Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19786 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 02 Giugno 1994, n. 5352. Est. Sgroi.


Fallimento - Divieto di esecuzioni individuali - Limiti - Azione esecutiva individuale - Inizio o prosecuzione durante il fallimento del debitore da parte di un istituto di credito fondiario - Custode dei beni pignorati - Nomina o sostituzione - Organo competente - Custode - Incarico - Conferimento al curatore del fallimento - Obbligatorietà - Esclusione - Conseguenze



Nell'azione esecutiva individuale, iniziata o proseguita durante il fallimento del debitore, da un istituto di credito fondiario , secondo le disposizioni eccezionali di cui al R.D. n. 646 del 1905 - ancora vigenti alla data dell'entrata in vigore della legge 6 giugno 1991, n. 175 (abrogata soltanto a far data dall'1 gennaio 1994 dal T.U. di cui al d.P.R. 1 settembre 1993, n. 385 e recante la revisione della normativa in tema di credito fondiario), il cui art. 17, anche per i prestiti concessi in base alla medesima legge, richiama la disciplina del procedimento esecutivo risultante dal succitato R.D. del 1905 - il potere di nominare o sostituire il custode dei beni pignorati spetta, non già al giudice delegato al fallimento, bensì a quello dell'esecuzione immobiliare, il quale, non è tenuto a conferire tale incarico al curatore del fallimento, consentendo la legge la coesistenza delle due procedure ed essendo, pertanto, quella individuale regolata dal codice di rito, per la parte non disciplinata dalle richiamate disposizioni speciali, con la conseguenza che resta fermo il provvedimento di nomina del custode, il quale, pur non impugnabile ne' revocabile (artt. 66 e 177 cod. proc. civ.), è, tuttavia, suscettibile di modifiche per fatti sopravvenuti nel corso dell'esecuzione (art. 487, stesso codice). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Michele CANTILLO Presidente
" Renato SGROI Rel. Consigliere
" M. Rosario VIGNALE "
" M. Rosario MORELLI "
" Massimo BONOMO "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

FALLIMENTO DELLA IMMOBILIARE LUSITANIA S.R.L., in persona del curatore Laura Del Bufalo, elettivamente domiciliato in Roma Via P. Mascagni 154 presso l'avvocato Paolo Vitucci che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso.

Ricorrente

contro


- CREDITO FONDIARIO S.P.A.
- PEPE ANGELA.

Intimati

Avverso la sentenza 4103-90 del Tribunale di Roma dep. il 16.3.1990. Sono presenti per il ricorrente l'avvocato Vitucci. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5.11.1993 dal Consigliere Relatore Dott. Sgroi.
La difesa del ricorrente chiede l'accoglimento del ricorso. Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 21 settembre 1985 il Tribunale di Roma dichiarò il fallimento della Società Lusitania.
Alcuni immobili della Società erano stati già sottoposti ad esecuzione, ad istanza della Soc. per az. Credito Fondiario, con l'intervento di altri creditori.
Nella procedura era stata nominata custode la Dott. Angela Pepe;
il curatore chiese al Giudice dell'esecuzione di essere sostituito alla Dott. Pepe nell'amministrazione del compendio; il Giudice dell'esecuzione dichiarò inammissibile l'istanza. Con ricorso del 18 luglio 1986 il curatore propose opposizione agli atti esecutivi, chiedendo che l'ordinanza fosse dichiarata inefficace o revocata, con accoglimento dell'istanza intesa a veder sostituto il curatore al custode giudiziario.
Con sentenza del 16 marzo 1990 il Tribunale rigettò l'opposizione, osservando che riteneva di dover pervenire a conclusioni opposte rispetto a quelle affermate da Cass. n. 6254-1982, in quanto la disciplina del credito fondiario ha lo scopo preminente di assicurare il sincronismo fra la riscossione delle semestralità di ammortamento ed il rimborso delle cartelle, per cui assumono rilievo alcune disposizioni intese ad assicurarlo tra le quali (oltre quelle degli artt. 42 e 55 del T.U.) le norme che riconoscono agli Istituti diritti sulle rendite degli immobili (art. 6 r.d. maggio 1910 n. 472; art. 45 del T.U.).
Da quest'ultima norma si ricava che la natura ed i compiti del sequestrato (custode-amministratore) nelle procedure riguardanti il credito fondiario non sono identici a quelli del custode nell'ordinanza procedura individuale; di qui l'impossibilità della sostituzione del custode con il custode del fallimento, organi alla cui nomina non ha in alcun modo partecipato l'istituto procedente. Quanto all'art. 42 del T.U., si tratta di disposizione che si rende necessaria quando, non essendosi proceduto alla nomina di alcun custode, il curatore abbia la disponibilità dell'immobile e delle sue rendite.
Avverso la suddetta sentenza, il curatore del fallimento della Soc. Lusitania ha proposto per cassazione.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col secondo motivo, che logicamente precede, il curatore denuncia la violazione degli artt. 42 e 45 t.u. n. 646-1905; degli artt. 30, 31, 32, 42 ed 88 legge fall. e dei principi sulle attribuzioni del curatore quale pubblico ufficiale; degli art. 65 e ss. c.p.c. e dei principi sulla nomina e l'indipendenza degli ausiliari del giudice;
nonché degli artt. 76 Cost., 15 preleggi, 2 l. 16 ottobre 1975 n.492 e 40 t.u. n. 646-1905 (ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c.), proponendo le seguenti argomentazioni:
a) deve dubitarsi che il t.u. del 1905 possa dirsi tuttora vigente (per le disposizioni procedurali);
b) anche ad ammettere che le suddette disposizioni siano tuttora vigenti, nell'art. 42 del t.u. non si ravvisa una norma che - in deroga all'art. 51 legge fall. - consente la prosecuzione o l'inizio dell'azione esecutiva individuale sui beni compresi nel fallimento (come, invece, accade per l'espropriazione esattoriale);
c) l'art. 42 primo comma del t.u. sancisce la prevalenza dell'ufficio del curatore fallimentare, nel rapporto fra i due procedimenti esecutivi ed anche al fine di realizzare le ragioni del credito fondiario;
d) se l'art. 40 del t.u. compreso fra le disposizioni cui si fa rinvio dall'art. 42, accorda agli istituti gli stessi privilegi dello Stato, quanto all'esecuzione mobiliare, non si vede per quale ragione debbano ritenersi accordati privilegi ulteriori, estesi all'esecuzione immobiliare, contro il debitore fallito;
e) basta tentare l'applicazione, in casi di fallimento del debitore, di quanto è disposto dagli art. 41 e 45 del t.u., per convincersi della vacuità del rinvio contenuto nell'art. 42 e della equivocità delle conclusioni che esso determinerebbe. In caso di mora del debitore, è prevista l'immissione in possesso "prima di ogni atto di esecuzione" e "fino alla nomina del sequestratario giudiziale"; iniziata l'esecuzione il custode può essere nominato ai sensi dell'art. 45 del t.u.
La nomina del custode ed a più forte ragione l'immissione anticipate nel possesso sono escluse di fronte al debitore fallito perché in tale ipotesi (per espressa disposizione del t.u.) l'ufficio di custode ed amministratore è riservato al curatore fallimentare il quale ha l'obbligo di versare all'istituto le rendite (art. 42); ne' il curatore potrebbe essere sostituito, ai sensi dell'art. 45 il generico rinvio contenuto nell'art. 42 c.p.v. acquista un senso compiuto e non contraddittorio ove lo si riferisca ad effetti di natura sostanziale, non all'azione esecutiva. Il motivo è infondato.
a) L'argomento sub a), oltre che in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. 18 settembre 1992 n. 10695), ha ricevuto una chiara smentita dall'art. 17 comma secondo della legge 6 giugno n. 175 (revisione della normativa in materia di credito fondiario, edilizio ed alle opere pubbliche), che recita:
"Nei confronti dei debitori morosi a fronte dei prestiti concessi ai sensi della presente legge, continuano ad applicarsi tutte le disposizioni disciplinanti il procedimento esecutivo di cui ai titoli VII ed VIII del t.u. 16 luglio 1905 n. 646 e successive modificazioni ed integrazioni".
Se la legge ordinaria (che è abrogata con effetto dal 1 gennaio 1994 dal t.u. 1 settembre 1993 n. 385, art. 161 comma 1 ed art. 162, mentre in forza dell'art. 161 comma 6 il procedimento esecutivo de quo resta regolato dalle norme anteriori) dispone la continuazione, per i prestiti concessi secondo le disposizioni innovative della legge 175, dell'applicazione delle norme sul processo esecutivo del t.u. del 1905, ciò significa che esse vigevano ancora, nel 1991, per i prestiti concessi ai sensi delle disposizioni anteriori (come è quello di cui è causa), e quindi vigevano all'epoca della procedura di cui si tratta.
b) Il senso che si può dare al c.p.v. dell'art. 42 del t.u. 1905 è soltanto quello di una deroga al divieto di azioni esecutive individuali, contenuto nell'art. 51 legge fall. Ogni altro significato è impossibile (vedi sub f). Il paragone con la più precisa dizione della legislazione esattoriale non è probante, perché la maggiore precisione deriva dalla struttura di tale esecuzione, che è di natura amministrativa, mentre su di essa si innestano interventi giudiziari nelle sole forme e nei soli casi stabiliti dalla legislazione stessa (v., ampiamente, in motivazione, Sez. un. 17 febbraio 1988 n. 1677; 10 giugno 1988 n. 3948, etc.), con la conseguenza che era necessario stabilire chiaramente che l'esattore può procedere all'espropriazione in via amministrativa anche quando il debitore sia dichiarato fallito (art. 51 d.p.r. n. 602-73); inoltre, l'esattore non è esentato dall'insinuare il credito nella procedura di fallimento (art. 18 d.p.r. n. 603-73). Diversa è la disciplina che riguarda gli Istituti di credito fondiario, che non si devono insinuare nella procedura fallimentare, restando la tutela dei creditori ivi insinuati affidata all'intervento del curatore nella procedura individuale (come statuito da altra sentenza pronunciata dalla sezione in questa stessa udienza, nel ricorso n. 12236-91).
c) L'argomento tratto dall'art. 42 primo comma non è probante. La norma riguarda il caso nel quale l'istituto di credito non ha proceduto ancora al pignoramento, come risulta anche dal dato testuale che essa è posta prima degli articoli 43 e seguenti, che riguardano più propriamente il procedimento esecutivo (notifica del precetto ed atti successivi)
È evidente che, spossessato il debitore del bene per effetto del fallimento, il curatore, ai sensi degli artt. 88 e 31 legge fall., deve provvedere a quei versamenti delle rendita che il debitore non può più compiere, ex art. 42 stessa legge fallimentare. Per l'ipotesi che l'istituto abbia proceduto a pignoramento, invece, si applicano altre regole sulla custodia (v. infra). d) Il privilegio concesso dall'art. 40 del t.u. per l'esecuzione mobiliare (con rinvio alle norme sulla riscossione esattoriale delle imposte dirette) non esclude affatto la concessione di un diverso privilegio per l'esecuzione immobiliare; anzi, poiché sull'immobile è iscritta l'ipoteca fondiaria, è più razionale il suddetto secondo privilegio.
e) È evidente che non porta alcun contributo alla soluzione del problema di causa l'art. 41, perché l'immissione in possesso è prevista "prima di ogni atto di esecuzione" e cessa nel caso di esecuzione iniziata dall'istituto o da altro creditore; e - quindi - si deve ritenere, anche nel caso di fallimento.
La custodia dell'immobile, in tali casi, è regolata da norme (art. 45 del t.u. su cui si rinvia a quanto sarà detto esaminando il primo motivo, e norme del c.p.c. vigente).
f) Che il rinvio contenuto nell'art. 42 c.p.v. del t.u. riguardi non l'azione esecutiva, ma gli effetti di diritto sostanziale, è contraddetto dall'unanime giurisprudenza. Se per effetti di diritto sostanziale si intendono quelli derivanti dall'ipoteca (art. 2788), dalle norme sulla responsabilità patrimoniale del debitore (art.2740 c.c.) e sul concorso dei creditori (art. 2741), la
giurisprudenza ha più volte affermato che esse non sono derogate dal t.u. sul credito fondiario (fra le altre, v. Cass. n. 2734-73; n. 5944-81; n. 7148-86; n. 2196-88; n. 6952-88).
Col primo motivo, il curatore del fallimento Lusitania denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 45 t.u. n. 646-1905;
degli artt. 30, 31, 32, 42 ed 88 legge fall. e dei principi sulle attribuzione del curatore quale pubblico ufficiale; degli artt. 65 e ss. c.p.c. e dei principi sulla nomina e l'indipendenza degli
ausiliari del giudice; omessa motivazione su un punto decisivo (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), lamentando in primo luogo che la sentenza impugnata abbia frainteso l'insegnamento di Cass. n. 6254-82, nell'ambito delle cui statuizioni è un puro accidente che il fallimento fosse già in atto quando venne iniziata l'azione esecutiva individuale, tanto che quella sentenza ha affermato che le funzioni di custodia del curatore, anche dopo la sopravvivenza dell'azione esecutiva individuale, non possono essere rimosse che dal giudice delegato.
Osserva, poi, che, in caso di fallimento, l'azione esecutiva individuale non diventa improcedibile, ma la vendita può essere disposta anche dal curatore fallimentare; l'argomento a fortiori è di tutta evidenza, quanto al diritto di amministrare i beni nelle more della vendita.
Il sistema delle cartelle fondiarie, contrariamente a quanto ha affermato il Tribunale, ha avuto vigore solo fino al 31 gennaio 1976 (l. n. 492-75) e l'art. 32 del t.u. è stato abrogato dall'art. 13 d.p.r. n. 7 del 1976. Il ricorrente ricorda la giurisprudenza (già citata supra, sub f) per affermare che le norme richiamate dall'art. 42 c.p.v. del t.u., in caso di fallimento, si applicano soltanto se richiamate dalla legge fallimentare o non contrastano con i principi di questa, fra cui quello desumibile dagli artt. 30, 32, 42 e 88, sulle funzioni del curatore quale pubblico ufficiale.
Anche l'affermazione del Tribunale, secondo cui il sequestratario ex art. 45 del t.u., non coincide con il custode nominato nelle procedure esecutive ordinarie, è errata perché - alla stregua del c.p.c. all'epoca vigente - le funzioni erano identiche, come aveva chiarito l'autorevole dottrina citata nel ricorso. Errata è pure la tesi del Tribunale secondo cui deve aversi riguardo alle particolari esigenze dell'Istituto, perché il sequestratario - custode è ausiliario del giudice.
Il criterio della preferenza deve ritenersi caduto, per incompatibilità col nuovo sistema del c.p.c. ne', in punto di fatto, risultava che l'istituto avesse proposto al giudice di designare la persona che poi era stata nominata.
Concludendo, secondo il curatore, le norme dell'art. 45 t.u. da un lato non possono applicarsi in caso di fallimento e, dall'altro, non presenta carattere speciale; e l'art. 42 del t.u. erroneamente è stato ritenuto dal Tribunale applicabile per il solo caso in cui sia mancata la nomina del custode.
Il motivo è infondato.
La Corte ritiene di doversi discostare dall'insegnamento di Cass.n. 6254 del 1982, sulla base delle considerazioni che seguono, in
parte divergenti da quelle contenute nella sentenza impugnata (art.384 c.p.c., sulla correzione della motivazione in diritto, fermo il
dispositivo che sia ad esso conforme).
Il problema di causa è quello (che è il solo deducibile con l'opposizione agli atti esecutivi, mentre i motivi di opportunità che suggeriscono la modifica del provvedimento non possono farsi  valere, stante che l'ordinanza è definita non impugnabile dall'art.66 c.p.c. e quindi non è revocabile in base ad una nuova valutazione dei motivi preesistenti) se il giudice dell'esecuzione immobiliare, durante il fallimento del debitore, possa nominare o sostituire il custode, ovvero se - in tal caso - poiché le funzioni di custode dei beni acquisiti al fallimento appartiene ex lege al curatore, soltanto il giudice delegato al fallimento possa nominarlo o sostituirlo, di guisa che il provvedimento del giudice dell'esecuzione si affetto da vizio di difetto di potere.
Un altro aspetto subordinato del problema, sempre sotto il profilo della legittimità (o regolarità formale, come si esprime l'art. 617 c.p.c.) è se il giudice dell'esecuzione, pur avendo il potere di nomina e di sostituzione, debbe nominare in ogni caso il curatore o, in ogni caso, debba preferirlo ad ogni altro soggetto. La soluzione di tale quesiti prescinde dal carattere di specialità che si intenda attribuire all'art. 45 del t.u. del 1905 sul credito fondiario; carattere che, in effetti, con riguardo alla figura del sequestratario ivi menzionato, non sussiste, per quanto attiene alla qualificazione da attribuirgli, coincidente con quella di "custode"; e non sussiste neppure, per quanto attiene agli altri aspetti della procedura di nomina e di sostituzione. Non appare dubbio, infatti, che - eseguito il pignoramento ed iniziata l'esecuzione (art. 491 e 555 c.p.c.) il giudice dell'esecuzione immobiliare e sostituire il custode (art. 65-66 e 559 c.p.c.); e che, come il creditore pignorante, nell'istanza di cui all'art. 559 comma 2 potrà sottoporre al giudice dell'esecuzione la richiesta di nomina di una persona di sua fiducia (salva l'approvazione da parte del giudice, a cui spetta l'ultima decisione), così l'istituto può proporre (ex art. 45 del t.u.) una persona, purché riconosciuta idonea dal giudice.
Nell'idea di preferenza, enunciata dall'art. 45, è insita la facoltà di scelta anche al di fuori della persona suggerita, ed in ogni caso il controllo dell'indoneità alle funzioni è attribuito al giudice.
Eliminati quelli che possono sembrare a prima vista gli aspetti derogatori dell'art. 45 del t.u., rispetto alla disciplina generale del c.p.c., la soluzione dei problemi enunciati appare appianata. Si è già affermata - esaminando il secondo motivo - la possibilità di coesistenza, col fallimento del debitore, della procedura di espropriazione forzata dell'immobile pignorato, ad istanza del solo Istituto di credito fondiario (art. 42 secondo comma del t.u. del 1905), mentre gli interventi dei creditori restano paralizzati e privi di effetto ai sensi dell'art. 51 e 52 legge fallimentare (di guisa che i creditori intervenuti nella procedura esecutiva de qua non hanno più veste per interloquire). Da ciò discendono necessariamente due conseguenze:
a) che il giudice dell'esecuzione immobiliare (e non il giudice delegato al fallimento del debitore) dirige l'esecuzione (art. 484) con tutti i poteri che gli sono propri;
b) che il creditore pignorante (Istituto di credito fondiario) conserva tutti i poteri di impulso della fase espropriativa e di partecipazione alla fase satisfattiva dell'esecuzione (si veda, amplius, la sentenza deliberata in questa medesima udienza, nel ricorso "Fallimento Mariotti contro Istituto Credito Fondiario"). Non vi è possibilità di ritenere cessati tali poteri, una volta che la legge consente la coesistenza delle due procedure. Nelle due ipotesi che possono realizzarsi (anteriorità del fallimento rispetto all'esecuzione singolare; sopravvivenza del fallimento all'esecuzione singolare), la questione della custodia degli immobili pignorati dall'Istituto di Credito Fondiario e soggetti all'ipoteca prevista dalle leggi in materia dovrà risolversi nel seguente modo.
1 ) Nella prima ipotesi, è evidente che il primo comma dell'art. 559 non potrà applicarsi, perché il debitore non potrà applicarsi, perché il debitore non potrà essere il custode, per gli effetti già verificatisi del suo spossamento (art. 42 legge fall.) e della custodia in capo al curatore (art. 31 e 88 legge fall.). Tuttavia, niente si oppone all'applicabilità del secondo comma del medesimo articolo 559, con relazione all'art. 66 c.p.c. e cioè al potere del creditore pignorante di chiedere la nomina di un diverso custode, dato che la procedura esecutiva individuale conserva la sua autonomia ed in essa il curatore ha poteri di intervento (Cfr. la sentenza citata) a tutela delle ragioni della massa. Si potrà solo ammettere che il curatore, appunto come intervenuto, ha il potere, attribuito dall'art. 559 comma 2, di chiedere la nomina di un custode, e che la scelta, data la sua posizione peculiare nell'ambito della procedura fallimentare, a tutela delle ragioni della massa dei creditori, possa cadere su di lui (o su persona da lui designata: si pensi, per esempio, al caso di pignoramenti su beni siti in circoscrizioni lontane dal luogo dove si svolge la procedura fallimentare).
2 ) Nella seconda ipotesi, già ha avuto modo di operare l'art.559 c.p.c.; e se, in forza del cpv. di detta norma, su istanza dell'istituto di credito pignorante prima del fallimento, il giudice dell'esecuzione ha nominato un custode, fosse pure "la persona proposta dall'istituto, purché riconosciuta idonea" (art. 45 del t.u. del 1905), sull'istanza di sua sostituzione, ex art. 66 e 559 cpv., avanzata dal curatore del fallimento sopravvenuto, il giudice dell'esecuzione conserva il potere di accoglierla o rigettarla, disponendo secondo opportunità, ma non restando vincolato alla nomina del curatore, per la sua sola qualità che gli provine dalle funzioni che gli competono a norma della legge fallimentare. Invero, se la legge intende far salva la procedura individuale rispetto a quella fallimentare, la prima è regolata dal c.p.c. e dalle norme speciali, fino al punto a cui si estendono le regole derogatorie.
Soltanto ai fini del concorso con gli altri creditori insinuati nel fallimento, l'Istituto di credito fondiario resterà soggetto alle norme sul concorso dei creditori, e la sua soddisfazione nella distribuzione del prezzo è condizionata all'insussistenza di crediti prededucibili o muniti di cause di prelazione di grado superiore al suo.
Ma nella fase del compimento degli atti di espropriazione (e, quindi, dell'amministrazione da parte del custode del bene pignorato, ex art. 560 c.p.c.) non vi è alcun ostacolo all'applicazione delle norme del c.p.c.
L'art. 42 primo comma del t.u. 1905 impone al curatore, prima del pignoramento, gli obblighi di versamento ivi previsti (in quanto "amministratore" dei beni del fallito, ancora non pignorati);
obblighi che peraltro non pregiudicano le ragioni dei creditori insinuati di grado poziore, giusta il richiamo all'art. 55 del t.u., in caso di non utile collocazione del credito dell'Istituto nella distribuzione del prezzo (e delle rendita).
Una volta effettuato il pignoramento (successivo al fallimento) detta veste di custode, ex art. 559 primo comma c.p.c., può continuare a sussistere, ma può cessare ai sensi del secondo comma e dell'art. 66 c.p.c. con provvedimento del giudice dell'esecuzione. Se invece, il pignoramento è già avvenuto, alla data del fallimento, il custode sarà soggetto all'art. 48 del t.u., in ordine alle rendite ed ai frutti (Cass. n. 2801-88) e le questioni in merito alla sua eventuale sostituzione saranno risolte ai sensi dell'art. 66 e 559 cpv. c.p.c. dal giudice dell'esecuzione immobiliare. Delineato il sistema vigente ed applicabile all'esecuzione de qua, non è inopportuno sottolineare come l'art. 41 del t.u. 1 settembre 1993 n. 385 sancisca espressamente la possibilità di iniziare o proseguire l'azione esecutiva della banca sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari, anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, disponendo altresì che il curatore ha facoltà di intervenire nell'esecuzione e che la somma ricavata, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento.
In altri termini, l'esecuzione continua e finisce, fino alla distribuzione in sede di esecuzione singolare e non può che essere regolata dal c.p.c., salva la tutela dei diritti del curatore e dei creditori insinuati, nel riparto.
Diversa è l'ipotesi in cui la vendita venga eseguita in sede fallimentare, e cioè l'istituto non si avvalga della procedura privilegiata (Cass. n. 7323-93; n. 1025-93).
Si può anche ammettere che il curatore possa esercitare i poteri di cui all'art. 107 legge fallimentare, non nel senso di una sostituzione obbligatoria (che contrasta con l'art. 42 secondo comma del t.u. del 1905 e con l'art. 41 del t.u. del 1993), ma nel senso di una sostituzione solo in caso di inerzia dell'istituto di credito fondiario.
L'art. 41 terzo comma del t.u. del 1993 dispone poi che il custode dei beni pignorati, l'amministratore giudiziario ed il curatore del fallimento del debitore versano alla banca le rendite degli immobili ipotecati.
L'elencazione ha riguardo alle varie ipotesi supra fatte, con le quali si accorda.
Non si deve affermare che vi è una necessaria distinzione fra custode e curatore, in quanto la norma presuppone che essi siano stati nominati nelle forme di legge; ma i loro obblighi sono uguali. Per la nomina di essi, il t.u. compie un rinvio implicito alle norme del c.p.c. vigente, nonché della legge fallimentare, lasciando il loro coordinamento all'interprete.
Peraltro, è utile sottolineare che l'unica facoltà espressamente attribuita dal nuovo t.u. al curatore è quella dell'intervento nell'esecuzione (ovviamente, con tutti i poteri ex art. 563-566 c.p.c. e, con particolare riguardo alla specie, ex art. 559 comma 2 c.p.c., come innanzi si è già detto).
Il nuovo testo unico è stato citato, nonostante la sua inapplicabilità diretta al caso, perché esso è stato emanato in base alla delega conferita dall'art. 25 della legge 19 febbraio 1992 n. 142; delega che concerneva l'attuazione della direttiva CEE 89-646, in base ai principi ivi contenuti (vedi il decreto legislativo 14 dicembre 1992 n. 481), nonché l'emanazione di un testo unico delle suddette disposizioni, coordinato con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, apportandovi le modifiche necessarie a tal fine.
Poiché nella materia dell'esecuzione forzata la Direttiva CEE, l'art. 25 primo comma legge n. 142-92 ed il decreto di attuazione n. 491 (NDR: così nel testo) del 1992 non contengono alcuna norma, è evidente che le disposizioni citate del t.u. del 1993, in materia di esecuzione forzata devono ritenersi confermative (e non modificative od innovative) perché vi era solo l'esigenza della riunione in t.u., ma non della modifica, la quale aveva lo scopo solo di coordinare le norme vigenti con quelle (nuove) emanate per l'attuazione della Direttiva secondo i principi della legge comunitaria n. 142-92, art. 25.
Comunque, l'esegesi delle norme vigenti conduce a dare le seguenti risposte ai quesiti posti:
a) anche durante il fallimento del debitore, il giudice dell'esecuzione immobiliare (instaurata o proseguita dall'Istituto di credito fondiario sul bene ipotecario a suo favore secondo le leggi speciali) ha il potere di nominare o sostituire il custode e pertanto il suo provvedimento in materia non è affetto da vizio di difetto di potere;
b) tale potere di nomina e di sostituzione (art. 559 e 66 c.p.c.) non deve necessariamente avere come destinatario il curatore del fallimento, sia esso anteriore o successivo al pignoramento. Pertanto, non può essere utilmente esperita un'opposizione agli atti esecutivi contro l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che abbia rifiutato la sostituzione del custode con il curatore del fallimento, non riscontrandosi in essa alcuna irregolarità o illegittimità, salva ogni valutazione di opportunità, nella competente sede esecutiva, dove il provvedimento può essere modificato per fatti sopravvenuti, sebbene non impugnabile e quindi non revocabile (art. 66, 177 e 487 c.p.c.). Rigettato il ricorso (con la suddetta diversa motivazione), non deve darsi pronuncia sulle spese, perché gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.


La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso a Roma il 5 novembre 1993.