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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19719 - pubb. 11/01/2018.

Azione di responsabilità: la sospensione del decorso della prescrizione finché gli amministratori sono in carica non si applica ai sindaci e ai direttori generali


Cassazione civile, sez. I, 12 Giugno 2007, n. 13765. Est. Rordorf.

Società in amministrazione straordinaria - Azione di responsabilità promossa nei confronti dei "disciolti" organi sociali ex art. 72, quinto comma del d.lgs. n. 385 del 1993 dal commissario straordinario - Limitazione agli organi in carica al momento dell'assoggettamento ad amministrazione straordinaria - Esclusione - Estensione dell'azione agli organi sociali non più in carica - Ammissibilità

Liquidazione coatta amministrativa - Subentro del commissario liquidatore nel giudizio promosso ex art. 2393 cod. civ. dal commissario straordinario - Proposizione in prima udienza di trattazione di domanda ex art. 2394 cod. civ. - Domanda nuova -  Inammissibilità

Istituto di credito sottoposto ad amministrazione straordinaria - Azione di responsabilità degli organi sociali promossa dal commissario liquidatore - Verifica della capacità processuale da parte del giudice del merito - Provvedimento motivato di autorizzazione rilasciato dalla Banca d'Italia - Sufficienza - Sindacabilità del merito dell'autorizzazione - Inammissibilità

Conferimento di azienda bancaria in società per azioni ex artt. 1 e 16 d.lgs. n. 356 del 1990 - Successione a titolo particolare della società conferitaria nei crediti dell'azienda conferita - Estensione ai diritti di natura risarcitoria esercitabili nei confronti degli organi amministrativi e di controllo dell'azienda trasferita - Configurabilità

Istituto di credito assoggettato ad amministrazione straordinaria - Autorizzazione da parte della Banca d'Italia all'esercizio dell'azione di responsabilità verso i disciolti organi sociali - Estensione anche ai direttori generali - Configurabilità

Istituto di credito in amministrazione straordinaria - Autorizzazione rilasciata dalla Banca d'Italia per l'esercizio dell'azione di responsabilità verso gli organi sociali - Contenuto - Definizione

Azione di responsabilità nei confronti di sindaci e direttori generali - Applicabilità della sospensione ex art. 2941 n. 7 cod. civ. -  Esclusione


In caso di sottoposizione di istituto di credito ad amministrazione straordinaria, l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità promossa ai sensi dell'art. 72 quinto comma del d.lgs. n. 385 del 1993, contro i membri dei "disciolti" organi amministrativi e di controllo nonché dei direttori generali, dal commissario straordinario, previa autorizzazione della Banca d'Italia, può essere rivolta anche nei confronti di amministratori, sindaci e direttori generali già cessati dalle funzioni, non riferendosi il termine "disciolti" esclusivamente alle persone in carica al momento della sottoposizione ad amministrazione straordinaria, ma agli organi sociali nel loro complesso, analogamente a quanto accade nell'azione sociale di responsabilità regolata dal codice civile, indubitabilmente esercitabile anche nei confronti di chi non era più in carica al tempo della citazione in giudizio. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Il commissario liquidatore di un istituto bancario sottoposto a liquidazione coatta amministrativa che subentra all'amministrazione straordinaria del medesimo ente nel giudizio relativo all'azione di responsabilità nei confronti dei disciolti organi sociali promossa ex art. 2393 cod. civ., non può, in prima udienza di trattazione, richiedere che venga accertata la responsabilità degli amministratori anche ai sensi dell'art. 2394 cod. civ. a tutela dei creditori sociali, integrando tale domanda una "mutatio libelli" inammissibile, in considerazione della diversità delle due azioni di responsabilità, l'una regolata dall'art. 2393 cod. civ. di natura contrattuale, fondata sull'inadempimento dei doveri imposti agli organi sociali dalla legge o dall'atto costitutivo, l'altra, disciplinata dall'art. 2394 cod. civ. di natura extracontrattuale, priva di carattere surrogatorio e dotata di un autonomo regime giuridico dell'onere della prova e della prescrizione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In caso di sottoposizione di istituto di credito ad amministrazione straordinaria a norma dell'art. 70 d.lgs. n. 385 del 1993, ai fini dell'accertamento della capacità processuale del commissario straordinario all'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei disciolti organi sociali, il giudice del merito deve verificare che la Banca d'Italia lo abbia preventivamente autorizzato nelle forme richieste dalla legge e che tale autorizzazione non sia priva di motivazione, dovendo in caso contrario disapplicare l'atto; non può, peraltro, sindacare il merito dell'atto medesimo, né valutare se la motivazione contenuta nel provvedimento autorizzatorio sia congrua, sufficiente, logica e non contraddittoria e tanto meno se siano condivisibili le ragioni di opportunità che la sostengono. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Il conferimento, ai sensi degli artt. 1 e 16 del d.lgs. n. 356 del 1990 di un'azienda bancaria (nella specie una Cassa di Risparmio) in una società per azioni determina la successione a titolo particolare della totalità dei crediti dell'azienda trasferita da parte della società conferitaria senza esclusione di quelli derivanti dal diritto al risarcimento dei danni provocato al patrimonio aziendale dalla "mala gestio" degli organi amministrativi e di controllo dell'ente conferente, in quanto componenti della "universitas" aziendale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In caso di sottoposizione di istituto di credito ad amministrazione straordinaria, l'autorizzazione rilasciata dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 72, quinto comma, d.lgs. n. 385 del 1993, al commissario straordinario per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei disciolti organi sociali deve ritenersi comprensiva anche dei direttori generali, in considerazione della vicinanza di tale figura a quella dell'organo amministrativo nell'organizzazione dell'impresa com'è testimoniato dall'applicazione, ex art. 2396 cod. civ., ai direttori generali della disciplina della responsabilità propria degli amministratori. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In caso di sottoposizione di istituto di credito ad amministrazione straordinaria, l'autorizzazione rilasciata dalla Banca d'Italia al commissario straordinario ai sensi dell'art. 72, quinto comma, del d.lgs. n. 356/1990, per l'esercizio dell'azione di responsabilità dei disciolti organi sociali, copre tutte le pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell'obiettivo del giudizio cui il provvedimento si riferisce, anche se di natura accessoria e consequenziale, non essendo necessario che contenga nel dettaglio tutte le iniziative processuali da intraprendere ma esclusivamente l'enunciazione degli elementi essenziali, oggettivi e soggettivi, dell'azione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In tema di prescrizione dell'azione di responsabilità degli amministratori, dei sindaci e dei direttori generali di società di capitali, l'art. 2941 n. 7 cod. civ., che stabilisce la sospensione del decorso della prescrizione finchè gli amministratori sono in carica, non si applica ai sindaci e ai direttori generali, trattandosi di previsione normativa di carattere eccezionale e tassativo. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente

Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere

Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

Svolgimento del processo

Con atto notificato nell'agosto 1997 la Sicilcassa s.p.a., in persona del commissario straordinario a ciò autorizzato dalla Banca d'Italia, citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo i sigg.ri F.G., O.P., A.G., B. D., C.D., Ma.Fx., M. F., Or.Ma., S.F., V. G., L.G., La.Gi., T. C., M.A. e S.P., i quali in anni precedenti avevano svolto mansioni di amministrazione, di controllo o di direzione generale della società.

Il commissario straordinario, facendo riferimento alla previsione dell'art. 2393 c.c., chiese che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni cagionati alla società, nella misura di complessive L. 1.666.000.000 o nella maggior somma eventualmente risultante all'esito del giudizio, in conseguenza delle gravi irregolarità gestionali evidenziate da un'ispezione svolta dalla Banca d'Italia ed in considerazione dei dati emersi dalle situazioni patrimoniali redatte con riguardo agli esercizi 1995 e 1996.

Essendo stata poi posta la Sicilcassa in liquidazione coatta amministrativa, con decreto ministeriale del 5 settembre 1997, alla prima udienza di comparizione si costituirono in giudizio i liquidatori della società e dichiarano di voler fare proprie le domande già proposte dal commissario straordinario, anche con riferimento alla previsione dell'art. 2394 c.c.

I convenuti si costituirono eccependo, fra l'altro, la nullità della citazione per indeterminatezza dei fatti posti a base della domanda, ed il giudice istruttore assegnò un termine per una migliore formulazione della domanda stessa, allo scadere del quale la società attrice depositò una memoria integrativa.

Con sentenza non definitiva, depositata il 30 novembre 1999, il tribunale ritenne che l'originaria nullità dell'atto di citazione fosse stata sanata dalla suindicata memoria integrativa (sia pure con effetti ex nunc), dichiarò inammissibile l'azione tardivamente proposta in corso di causa ai sensi del citato art. 2394 e rigettò le eccezioni preliminari dei convenuti, volte a paralizzare anche l'azione proposta a norma del precedente art. 2393, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.

La pronuncia fu impugnata da parti contrapposte e la Corte d'appello di Palermo, con sentenza resa pubblica il 15 aprile 2003, la riformò, negando che l'originario atto introduttivo del giudizio fosse affetto da nullità e dichiarando che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, all'azione di responsabilità proposta contro i sindaci ed i direttori generali della società non è applicabile la causa di sospensione della prescrizione prevista, ma unicamente per l'azione contro gli amministratori, dall'art. 2941 c.c., n. 7.

Per il resto la decisione di primo grado fu confermata.

La corte palermitana reputò, infatti, prive di pregio le eccezioni sollevate dai convenuti in responsabilità, sia per quanto concerneva pretesi difetti dell'autorizzazione all'azione rilasciata al commissario straordinario della Sicilcassa da parte della competente autorità di vigilanza, sia per quel che riguardava l'asserita eccedenza delle domande proposte rispetto a quelle autorizzate.

Osservò che è sufficiente l'enunciazione in detta autorizzazione degli elementi essenziali dell'azione, rimanendovi automaticamente compresa ogni iniziativa accessoria e consequenziale, ed aggiunse che la successiva autorizzazione rilasciata ai commissari liquidatori con riferimento all'azione già esperita, non sindacabile dall'autorità giudiziaria, valeva comunque ad integrare pienamente i poteri dell'attore.

Del pari infondata, a giudizio della corte d'appello, era da considerare l'eccezione con cui i convenuti (poi appellanti) avevano contestato la legittimazione della Sicilcassa a dolersi di comportamenti degli organi della società anteriori al 26 dicembre 1991. In quella data la società era stata costituita ed, in attuazione della L. n. 218 e del D.Lgs. n. 356 del 1990, le era stata conferita l'azienda bancaria prima facente capo alla Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le Province Siciliane. Ma, per effetto di quanto disposto del citato D.Lgs. n. 356, art. 16 era da reputare - secondo la corte d'appello - che la società conferitaria fosse subentrata in tutte le situazioni giuridiche facenti capo alla suddetta Cassa di Risparmio, pur essendo quest'ultima rimasta in vita nella veste di fondazione, e che quindi la Sicilcassa ben potesse agire per il risarcimento dei danni provocati dalla mala gestio degli amministratori anche in epoca anteriore al conferimento.

Un'ulteriore eccezione, attinente questa volta alla legittimazione processuale del commissario straordinario della Sicilcassa, fu rigettata dalla corte, la quale non ritenne condivisibile la tesi degli appellanti secondo cui detto commissario avrebbe avuto titolo per esercitare direttamente l'azione sociale di responsabilità (senza necessità di autorizzazione assembleare) solo nei confronti dei componenti degli organi sociali in carica al momento della sottoposizione della società ad amministrazione straordinaria, laddove nella specie l'azione era stata rivolta contro persone cessate dalla carica già in epoca anteriore.

A parere della corte, una corretta lettura dell'art. 72 del testo unico bancario convinceva invece del contrario, e cioè del fatto che la speciale legittimazione del commissario concerne le azioni rivolte nei confronti dei "disciolti organi amministrativi e di controllo" della società, per tali dovendosi intendere non le persone in carica al momento dello scioglimento di detti organi, bensì coloro che comunque abbiano impersonato gli organi venuti a cessare per effetto della sottoposizione della società ad amministrazione straordinaria.

Ma anche indipendentemente da ciò - aggiunse la corte - l'eccezione in esame era da disattendere, dal momento che l'azione era stata poi fatta propria dai commissari liquidatori della Sicilcassa, a ciò pienamente abilitati dall'art. 84 dello stesso testo unico; ed era ugualmente da disattendere l'eccezione secondo cui la speciale legittimazione degli organi della procedura, prevista per l'azione di responsabilità contro gli amministratori, non si estenderebbe all'analoga azione contro i direttori generali, essendo invece, per un verso, evidente la necessità sistematica di equiparare siffatte situazioni e, per altro verso, indubitabile che l'autorizzazione all'esercizio dell'azione aveva investito, nel caso di specie, anche i direttori in carica (ed in particolare il sig. M.) prima dell'ottobre 1995.

Osservò da ultimo la corte d'appello che neppure avevano fondamento le doglianze riguardanti l'omesso esame, ad opera del tribunale, dell'eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, ed in particolare l'omesso esame del tema concernente l'individuazione del termine iniziale del decorso della prescrizione, trattandosi di questione da affrontare nell'ulteriore prosieguo del giudizio, alla luce di elementi di prova ancora da vagliare.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi illustrati poi anche con una memoria, i sigg.ri A., B., L., Ma., O., Or. e S., nonchè l sigg.re C.L. e C. F., quali eredi del sig. C.D.

La Sicilcassa, in liquidazione coatta amministrativa, ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale per tre motivi, uno dei quali peraltro condizionato all'eventuale accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

Altri due controricorsi sono stati depositati, il primo, dai sigg. La. e M. ed il secondo dai sigg. S.E., T.V., T.A., T.G., T.C. M. e T.R. (eredi del sig. T.C.), i quali hanno altresì formulato, rispettivamente, sei e cinque motivi di ricorso incidentale, di contenuto in parte coincidente con quello dei motivi del ricorso principale.

I sigg.ri N.R., F.A., F.D., F.M. e F.F., intimati in qualità di eredi del sig. F.G., hanno del pari depositato un controricorso, eccependo il proprio difetto di legittimazione per non avere accettato l'eredità loro devoluta.

Per resistere ai ricorsi incidentali tanto i ricorrenti principali quanto la Sicilcassa, i sigg.ri La. e M. e gli eredi T. hanno depositato ulteriori controricorsi, nonchè successive memorie.

Non hanno invece svolto difese in questa sede i sigg.ri S., V. e Mo.

I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza sono stati riuniti, con ordinanza pronunciata in udienza, in conformità al disposto dell'art. 335 c.p.c.

 

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti dei sigg.ri N.R., F. A., F.D., F.M. e F.F.

Essi hanno infatti documentato di aver rinunciato, già prima della notifica del ricorso, all'eredità del defunto sig. F. G., che era stato parte nel giudizio di merito all'esito del quale è stata pronunciata l'impugnata sentenza. Non hanno dunque legittimazione a partecipare al presente giudizio di legittimità.

L'intuibile difficoltà per i ricorrenti di venire tempestivamente a conoscenza della surriferita rinuncia all'eredità suggerisce peraltro di compensare tra dette parti le spese del procedimento di cassazione.

2. Le doglianze formulate nel ricorso principale e nei diversi ricorsi incidentali in parte si sovrappongono. Piuttosto che esaminarle separatamente, converrà perciò affrontare in ordine logico le varie questioni che tali doglianze pongono all'esame della corte, di volta in volta riferendole ai motivi di ricorso cui si ricollegano.

3. La prima di tali questioni è quella riguardante l'eccepita nullità dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado.

3.1. Come già si è avuto modo di ricordare nella narrativa che precede, in presenza dell'eccezione di nullità, prospettata dai convenuti a norma dell'art. 164 c.p.c., comma 4 - per vizi della editio actionis - il giudice istruttore rilevò la nullità dell'atto ed assegnò alla parte attrice un termine per integrare la domanda medesima, ai sensi del comma 5 dell'articolo citato.

L'integrazione ebbe luogo con il deposito di una memoria che il tribunale, pur ribadendo la nullità dell'atto di citazione originario, ritenne idonea a produrre l'effetto sanante previsto dalla norma da ultimo ricordata, non senza peraltro specificare che quell'effetto poteva realizzarsi solo ex nunc. Diversa è stata però, sul punto, la valutazione della corte d'appello, la quale, accogliendo il gravame incidentale proposto dalla Sicilcassa, ha ritenuto invece pienamente valido già l'atto di citazione iniziale e, perciò stesso, superflua la disposta successiva integrazione. La conseguenza è che gli effetti della domanda (anche, in particolare, per quel che riguarda l'interruzione del corso della prescrizione) sono stati fatti risalire alla data della notifica della citazione.

Contro tale statuizione si appuntano le critiche espresse sia nel primo motivo del ricorso principale, sia nel primo motivo dei due ricorsi incidentali proposti, rispettivamente, dai sigg. La. e M. e dagli eredi del sig. T.

La controricorrente Sicilcassa chiede che tali motivi di ricorso siano dichiarati inammissibili, o comunque rigettati. In caso contrario - e dunque in linea meramente subordinata - ricorre a propria volta in via incidentale contro l'affermazione della corte d'appello secondo cui la sanatoria dell'eventuale nullità dell'atto di citazione avrebbe fatto sì che solo dal deposito della memoria integrativa (e non da quello della notifica dell'atto introduttivo) si producesse l'effetto interruttivo della prescrizione.

3.2. Nell'affrontare le questioni così prospettate, una premessa appare opportuna.

Il quesito se sia stato o meno violato il disposto dell'art. 164 c.p.c., comma 4, per non esser stata rilevata la nullità di un atto di citazione privo della determinazione della cosa oggetto della domanda o dell'indicazione delle ragioni poste a base della domanda stessa, innesca, com'è del tutto evidente, l'indagine su un error in procedendo, che si sostiene esser stato commesso nel corso del giudizio di merito. Si tratta, in altre parole, di un tema di ricorso per cassazione che naturalmente si colloca nell'area dell'art. 360 c.p.c., n. 4.

Nondimeno, nella giurisprudenza di questa corte si rinviene in più occasioni l'affermazione - alla quale nel presente caso la difesa della Sicilcassa non manca di richiamarsi - secondo cui l'apprezzamento in ordine all'omissione o all'incerta determinazione del petitum contenuto nell'atto di citazione integra una valutazione di fatto, come tale riservata al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata (si vedano, ad esempio, Cass. 7 marzo 2006, n. 4828; Cass. 1 giugno 2001, n. 7448; e Cass. 19 marzo 2001, n. 3911).

Siffatta affermazione può essere condivisa, però, solo nella misura in cui, collegandosi con quella per cui l'individuazione dei petitum va operata alla stregua di un esame complessivo del contenuto dell'atto, si riferisce a casi in cui l'accertamento in questione - ed in particolare quello concernente l'eventuale assoluta incertezza della domanda - si sia risolto in un'attività d'interpretazione delle espressioni adoperate dalla parte, alla luce della quale il giudice di merito è prevenuto a definire la portata della domanda stessa.

Al di fuori di questi limiti, e quando perciò l'accertamento dei requisiti di validità dell'atto di citazione non passi attraverso una specifica attività d'interpretazione ma si sostanzi nella semplice verifica del contenuto oggettivo dell'atto medesimo, o quando si tratti di stabilire se le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito all'esito dell'interpretazione del contenuto di quell'atto consentano oppur no di configurare l'eccepita nullità, il giudizio di cassazione non incontra i limiti dell'incensurabilità dei profili di fatto: perchè, in presenza di un error in procedendo, denunciato ai sensi del citato art. 360, n. 4, al giudice di legittimità è consentito esaminare direttamente gli atti del giudizio di merito, essendo egli giudice anche del fatto, inteso in senso processuale (cfr., ex multis, Cass. 22 novembre 2006, n. 24856), e la verifica che egli è tenuto a compiere in ordine all'esistenza del preteso vizio procedurale non deve quindi necessariamente arrestarsi sulla soglia della motivazione esposta in proposito nell'impugnata sentenza.

3.3. Tanto chiarito, giova ricordare che l'art. 164, citato comma 4 prevede - pur accumulandole quanto alle conseguenze giuridico-processuali - due distinte ipotesi di nullità della citazione: per omissione o assoluta incertezza delle indicazioni concernenti la cosa oggetto della domanda (requisito imposto dal precedente art. 163, n. 3) e per mancata esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (come prescritti dal citato art. 163, n. 4).

Quanto al petitum, la norma non si accontenta che esso sia comunque indicato, anche in modo confuso ed equivoco, ma pretende un grado minimo di certezza nella sua individuazione, sanzionando di nullità la citazione che risulti sul punto "assolutamente" incerta (donde, talvolta, i problemi interpretativi cui dianzi s'è fatto cenno).

Per la causa petendi la formula legislativa è più blanda, perchè solo la sua totale mancanza è causa di nullità della citazione.

In un'azione per risarcimento dei danni, quale quella in esame, la "cosa oggetto della domanda" s'identifica col richiesto ristoro (per equivalente o in forma specifica) del danno lamentato dall'attore, mentre i fatti che ne costituiscono la ragione sono i comportamenti del convenuto (asseritamente illegittimi, perchè contrari ad uno specifico obbligo verso l'attore o al generale dovere del nemimen laedere) e le conseguenze pregiudizievoli che essi hanno provocato nella sfera giuridica dell'attore.

Le doglianze prospettate in questa sede dai ricorrenti non distinguono sempre adeguatamente tali due differenti profili di possibile nullità dell'atto, ma a tratti sembrano evocarli entrambi.

Converrà comunque considerarli distintamente.

3.3.1. Cominciando dal profilo, che concerne l'oggetto della domanda contenuta nell'atto di citazione, può subito rilevarsi che i ricorrenti neppure affermano di aver mai sostenuto che quell'atto di citazione non contenesse assolutamente una richiesta di risarcimento dei danni, anche quantificati. Si limitano a lamentare che la quantificazione del danno sarebbe stata operata con riferimento alle perdite registrate nel conto economico di un determinato esercizio, in conseguenza dell'ipotizzata irrecuperabilità di alcuni crediti (e si tratterebbe, quindi, di un'indicazione non attuale, bensì meramente ipotetica), mentre sarebbe rimasta nel vago, o sarebbe stata del tutto omessa, ogni indicazione di danni conseguenti alle altre irregolarità gestionali lamentate. Del che la corte d'appello non avrebbe tenuto conto (o non adeguatamente) nel rigettare la proposta eccezione di nullità.

Senonchè l'impugnata sentenza espressamente riferisce che, nell'atto di citazione, sono stati indicati non solo i comportamenti di mala gestio imputati agli amministratori ed ai direttori della società, ma anche i disastrasi risultati economici che ne sarebbero derivati, in conseguenza dei quali il danno risarcibile è stato configurato in misura corrispondente al totale delle perdite provocate dall'insieme di quei comportamenti (sentenza cit., pagg. 10-11).

Siffatto accertamento appare del tutto conforme alla realtà processuale e trova conferma nella lettura anche solo delle conclusioni riportate alle pagg. 86 ed 87 dell'atto di citazione di cui si discute. Vi si legge che la società attrice ebbe a chiedere l'accertamento della responsabilità solidale dei convenuti in ordine ai fatti esposti in precedenza e che, avendo i comportamenti di natura omissiva e commissiva dei convenuti stessi cagionato alla società perdite complessive conteggiate al 31 dicembre 1996 nella misura di L. 1.666.000.000, fu chiesta la condanna al risarcimento dei danni in detta misura o in quella minore o maggiore eventualmente ritenuta di giustizia, con l'ulteriore alternativa domanda di determinazione equitativa degli importi da porre a carico dei singoli convenuti nel caso in cui il tribunale avesse ritenuto di doverne differenziare il grado di responsabilità.

Che una siffatta formulazione consenta d'individuare con sufficiente certezza l'oggetto della domanda appare indiscutibile. Ed è appena il caso di aggiungere che, ai fini del giudizio sulla validità della citazione e sulla sua idoneità a veicolare idoneamente la editio actionis, non giova discutere sulla fondatezza o meno di quanto in essa è stato esposto, attenendo tali profili al merito e non già alla formale validità della domanda: onde appaiono qui fuor di luogo le considerazioni concernenti il grado di concretezza o di ipoteticità del danno lamentato dalla società attrice.

3.3.2. Considerazioni in gran parte analoghe possono farsi con riguardo alla eccepita nullità della citazione per difetti attinenti all'indicazione della causa petendi.

Si è già sottolineato come, per configurare la nullità della citazione, la citata disposizione dell'art. 164 richieda la mancata esposizione (non la mera incertezza) dei fatti costituenti la ragione della domanda, ed è già sufficiente ripercorrere la narrativa dell'impugnata sentenza e degli stessi ricorsi qui proposti per rendersi conto di come quei fatti senza alcun dubbio risultano essere stati enunciati nell'atto introduttivo del giudizio. La lettura di tale atto, assai corposo e molto diffuso nella descrizione dei comportamenti asseritamente tenuti dai gestori della banca in violazione dei principi di corretta erogazione del credito e delle regole di contabilità, conferma ampiamente quel giudizio.

La circostanza che alcune di tali vicende possano essere state enunciate in modo più generico di altre, o che possa essere riscontrabile una maggiore o minore coerenza tra i comportamenti addebitati agli amministratori, ai sindaci ed ai direttori e gli effetti negativi lamentati in danno del patrimonio sociale, non vale in alcun modo ad evidenziare profili di nullità della citazione, che la corte territoriale avrebbe erroneamente trascurato di rilevare.

Ai fini della valida introduzione del giudizio - come la stessa corte d'appello ha già puntualmente fatto notare - è sufficiente che l'atto di citazione enunci un nucleo di fatti su cui l'attore basa la sua pretesa, ed in relazione al quale il convenuto deve esser posto in grado di approntare la propria difesa ed il giudice di individuare i temi del processo. L'eventuale indicazione nel medesimo atto di citazione o la mera prefigurazione, più o meno vaga, di ulteriori circostanze di fatto possono semmai porre, nel successivo sviluppo del giudizio, un problema di ammissibilità della domanda, ove questa si riveli fondata su circostanze non puntualmente dedotte in causa sin da principio; ma certamente non determinano un problema di validità dell'atto di citazione in sè considerato; quod abundat non vitiat. E d'altro canto, ancora una volta, l'idoneità dei fatti esposti a fondare le domande proposte (anche sotto il profilo del nesso causale tra i comportamenti ascritti ai convenuti ed i danni lamentati dalla società) riguarda il merito della controversia, non la validità della domanda sotto il profilo processuale, sicchè le considerazioni critiche a tal riguardo prospettate dai ricorrenti, se fondate, potrebbero eventualmente condurre al rigetto delle domande formulate dalla società attrice, ma giammai tradursi in argomenti dimostrativi della mancata indicazione dei fatti che la citazione deve contenere a pena di nullità.

4. Il rigetto del primo motivo del ricorso principale e del primo motivo dei ricorsi incidentali proposti dai sigg. La. e M. e dagli eredi del sig. T., conseguente alle considerazioni di cui sopra, comporta l'assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale della Sicilcassa, formulato in via condizionata.

5. Occorre ora procedere, in ordine logico, all'esame dei problemi concernenti la legittimazione processuale del commissario straordinario della Sicilcassa, che ha promosso l'azione di responsabilità contro gli ex componenti degli organi sociali e gli ex direttori (o vicedirettori) generali della società, nonchè la legittimazione dei commissari liquidatori, che quell'azione hanno proseguito, a norma dell'art. 302 c.p.c., dopo la sottoposizione della medesima Sicilcassa a liquidazione coatta amministrativa.

Problemi - sollevati in identici termini nel quarto motivo del ricorso incidentale degli eredi del sig. T. e nel quinto motivo del ricorso incidentale dei sigg.ri La. e M. - che discendono dall'asserita illegittimità delle autorizzazioni ad agire rilasciate a detti organi dalla Banca d'Italia e che si ricollegano alla corretta individuazione della portata di dette autorizzazioni.

5.1. Il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 72, comma 5, (cui d'ora in poi ci si riferirà come al testo unico bancario), in caso di sottoposizione di un istituto di credito ad amministrazione straordinaria, a norma del precedente art. 70, attribuisce al commissario straordinario la legittimazione all'esercizio dell'azione di responsabilità contro i membri dei disciolti organi amministrativi e di controllo, ma la subordina, oltre che al parere del comitato di sorveglianza, all'autorizzazione della Banca d'Italia. Gli organi amministrativi che eventualmente succedano ai commissari sono legittimati a proseguire poi senz'altro dette azioni, ma debbono riferirne alla medesima Banca d'Italia.

Analoga autorizzazione dell'autorità di vigilanza all'esercizio delle azioni di responsabilità, ex artt. 2393 e 2394 c.c., è prevista per i commissari liquidatori, in caso di sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa, dal successivo art. 84, comma 5.

Nella fattispecie in esame è incontroverso che il commissario straordinario della Sicilcassa fu autorizzato a promuovere l'azione di responsabilità dalla Banca d'Italia e che di analoga autorizzazione si munirono poi i commissari liquidatori quando, sopravvenuta la procedura di liquidazione coatta, subentrarono nel giudizio intrapreso dal commissario straordinario. I convenuti ebbero però ad obiettare sulla legittimità di entrambe tali autorizzazioni, siccome a loro dire non adeguatamente motivate e non idonee a coprire l'intera gamma degli addebiti mossi nell'atto di citazione, ed eccepirono perciò l'inammissibilità (e poi l'improcedibilità) della domanda.

Sul mancato accoglimento di tale eccezione ad opera della corte d'appello (conforme sul punto alla precedente decisione del tribunale) si appuntano ora le censure dei ricorrenti.

Ma esse non appaiono idonee ad inficiare l'impugnata pronuncia.

5.2. La valutazione che ha indotto la corte territoriale a disattendere le surriferite eccezioni si basa, anzitutto, sul motivato convincimento che l'autorizzazione concessa dalla Banca d'Italia al commissario straordinario non era nè priva di motivazione nè, quindi, illegittima. Solo di rincalzo la medesima corte palermitana ha poi anche osservato che l'autorizzazione non è atto in sè suscettibile di recare danno alle persone destinate ad essere convenute in giudizio, onde essa non potrebbe essere sindacata dal giudice ordinario.

Quantunque dell'esattezza di quest'ultima affermazione possa dubitarsi - in considerazione del generale potere del giudice ordinario di disapplicare incidentalmente l'atto amministrativo illegittimo che, pur non ledendo un interesse giuridicamente protetto della parte, funga da presupposto della situazione giuridica dedotta in causa - è di immediata evidenza che al giudice dell'azione di responsabilità non è consentito sindacare il merito delle ragioni che hanno indotto la competente autorità di vigilanza a rilasciare detta autorizzazione. Egli deve limitarsi a verificare che l'autorizzazione vi sia, trattandosi di un elemento indispensabile ad integrare la legittimazione del commissario straordinario (o dei commissari liquidatori) della società attrice, e l'eventuale esercizio del potere-dovere di disapplicare l'atto amministrativo illegittimo sarebbe giustificato solo qualora questo si presentasse affatto privo di motivazione, dovendo anche l'autorizzazione sottostare al generale principio che richiede la motivazione come elemento di legittimità dell'atto amministrativo. Ma il sindacato del giudice non può spingersi a valutare se quella motivazione sia congrua, sufficiente, logica, non contraddittoria, e tanto meno se siano condivisibili le valutazioni di opportunità poste a fondamento di essa.

Alla stregua di tale principio, è immediatamente da escludere che sussista, nella specie, il vizio di legittimità denunciato dai ricorrenti. Basta invero leggere la motivazione dell'impugnata sentenza, ed in particolare quanto in essa riportato (alla pag. 44) in ordine al contenuto della motivazione dell'autorizzazione ad agire rilasciata dalla Banca d'Italia al commissario straordinario della Sicilcassa ed elle indicazioni in essa formulate circa le irregolarità di gestione e le carenze di controllo registrate nella società, indicate come causa delle gravi perdite da questa subite, per convincersi che si è trattato di un provvedimento non privo di motivazione. Del resto, anche gli stessi ricorrenti, pur talvolta parlando di carenza assoluta di motivazione, in realtà non si spingono ad affermare che l'atto in questione era davvero del tutto privo dell'enunciazione dei motivi per i quali era stato emesso, e piuttosto lamentano l'insufficienza dei dati concreti e fattuali concernenti gli addebiti mossi ai convenuti ed il danno che ne sarebbe derivato. Ma si è già prima osservato che, una volta constatato che l'atto autorizzatorio non è comunque privo di motivazione, la valutazione del giudice non può spingersi oltre su questo piano; e tanto meno potrebbe spingersi a censurare quell'atto - come pure invece i ricorrenti vorrebbero - perchè non indica anche le ragioni economiche dell'iniziativa, le quali non integrano un presupposto di legittimità dell'autorizzazione.

5.2. Per quel che invece concerne la portata dell'autorizzazione in discorso, basterà osservare che i profili di diritto cui si è ispirato in proposito il giudizio della corte palermitana appaiono conformi a corretti principi giuridici.

In particolare, deve osservarsi che, come per le autorizzazioni ad agire in giudizio rilasciate dal giudice delegato al curatore del fallimento, così anche per quelle della Banca d'Italia, previste dalla normativa qui in esame, è da ritenere che esse coprano, senza bisogno di una specifica menzione, tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell'obiettivo del giudizio cui l'autorizzazione si riferisce (cfr. tra le altre, con riferimento all'autorizzazione del giudice delegato, Cass. 11 gennaio 2005, n. 351). E di tale principio la corte d'appello palermitana ha fatto corretta applicazione nella specie.

5.3. Questi rilievi non soltanto appaiono idonei a sgombrare il campo da ogni questione concernente l'autorizzazione a suo tempo rilasciata dalla Banca d'Italia al commissario straordinario della Sicilcassa, in forza della quale questi dette inizio all'azione, ma consentono di mettere altresì senz'altro da parte le censure concernenti la successiva autorizzazione ad agire che la medesima Banca d'Italia rilasciò poi ai commissari liquidatori della società in relazione alla prosecuzione del giudizio.

E' infatti da condividere l'affermazione dell'impugnata sentenza secondo cui tale seconda autorizzazione - quella cioè specificamente rilasciata ai commissari liquidatori subentrati nell'azione - non era in effetti necessaria (salvo - occorrerebbe aggiungere - che per l'esercizio dell'azione ex art. 2394 c.c., non compresa nell'originario atto di citazione, la quale azione peraltro è stata dichiarata inammissibile dalla corte d'appello e di cui comunque si dirà in seguito). Infatti, l'autorizzazione in precedenza concessa al commissario straordinario risultava già di per sè idonea a legittimare i liquidatori alla prosecuzione del giudizio. Lo si desume agevolmente dal tenore del citato art. 72, comma 5, del testo unico bancario, il quale permette agli organi succeduti al commissario straordinario di proseguire nell'azione di responsabilità precedentemente autorizzata, salvo l'obbligo di riferirne alla Banca d'Italia, sull'implicito presupposto che quest'ultima potrebbe decidere di eventualmente revocare la predetta autorizzazione (ma non occorre ne rilasci di nuove); ed è intuitivo che una a siffatta possibilità di proseguire senz'altro nell'azione, attribuita agli organi designati dalla stessa azienda di credito subentrati a quelli disciolti dopo la parentesi dell'amministrazione straordinaria, a maggior ragione va riconosciuta agli organi della sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa nel caso in cui l'amministrazione straordinaria abbia avuto un tale sbocco (come, del resto, la giurisprudenza di questa corte ha già avuto modo in passato di rilevare, nel vigore degli artt. 57 e segg. della previgente legge bancaria del 7 marzo 1938, n 141, a questi fini non significativamente diversi dalla normativa attuale; cfr. Cass. 27 gennaio 1978, n. 396).

Risulta perciò superfluo discutere della legittimità e del contenuto dell'autorizzazione di cui si sono muniti nel caso in esame i commissari liquidatori, volta che la loro legittimazione a proseguire nell'azione giudiziaria rimarrebbe ferma anche qualora davvero tale seconda autorizzazione non fosse di per sè idonea a produrre validi effetti.

6. Attiene ancora alla legittimazione processuale del commissario straordinario, ed al disposto del citato art. 72, comma 5, del testo unico bancario, la doglianza sollevata nel terzo motivo del ricorso principale, col quale sostanzialmente coincidono il terzo motivo del ricorso incidentale degli eredi del sig. T. ed il quarto del ricorso incidentale dei sigg. La. e M.

Si tratta di stabilire se la legittimazione contemplata dalla norma dianzi citata - la quale norma, come si è detto, prevede la possibilità per il commissario straordinario di esercitare l'azione sociale di responsabilità "contro i membri dei disciolti organi amministrativi e di controllo" - si estenda solo alle azioni rivolte nei confronti delle persone che rivestivano cariche amministrative o di controllo al momento dello scioglimento di detti organi, o anche alle azioni verso coloro che, pur avendo rivestito in passato tali cariche, avevano già cessato di ricoprirle al momento dello scioglimento.

6.1. La corte d'appello ha optato per la seconda soluzione, sorreggendola con argomenti di interpretazione letterale e sistematica, ed ha poi aggiunto che, in ogni caso, il successivo subentro nell'azione dei commissari liquidatori privava di ogni possibile fondamento l'eccezione di difetto di legittimazione dell'attore, non potendosi dubitare della legittimazione ad agire del commissario liquidatore, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del testo unico bancario, nei confronti di chiunque abbia ricoperto in passato cariche amministrative o di controllo nella società.

I ricorrenti contestano la correttezza dell'interpretazione della citata disposizione dell'art. 72 del testo unico bancario, sostenendo che l'uso del termine "disciolti", pur se attinente agli organi, denota inequivocabilmente l'intenzione del legislatore di riferirsi ai componenti in carica al momento dello scioglimento; e sottolineano il carattere eccezionale della norma, rispetto al regime ordinario dell'azione sociale di responsabilità il cui esercizio è altrimenti soggetto ad autorizzazione assembleare ai sensi dell'art. 2393 c.c., comma 1, anche nel caso di società in liquidazione.

Negano, poi, che l'intervento nel giudizio del commissario liquidatore possa essere comunque idoneo a sanare i vizi dell'azione originariamente esercitata dal commissario straordinario.

6.2. Tali doglianze non appaiono meritevoli di accoglimento.

Sul piano letterale l'espressione "membri dei disciolti organi amministrativi e di controllo", adoperata dalla citata disposizione del testo unico bancario, non consente in alcun modo di pervenire alla conclusione propugnata dai ricorrenti.

E' indiscutibile - e gli stessi ricorrenti sembrano ammetterlo - che l'aggettivo "disciolti" sia da riferire agli organi, e non certo alle persone che li compongono. Lo scioglimento degli organi è effetto del provvedimento di sottoposizione della società ad amministrazione straordinaria, come indicato dal precedente art. 70, comma 1, onde ogni successivo riferimento a quegli organi, nelle disposizioni seguenti della medesima sezione del capo 1^ del titolo 4^ del testo unico, è accompagnato dall'aggettivo "disciolti", che vale a contrapporre tali organi a quelli "subentranti", che entrano cioè in carica dopo la conclusione del periodo di amministrazione straordinaria, menzionati nel successivo art. 75, comma 3.

Quell'aggettivo, quindi, ha una mera funzione descrittiva dello stato in cui gli organi in questione vengono a trovarsi nel corso dell'amministrazione straordinaria; non è consentito desumerne che il legislatore abbia voluto in tal modo circoscrivere la portata della norma alla composizione che detti organi avevano al momento del loro scioglimento. L'organo resta tale (ed è "disciolto" finchè dura l'amministrazione straordinaria) indipendentemente dalle contingenti vicende dei suoi componenti; e sono "membri" dell'organo (ormai "disciolto") tanto coloro che ne facevano parte al momento dello scioglimento quanto coloro che ne avevano fatto parte in precedenza. Non diversamente, nel codice civile, si parla di azione di responsabilità esercitabile contro gli amministratori, i sindaci o i direttori generali, ma nessuno sosterrebbe che l'azione non può essere promossa contro chi, al tempo della citazione in giudizio, ha cessato di essere amministratore, sindaco o direttore generale della società.

Anche sul piano logico e sistematico, d'altronde, l'interpretazione adottata dalla corte d'appello è l'unica plausibile. Il venir meno degli organi esecutivi e di rappresentanza della società, per effetto della sua sottoposizione ad amministrazione straordinaria, priva ovviamente la società medesima anche dei soggetti cui altrimenti spetterebbe la legittimazione ad impersonarla e rappresentarla nell'instaurando giudizio di responsabilità contro i precedenti amministratori e sindaci. Tale legittimazione è perciò attribuita al commissario, ma è di tutta evidenza che siffatta straordinaria legittimazione non può non riguardare qualsiasi azione di responsabilità la società intenda esercitare nei confronti degli amministratori o dei sindaci pregressi, indipendentemente dal momento in cui costoro sono cessati dalla carica, appunto perchè non v'è più l'organo cui quella legittimazione processuale di regola compete; e già questo basta a dimostrare come l'eccezionalità delle disposizioni di cui si sta parlando (conseguenza dell'eccezionalità della situazione stessa in cui l'amministrazione straordinaria consiste) necessariamente abbraccia l'intera gamma delle azioni di responsabilità che la società, in questa peculiare fase della sua esistenza, può trovarsi a dover esercitare nei confronti dei propri precedenti amministratori e sindaci.

Allo stesso modo, la sospensione delle funzioni assembleari, disposta dal citato art. 70, comma 2, spiega il venir meno del potere che ordinariamente compete all'assemblea di deliberare l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità nei confronti degli organi sociali; e l'attribuzione in via sostitutiva di tale potere alla Banca d'Italia è conseguenza di siffatta situazione. Ma, per le medesime ragioni già prima indicate, questo regime speciale è necessariamente destinato a trovare applicazione per qualsiasi azione di responsabilità l'amministratore straordinario intenda promuovere contro gli ex amministratori e sindaci. E' bensì vero che le finizioni assembleari sono in questa fase soltanto sospese, e che, ai sensi dell'art. 72, comma 6, del testo unico, l'amministratore straordinario può chiedere alla Banca d'Italia l'autorizzazione a convocare l'assemblea su un ben specificato ordine del giorno; ma sarebbe contrario ad ogni logica immaginare che si renda necessario ricorrere a tale complessa procedura per l'autorizzazione all'esercizio dell'azione nei confronti di amministratori o sindaci cessati prima della data d'inizio dell'amministrazione straordinaria, quando ciò invece non occorre (ed è sufficiente la sola diretta autorizzazione dell'autorità di vigilanza) per esperire la medesima azione contro amministratori e sindaci ancora in carica a quella data. Gli uni e gli altri sono comunque chiamati a rispondere (non di rado in solido) di comportamenti pregressi, che potrebbero essere i medesimi, e le ben intuibili ragioni che hanno indotto il legislatore a sostituire la volontà degli organi espressi dalla società con la valutazione dell'autorità di vigilanza sussistono identiche in entrambe le ipotesi, indipendentemente dalla data in cui i presunti responsabili delle irregolarità gestionali sono cessati dalle loro cariche.

Le considerazioni ora svolte sono riferibili, per quanto di ragione, anche all'azione rivolta nei confronti dei direttori generali della società, sulla posizione dei quali si dovrà però poi tornare (vedi infra, sub 8).

7. Una diversa questione è posta" in termini sostanzialmente tra loro coincidenti, dal secondo motivo del ricorso principale e dal secondo motivo sia del ricorso incidentale degli eredi del sig. T. sia del ricorso incidentale dei sigg. La. e M.

La questione attiene alla legittimazione della Sicilcassa (in persona del commissario straordinario, prima, e dei commissari liquidatori, poi) a pretendere il risarcimento dei danni per episodi di mala gestio posti in essere in epoca anteriore alla costituzione della stessa società, e quindi imputabili - per quella parte - ad amministratori, sindaci e direttori generali (non già di essa Sicilcassa, bensì) della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le Province Siciliane.

La corte d'appello ha ritenuto che anche per tali episodi la contestata legittimazione dell'attrice sussistesse, perchè la Sicilcassa è frutto del conferimento dell'azienda bancaria operato dall'anzidetta cassa di risparmio, in attuazione della L. n. 218 e del D.Lgs. n. 356 del 1990.

Il fatto che l'ente conferente (il quale ha poi assunto la veste di fondazione) sia rimasto in vita e che, sul piano processuale, si sia perciò prodotto un fenomeno di successione a titolo particolare tra il medesimo ente conferente e la società conferitaria, secondo la corte palermitana non toglie che, sul piano sostanziale, quel fenomeno abbia assunto invece connotati del tutto equivalenti a quelli di una trasformazione, intendendo il legislatore garantire in diversa veste la continuità di gestione dell'azienda bancaria conferita, come dimostrato dal citato D.Lgs. n. 356, art. 16, comma 1 ove è precisato che le società bancarie risultanti dalle operazioni in discorso "succedono nei diritti, nelle attribuzioni e nelle situazioni giuridiche dei quali gli enti originari erano titolari in forza di leggi e di provvedimenti amministrativi".

I ricorrenti reputano invece arbitraria e priva di fondamento la prospettata distinzione tra il profilo processuale e quello sostanziale del fenomeno sopra descritto; insistono nel sostenere che la natura stessa del conferimento d'azienda impedisce d'ipotizzare una successione universale del conferitario delle posizioni giuridiche facenti capo al conferente; ne deducono che anche la citata disposizione del D.Lgs. n. 356, art. 16 va letta alla luce di siffatti principi e che, pertanto, nel caso di conferimento dell'azienda bancaria, essa comporta il subentro della nuova società unicamente nei diritti e negli obblighi inerenti all'azienda (o, eventualmente, alla parte di azienda) trasferita, come si evince anche dall'espressa limitazione alle situazioni giuridiche derivanti da leggi o provvedimenti amministrativi, da identificarsi soltanto con quelle concernenti appunto lo svolgimento della tipica attività bancaria; e concludono osservando che l'azione di responsabilità esercitata nel presente giudizio inerisce ai rapporti tra l'ente ed i propri organi, e non invece all'azienda bancaria conferita, sicchè la sua titolarità non è passata in capo alla società conferitaria.

7.1. Neppure tali censure, benchè basate su argomenti almeno in parte condivisibili, sono idonee a condurre all'accoglimento del ricorso.

7.1.1. E' condivisibile la critica mossa alla sentenza impugnata laddove questa postula una non ragionevole scissione tra i profili processuali e quelli sostanziali del fenomeno successorio innescato dal conferimento dell'azienda bancaria. Il profilo processuale non è altro che il risvolto nel processo di una vicenda retta dal diritto sostanziale, e l'affermazione ripetutamente operata dalla giurisprudenza di questa corte (cfr., da ultimo, Cass. 31 agosto 2005, n. 17586), secondo cui, sul piano processuale, il conferimento di un'azienda bancaria ai sensi della L. n. 218 del 1990 e del D.Lgs. n. 356 del 1990 comporta un fenomeno di successione a titolo particolare nel diritto controverso, necessariamente si lega alla natura sostanziale di detto fenomeno. Ove così non fosse, si determinerebbe un singolare quanto irrazionale scollamento tra la titolarità dei diritti dei quali si discute e la corrispondente posizione delle parti nel giudizio.

D'altro canto, alla disposizione del già più volte citato D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 16, comma 1, non può essere attribuita la portata che la corte territoriale sembra di fatto assegnarle, tale da condurre ad una totale equiparazione, quanto ad effetti successori, del conferimento d'azienda ad una trasformazione dell'ente conferente nel conferitario. Se può esser vero che il legislatore del 1990, nell'ambito del progetto di ristrutturazione degli enti pubblici creditizi nel quale la normativa in esame si inscrive, si risolse a prevedere lo strumento del conferimento dell'azienda bancaria in favore di società per azioni di nuova costituzione anche allo scopo di consentire la ristrutturazione di enti (quali le casse di risparmio) la cui struttura non associativa mal si prestava a realizzare il medesimo obiettivo per via di trasformazione (o di fusione), non per questo è possibile postulare l'indifferenza, sul piano delle conseguenze giuridiche, del ricorso all'uno strumento invece che all'altro. Nè si spiegherebbe altrimenti come mai lo stesso legislatore abbia consentito agli anche enti creditizi che già avevano struttura associativa di scegliere tra la ristrutturazione per via di fusione o trasformazione e quella per via di conferimento dell'azienda.

Un'elementare esigenza di coerenza e di razionalità sistematica impone, perciò, di ritenere che la ravvisata impossibilità per le casse di risparmio di dar vita a società per azioni attraverso trasformazione o fusione, e la conseguente necessità per esse di ricorrere allo strumento del conferimento d'azienda, impediscano al tempo stesso di considerare l'uno strumento identico all'altro, quanto agli effetti giuridici che ne conseguono. Donde la logica conclusione che, in caso appunto di conferimento dell'azienda bancaria e di sopravvivenza dell'ente conferente, il trasferimento delle posizioni giuridiche contemplato dalla citata disposizione dell'art. 16 (sulla cui reale portata si dovrà poi brevemente tornare) sia destinato a realizzarsi pur sempre in armonia con i principi dai quali questo particolare istituto è retto, e non da quelli che sarebbero viceversa invocabili ove si fosse trattato di una trasformazione (con invarianza della soggettività giuridica dell'ente trasformato) o di fusione (con subentro dell'ente risultante dalla fusione nella totalità indistinta dei diritti e dei crediti di quello destinato ad estinguersi).

7.1.2. Se tutto ciò è vero, e se dunque le contrarie affermazioni che sul punto si leggono nell'impugnata sentenza debbono esser corrette, resta nondimeno condivisibile la conclusione cui la corte d'appello è pervenuta.

La circostanza che anche nell'ambito della legislazione speciale di cui si sta parlando il conferimento d'azienda non perda i suoi caratteri essenziali e non cessi di dar vita ad un fenomeno di successione a titolo particolare della società conferitaria nei diritti inerenti all'azienda conferita, lascia ovviamente del tutto aperta la questione di quali siano, in concreto, tali diritti.

La ricostruzione della fattispecie nei termini dianzi indicati non esclude affatto che la titolarità dei diritti di credito per risarcimento dei danni, eventualmente spettanti all'ente conferente per atti di mala gestio dei propri amministratori o dirigenti, agevolati dall'omesso controllo dei sindaci, si trasferisca unitamente all'azienda in capo alla società conferitaria, senza bisogno di postulare alcuna deroga della normativa speciale ai principi generali vigenti nella materia. Si è in presenza di una successione a titolo particolare, certo, ma comprensiva della totalità degli elementi che compongono l'universtitas aziendale.

La giurisprudenza di questa corte da tempo ritiene che il trasferimento di un'azienda, quale complesso di elementi materiali ed immateriali organizzati in un'individualità oggettiva per la funzione imprenditoriale, anche quando dipenda da conferimento in società, comporta l'automatica cessione dei crediti relativi all'azienda trasferita (cfr. Cass. 22 gennaio 1999, n. 577); e ciò vale per tutti i crediti inerenti alla gestione dell'azienda ceduta, sicchè l'eventuale ostacolo al loro trasferimento può derivare dalla contraria volontà manifestata dalle parti del contratto di cessione, ma non dal carattere personale del rapporto (cfr. Cass. 13 giugno 2006, n. 13676).

L'applicazione di questo principio ad un caso come quello in esame, in cui la cessione dell'azienda, piuttosto che esser disciplinata da un atto di volontà negoziale di privati, trova il suo fondamento in un meccanismo normativo retto dalle disposizioni di legge dianzi richiamate, ed in cui è dichiarata la volontà del legislatore di provocare l'integrale subentro di un nuovo soggetto nella titolarità dell'azienda bancaria che prima costituiva l'oggetto precipuo dell'attività dell'ente conferente, non può che condurre ad una conclusione: che tutti i crediti inerenti all'azienda ceduta - ossia quelli che trovano causa in atti o in comportamenti aventi ad oggetto singoli beni o il patrimonio aziendale nel suo insieme - sono destinati a transitare in capo alla società conferitaria dell'azienda. Se ne trae conferma, per quanto occorra, anche dal citato art. 16, che con riguardo alle situazioni giuridiche derivanti dalla legge o da provvedimenti amministrativi mira a garantire, senza residui, il subentro della nuova compagine societaria esattamente nella posizione dell'ente pubblico, per evitare il sorgere di dubbi collegati alla qualificazione dell'oggetto della successione (in questi termini Cass., 30 gennaio 2006, n. 2008), così appunto ribadendo la volontà del legislatore di realizzare una sostituzione integrale della società conferitaria in tutto quanto si riferisce all'azienda bancaria ad essa trasferita.

Nulla quindi consente di dubitare che, tra i crediti inerenti all'azienda bancaria, siano compresi anche quelli per il risarcimento dei danni provocati al patrimonio dell'azienda medesima dai componenti degli organi amministrativi e di controllo, i quali abbiano violato i doveri loro imposti dalla carica, al pari di qualsiasi analogo credito risarcitorio che la società possa vantare verso terzi o verso chiunque altro (per l'applicazione di tale principio ai crediti risarcitori verso il lavoratore dipendente, che abbia arrecato danno al patrimonio aziendale, si veda Cass. 5 maggio 1995, n. 4873).

I ricorrenti obiettano che l'azione di responsabilità contro i componenti degli organi sociali attiene esclusivamente al rapporto tra l'ente e gli organi, onde essa sarebbe invece estranea all'azienda. Ma così non è almeno quando, come nella specie, la responsabilità viene invocata proprio in relazione ad atti di mala gestio direttamente riferibili al patrimonio aziendale, sicchè deve ritenersi che il relativo credito per risarcimento dei danni inerisca all'azienda (e con essa si trasferisca) non diversamente da qualsiasi altro credito destinato a reintegrare la lesione di beni o di valori esistenti in quel patrimonio.

Si potrebbe in astratto discutere dell'applicabilità (o meglio: dei limiti di applicabilità) di siffatto principio in caso di conferimento frazionato dell'azienda bancaria a più società diverse; ma in questa sede sarebbe, appunto, una questione astratta, giacchè è pacifico che l'azienda di cui si parla fu conferita unitariamente alla Sicilcassa e, per le ragioni già indicate, non può dubitarsi che all'azienda così conferita inerissero anche le pretese risarcitorie esercitabili nei confronti degli organi di amministrazione, direzione e controllo.

8. Il terzo motivo del ricorso incidentale del sig. M. (proposto subordinatamente al mancato accoglimento del secondo) investe il più specifico tema dell'azione di responsabilità rivolta nei confronti del direttore generale; carica che è stata dal ricorrente ricoperta, nella conferente Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le Province Siciliane, dal 26 marzo 1985 al 30 marzo 1990.

La doglianza presenta due distinti profili.

8.1. Il primo profilo si ricollega alla tesi, già prospettata in sede di merito, secondo cui l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità, concessa dalla Banca d'Italia al commissario straordinario ai sensi del già citato art. 72, comma 5, del testo unico bancario, non avrebbe potuto estendersi alla responsabilità del direttore generale, il quale non può esser ricompresso tra i "disciolti organi amministrativi e di controllo", cui detta norma si riferisce, non essendo un organo (bensì un dipendente) della società. Ne consegue che, contrariamente a quanto opinato dalla corte d'appello, secondo il ricorrente pure in pendenza di amministrazione straordinaria l'azione di responsabilità contro il direttore generale postula la preventiva delibera dell'assemblea, a norma degli artt. 2393 e 2396 c.c., non ostandovi la mera sospensione delle funzioni attribuite dalla legge a detto organo e non potendosi la summenzionata disposizione speciale dell'art. 72 interpretare estensivamente.

8.2. Il secondo profilo attiene alla formulazione adoperata dalla Banca d'Italia nell'autorizzazione all'esercizio dell'azione, ove si fa riferimento al "direttore generale in carica fino al 1995".

Espressione, questa, che arbitrariamente la corte territoriale avrebbe interpretato come volta ad indicare chiunque avesse ricoperto quella carica fino alla data menzionata, essendo invece evidente - a parere del ricorrente - che l'uso al singolare della parola "direttore" allude solo alla ben individuata persona (diversa dal sig. M.) che rivestiva tale qualifica al termine dell'anno 1995.

8.3. Nessuno di tali rilievi coglie nel segno.

8.3.1. Ci si può subito liberare del secondo, che si colloca ai limite dell'ammissibilità: perchè, da un lato, il ricorrente si limita a contrapporre una propria asserita interpretazione letterale del documento a quella, diversa, operata dalla corte di merito, senza neppure specificare se e quali eventuali errori di diritto o vizi di motivazione inficerebbero l'interpretazione da lui avversata;

d'altro lato, ignora completamente le ulteriori argomentazioni che la medesima corte di merito ha svolto in ordine al tenore della successiva autorizzazione rilasciata dalla Banca d'Italia ai commissari liquidatori, chiamati a proseguire nel giudizio prima intrapreso dal commissario straordinario, desumendone la conferma della piena coincidenza tra l'intento autorizzatorio dell'autorità di vigilanza e la portata dell'azione in concreto esercitata.

8.3.2. Quanto, invece, al primo profilo di doglianza, deve osservarsi che proprio l'invocato art. 2396 c.c., nel richiamare per i direttori generali le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori, testimonia dell'intento del legislatore di equiparare la disciplina delle azioni nei due casi. Intento che prescinde dall'essere o meno il direttore generale configurabile come un organo della società (e dall'eventuale rapporto di lavoro dipendente a lui facente capo) ed è invece ispirato dalla concreta considerazione della vicinanza di tale figura a quella degli amministratori sociali, ai quali innegabilmente il direttore resta soggetto, ma con cui nondimeno strettamente collabora nell'organizzazione dell'impresa.

Il che, appunto, spiega l'accostamento della sua alla loro responsabilità, non foss'altro che per la frequenza con cui l'una si intreccia all'altra, e rende pienamente condivisibile il principio che ha ispirato nel caso di specie la decisione della corte d'appello: ossia che anche eventuali disposizioni di legge speciale che concorrono a regolare la responsabilità degli amministratori delle società operanti in un determinato settore siano da ritenere applicabili (ove dalla stessa legge non si desuma chiaramente il contrario) alla responsabilità dei direttori generali di quelle medesime società. E ciò pure con riguardo ai modi e termini di esercizio delle relative azioni, che sarebbe illogico assoggettare nei due casi a discipline differenti, salvo che si tratti (come si vedrà poi a proposito della sospensione della prescrizione) di disposizioni per natura loro non suscettibili di essere applicate anche ai direttori generali.

9. Il quarto motivo del ricorso principale, il quinto motivo del ricorso incidentale degli eredi del sig. T. ed il sesto del ricorso incidentale dei sigg. La. e M., sostanzialmente tra loro sovrapponigli, introducono al tema della prescrizione.

I ricorrenti si dolgono che la corte d'appello abbia omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con cui essi avevano eccepito l'intervenuto decorso del termine di prescrizione quinquennale, cui è soggetta l'azione sociale di responsabilità, sin dal momento del conferimento dell'azienda alla Sicilcassa.

La doglianza non appare però ammissibile.

La corte d'appello non ha omesso infatti di pronunciarsi sulla questione, ma ha semplicemente ritenuto che essa dovesse essere esaminata, unitamente alle restanti questioni di merito, con la decisione definitiva. Si tratta di un provvedimento meramente ordinatorio del giudizio, non idoneo a pregiudicare le ragioni fatte valere in causa dai ricorrenti e contro il quale, pertanto, non è dato ricorso per cassazione.

10. Il tema della prescrizione ritorna anche nel secondo motivo del ricorso incidentale della Sicilcassa, la quale lamenta l'erroneità della statuizione con cui la corte palermitana ha escluso che in rapporto ad un'azione di responsabilità esercitata nei confronti dei sindaci e dei direttori generali di società possa essere invocata la causa di sospensione della prescrizione contemplata dall'art. 2941 c.c., n. 7. 10.1. Premessa la non applicabilità al caso in esame dei nuovi limiti temporali introdotti dal D.Lgs. n. 6 del 2003 - ma non retroattivamente - per l'esercizio dell'azione di responsabilità (ed impregiudicata, perciò, ogni questione circa la natura del nuovo termine ed il rapporto tra l'attuale formulazione dell'art. 2393 c.c., comma 3 e le disposizioni, rimaste invariate, dei successivi art. 2491, n. 7, e art. 2949), deve ritenersi che il tentativo della ricorrente di estendere all'azione di responsabilità contro sindaci e direttori generali una disciplina espressamente dettata per i soli amministratori, quantunque non privo di ragionevolezza sul piano logico, non appare giuridicamente sostenutile.

Il citato art. 2941, n. 7, com'è noto, stabilisce che la prescrizione dell'azione di responsabilità contro gli amministratori delle persone giuridiche rimane sospesa fin quando essi sono in carica. La norma è ovviamente applicabile all'azione di responsabilità verso gli amministratori delle società di capitali e delle cooperative, nonchè, grazie alla sentenza della Corte costituzionale del 24 luglio 1998, n. 322, all'analoga azione verso gli amministratori delle società di persone. Nulla però è indicato quanto alla prescrizione dell'azione di responsabilità contro sindaci e direttori generali; e questo già si pone come un rilevante ostacolo ad ammettere anche per tali azioni l'applicabilità dell'anzidetta causa di sospensione della prescrizione, stante il carattere eccezionale e tassativo delle ipotesi contemplate al riguardo dal citato art. 2941.

Gli ostacoli di mero fatto all'esercizio dell'azione non impediscono il decorso della prescrizione se non in quanto il legislatore, nella sua insindacabile discrezionalità, li abbia ritenuti tali da farli assurgere a causa specifica di sospensione.

Resterebbe, in teoria, la possibilità (non già di un'applicazione analogica, bensì) di un'interpretazione estensiva della norma in questione, la quale però si giustificherebbe solo a patto di poter riscontare una piena corrispondenza tra le caratteristiche delle diverse azioni - quelle contro gli amministratori, da un lato, e quelle contro sindaci e direttori generali, dall'altro - e le esigenze che hanno indotto il legislatore a contemplare quella particolare ipotesi di sospensione della prescrizione: tale da far appunto ritenere che il medesimo legislatore, pur riferendosi ad una sola di dette azioni, abbia in realtà voluto prevederle tutte.

Torna utile allora ricordare che in dottrina sono state affacciate ipotesi diverse circa il fondamento logico della causa di sospensione della prescrizione di cui si sta parlando.

Taluni hanno fatto leva sulla coincidenza personale tra chi dovrebbe rappresentare la persona giuridica in giudizio e colui contro il quale l'azione dovrebbe esser rivolta, ravvisandovi un ostacolo all'esercizio effettivo dell'azione, proprio in considerazione del quale il legislatore avrebbe preferito sospendere il decorso della prescrizione fin quando quell'ostacolo permanga. Se così è, risulta però di tutta evidenza che, sotto questo profilo, l'applicazione della norma non si giustificherebbe per azioni dirette contro chi, in veste di sindaco o direttore generale, non ha (o, almeno, non di regola) la rappresentanza sociale.

Ma un diverso - e forse più solido - fondamento logico della norma è stato individuato da altri nell'esigenza di evitare che l'esercizio dell'azione possa esser pregiudicato dal tempo in cui la permanenza in carica degli amministratori si riflette sulle decisioni della persona giuridica che dovrebbe assumere l'iniziativa dell'esercizio dell'azione; decisioni alle quali i medesimi amministratori inevitabilmente sono destinati a concorrere, se non nel senso che siano loro a dover decidere dell'esercizio dell'azione (come non è, nel caso delle società per azioni, stante il disposto dell'art. 2393 c.c., comma 1), quanto meno per la necessità che da essi provenga l'informazione ai soci e l'iniziativa di convocare l'assemblea che quella decisione è chiamata ad assumere.

Ed è da credere che sia effettivamente in considerazione di ciò, di una difficoltà che si manifesta principalmente sul piano operativo, ma che sicuramente incide sulla concreta possibilità di esercitare l'azione di responsabilità contro amministratori ancora in carica, che il legislatore si è indotto a configurare l'indicata causa di sospensione della prescrizione.

In questa luce deve senz'altro riconoscersi che analoghe difficoltà possono sorgere anche per quel che riguarda l'esercizio dell'azione di responsabilità contro i sindaci: non perchè sia la loro permanenza in carica ad essere in assoluto ostativa a che la società assuma una tale iniziativa, ma perchè è la permanenza in carica degli amministratori a rendere una tale ipotesi piuttosto improbabile, quanto meno in tutti i casi in cui la responsabilità dei sindaci discenda dal loro mancato controllo sull'operato degli amministratori medesimi: casi nei quali è difficile ipotizzare che questi ultimi vogliano favorire un'iniziativa che, se pure in prima battuta rivolta contro i sindaci, rischierebbe poi di ritorcersi anche contro loro stessi.

Senonchè, quest'ultima considerazione, benchè valga ad evidenziare un serio inconveniente, non appare sufficiente a giustificare l'invocata interpretazione estensiva della noma in esame.

Non lo è per due ragioni: innanzitutto perchè il denunciato inconveniente ricorre solo per alcune (ancorchè di gran lunga le più frequenti) ipotesi di responsabilità dei componenti degli organi di controllo, ma non sussiste quando l'eventuale azione sia determinata non dalla mancata vigilanza sul comportamento degli amministratori ma da altre illegittimità imputabili in via esclusiva ai sindaci; ed in secondo luogo perchè, a ben vedere, ad evitare quell'inconveniente neppur giova la mera trasposizione ai sindaci del riferimento che la norma fa agli amministratori. Una tale trasposizione comporterebbe che la prescrizione dell'azione di responsabilità contro i sindaci resti sospesa fin quando essi durano in carica, com'è appunto indicato dalla norma per gli amministratori; ma la difficoltà non deriva tanto dall'essere ancora in carica i sindaci, quanto dal fatto che lo siano gli amministratori, ai quali compete di convocare ed informare l'assemblea e che potrebbero non avere interesse a farlo.

Ed, allora, si dovrebbe ipotizzare una lettura della norma affatto diversa: tale da implicare che la prescrizione dell'azione di responsabilità contro i sindaci resti sospesa fin quando sono in carica (non già gli stessi sindaci, bensì) gli amministratori che abbiano rivestito tale qualità nel periodo cui si riferiscono i comportamenti illegittimi imputati ai sindaci. Davvero troppo per una pretesa interpretazione estensiva: si tratterebbe piuttosto di creare una norma nuova, fondata su presupposti almeno in parte diversi;

ma si è già detto che le cause di sospensione della prescrizione sono tassative e non è consentito all'interprete aggiungerne di nuove.

Nè altrimenti stanno le cose per l'azione contro i direttori generali, perchè, se è vero che il richiamo contenuto nel già citato art. 2396 alla disciplina della responsabilità degli amministratori si estende anche al regime delle azioni volte a far valere tale responsabilità, non è possibile ritenervi compresa anche la norma in tema di sospensione della prescrizione dell'azione verso gli amministratori, la quale - per le ragioni già riferite parlando dell'azione contro i sindaci - risponde ad una logica diversa che non permette d'ipotizzarne una mera trasposizione ai direttori generali.

10.2. La ricorrente incidentale ha chiesto, in via subordinata, che venga sollevata eccezione d'illegittimità costituzionale della norma del codice da ultimo richiamata, giacchè essa violerebbe l'art. 3 Cost. nella parte in cui introduce un'ingiustificata disparità di trattamento nel regime dell'azione di responsabilità contro sindaci e direttori generali rispetto all'analoga azione rivolta nei confronti degli amministratori.

Si tratta, però, di eccezione manifestamente infondata per le ragioni già sopra chiarite, e cioè perchè le situazioni poste a raffronto non sono affatto uguali ed il mero rilievo di un inconveniente di fatto, derivante da una scelta più o meno opinabile del legislatore, non consentirebbe neppure alla Corte costituzionale di sostituirsi al legislatore medesimo e di creare dal nulla una norma completamente nuova.

11. L'ultimo motivo del ricorso incidentale della Sicilcassa è volto contro il capo della sentenza d'appello che ha dichiarato inammissibile, perchè introdotta solo in corso di causa e nuova rispetto al contenuto dell'atto introduttivo del giudizio, l'azione di responsabilità proposta dai commissari liquidatori della società ai sensi dell'art. 2394 c.c.

A tale statuizione la ricorrente obietta che detta azione, in quanto esercitata dal competente organo di una procedura concorsuale, è da considerasi unitaria ed inscindibile rispetto a quella già proposta dal commissario straordinario della società, ai sensi dell'art. 2393 c.c., nella cui posizione processuale i commissari liquidatori sono subentrati. Aggiunge che, in ogni caso, il richiamo alla previsione anche del citato art. 2394, operato nella prima udienza di trattazione della causa, non aveva comportato alcun mutamento sostanziale dei termini della domanda e si era risolto in una mera emendatio libelli, come tale consentita in quella fase, non ostando a ciò neppure l'asserito carattere aquiliano dell'azione ex art. 2394, che peraltro la stessa ricorrente mette in discussione propendendo per la natura surrogatoria di detta azione.

11.1 Neppure siffatte doglianze hanno fondamento.

L'affermazione, frequente nella giurisprudenza di questa corte, secondo cui le due azioni di responsabilità, rispettivamente previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., quando sopravvenga il fallimento della società e siano congiuntamente esercitate dal curatore a norma della L. Fall., art. 146 costituiscono un'azione unica ed inscindibile, sta solo a significare che il medesimo curatore (al pari del commissario liquidatore nella procedura di liquidazione coatta amministrativa) non potrebbe pretendere di esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita, cui dette azioni concorrono; e significa che l'eventuale mancata specificazione del titolo per il quale il curatore agisce fa presumere che egli abbia inteso esercitare congiuntamente entrambi tali azioni.

Quella espressione non può invece essere intesa nel senso della indifferenziazione delle domande proposte dall'organo della procedura ai sensi dell'art. 2393 o dell'art. 2394. Domande che, pur se ormai accomunate dalla comune legittimazione, continuano ad avere presupposti diversi (il danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, nell'un caso, l'insufficienza patrimoniale cagionata dall'inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale, nell'altro) e ad essere soggette ad un diverso regime giuridico, non solo per quel che riguarda l'onere della prova, ove si tenga fermo che l'azione di responsabilità dei creditori sociali non ha carattere surrogatorio, bensì diretto ed aquiliano (come affermato da Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488), ma anche con riferimento ai termini di prescrizione ed alla loro decorrenza. Non altrimenti si spiegherebbe la pacifica possibilità che, anche in ambito concorsuale, l'una azione risulti prescritta e l'altra possa ancora essere utilmente esercitata.

Se ne deduce che, sopravvenuta la procedura concorsuale in pendenza di un giudizio di responsabilità già intrapreso dalla società ai sensi del citato art. 2393, non è consentito al curatore - o al commissario liquidatore, in caso di liquidazione coatta amministrativa - proporre nel medesimo giudizio una nuova domanda volta a far valere anche la responsabilità degli amministratori, dei sindaci e dei direttori generali della società verso i creditori sociali. La comune titolarità delle due azioni in pendenza di procedura concorsuale non toglie, infatti, che l'esercizio di quella ex art. 2394 introduca temi nuovi, rispetto a quanto aveva formato oggetto della domanda originaria.

La possibilità di configurare siffatte novità in termini di mera emendatio libelli si scontra con la già accennata diversità dei presupposti e quindi della causa petendi - nell'un caso solo il danno al patrimonio sociale, nell'altro anche l'insufficienza di detto patrimonio a soddisfare i creditori - da cui discende altresì l'eventuale diversa decorrenza dei termini di prescrizione: donde la possibile divergenza anche dei temi di prova, il che per l'appunto non consente d'introdurre tale ulteriore domanda in una causa già in corso, derivandone altrimenti una non ammissibile compressione del diritto di difesa di chi si è preparato a fronteggiare solo la prima domanda ma non anche l'altra.

11. In conclusione, tanto il ricorso principale quanto quelli incidentali debbono essere rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica, nei rapporti tra ricorrenti principali ed incidentali, la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La corte:

1. dichiara inammissibile il ricorso proposto nei riguardi dei sigg.

N.R., F.A., F.D., F. M. e F.F., compensando le spese del giudizio di legittimità tra costoro ed i ricorrenti;

2. rigetta il ricorso principale proposto nei riguardi di tutte le altre parti;

3. rigetta altresì tutti i ricorsi incidentali;

4. compensa le spese del giudizio di legittimità tra ricorrenti principali ed incidentali.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2007.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2007.