatto che sono ulteriori rispetto alla mera coabitazione. Deduce la ricorrente che la decisione della Corte di appello sarebbe viziata in quanto la stessa avrebbe assimilato una famiglia di fatto a un rapporto privo dell'elemento costitutivo essenziale della condivisione di un progetto di vita, in violazione del principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 6855 del 3 aprile 2015. Viene osservato che la mera coabitazione non integra una causa di revoca del contributo, ove non vengano allegati e provati gli elementi ulteriori costitutivi di una nuova famiglia di fatto.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha fondato il proprio giudizio circa la convivenza more uxorio della controricorrente e di D.G. su plurime circostanze, riferibili alla coppia: il dimorare da diversi anni nella stessa abitazione, l'utilizzo della medesima autovettura, il comune coinvolgimento nelle incombenze domestiche, la condivisione della vita relazionale, estesa anche ai rapporti con i figli da loro in precedenza avuti e alla nipote di M.R.. Si tratta di un giudizio che è corretto in diritto, in quanto idoneo a dar conto degli indici di stabilità della convivenza. Del resto, come spiegato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il coniuge obbligato a corrispondere l'assegno può limitarsi a provare l'altrui costituzione di una nuova formazione sociale familiare stabile, non essendo onerato del fornire anche la prova (assai complessa da reperire, per chi è estraneo alla nuova formazione familiare) di una effettiva contribuzione, di ciascuno dei conviventi, al menage familiare, perché la stessa può presumersi, dovendo ricondursi e fondarsi sull'esistenza di obblighi di assistenza reciproci (Cass. Sez. U. 5 novembre 2021, n. 32198, in motivazione, punto 26.1).
4. - Col quarto mezzo si oppone l'omessa valutazione della condizione di invalidità e inabilità al lavoro della beneficiaria dell'assegno di divorzio ai fini della revoca del medesimo, nonché l'illegittima applicazione, in senso solo formale, del principio di autoresponsabilità, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e art. 9, comma 1 e l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente richiama i principi di solidarietà, uguaglianza e pari dignità menzionati nella sentenza dele Sezioni Unite di questa Corte n. 18287 dell'11 luglio 2018: viene ricordato che in base a detta pronuncia, quando il divorzio travolga un rapporto strutturatosi in modo asimmetrico, il coniuge più dedito alla famiglia e alla prole che abbia per questo sacrificato la realizzazione lavorativa o professionale ha diritto, se privo di mezzi o incapace di procurarseli per ragioni oggettive, a veder riequilibrate le condizioni di disparità generatesi rispetto al coniuge produttore di reddito. Sul presupposto che l'assegno di divorzio assolve a una funzione non solo assistenziale, ma anche perequativa e compensativa, si sostiene che i principi sopra indicati di solidarietà, uguaglianza e pari dignità tra i coniugi che presiedono alla concessione dell'assegno debbano, per ovvia coerenza, conformare anche la disciplina della modifica o della revoca del contributo. Si deduce che la sentenza impugnata meriti cassazione "perché, per effetto dell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (...), è pervenuta ad una decisione viziata per violazione di legge"; si imputa in particolare alla Corte di appello di "non aver considerato, ai fini della revoca dell'assegno divorzile, l'accertato stato di invalidità, inabilità al lavoro ed indigenza della M. Le del D.G.)".
Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto che la situazione di convivenza instaurata dall'odierna controricorrente col nuovo compagno fosse in sé idonea ad escludere la spettanza dell'intero importo dell'assegno divorzile: ciò in applicazione del principio - enunciato da Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, seguita da Cass. 8 febbraio 2016, n. 2466 - per cui la nuova famiglia di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso.
Di recente, tuttavia, le Sezioni Unite si sono espresse in modo difforme. Si è rilevato, infatti, che l'affermazione di una caducazione automatica del diritto all'assegno di divorzio, sia nella sua componente assistenziale, sia nella sua componente compensativa, nella sua integralità, e a prescindere dalle vicende del caso concreto, oltre che mancante di un saldo fondamento normativo attuale, non risulta neppure compatibile con la funzione dell'assegno divorzile, come delineata attualmente dalla giurisprudenza della Corte, a partire da Cass. Sez. U. 11 luglio 2018, n. 18287, la quale non è esclusivamente assistenziale, ma anche compensativo-perequativa; in conseguenza -e' stato detto - qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell'attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa: a tal fine, poi, il richiedente deve fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge (Cass. Sez. U. 5 novembre 2021, n. 32198, cit.).
La Corte di merito non si è conformata a tale canone di giudizio e ha conseguentemente omesso alcuna indagine intorno alla situazione reddituale e patrimoniale di M.R. e ai profili sopra indicati, correlati allo svolgimento del rapporto coniugale.
5. - Col quinto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione del principio del giusto processo e del contraddittorio avendo riguardo all'art. 111 Cost. e art. 244 c.p.c.. L'istante lamenta, anzitutto, che la Corte di merito abbia valorizzato l'utilizzo, ai fini della decisione, dei rapporti investigativi commissionati da Mi. e prodotti in giudizio. Si deduce che l'acquisizione dei due elaborati investigativi, che riflettevano accertamenti condotti al di fuori del processo, senza il controllo del giudice e in assenza di contraddittorio, violerebbe i principi cardine del giusto processo. Si oppone, poi, che, in sede di assunzione della prova, ai testi sarebbero state rivolte domande relative a un capitolo non ammesso; si lamenta, infine, non essere stata consentita la prova su di un capitolo afferente circostanza reputata rilevante ai fini del decidere.
Il motivo, con cui il ricorrente torna a occuparsi dell'accertamento della convivenza more uxorio tra D.G. e M.R., è inammissibile.
Esso riflette questioni di cui la Corte di appello non si occupa e che la ricorrente non spiega come siano state fatte valere avanti ai giudici del merito. Ebbene, ove, con il ricorso per cassazione, siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella decisione impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
6. - Il ricorso è respinto.
In accoglimento del quarto motivo il decreto impugnato è cassato.
La causa è rinviata alla Corte di appello di Bari che, in diversa composizione, statuirà sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo e respinge gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità; dispone non farsi menzione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti in caso di diffusione del provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1^ Sezione Civile, il 12 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2022.