Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18280 - pubb. 17/01/2017

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Cassazione civile, sez. I, 13 Maggio 1998, n. 4800. Est. Reale.


Concordato preventivo - Organi - Commissario giudiziale - Funzioni - Differenze rispetto al curatore fallimentare - Conseguenze - Obbligo di rendere il conto al giudice delegato - Sussistenza - Esclusione - Fondamento



Nella procedura di concordato preventivo il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa sotto la direzione del giudice delegato e sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Quest'ultimo non rappresenta il debitore ma esercita funzioni di mero controllo e di consulenza quale ausiliario del giudice, vigilando sull'esecuzione del concordato, e - pertanto - ne’ prima ne’ dopo l'omologazione svolge funzioni attive di gestione, con la conseguenza che egli ne’ deve, ne’ può presentare al giudice il conto della gestione, così come invece la legge richiede per il curatore fallimentare. Ne consegue che il rinvio dell'art. 165 della legge fallimentare all'art. 38 della stessa legge (che impone al curatore di rendere il conto della gestione ai sensi dell'art. 116) non possa essere inteso in senso assoluto, ma vada circoscritto nei limiti consentiti dalla specifica disciplina della procedura di concordato preventivo e dalle differenti funzioni che il commissario giudiziale svolge rispetto al curatore. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Presidente -

Dott. Angelo GRIECO - Consigliere -

Dott. Pasquale REALE - Rel. Consigliere -

Dott. Antonio CATALANO - Consigliere -

Dott. Giuseppe SALMÈ - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

FORMEC SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ASIAGO 8, presso l'avvocato STANISLAO AURELI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LANFRANCO TONINI, giusta mandato in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

VILLANI MARIA ALBERTA, JANNOTTA MICHELE, JANNOTTA LAURA, JANNOTTA MARCO, JANNOTTA LETIZIA;

- intimati -

avverso la sentenza n. 88/94 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 27/01/94;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/97 dal Consigliere Dott. Pasquale REALE;

udito per il ricorrente, l'Avvocato Aureli, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del 3^ motivo, rigetto del resto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'amministratore unico della S.p.A. Formec, dichiarata fallita dal Tribunale di Ferrara, si opponeva all'approvazione del rendiconto reso dal curatore avv. Beniamino Jannotta ai sensi dell'art. 116 L. Fall., sostenendo che il curatore aveva omesso qualsiasi indicazione relativa alla gestione e non era possibile, pertanto, controllare le operazioni di liquidazione eseguite; che il conto era altresì incompleto.

Il Tribunale di Ferrara rigettava le contestazioni ed approvava il conto.

Proponeva impugnazione la Formec insistendo per la declaratoria di inadempienza del curatore all'obbligo del rendiconto, con particolare riferimento alle operazioni compiute prima della dichiarazione di fallimento, in sede di concordato preventivo. Il Jannotta chiedeva il rigetto dell'appello. In seguito alla sua morte il giudizio veniva proseguito nei confronti degli eredi Jannotta Laura, Michele, Letizia, Marco e Villani Alberta, La Corte d'Appello di Bologna rigettava il gravame osservando (a)che il conto, sia dal punto di vista descrittivo che numerico, conteneva l'analisi di tutte le operazioni compiute; (b) che l'organo fallimentare era tenuto a rendere il conto soltanto delle operazioni eseguite durante la procedura fallimentare e non anche di quelle compiute in epoca anteriore (nel caso in esame durante la procedura di concordato preventivo, omologato con sentenza del 3.5.80 e risolto con sentenza di fallimento del 15.10.1983), che costituiscono meri dati contabili dei quali egli non può e non deve fornire giustificazioni.

La S.p.A. Formec ha proposto ricorso per cassazione. Gli eredi del Jannotta non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando la violazione degli artt. 38 e 116 L. Fall., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5, sostiene che la corte territoriale ha erroneamente confermato la regolarità del rendiconto nonostante esso non offrisse un'esauriente rappresentazione dell'attività di amministrazione e non consentisse, pertanto, un controllo di legittimità e di merito dell'intera gestione.

Il motivo di ricorso non è fondato.

La corte di merito ha rilevato che la relazione presentata dal curatore contiene analitica descrizione di tutte le operazioni compiute, peraltro di numero esiguo. Le "entrate", infatti, riguardavano soltanto due vendite di immobili eseguite con la modalità della vendita con incanto; le "uscite" il pagamento del compenso del commissario giudiziale, le parcelle liquidate ad un perito, le tasse di registro conseguenti a sanzioni penali ed altre voci minori. La corte ha, pertanto, giudicato la relazione completa ed analitica quanto basta per consentire la verifica delle operazioni compiute dal curatore.

La ricorrente ha dedotto violazione di legge e carenza di motivazione ma, non avendo specificato qual errore di diritto la corte di merito avrebbe commesso, sostanzialmente censura la pronuncia per "omessa indagine circa la rispondenza del conto a criteri giuridicamente legittimi ed economicamente convenienti". Il ricorrente non ha, tuttavia, indicato quali circostanze di fatto, decisive al punto da condurre ad una diversa soluzione, la corte avrebbe trascurato di esaminare o avrebbe erroneamente valutato. A causa di tale omissione, non è possibile verificare se il motivato convincimento espresso dai giudici di merito sia o meno fondato su dati o elementi di fatto errati. Il motivo di ricorso si risolve, pertanto, in una generica doglianza dell'operato del curatore e in un'implicita richiesta di riesame del merito inammissibile in sede di legittimità Con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 38, 116 e 165 L.Fall., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., la Formec sostiene che la corte territoriale ha erroneamente escluso che il Jannotta avesse l'obbligo di rendere il conto anche dell'attività svolta, prima del fallimento, in qualità di commissario giudiziale del concordato; che la "consecuzione" tra le due procedure giustificava tale obbligo.

Il motivo di ricorso non è fondato. Il rendiconto rappresenta l'atto finale della gestione ed è pertanto basilare che la chiusura del fallimento preveda l'obbligo del curatore di rendere il conto, in modo da consentire il riesame generale della legittimità, convenienza e opportunità dell'opera svolta. Oggetto del conto e presupposto del correlativo obbligo di renderlo è, pertanto, l'attività di amministrazione del patrimonio del fallito che il curatore svolge nell'interesse dei creditori e che costituisce il riepilogo di quella "esposizione sommaria della sua amministrazione" che nei primi giorni di ogni mese il curatore è tenuto a presentare ai sensi dell'art.33 c.4^ L. Fall.

Ben diverse sono le funzioni dalla legge attribuite al commissario giudiziale o liquidatore del concordato preventivo. Durante tale procedura "il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale e la direzione del giudice delegato"(art. 167 L.Fall.). Egli non rappresenta il debitore ma esercita funzioni di mero controllo e di consulenza, quale ausiliario del giudice, vigilando sull'esecuzione del concordato. Il commissario, dunque ne' prima ne' dopo l'omologazione svolge funzioni attive di gestione con la conseguenza che egli non deve e non può "presentare al giudice il conto della gestione" come la legge richiede per il curatore (art.116 L. Fall.). Deve concludersi, pertanto, che il rinvio dell'art. 165 L. Fall. ("si applicano al commissario giudiziale gli artt. 36, 37, 38 e 39") all'art. 38 (che impone al curatore di rendere il conto della gestione ai sensi dell'art. 116 L. Fall.) non può essere inteso in senso assoluto "ma circoscritto nei limiti consentiti dalla specifica disciplina della procedura di concordato preventivo e dalle differenti funzioni che il commissario giudiziale svolge rispetto al curatore". Questa corte (cass. 6187/81), enunciando i riferiti principi, dai quali non vi è ragione per discostarsi, ha anche rilevato, a riprova della esattezza di questa tesi, che l'art. 191 L. Fall., nel prevedere che al commissario giudiziale possano essere in tutto o in parte affidate la gestione dell'impresa e l'amministrazione dei beni del debitore, stabilisce che in tal caso al termine dell'ufficio egli "deve rendere il conto della sua amministrazione a norma dell'art. 116"; questa precisazione evidenzia che il legislatore quando ha ritenuto di imporre il rendiconto lo ha fatto espressamente e che l'obbligo del rendiconto, nel sistema normativo, è strettamente legato al diretto affidamento dell'amministrazione dei beni.

La circostanza che, nel caso in esame, la stessa persona abbia assunto la veste di commissario giudiziale prima e di curatore poi non è rilevante e non può determinare l'obbligo del curatore di estendere la relazione ad un periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento quando egli non svolgeva ne poteva svolgere attività di gestione e le operazioni e decisioni di cui si chiede conto non erano a lui riferibili.

Le considerazioni di quella parte della dottrina (invocata dal ricorrente) secondo la quale anche il commissario giudiziale ha l'obbligo di rendiconto in quanto a lui spetta il compito di gestire il fondo che il debitore deve costituire depositando "la somma che si presume necessaria per l'intera procedura" (art. 163 L.Fall.), conferma e non smentisce la tesi accolta. L'ipotizzata estensione del rinvio stabilito dell'art. 165 anche all'ultimo comma dell'art. 38 L.Fall. non può riguardare altro che la gestione di detto fondo e giammai l'amministrazione dei beni che il citato art. 167 non sottrae al debitore e che resta, pertanto, del tutto estranea alla diversa e individuata attività del commissario giudiziale.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente, deducendo violazione dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 38 L. Fall. e 360 nn. 3 e 5 c.p.c., censura il "mancato ingresso ai mezzi istruttori richiesti (CTU e prova per testi)", diretti a dimostrare che "nel 1981 esistevano le condizioni per la conclusione positiva del concordato e che la perdita di tale risultato aveva causato danni". Questa censura - subordinata alla non condivisa tesi che, nel corso del giudizio instaurato ai sensi dell'art. 116 2^ c. L. Fall. in ordine al rendiconto del curatore, il controllo possa essere esteso anche alla verifica dell'attività di vigilanza svolta dal commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo che ha preceduto il fallimento - deve considerarsi assorbita. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. In assenza di attività difensiva della parte vittoriosa non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 1997

Depositato in Cancelleria il 13 Maggio 1998