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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26835 - pubb. 15/03/2022.

Quando il curatore del fallimento subentra nel preliminare e stipula il contratto definitivo pone in essere una vendita di natura coattiva?


Tribunale di Monza, 14 Aprile 2021. Pres. Mariconda. Est. Crivelli.

Fallimento – Contratto preliminare – Stipula del definitivo – Effetti – Natura dell'atto


Nell'ipotesi in cui il curatore del fallimento subentri nel contratto preliminare pendente, la stipula del contratto definitivo costituisce, anche se attuata nelle forme del contratto, una vendita coattiva laddove si inserisca in un percorso formalizzato proprio delle vendite concorsuali, con la previsione di essa nel programma di liquidazione e l'autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell'art. 104-ter, comma 9, l.f.; in tal caso, il curatore non stipula il contratto definitivo in luogo del fallito, bensì nell'interesse della massa ed in attuazione di una vendita di natura coattiva alla quale si applica il disposto dell'art. 108 l.f. sulla cancellazione delle formalità pregiudizievoli. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

A. A. proponeva reclamo ai sensi dell’art. 36 l. fall. avverso il diniego del curatore del fallimento Num. N. di dare esecuzione al preliminare stipulato fra esso reclamante e la società allora in bonis in data 16.3.2017, ed avente ad oggetto un appartamento con autorimesse in Como (mapp 5016, sub 33, 60, 79).

In particolare il rifiuto avrebbe avuto ad oggetto la garanzia dai vizi e difetti e la consegna al notaio rogante dei documenti relativi a certificazione energetica, assicurazione decennale, certificazioni catastali ecc.

Il giudice delegato, con decreto 2 gennaio 2021, respingeva il reclamo, tranne per quanto si riferiva alla certificazione energetica e catastale, ritenendo che anche in caso di vendita ai sensi dell’art. 72, ult. co., l. fall., oltre al potere di purgazione si applicasse l’esenzione dalla garanzia dei vizi di cui all’art. 2922 c.c. e il disposto di cui all’art. 46 d.lgs. n. 380/2001.

Avverso tale provvedimento viene spiegato il reclamo oggetto del presente giudizio.

A parere del reclamante l’art. 72, 8° co., l. fall. disponendo l’inapplicabilità del 1° co. della disposizione stessa in ipotesi di contratto avente ad oggetto l’immobile destinato a costituire abitazione principale ovvero la sede principale dell’impresa acquirente, non farebbe che stabilire l’insensibilità del contratto stesso dall’intervenuto fallimento.

La procedura quindi stipulando il definitivo si limiterebbe ad esercitare i diritti che derivano dal preliminare, ed oggetto dell’apprensione alla massa attiva sarebbe quindi rappresentato non dal bene immobile ma direttamente dal contratto preliminare stesso. Il curatore dunque sarebbe soggetto a tutti gli obblighi e a tutte le sanzioni, quindi nella medesima situazione giuridica in cui si trovava il fallito.

Pertanto in ipotesi di subingresso la stessa giurisprudenza avrebbe affermato la piena applicabilità dell’ordinaria garanzia dei vizi e dell’evizione (Cass. 6.12.1974, n. 4030).

Anche nel caso del preliminare tutto ciò avverrebbe in conformità alla prosecuzione automatica del contratto.

D’altronde accettando la tesi opposta verrebbe alterato il sinallagma contrattuale, posto che al momento della stipulazione del contratto preliminare e della determinazione del corrispettivo, evidentemente la prospettiva riguardava un contratto avente ad oggetto anche le surriferite garanzie.

Costituendosi nel presente giudizio, la curatela faceva presente come il curatore, subentrando nel contratto, non poteva che soggiacere alle limitazioni imposte dalla legge fallimentare, ed in particolare, nonostante la veste negoziale, il trasferimento avverrebbe in quanto vendita coattiva.

Pur dando atto di contrarie opinioni dottrinali, il fallimento sottolinea in particolare la stipulazione invito domino, il potere di purgazione e l’inserimento della vendita nella procedura concordataria.

Ne conseguirebbe la piena applicabilità degli artt. 2921 e 2922 c.c., e l’esclusione comunque della facoltà in capo al curatore di riconoscere diritti che vadano ad incidere sul patrimonio del fallimento, come nell’ipotesi in cui si vincolasse a riconoscere la prefata garanzia.

Allo stesso modo l’alterità del curatore rispetto al contraente originario si apprezzerebbe con l’esclusione delle rituali dichiarazioni (es. pagamento di mediatori, regolarità urbanistiche ecc.) nonché con l’applicabilità dell’art. 46 d.lgs. n. 380/2001.

Tale natura poi parrebbe confermata altresì dall’art. 173 del codice della crisi.

A parere del Collegio intanto deve escludersi la suggestiva tesi di parte reclamante in ordine alla ricostruzione del disposto di cui all’art. 72, 8° co., l. fall., qual pieno subentro nel contratto.

In effetti l’incipit della disposizione in esame esclude l’applicabilità del 1° comma, e con essa la scelta fra subentro e scioglimento.

Tantomeno può ritenersi che all’attivo sia acquisito il contratto e non l’immobile, posto che comunque si voglia ritenere il contratto preliminare ha solo effetti obbligatori.

Quel che esattamente accade invece, è che il comma ottavo impone la stipulazione del contratto, ma ovviamente - come osservato dalla difesa del fallimento - osservando i limiti della legge fallimentare ed a titolo di vendita coattiva.

In altri termini la stipulazione del definitivo, pur nelle forme privatistiche del contratto, costituisce una vendita coattiva laddove si inserisce in un percorso formalizzato proprio delle vendite concorsuali.

In effetti tale stipulazione deve essere prevista nel programma di liquidazione; autorizzata poi dal g.d. ai sensi dell’art. 104 ter, 9° co., l. fall.; stipulata dal curatore in tale qualità ed escludendosi che lo stesso intervenga in loco decoctor, in quanto egli piuttosto interviene nell’interesse della massa ed invito domino, e non gli si possono pacificamente richiedere le dichiarazioni che invece in generale devono essere esatte in sede di rogito dal contraente.

La natura coattiva soltanto spiega poi il motivo per cui a tale vendita si applica il disposto di cui all’art. 108 l. fall., laddove si stabilisce che avvenuta la vendita il giudice, verificato il pagamento del prezzo, procede alle cancellazioni delle formalità pregiudizievoli.

Volendo infatti sostenere la tesi opposta, e cioè la natura strettamente privatistica del contratto, occorrerebbe ottenere il consenso dei creditori che esercitano il privilegio sul bene, in spregio sia del principio del concorso sia della stessa finalità della norma di tutela dell’altro contraente.

Né si spiegherebbe la certa applicabilità a quest’ultimo della necessità di dimostrare la data certa anteriore al fallimento del versamento degli acconti, discendente dalla considerazione degli organi fallimentari e della massa come terzi.

Tantomeno potrebbe ammettersi che la disciplina applicabile sia costituita da una sorta di tertia lex come pare presupporre il reclamante, cioè ritenendo ad un tempo la natura privatistica ma anche l’applicabilità della purgazione di cui al citato art. 108 l. fall.

Va comunque notato come l’adozione della veste formale contrattuale pur a fronte della natura coattiva della vendita non è affatto eccezionale, ed anzi si ha in materia concorsuale ogni qual volta - pur a fronte della natura competitiva della vendita - non può configurarsi un potere giudiziale di emissione del decreto di trasferimento, come accade ove il curatore scelga le forme di cui all’art. 107, 1° co., l. fall., o analogamente nel piano concordatario ai sensi dell’art. 182 l. fall; ed ancora in ipotesi di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

La differenza col caso di specie è esclusivamente data dal fatto che qui non si ha a monte una procedura competitiva, ma appunto perché già esiste una determinazione del contraente opponibile alla procedura, pur se poi il trasferimento come detto è operato nell’ambito formalizzato proprio della procedura e sempre con finalità strettamente liquidatoria.

Alla luce di ciò, come del resto già osservato in primae curae, quanto qui concluso non risulta contrastante con la ricostruita natura la recente Cass. 23139/20, resa infatti in fattispecie di vendita (o meglio assegnazione di alloggio a socio) in ambito di continuità aziendale.

È infatti evidente e pacifico che proprio le vendite che vengono effettuate non con diretta finalità liquidativa, qual quella di cui si tratta, ma nell’ambito della prosecuzione dell’attività aziendale (esercizio provvisorio in attesa dell’omologazione del concordato; continuità aziendale ai sensi dell’art. 186 bis l.fall.; esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 l. fall.), sono interamente sottratte all’ambito formalizzato di cui s’è detto e che costituisce il presupposto della natura coattiva della vendita, e quindi sono sottratte alla suddetta disciplina, com’è nella logica imprenditoriale in cui sono inserite.

A sostegno poi della natura coattiva della vendita in parola interviene anche la disciplina di cui al codice della crisi. Sebbene l’art. 173 della stessa contenga una disposizione obiettivamente innovatrice (consistente nella previsione della opponibilità dell’acconto versato solo nella sua metà, oltre che nella previsione della richiesta di esecuzione nelle forme previste per l’accertamento dei diritti dei terzi in ambito concorsuale), palesemente la stessa - laddove configura i poteri di cancellazione e quindi implicitamente la natura coattiva, dimostra come il legislatore nel contrasto fra coloro che sostengono la tesi della natura strettamente privatistica e coloro che invece sostengono quella coattiva, abbia scelto quest’ultima opzione (peraltro si noti in attuazione di una direttiva contenuta nell’art. 7 della legge di delegazione n. 155/ 2017), tra l’altro ulteriormente specificando che l’immo- bile viene trasferito “nello stato in cui si trova”, fornendo così un valido criterio ermeneutico anche relativamente alla disciplina attuale.

La disciplina in parola quindi non crea una situazione di inammissibile disparità di trattamento tra il promissario acquirente e l’aggiudicatario, e tra l’altro il primo solo a mezzo della ricostruita natura coattiva si giova, come detto, del potere di purgazione.

Semmai una situazione di disparità di trattamento sussiste, pur a fronte di una situazione differente, essa è predicabile nei riguardi di colui che abbia proposto anteriormente al fallimento domanda ai sensi dell’art. 2932 c.c., il quale - poiché il suo trasferimento dipenderà non già da un atto cui partecipa un organo fallimentare ma da una pronuncia di un giudice ordinario - non potrà giovarsi del potere di cancellazione di cui al più volte richiamato art. 108 l. fall.

Da tutto quanto precede, ed in particolare dalla natura coattiva della vendita in esame, discende l’applicabilità alla vendita in esame della disciplina di cui agli artt. 2921 e 2922 c.c. e - non essendo oggetto di reclamo nel resto - va quindi confermato il provvedimento reso dal giudice delegato in sede di reclamo ai sensi dell’art. 36, 1° co., l.fall.