Prova della conclusione in forma scritta di un contratto di apertura di credito può essere data anche attraverso presunzioni
Cassazione civile, sez. I, 14 Dicembre 2023, n. 34997. Pres. Acierno. Est. Falabella.
Rapporti bancari – Apertura di credito – Prova – Presunzioni
La pronuncia in commento si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, secondo cui l’onere della prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi avente causa, è soddisfatto con la dimostrazione dell’esistenza di un contratto di apertura di credito, in forza del quale la banca si obbliga a mettere a disposizione del cliente, dietro pagamento di un interesse, una somma di denaro, entro i limiti concordati.
Nel caso di specie, la Corte ha tuttavia ritenuto che, in assenza di un contratto di apertura di credito stipulato in forma scritta, la prova della sua conclusione possa essere fornita anche attraverso presunzioni, in particolare valorizzando la condotta della banca che ha consentito al correntista di effettuare scoperti di conto, anche di rilevante entità, per un periodo di tempo prolungato.
La decisione in commento è rilevante in quanto conferma la possibilità di far ricorso alla prova per presunzioni per dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, anche in assenza del requisito della forma scritta, previsto dalla legge per i contratti bancari.
In particolare, la Corte ha precisato che tale possibilità sussiste sia nel caso in cui il contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992, che ha introdotto tale requisito, sia nel caso in cui, pur operando la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non abbiano fatto valere la nullità stessa.
La decisione è destinata ad avere un impatto significativo nella prassi, in quanto consentirà ai correntisti di dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, anche in assenza di una documentazione scritta, e, conseguentemente, di far valere il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate alla banca. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione:
“In tema di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista, come i suoi avente causa, può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385/1993, o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest’ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non facciano valere, a norma dell’art. 127, comma 2, d.lgs. cit., la nullità stessa.”