Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 294 - pubb. 01/01/2007.
Contatto sociale e obblighi di protezione e vigilanza
Cassazione Sez. Un. Civili, 27 Giugno 2002. .
Obblighi di protezione e vigilanza – Contatto sociale – Onere della prova.
Nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che - quanto all'istituto scolastico - l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso; e che - quanto al precettore dipendente dell'istituto scolastico - tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile nè alla scuola nè all'insegnante.
Con atto notificato il 27.10.1988, Antonio Parmentola, in proprio e quale genitore della figlia minore Anna, conveniva davanti al Tribunale di Napoli il Ministero della pubblica istruzione per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni riportate, il 17.11.1983, dalla figlia, all'epoca alunna della prima classe presso la scuola media statale R. Viviani di Castellammare di Stabia, la quale, durante una lezione di educazione fisica svoltasi per inclemenza meteorologica in classe, era scivolata a terra ed aveva riportato la frattura di due denti incisivi, mentre saltava tra i banchi, rincorrendosi con altri compagni.Il Ministero resisteva e, a ciò autorizzato, chiamava in causa la S.p.a. Riunione Adriatica di Sicurtà, per essere manlevato.La S.p.a. R.A.S. si costituiva e contestava la ricostruzione dei fatti allegata dall'attore, eccependo la natura accidentale dell'evento.Il tribunale, con sentenza del 18.3.1995, rigettava la domanda, ravvisando la natura fortuita del fatto dannoso, e compensava le spese.
La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 28.10.1997, rigettava l'appello proposto dal Parmentola, al quale aveva resistito solo la S.p.a. R.A.S.
Considerava la corte:
- che la presunzione di responsabilità a carico dei precettori di cui all'art. 2048, comma 2, c.c., si applica ai soli casi in cui l'allievo sottoposto a vigilanza abbia cagionato a terzi un danno ingiusto, e non anche allorquando il danno sia stato dall'allievo procurato a se stesso;
- che la dedotta responsabilità dell'insegnante, e per essa del Ministero della pubblica istruzione, in quanto riconducibile alla disciplina dell'art. 2043 c.c., avrebbe dovuto essere provata dall'attore in tutti i suoi elementi costitutivi, e segnatamente con riferimento alla sussistenza di una condotta colposa, commissiva o omissiva, ascrivibile all'insegnante, mentre le risultanze istruttorie non consentivano di ritenere raggiunta tale prova ed inducevano a ritenere che l'allieva era scivolata mentre si recava dal suo banco verso la lavagna e che pertanto nessun elemento di colpa era ravvisabile a carico dell'insegnante, che comunque non avrebbe potuto evitare l'evento.
Avverso la sentenza il Parmentola ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, il Ministero della pubblica istruzione e la S.p.a. R.A.S.
La terza sezione della Corte di cassazione, alla quale era stato assegnato il ricorso, con ordinanza del 4.4.2000, rilevato che il secondo motivo del ricorso reca censura all'interpretazione restrittiva data dalla corte d'appello all'art. 2048, comma 2, e considerato che nella giurisprudenza della Corte sulla portata della citata disposizione si è formato un contrasto - atteso che una pronuncia (sent. n. 5268-95) ha ritenuto che la particolare presunzione di responsabilità, a carico dei precettori, posta dall'art. 2048, comma 2, sarebbe operante solo nel caso di danni arrecati dall'alunno a terzi, mentre altre pronunce, che il Collegio remittente dichiara di non condividere, hanno sostenuto che debba essere estesa anche al caso in cui l'alunno resti danneggiato da atti compiuti da lui medesimo (sentenze n. 260-1972; n. 8390-95; n.7454-97; n. 6313-98) -, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai fini della risoluzione del contrasto.
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite.
Diritto
1. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c., concernenti la formazione del giudicato interno e l'acquiescenza parziale alla sentenza, nonché omessa e-o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, assume il ricorrente che la corte territoriale avrebbe violato il giudicato interno.
Sostiene che il tribunale, accogliendo la tesi dell'attore, aveva affermato che l'obbligo della vigilanza di cui all'art. 2048, comma 2, c.c. è posto anche per evitare che gli alunni provochino danni, oltre che a terzi, anche a se stessi, e che, non avendo la S.p.a.R.A.S. proposto su tale capo della sentenza appello incidentale, sul punto si è formato il giudicato, restando preclusa per la corte d'appello una diversa lettura della norma.
2. Il motivo non è fondato. Il tribunale, pur riconoscendo che la domanda, avente ad oggetto una ipotesi di danno autocagionatosi dall'alunno, era riconducibile nel paradigma dell'art. 2048, comma 2, ha poi rigettato la domanda, in quanto ha ritenuto che il danno era dovuto a caso fortuito.
L'appello proposto dall'attore soccombente, recante adesione alla interpretazione estensiva della norma e volto a contestare, in tale ambito, il ritenuto raggiungimento della prova liberatoria, ha quindi sottoposto nella sua integrità la domanda risarcitoria, fondata sull'art. 2048, comma 2, alla corte d'appello.
Consegue che la corte territoriale, in virtù del principio secondo cui spetta al giudice di appello l'individuazione delle norme giuridiche da applicare al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ha correttamente proceduto al vaglio della rispondenza della fattispecie dedotta in giudizio al paradigma delineato dall'art. 2048, comma 2, norma invocata a sostegno della pretesa, ed ha ritenuto detta norma inapplicabile, secondo una interpretazione difforme da quella fatta propria dal primo giudice, affermando che la fattispecie doveva essere ricondotta nell'ambito di applicazione dell'art. 2043 c.c., individuata quale norma regolatrice del caso concreto.
3. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2048, comma 2, e 2043 c.c., nonché omessa, insufficiente e-o contraddittoria motivazione su punto decisivo, il ricorrente sostiene che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto, ponendosi in contrasto con la prevalente giurisprudenza della S. C. - secondo la quale la presunzione di colpa posta dall'art. 2048, comma 2, a carico del precettore deve trovare applicazione non solo nel caso di danni arrecati dall'alunno a terzi, ma anche qualora il danno sia arrecato dall'alunno a se stesso -, che la detta presunzione non opera nel caso di danno che l'allievo abbia cagionato a se stesso, e che in tale ipotesi trova applicazione la disciplina dettata dall'art. 2043. In subordine assume che la corte territoriale, avendo ritenuto la fattispecie soggetta alla disciplina dettata dall'art. 2043 c.c., erroneamente ha poi escluso la sussistenza della responsabilità, poiché nella specie le risultanze processuali consentivano invece di ritenere provata la colpa dell'insegnante per avere omesso di esercitare la dovuta vigilanza sugli alunni.
4. La censura principale attiene all'individuazione dell'ambito di applicazione dell'art. 2048. La citata disposizione, la cui rubrica reca "Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte", prevede che: "Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante." "I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza." "Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto." La censura, che colpisce l'interpretazione restrittiva del comma 2, accolta dalla corte d'appello - nel senso che la presunzione di responsabilità dei precettori sarebbe operante solo nel caso di danno cagionato dal fatto illecito dell'allievo a terzi e non anche nel caso (oggetto della controversia in esame) in cui l'allievo abbia cagionato il danno a se stesso -, pone una questione sulla quale sussiste contrasto nella giurisprudenza di questa S. C.
Il contrasto si pone nei termini che seguono.
5. L'orientamento contrario alla configurabilità della presunzione di responsabilità a carico dei precettori per i danni che l'allievo abbia procurato a se stesso è seguito da tre sentenze.
5.1. L'indirizzo risale alla sentenza n. 2485-58. Nella fattispecie un alunno della prima elementare dell'Istituto Scuola Svizzera di Napoli, mentre tentava di estrarre il pennino da un'asticciola, restava colpito dal pennino all'occhio destro, con compromissione della capacità visiva.
Afferma la sentenza che correttamente la corte d'appello aveva ritenuto inapplicabile l'art. 2048, comma 2, in quanto "il particolare titolo di responsabilità contemplato dall'art. 2048 trova luogo soltanto allorquando il fatto illecito dell'incapace cagioni danno ad un terzo, non anche se le conseguenze lesive ricadano sull'incapace stesso".
5.2. Ad eguale conclusione perviene la sentenza n. 5268-95. Si trattava del caso di una bambina di cinque anni, che, mentre si trovava nel giardino di una scuola materna comunale, si era procurata lesioni rimanendo incastrata sotto il seggiolino di un'altalena a barre fisse.
La sentenza richiama il precedente del 1958 ed afferma che "l'ambito di operatività della norma in esame è limitato al caso in cui il minore, capace di intendere e di volere, cagioni ad altri un danno ingiusto, non, invece, all'ipotesi in cui il minore procuri a sè una lesione; e tale conclusione è avvalorata dalla circostanza che lo stesso testo legislativo prevede la prova liberatoria da opporre al terzo danneggiato e non, invece, al minore che si sia autocagionato un pregiudizio".
5.3. È ascrivibile all'indirizzo in esame anche la sentenza n.2110-74, concernente il caso di un convittore del Seminario Vescovile di Pozzuoli, il quale, per andare a riprendere il pallone caduto nel giardino finitimo, era stato costretto a scavalcare un cancello, essendosi impigliato con la sottana in una delle lance di ferro della cancellata, aveva perduto l'equilibrio ed era precipitato a terra riportando la frattura del braccio sinistro. La sentenza, nel respingere la censura rivolta alla sentenza della corte territoriale di aver ritenuto inapplicabile l'art. 2948, comma 2, e di aver ravvisato una ipotesi di responsabilità contrattuale soggetta alla prescrizione decennale, così argomenta: "Il S. C. rileva l'insussistenza della denunciata violazione dell'art. 2048, che prevede, tra l'altro, la responsabilità dei precettori per il danno cagionato a terzi dal fatto illecito dei loro allievi, laddove, nel caso in esame, ricorre l'ipotesi di un danno risentito dallo stesso minore, a causa dell'inottemperanza, da parte dei dirigenti del seminario, al dovere di vigilanza sulla condotta degli allievi; se a tale obbligo si fosse adempiuto, non sarebbe stato possibile al minore di eseguire la spericolata scalata ad un cancello, con la conseguente caduta."
6. Il contrapposto orientamento, favorevole ad una interpretazione estensiva della presunzione di responsabilità sancita dall'art. 2048, comma 2, è accolto da quattro sentenze.
6.1. In tal senso sembra esprimersi, per la prima volta, la sentenza delle Sezioni unite n. 260-1972, nella quale si afferma che: "L'obbligo della vigilanza è specificamente imposto ai maestri dall'art. 350 del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare approvato con r.d. 26.4.1928 n. 1297, norma ad ambito molto esteso,... e la vigilanza stessa è diretta ad impedire non soltanto che gli alunni compiano atti dannosi a terzi (loro coetanei o meno), ma che restino danneggiati da atti compiuti da essi medesimi (ad esempio: giochi pericolosi), da loro coetanei, da altre persone ovvero ancora da fatti non umani." Va tuttavia rilevato che la fattispecie all'esame della corte riguardava il caso di uno scolaro di sette anni della seconda elementare di una scuola pubblica, il quale, dopo essere uscito dall'aula con il permesso della maestra per recarsi al gabinetto sito in un cortile esterno, era stato colpito ad un occhio da un sasso lanciatogli da altro scolaro coetaneo. Non si trattava quindi di una ipotesi di danno procurato a se stesso dall'allievo, ma di danno cagionato all'allievo dal fatto illecito di un altro allievo, sicché la suenunciata affermazione non riguardava la materia del contendere. È utile precisare, inoltre, che la questione all'esame della S.C. concerneva non già l'estensione o meno della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2, anche al caso dell'autodanneggiamento, ma il diverso problema della applicabilità della detta norma agli insegnanti della scuola elementare pubblica, poiché il ricorrente Ministero sosteneva che detti insegnanti, avendo soltanto il compito di istruire e non anche quello di educare gli allievi, non potevano essere qualificati come "precettori" tenuti all'obbligo della vigilanza. Tesi che la sentenza disattende, rilevando che nella scuola all'obbligo di insegnamento si accompagna quello di impartire gli opportuni principi educativi, e ponendo in risalto che l'obbligo di vigilanza per gli insegnanti elementari è espressamente imposto dal citato art. 350 del regolamento del 1928.
6.2. La successiva sentenza n. 8390-95 ritiene espressamente configurabile la presunzione di responsabilità dell'insegnante ai sensi dell'art. 2048, comma 2, anche in caso di danno che l'allievo abbia cagionato a se stesso. Il caso riguardava le lesioni (trauma cranico) riportate da una alunna della scuola elementare statale a seguito di un urto con un compagno, rimasto ignoto. La corte d'appello, rilevato che l'istruttoria svolta non aveva consentito di accertare se fosse stata l'alunna ad urtare contro un compagno, ovvero se l'urto le fosse stato inferto da altro alunno, aveva ritenuto inapplicabile l'art. 2048, comma 2, affermando che sarebbe stato necessario dimostrare che il danno era stato cagionato dal fatto illecito di altro alunno, dato che la norma non contempla la responsabilità dei maestri per il danno che l'allievo si è procurato da se medesimo. La S. C. ha ritenuto errato in diritto tale principio ed ha cassato la sentenza affermando il diverso principio secondo cui, quando si tratta di allievo minore, la presunzione di colpa "può riguardare anche il danno che lo stesso allievo ha procurato a se stesso con la sua condotta, in quanto l'obbligo di vigilanza dell'insegnante è posto anche a tutela dei minori a lui affidati, ferma restando sempre la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto". Principio che, precisa la sentenza (nella quale non risultano peraltro menzionati i precedenti contrari n. 2485-58, n. 2110-74 e n.5268-95), è stato già enunciato dalla sentenza n. 260-1972, sopra riportata.
6.3. Le sole sentenze n. 260-72 e n. 8390-95 sono richiamate dalle Sezioni unite, nella sentenza n. 8390-95, per affermare che "la Corte di cassazione ha più volte deciso, con riferimento all'ipotesi di responsabilità sancita dall'art. 2248, che la colpa può riguardare il danno procurato dall'allievo a se stesso con la sua condotta, perché l'obbligo di vigilanza dell'insegnante è imposto anche a tutela degli allievi a lui affidati". Va tuttavia rilevato che le S. U. non erano state chiamate a pronunciarsi, in sede di componimento di contrasto (della cui esistenza non fanno menzione), sulla portata della disposizione, bensì a decidere su una questione di giurisdizione, e che il richiamo ai suindicati precedenti è stato svolto quale supporto argomentativo della tesi (estensiva) accolta dalla sentenza circa l'individuazione dell'ambito di applicazione dell'art. 61 della legge 11.7.1980 n. 312 (disposizione che prevede, nel comma 1, che: "La responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi"; e stabilisce inoltre, nel comma 2, che: "La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per il comportamento degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi.).
Nella specie veniva in particolare in considerazione la disciplina di cui all'art. 61, comma 2, seconda parte, concernente la "surroga" dell'Amministrazione, in relazione ad una controversia avente ad oggetto l'azione di risarcimento danni promossa dal padre di uno studente di un Istituto tecnico statale, che aveva riportato lesioni nell'eseguire un esercizio ginnico (salto acrobatico), sia contro l'insegnante di educazione fisica che contro il Ministero. Stabilito che la giurisdizione spettava al giudice ordinario, e non alla Corte dei conti (questione che aveva determinato l'assegnazione del ricorso alle Sezioni unite), la sentenza (vigendo all'epoca un orientamento delle Sezioni unite che non dava piena applicazione all'art. 142 disp. att. c.p.c.), ha esaminato anche l'ulteriore motivo del ricorso proposto dall'insegnante di educazione fisica, volto a sostenere il suo difetto di legittimazione passiva, in virtù del citato art. 61, comma 2, seconda parte. E tale motivo ha accolto. Ha premesso la sentenza che all'art. 61 nel suo complesso va attribuita la funzione di norma volta a limitare la responsabilità troppo gravosa del personale scolastico statale, conseguente alla ritenuta applicabilità a tale personale, per costante giurisprudenza, della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2, ed ha affermato che, in virtù della limitazione ai casi di dolo e colpa grave della responsabilità degli insegnanti, disposta dall'art. 61, comma 2, prima parte, è stata eliminata la presunzione sancita dall'art. 2048, comma 2, ponendosi a carico del danneggiato l'onere della prova dell'elemento soggettivo della condotta illecita. Ha conclusivamente statuito la sentenza, pronunciando sulla questione processuale oggetto del motivo, che con l'art. 61, comma 2, seconda parte, è stata soppressa la legittimazione passiva degli insegnanti, stabilendosi che, nei confronti dei terzi danneggiati, debba rispondere, in via diretta, soltanto l'Amministrazione, con conseguente esclusione della legittimazione passiva dell'insegnante (principio già enunciato dalla sent. n. 2463-95). Ed ha altresì precisato che tale esclusione deve ritenersi operante, onde evitare una disparità ingiustificata di trattamento in relazione ad eventi dannosi imputabili alla violazione di un identico obbligo di vigilanza, anche nel caso (ricorrente nella specie) di azioni di responsabilità promosse per danni subiti dagli alunni a causa di atti da loro stessi compiuti. Le conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza in esame in punto di legittimazione passiva nelle suindicate controversie sono pienamente condivise da queste Sezioni unite (anche se per ragioni diverse, che saranno più avanti enunciate), ma, ai fini della composizione del contrasto sull'ambito di applicazione dell'art. 2048, comma 2, giova ribadire che la sentenza non aggiunge nulla sul piano argomentativo alle decisioni n. 260-72 e n. 8390-95 in essa citate.
6.4. Si inserisce nel filone che privilegia l'interpretazione estensiva anche la sentenza n. 6331-98. Il caso riguardava un alunno di una scuola elementare statale che, durante la ricreazione pomeridiana, era stato "sgambettato", in assenza dell'insegnante, da un compagno ed era caduto riportando la rottura dei denti incisivi superiori (non si trattava, quindi, di un danno autoprocuratosi dall'alunno). La sentenza ritiene applicabile l'art. 2048, comma 2, con le conseguenti agevolazioni sul piano probatorio, ravvisando la fonte della responsabilità nell'obbligo di sorveglianza, funzionale alla conservazione della disciplina nella popolazione scolastica e, in tale ambito, all'impedimento di atti causativi di danno (sent. n.894-77), ed afferma, sulla scorta dei precedenti costituiti dalle sentenze n. 260-72 e n. 8390-95, che il menzionato obbligo mira ad impedire non soltanto che l'allievo compia atti dannosi a terzi, siano o meno coetanei ed estranei all'ambito scolastico, ma che resti danneggiato da atti compiuti da esso medesimo. È utile rilevare che la sentenza afferma anche che, in virtù dell'art. 61, comma 2, seconda parte, della legge n. 312 del 1980, la legittimazione passiva spetta esclusivamente all'Amministrazione (come già statuito dalle S. U. con la sentenza n. 7454-97).
7. Ad avviso di queste Sezioni unite merita adesione l'orientamento contrario alla configurabilità della presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048, comma 2, a carico dei precettori per i danni che l'allievo abbia procurato a se stesso.
7.1. Va anzitutto rilevato che si tratta in effetti dell'indirizzo prevalente, in forza di un principio esplicitamente enunciato dalle tre sentenze n. 2485-58, n. 2110-74 e n. 5268-95. Per converso, appare in definitiva minoritaria l'opposta tesi favorevole all'estensione dell'ambito di applicazione della presunzione anche al caso di danno autoprocuratosi dall'allievo, poiché la sentenza n. 260-72, alla quale si sono successivamente riferite, dichiarando di prestarvi adesione quale autorevole precedente, le sentenze n. 8390 e n. 7454, aveva esaminato, come si è avuto modo di notare (sub n. 6.1), non già la questione dell'estensione o meno della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2, anche al caso dell'autodanneggiamento, ma il diverso problema della applicabilità della detta norma agli insegnanti della scuola elementare pubblica, e per di più è stata resa con riferimento ad una fattispecie nella quale il danno era stato arrecato da un alunno ad altro alunno, e non può essere considerata quindi come prima espressione dell'orientamento estensivo. Mentre la sentenza n. 6331-98, come già rilevato (sub n.6.4.), non concerne una ipotesi di autodanneggiamento, sicché in essa l'enunciazione del principio costituisce un obiter dictum.
7.2. Ma, a parte tale considerazione, a sostegno dell'indirizzo restrittivo militano vari argomenti, non contrastati dalle sentenze che sono giunte a diverse conclusioni.
7.2.1. È utile tenere conto della disciplina dettata dal precedente art. 2047, concernente il "Danno cagionato dall'incapace" (disposizione che prevede, nel comma 1, che: "In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto."; e stabilisce, nel comma 2, che: "Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l'autore del danno ad una equa indennità."). La norma pone, nel comma 1, una presunzione di responsabilità a carico del sorvegliante per i danni cagionati dal soggetto sottoposto alla sorveglianza, suscettiva di essere superata soltanto dalla prova "di non aver potuto impedire il fatto", del tutto analoga a quella sancita dall'art. 2048. La giurisprudenza, nell'unica occasione in cui ha avuto modo di pronunciarsi su di essa, ha affermato (con la sentenza n. 2012-67) che la detta presunzione "è stabilita nei confronti di coloro che sono tenuti alla sorveglianza degli incapaci, i quali cagionino danni, e non trova, quindi, applicazione nell'ipotesi inversa di incapaci i quali siano i soggetti passivi dell'evento di danno". Ora, per pacifica giurisprudenza, le norme dettate dagli artt. 2047 e 2048 si differenziano soltanto in relazione all'esistenza o meno della capacità di intendere o di volere del minore. Si afferma infatti che la responsabilità del sorvegliante per il danno cagionato dal fatto illecito del minore trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere o di volere al momento del fatto, rispettivamente dall'art. 2048, in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di educazione o di vigilanza, ovvero nell'art. 2047, in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di sorveglianza e di vigilanza: le due indicate ipotesi di responsabilità presunta, pertanto, sono alternative - e non concorrenti - tra loro, in dipendenza dell'accertamento, in concreto dell'esistenza di quella capacità (sent. n. 2606-97). Può quindi affermarsi che anche la sentenza n. 2012-67 va annoverata tra quelle che limitano la presunzione di responsabilità del soggetto tenuto alla vigilanza al solo caso del danno arrecato dal soggetto sottoposto alla vigilanza ad un terzo. L'indirizzo riceve pertanto ulteriore conforto.
7.2.2. Va altresì rilevato, sul piano dell'interpretazione letterale, che l'art. 2048, comma 2, si riferisce espressamente al danno cagionato dal fatto illecito dell'allievo, presupponendo quindi un fatto obbiettivamente antigiuridico (così la sentenza n.2485-58), lesivo di un terzo. Ed allora, poiché non può ritenersi fatto illecito, obbiettivamente antigiuridico, la condotta dell'allievo che procuri danno, non già ad un terzo, ma a se stesso (come è avvenuto nei casi considerati dalle sentenze n. 2485-58, n. 2110-74 e n. 5268-95), questa ipotesi deve restare fuori dall'area dell'art. 2048, comma 2.
7.2.3. L'indirizzo restrittivo trova inoltre sostegno nella autorevole opinione espressa in dottrina, alla quale il Collegio aderisce, secondo cui, nella ricostruzione della disciplina della responsabilità aquiliana, l'art. 2048 è concepito come norma di "propagazione" della responsabilità, in quanto, presumendo una culpa in educando o in vigilando, chiama a rispondere genitori, tutori, precettori e maestri d'arte per il fatto illecito cagionato dal minore a terzi: la responsabilità civile nasce come responsabilità del minore verso i terzi e si estende ai genitori, tutori, precettori e maestri d'arte.E giova osservare che nel senso che la norma in esame sia dettata a protezione dei terzi, esposti al rischio di un danno conseguente all'agire dei minori, è orientata la prevalente dottrina.
7.2.4. In conclusione, componendo il contrasto, deve escludersi che sia invocabile la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048, comma 2, nei confronti dei precettori, al fine di ottenere il risarcimento dei danni che l'allievo abbia procurato a se stesso.Il contrario assunto postula infatti una radicale alterazione della struttura della norma, che delinea una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, in quanto il precettore risponde verso il terzo danneggiato per il fatto illecito compiuto dall'allievo in danno del terzo, per non averlo impedito in ragione di una presunzione di culpa in vigilando, laddove nel caso di autolesione il precettore sarebbe ritenuto direttamente responsabile verso l'alunno per un fatto illecito proprio, consistente nel non aver impedito, violando l'obbligo di vigilanza, che venisse compiuta la condotta autolesiva.
7.2.5. Per completezza d'esame (la questione non ha infatti formato oggetto del presente giudizio nelle fasi di merito) è utile precisare che, nel caso di danno arrecato dall'allievo a se stesso, appare più corretto ricondurre la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non già nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, con conseguente onere per il danneggiato di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., bensì nell'ambito della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c. Quanto all'istituto scolastico, l'accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell'allievo determina infatti l'instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del quale, nell'ambito delle obbligazioni assunte dall'istituto, deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso (in tal senso, espressamente, v.sent. n. 2485-58 e n. 2110-74, entrambe relative ad istituti privati, ma il principio è da ritenere operante anche in relazione alla scuola pubblica). Quanto al precettore dipendente dall'istituto scolastico, osta alla configurabilità di una responsabilità extracontrattuale il rilievo che tra precettore ed allievo si instaura pur sempre, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale il precettore assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona. Circa l'onere probatorio, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, l'attore dovrà quindi soltanto provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere dei convenuti dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa a loro non imputabile.
7.2.6. Ulteriore precisazione merita di essere fornita, a miglior chiarimento delle considerazioni svolte in relazione alla sentenza n.7454-97 (sub n. 6.3.), per quanto concerne gli insegnanti di scuole statali, in riferimento all'applicazione della disciplina speciale dettata dall'art. 61 della legge n. 312 del 1980. Non rileva, ai fini in esame, il comma 1, concernente la responsabilità patrimoniale dell'insegnante (e degli altri soggetti ivi indicati) per i danni che gli alunni abbiano arrecato direttamente all'Amministrazione (danneggiando strutture, materiale o arredi). Va invece preso in esame il comma 2, prima parte, per rilevare che tale norma prevede la limitazione della responsabilità del personale ai soli casi di dolo o colpa grave "verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamento degli alunni sottoposti alla vigilanza", e va quindi intesa, con stretta aderenza alla lettera della norma, nel senso che il limite è fissato "verso l'Amministrazione" e non verso i terzi. Si tratta, quindi, di un limite destinato ad operare nell'ambito dell'eventuale giudizio di rivalsa che l'Amministrazione intraprenda contro l'insegnante davanti alla Corte dei conti, dopo aver subito una condanna a favore del terzo danneggiato. Non può pertanto condividersi la tesi secondo cui la norma ora richiamata, ponendo la menzionata limitazione, avrebbe escluso l'applicabilità della presunzione di responsabilità ex art. 2048, comma 2, anche nelle controversie di risarcimento danni per culpa in vigilando promosse da terzi nei confronti degli insegnanti statali (così, la sent. n. 7454-97), ed addirittura anche nei confronti dell'Amministrazione (così la sent. n. 2463-95). Per quanto concerne l'Amministrazione, è sufficiente notare che il citato art. 61 era ispirato da esigenze di tutela verso il personale scolastico, e non già verso l'Amministrazione, per cui eccede manifestamente le finalità della norma volgerla a tutela di quest'ultima, esentandola, senza plausibile ragione, dalla presunzione di cui all'art. 2048, comma 2 (nei limiti in cui è operante), nei giudizi di responsabilità connessa all'attività di vigilanza sugli alunni promossi da terzi danneggiati, così determinando un ingiustificato aggravio, sul piano probatorio, della posizione processuale del danneggiato. Quanto agli insegnanti, la sottrazione degli insegnanti statali alle conseguenze, ritenute troppo gravose, della affermata applicabilità nei loro confronti (per costante giurisprudenza) della presunzione di cui all'art. 2048, comma 2 (nei limiti in cui è operante), nei giudizi di danno per culpa in vigilando, è realizzata con la legge n. 312 del 1980 non già sul piano sostanziale, incidendo sull'operatività dell'art. 2048, comma 2, nei detti giudizi, perché una siffatta volontà non emerge dal tenore dell'art. 61, comma 2, prima parte, che riguarda solo il giudizio di rivalsa tra Amministrazione ed insegnante, bensì esclusivamente sul piano processuale, stabilendo, nel comma 2, seconda parte, che "Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi". Quest'ultima norma, secondo la concorde opinione della dottrina e della giurisprudenza (sent. n. 2463-95; n. 7454-97; n. 6331-98), esclude infatti in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando (in tal senso si è pronunciata anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 64-92, che ha escluso che tale privilegio processuale sia in contrasto con l'art. 28 Cost.). La tutela opera quindi sul piano strettamente processuale, mediante l'esonero dell'insegnante statale dal peso del processo, nel quale unico legittimato passivo è il Ministero della pubblica istruzione. E poiché la norma in esame non pone distinzioni circa il titolo, contrattuale o extracontrattuale (nei sensi precisati sub n. 7.2.5.), dell'azione risarcitoria, vanno condivise (anche se con le diverse argomentazioni suesposte) le conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza n. 7454-95, ribadendo che la legittimazione passiva dell'insegnante è esclusa non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro alunno (nella quale sia invocata, nell'ambito di una azione di responsabilità extracontrattuale, la presunzione di cui all'art. 2048, comma 2), ma anche all'ipotesi di danni arrecati dall'allievo a se stesso (ipotesi da far valere, per quanto sopra osservato, secondo i principi della responsabilità contrattuale ex art. 1218). In entrambi i casi, qualora l'Amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo (ed è tale rispetto al successivo rapporto di rivalsa tra Amministrazione ed insegnante anche l'alunno che si sia autodanneggiato), l'insegnante sarà successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto nel caso in cui sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave. Il diverso titolo di imputazione della responsabilità posto a fondamento dell'azione risarcitoria contro l'Amministrazione rileverà, ovviamente, sull'incidenza e la portata dell'onere probatorio, operando, nei confronti dell'Amministrazione, unico soggetto passivamente legittimato, la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2, solo nell'ambito e nei limiti sopra precisati.
8. In conclusione, poiché la sentenza della corte territoriale è conforme all'indirizzo che queste Sezioni unite hanno accolto componendo il contrasto (sub n. 7.2.4.), il secondo motivo, nella parte in cui è volto a sostenere l'applicabilità della presunzione di cui all'art. 2048, comma 2, risulta infondato.
9. E del pari infondata è la censura rivolta con il medesimo motivo, in via subordinata, alla valutazione delle risultanze istruttorie, ed in particolare della prova testimoniale, compiuta dalla corte d'appello al fine di ritenere non soddisfatto l'onere probatorio gravante sull'attore.
10. La corte d'appello, coerentemente all'individuazione dell'incidenza dell'onere probatorio secondo il paradigma dell'art.2043 (individuazione che nel giudizio in esame resta ferma, poiché il ricorrente ha affidato, senza esito positivo, la sua doglianza sul punto esclusivamente alla tesi dell'operatività della presunzione ai sensi dell'art. 2048, comma 2, anche nel caso di autodanneggiamento), ha rilevato che gravava sull'attore l'onere di provare la sussistenza di una condotta colposa, commissiva o omissiva, ascrivibile alla docente. Ed avendo ritenuto, con incensurabile apprezzamento, che la dichiarazione, conforme all'assunto dell'attore, resa dall'unica teste, compagna di scuola dell'infortunata, era poco credibile, in considerazione della poca affidabilità del ricordo di fatti risalenti nel tempo (circa otto anni prima della deposizione) e, per di più, percepiti quando la teste era poco più che una bambina, ha conseguentemente concluso che, venuta meno l'unica prova offerta dall'attore, la domanda doveva essere rigettata.
11. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 2735 c.c., concernente la confessione giudiziale e dell'art. 116 c.p.c., concernente la valutazione delle prove, nonché omessa, insufficiente e-o contraddittoria motivazione su punti decisivi. Sostiene il ricorrente che erroneamente la corte d'appello ha attribuito valore di confessione alla denuncia di sinistro inoltrata alla R.A.S. dal preside della scuola media e sottoscritta dal padre dell'alunna.
12. Il motivo è inammissibile. La censura non riguarda un punto decisivo. Come già rilevato, la ravvisata inattendibilità dell'unica prova testimoniale raccolta è di per sè sufficiente a sorreggere il rigetto della domanda, per totale carenza di prova. Risulta quindi non determinante, nell'economia della decisione, l'ulteriore riferimento alla denuncia di sinistro a suo tempo inoltrata alla R.A.S. dal preside della scuola media, e sottoscritta anche dal padre dell'alunna, nella quale si riferiva che l'alunna, mentre si recava dal suo banco verso la lavagna, era scivolata riportando lesioni.
13. In conclusione, il ricorso è rigettato.
14. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, il giorno 8.2.2002.