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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 28846 - pubb. 11/03/2023.

Validità della clausola risolutiva espressa cd. 'scaduto+scadere-bene' nei contratti di leasing risolti prima dell’entrata in vigore della legge n. 124/17


Appello di Venezia, 11 Ottobre 2022. Pres. Dosi. Est. Marzocca.

Validità della clausola penale cd. “scaduto+scadere-bene” nei contratto di leasing risolti prima dell’entrata in vigore della L. 214/17 – Inidoneità dell’accertamento endofallimentare a costituire giudicato tra le parti


Dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2961/21 si evince che l’applicabilità dell’articolo 1526, 1° co., c.c. al leasing traslativo può essere recessiva e può valutarsi ed applicarsi il contenuto della clausola penale conformemente alla previsione di cui all’art 15266, 2° co., c.c., nel caso in cui le parti abbiano stipulato un apposita specifica clausola penale con la quale abbiano determinato in via anticipata il risarcimento del danno per inadempimento dell’utilizzatore, a patto che non vi sia un’attribuzione di vantaggi eccessivi per il concedente.


Tali vantaggi possono essere evitati prevedendo nel contratto, come nella fattispecie in oggetto, che l’utilizzatore inadempiente, dopo la restituzione dell’intero importo del finanziamento, abbia, alternativamente, il diritto di recuperare la proprietà e la disponibilità del bene oggetto di leasing in termini prestabiliti oppure il diritto di imputare il valore del bene alla somma dovuta in restituzione dei canoni a scadere.


Nel caso in esame, le parti, attraverso la previsione della clausola risolutiva cd. “Scaduto+scadere-bene“, si sono accordate in punto di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore senza compiere alcuna violazione dell’equilibrio contrattuale. Il concedente, infatti, secondo tale previsione, dopo aver ottenuto la restituzione del bene, non avrebbe mantenuto la proprietà, ma lo avrebbe venduto o riallocato in leasing, imputando all’utilizzatore il quantum ricavato e restituendo l’eventuale eccedenza rispetto alle somme complessivamente corrisposte.


La pronuncia emessa all’esito di un procedimento fallimentare è sottoposta ad una disciplina a sé stante. Pertanto, la decisione con la quale il Tribunale dispone l’ammissione o meno allo stato passivo di un credito non fa stato fra le parti al di fuori del fallimento del resto, la domanda di ammissione allo stato passivo e l’eventuale opposizione alla mancata opposizione da parte del giudice fallimentare sono azioni è rimessa alla valutazione di opportunità del singolo creditore e le decisioni non fanno giudicato, per le ragioni di cui sopra, in punto esistenza o meno del credito, ma incidono solo nell’ambito del procedimento endofallimentare per determinare l’ammissione o meno del credito invocato nello stato passivo. (Nicola Vascellari) (riproduzione riservata)

Segnalazione dell'avv. Nicola Vascellari, senior partner Studio Legale Vascellari di Vittorio Veneto (TV)