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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 28754 - pubb. 23/02/2023.

Associazioni non riconosciute: esclusione dell’associato per gravi motivi e sindacato giurisdizionale


Tribunale di Napoli, 16 Febbraio 2023. Est. Savarese.

Tutela cautelare ante causam – Eccezione di incompetenza per territorio – Non ostativa all’emissione del provvedimento cautelare – Prevalenza delle esigenze di effettività


Associazioni non riconosciute – Delibera di esclusione dell’associato – Gravi motivi ex art. 24 c.c. – Ambito del sindacato giurisdizionale


Associazioni non riconosciute – Delibera di esclusione dell’associato – Gravi motivi ex art. 24 c.c. – Limiti del sindacato giurisdizionale sulle scelte di politica associativa


Associazioni non riconosciute – Impugnazione deliberazioni degli organi associativi – Esclusione dell’associato – Tutela cautelare ex art. 23, co. 3, c.c. – Gravi motivi


La questione della incompetenza territoriale della causa di merito non rileva nell’ambito del giudizio cautelare proposto in corso di causa. Infatti, ai sensi dell’art. 669 ter, co. 1°, c.p.c. e dell’art. 669 quater, co. 1°, c.p.c., i provvedimenti cautelari debbono essere chiesti, prima dell’instaurazione del giudizio di merito, al giudice competente per quest’ultimo e, in pendenza del giudizio di merito, al giudice di questo, anche se incompetente. Si potrà, pertanto, ritenere stabilizzata la competenza cautelare del giudice adito per il solo fatto della pendenza davanti a lui della causa di merito e, quindi questi sarà legittimato alla trattazione della richiesta cautelare. (Sarah Esposito) (Riproduzione riservata)


La norma dettata dall'art. 24 c.c. nel condizionare l'esclusione dell’associato all'esistenza di gravi motivi, e nel prevedere, in caso di contestazione, il controllo dell'autorità giudiziaria, implica per il giudice davanti al quale sia proposta l’impugnazione della deliberazione di esclusione, il potere non solo di accertare che l’esclusione sia stata deliberata nel rispetto delle regole procedurali stabilite dalla legge o dall'atto costitutivo dell'ente, ma anche di verificarne la legittimità sostanziale, e quindi di stabilire se sussistono le condizioni legali e statutarie in presenza delle quali un siffatto provvedimento può essere legittimamente adottato.


Ove l’atto costitutivo dell'associazione contenga già una ben specifica descrizione dei motivi ritenuti così gravi da provocare l'esclusione dell'associato, la verifica giudiziale è destinata ad arrestarsi al mero accertamento della puntuale ricorrenza o meno, nel caso di specie, di quei fatti che l'atto costitutivo contempla come causa di esclusione. Quando, invece, nessuna indicazione specifica sia contenuta nel medesimo atto costitutivo, o quando si sia in presenza di formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso, o comunque in qualsiasi altra situazione nella quale la prefigurata causa di esclusione implichi un giudizio di gravità di singoli comportamenti, da operarsi necessariamente "post factum", il vaglio giurisdizionale si estende necessariamente anche a quest'ultimo aspetto. In tal caso esso si esprime attraverso una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento addebitato all'associato e l'entità della lesione da lui arrecata agli altrui interessi, da un lato, e la radicalità del provvedimento espulsivo, che definitivamente elide l’interesse del singolo a permanere nell'associazione, dall'altro (richiama Cass. ord. 16 settembre 2019, n. 22986). (Sarah Esposito) (Riproduzione riservata)


Il fatto che un’associazione rivendichi che una certa questione ha una rilevanza centrale, essenziale nella propria politica associativa, non può mai costituire una petizione di principio autosufficiente tale da sottrarre al giudice, adito per una controversia tra uno o più associati e l’associazione, di vagliare quella questione.
Occorre invece che l’associazione dia conto, motivi e giustifichi la rilevanza in termini di centralità di una data questione, perché solo in questo modo è offerto al giudice il parametro fattuale alla luce e stregua del quale apprezzare se, in caso di espulsione dell’associato, sussistano quei “gravi motivi” che l’art. 24 c.c. pone a base della legittima scelta dell’associazione di discacciare l’associato inadempiente/infedele. In questi termini, l’indagine del Tribunale, eminentemente fattuale, è essenziale per tutelare le ragioni dell’associato ovvero quelle dell’associazione rispetto a condotte dell’associato incompatibili con la vita, le scelte, le strategie associative. (Sarah Esposito) (Riproduzione riservata)


Le scelte di esclusione degli associati che siano prive del sostegno di gravi motivi costituiscono esse stesse, a fronte di ben precisi interessi concretamente e urgentemente meritevoli di tutela dei singoli associati, “gravi motivi” nella comparazione tra l’interesse associativo al mantenimento dell’efficacia del deliberato durante l’istruzione del processo di cognizione e quello del singolo associato a vederne provvisoriamente paralizzati gli effetti.


Ai fini del corretto bilanciamento degli interessi in rilievo si deve considerare, da un lato, che la tutela del diritto di associazione (che è fondamentale diritto di libertà ai sensi dell’art. 18 Cost. e dell’art. 11 CEDU, nonché ai sensi della Carta fondamentale dei diritti dell’UE) implica la piena libertà dell’associazione di esprimere il proprio pensiero, la propria linea d’azione nel campo di riferimento, e, quindi, di non ammettere o di escludere associati per idee o comportamenti ritenuti incompatibili con la missione e l’azione dell’associazione. Dall’altro, come osservato dalla giurisprudenza della CEDU, che «nonostante gli interessi individuali si trovino a dover essere subordinati quando necessario a quelli del gruppo, la democrazia non sempre significa che l’opinione della maggioranza debba prevalere: deve essere raggiunto un equilibrio capace di assicurare un giusto trattamento delle minoranze ed evitare qualsiasi abuso di posizione dominante. Per garantire l’effettività del diritto del singolo di far parte di un’associazione, lo Stato deve nondimeno proteggere l’individuo contro ogni abuso di posizione dominante da parte dei sindacati. Questo abuso può verificarsi, per esempio, quando l’esclusione o l’espulsione non sono conformi alle regole del sindacato, oppure se queste regole sono totalmente arbitrarie e irragionevoli, oppure se l’effetto dell’esclusione è molto grave per l’associato» (richiama CEDU, Commissione, Case of Associated Society of Locomotive Engineers & Firemen (ASLEF) v. The United Kingdom, sentenza 27 febbraio 2007). (Sarah Esposito) (Riproduzione riservata)

Segnalazione di Giancarlo Borriello