Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 581 - pubb. 01/07/2007

Responsabilità del depositario a titolo gratuito

Tribunale Venezia, 02 Maggio 2007. Est. Simone.


Contratto di deposito gratuito – Responsabilità del depositario – Diligenza del buon padre di famiglia – Imputabilità del fatto dannoso al depositario – Necessità.

Contratto di parcheggio gratuito di autoveicoli – Responsabilità del depositario per atti vandalici – Esclusione.



In tema di contratto di parcheggio, l'alternativa fra le norme sulla responsabilità ex recepto ed il criterio generale di cui all'art. 1176 c.c. porta alla stessa conclusione in punto di diligenza da osservare e di esonero da responsabilità del soggetto tenuto alla restituzione del bene affidato. In altri termini, tanto l'articolo da ultimo citato, quanto l'art. 1768 c.c., individuano un solo criterio misuratore della diligenza, ossia si riferiscono alla figura del “buon padre di famiglia”, che, tuttavia, deve transitare per il crivello dell'art. 1218 c.c., come comprovato dall'art. 1780, 1° comma, c.c., che, ai fini dell'esonero da responsabilità per la mancata restituzione del bene affidato, esige la prova del fatto non imputabile al depositario. In sostanza, al fine di sottrarsi alla responsabilità in subiecta materia non basta dimostrare il livello di diligenza osservato, ma occorre provare che la mancata esecuzione della prestazione derivi da causa non imputabile al debitore, perché estranea alla sua sfera organizzativa. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In presenza di una prestazione di parcheggio di natura gratuita, l’art. 1768, comma 2, c.c. impone una valutazione meno stringente della colpa e proprio l’assenza di corrispettivo rende impedisce di ritenere il depositario responsabile per i danni provocati da atti vandalici. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Segnalazione del Prof. Avv. Bruno Inzitari


N. 3497/2000 R. G. A.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

       Con l’atto di citazione in epigrafe indicato Paolo B.

conveniva dinanzi al Tribunale di Venezia P. B.. Esponeva l’attore, premesso che era proprietario degli automezzi Mercedes Benz 1833, 1831 e 1835 targati, rispettivamente, VE **, nonché utilizzatore di altri due automezzi Mercedes Benz 2531 e 1835 targati ** di proprietà della FIN-ECO Leasing s.p.a. e Locat s.p.a., con i quali svolgeva l’attività di A.o per conto terzi, che il 1° aprile 1993 stipulava con il B., esercente l’attività di carrozziere, un contratto per la manutenzione degli automezzi indicati da effettuarsi nei tempi e modi stabiliti dal convenuto; in relazione a tale contratto si richiedeva da parte del convenuto che gli automezzi fossero sistemati nel parcheggio retrostante (il luogo di esercizio del)la “carrozzeria” del B., consentendo la sosta senza alcun vincolo e per tutto il periodo del rapporto; nelle notti tra il 19 ed il 21 febbraio 1999 scoppiavano due distinti incendi all’interno del piazzale dove gli automezzi erano in sosta, i quali rimanevano distrutti.

       Tanto premesso, l’attore, assumendo la responsabilità del convenuto quale custode dei mezzi a lui affidati, lamentava di aver subito ingenti danni (per perdita dei mezzi, spese di reperimento di veicoli analoghi e demolizione targhe) pari a Lire 1.296.465.359, mentre con riferimento all’automezzo tg. ** aveva dovuto corrispondere alla Locat s.p.a. l’indennizzo di Lire 167.338.502 per la risoluzione anticipata del rapporto, ed alla Fin-Eco Leasing s.p.a. aveva corrisposto la somma di Lire 180.000 a titolo di riscatto dell’automezzo tg. ** e Lire 1.820.000 quale penalità per mancata restituzione.

       L’attore deduceva ancora che gli automezzi, prima della loro

distruzione, erano impiegati per il trasporto di merce in favore della C. s.p.a., la quale aveva risolto il contratto per l’impossibilità sopravvenuta a adempiere, poiché il reperimento di altri mezzi avrebbe richiesto 6/7 mesi. In relazione alla perdita dei guadagni ritraibili dal ridetto rapporto, considerato che il reddito prodotto annuo era di Lire 250.000.000 e che il rapporto si sarebbe protratto per altri dieci anni, l’attore chiedeva il risarcimento del danno nella misura di Lire 2.500.000.000.

       Si costituiva il B. e resisteva alla domanda proposta, chiedendo la condanna dell’attore al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. Deduceva il convenuto di non aver mai assunto alcun obbligo di custodia rispetto agli autocarri in questione, perché mai era avvenuta la consegna degli stessi non essendo tenuto ad effettuare alcun intervento manutentivo. Infatti, gli automezzi, in base alla dichiarazione di intenti del 1°-4-1983, si trovavano nel ridetto piazzale, perché adibito a luogo di ricovero dei mezzi, mentre le chiavi della relativa recinzione erano nella disponibilità dell’attore e dei suoi dipendenti, i quali al mattino li prelevavano, la sera li risistemavano e poi andavano via chiudendo il cancello.

       Deduceva ancora il convenuto che dopo l’incendio del 19.2.1999, nel quale erano rimasti danneggiati solo tre dei cinque autocarri, il B. era stato nominato custode giudiziario dei mezzi, sì che nessun rilievo poteva essergli mosso quanto al secondo incendio di due giorni dopo, non senza considerare che la vigilanza sull’area era stata affidata alla Serenissima s.r.l., la quale espletava quattro passaggi notturni e che il piazzale era recintato oltre che munito di cancello chiuso con lucchetto. Da ultimo il convenuto contestava la legittimazione attiva dell’attore a reclamare il risarcimento dei danni con riferimento agli autocarri concessigli in leasing e l’ammontare della pretesa azionata con particolare riferimento al preteso danno da lucro cessante.

Radicato il contraddittorio, all’esito dell’udienza di prima comparizione erano concessi i termini per il deposito di memorie ai fini di cui all’art. 180, comma 2, c.p.c. A seguito di istruttoria orale e documentale, disposte C.T.U. contabili, la causa, previa riassegnazione al nuovo giudice istruttore a seguito della diversa tabellazione del precedente, era trattenuta in decisione sulle conclusioni epigrafate all’udienza del 7.11.2006 a seguito di trattazione mista.

MOTIVI DELLA DECISIONE

       Assume l’attore di aver concluso con il convenuto un contratto d’opera per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli autocarri de quibus da effettuarsi nei tempi e nei modi ritenuti più opportuni dal secondo. In questo contesto, ha proseguito il B., dal convenuto era stato richiesto di sistemare gli autocarri nel piazzale retrostante i locali di esercizio dell’attività di carrozzeria, consentendo la sosta senza vincoli e per tutto il periodo di durata del rapporto contrattuale relativo all’attività di manutenzione degli automezzi. Il convenuto non contesta l’avvenuta collocazione degli autocarri da parte dell’attore nello spazio retrostante il capannone, posto che l’area doveva servire al relativo parcheggio, ma la circostanza fondante la dedotta responsabilità da deposito o ex recepito, ossia l’avvenuta consegna dei ridetti autocarri. Per converso, sempre secondo il convenuto, le chiavi degli autocarri erano nella disponibilità esclusiva del B. e dei suoi dipendenti, i quali “tutte le mattine si recavano colà, aprivano il cancello, lasciavano il proprio automezzo, prelevavano l’autocarro di propria competenza, si recavano presso le destinazioni assegnate e la sera rientravano, posteggiavano gli autocarri, riprendevano i propri mezzi, chiudevano il cancello e se se andavano” (cfr. pag. 2 della comparsa di costituzione). In altri termini, poiché l’area in questione era a totale disposizione dell’attore nessun obbligo di custodia potrebbe gravare sul B..

       La netta contrapposizione delle tesi esposte rinviene una prima chiave di lettura nella scrittura privata del 1° aprile 1983 (cfr. il doc. 8 del fascicolo attoreo), dove si legge: “la Carrozzeria A. si dichiara disponibile ad ospitare a titolo gratuito i mezzi della ditta T. di Paolo B., che periodicamente abbisognano di sistemazione e lavori alle carrozzerie … allo scopo di tenerli sempre in ottimo stato di conservazione. Ciò premesso la Carrozzeria A. onde poter concordare sconti e tariffe particolarmente vantaggiose per i lavori da effettuare, chiede espressamente che tutti i mezzi della predetta T. debbano alloggiare nel piazzale retrostante il capannone con l’obiettivo di poter effettuare i lavori nei modi e termini che la stessa carrozzeria ritiene opportuno. Ciò detto ad ogni operazione manutentiva seguirà regolare fatturazione secondo le modalità che la legge finanziaria prescrive all’uopo”.

       Detta scrittura in sé non è altro che una mera dichiarazione di intenti, peraltro non pienamente perscrutabile sul piano della correlazione tra la possibilità di ricollegare l’applicazione di tariffe vantaggiose e la sistemazione degli autocarri nel parcheggio retrostante il capannone del B., da sola non sufficiente a fondare la dedotta responsabilità se non al cospetto della dimostrazione della consegna in favore del convenuto, sulla cui base fondare la responsabilità da deposito o ex recepito correlata a quella di esecuzione di un contratto d’opera.

       In ordine alla condizione dell’area di sosta degli automezzi, l’istruttoria orale ha permesso di accertare che la stessa, dove erano ricoverati non solo gli autocarri dell’attore, era recintata e munita di cancello chiuso con un lucchetto, le cui chiavi erano, tra gli altri, nella disponibilità del B. e dei suoi autisti, come peraltro ammesso dallo stesso attore in sede di interrogatorio.

In particolare, il teste M., anch’egli fruitore dell’area in questione, ha riferito che “ognuno aveva la sua chiave. Anch’io disponevo di una chiave in quanto il B. mi aveva concesso di parcheggiare il mio camion nell’area retrostante … Posso dire che quando io partivo dalla carrozzeria vedevo anche gli autisti incaricati dal B. di partire … quando mi trovavo in parcheggio vedevo i camion dell’attore ritornare”. In senso analogo si possono leggere le dichiarazioni del teste B., il quale ha dichiarato che: “... anch’io ero e sono in possesso di tali chiavi. Mi risulta che nel piazzale fossero parcheggiati solo i mezzi del B.. Vi era poi un autocarro del sig. M., che però si vedeva ogni tanto. Io ho la disponibilità delle chiavi in quanto il cancello è unico per l’officina (sita nel capannone vicino a quello del convenuto) e la carrozzeria”. Non diversamente, il teste D., già dipendente del convenuto tra il 1996 ed il 1999, ha ricordato che alle 8.00 del mattino, quando arrivava al lavoro, non vedeva più i camion, i quali tornavano la sera. Anche il D. ha confermato che le chiavi del cancello erano a disposizione di varie persone oltre al B.. Del pari il teste G., all’epoca dei fatti dipendente del convenuto, ha dichiarato che le chiavi era nella disponibilità sua, del B. e del meccanico dell’officina B., ma che i camion erano prelevati al mattino presto.

Anche la teste F., pur ignorando chi avesse la disponibilità delle chiavi del cancello, ha rammentato di aver visto di notte dei camion entrare nel parcheggio ovvero di averli visti parcheggiati all’interno sempre di notte.

Anche i testi addotti dall’attore, come peraltro dallo stesso ammesso in sede di interrogatorio hanno confermato che lo stesso ed i suoi autisti avevano le chiavi del cancello. In tal senso si legga quanto dichiarato dai testi P., D. e, sia pure implicitamente, dal teste B., laddove ha riferito che i camion erano prelevati in vari orari a seconda dei servizi da svolgere.

Chiarito chi avesse e come accesso all’area in questione, mette conto verificare più da presso quale fosse in concreto la disponibilità dei camion da parte del convenuto. Sul punto, occorre rilevare una discrepanza tra quanto sostenuto dall’attore in sede di interrogatorio e quanto esposto dai suoi autisti. Infatti, l’attore ha dichiarato che “all’interno del piazzale avevo un camion vecchio che fungeva da deposito delle chiavi degli altri miei automezzi. Tale camion veniva chiuso a chiave e tali chiavi erano nella disponibilità mia e dei miei dipendenti. Se il convenuto doveva accedere ai mezzi gli veniva consegnata la chiave. Oltre alle chiavi degli automezzi contenute nel camion non ve ne erano altre copie”. Per converso, i testi B. e D. hanno dichiarato, rispettivamente: “le chiavi degli automezzi parcheggiati nel piazzale erano custodite dietro il sedile in un contenitore all’interno di un camion parcheggiato nel piazzale, la cui cabina rimaneva aperta e gli autisti potevano prendere le chiavi da lì”; “le chiavi dei mezzi parcheggiati nel piazzale si trovavano in una scatola riposta nella cabina di un camion parcheggiato nel piazzale e che rimaneva aperta”.

Quanto alla modalità con cui i camion erano messi a disposizione per l’esecuzione dei lavori, il teste B. ha dichiarato che “quando il B. aveva tempo ci diceva di lasciare il camion davanti al capannone, oppure gli venivano lasciate le chiavi. Poteva succedere che fosse il B. a dirmi di lasciare il camion per l’esecuzione dei lavori”. Il teste D., invece, si è limitato a dire che il “B. mi diceva che come concordato con la segreteria del B. dovevo lasciare giù il camion per gli interventi. In ufficio sentivo dire che quando il B. aveva tempo gli venivano lasciati i camion per gli interventi”. Anche la teste P., collaboratrice dell’attore, ha rammentato che “poteva succedere che il convenuto chiedesse che il mezzo venisse lasciato davanti il capannone al fine di eseguire il servizio oppure che il B. si prendeva le chiavi dei mezzi custodire in una cassettina all’interno di un camion-deposito lasciato nel piazzale non chiuso a chiave”.

A parte la singolarità delle affermazioni fatte dagli autisti del B. e della P., ossia che il camion-deposito delle chiavi (degli autocarri incendiati) rimanesse aperto, nonostante la pluralità di persone nella disponibilità delle chiavi del cancello, in aperto contrasto con quanto detto dal B. in sede di interrogatorio, nulla permette di corroborare la versione della P. (ed in parte dal B.), ossia che il B. potesse provvedere direttamente a far spostare i camion per l’esecuzioni dei lavori, posto che gli autisti hanno riferito che i mezzi erano lasciati davanti al capannone, per quanto poi non sia dato sapere se, una volta eseguite le prestazioni dovute, i camion fossero spostati dal personale del convenuto. Circostanza, quest’ultima, alquanto inverosimile considerate le dimensioni degli automezzi.

Fatte queste premesse, mette conto guardare più da presso la ragione dell’odierna controversia, cercando di verificare l’imputabilità, o no, al convenuto della distruzione degli autocarri del B.. Si badi che il convenuto ha non solo contestato in radice la sussistenza di un’obbligazione di custodia sia in via principale, sia quale forma responsabilità ex recepito correlata al contratto d’opera, ma anche negato l’imputabilità della distruzione degli autocarri sul presupposto dell’adeguatezza delle misure precauzionali adottate: la predisposizione di una recinzione munita di cancello chiuso e la stipulazione di un contratto di vigilanza notturna con quattro passaggi (cfr. il doc. 1 del fascicolo di parte convenuta). In altri termini, il B. ha eccepito l’estraneità dell’evento in esame rispetto all’area del rischio contrattuale.

L’esperita istruttoria ha permesso di accertare che fra le parti in causa è intervenuto un contratto misto dove confluiscono elementi del contratto d’opera (per quanto concerne le riparazioni da eseguire sugli autocarri) e del contratto (atipico) di parcheggio (cfr. da ultima Cass. 12-04-2006, n. 8629). Al riguardo, anche sulla scorta di Tribunale Venezia 15.3.2004 (in Foro it., 2005, I, 1968), occorre rilevare che il contratto di parcheggio di autovettura, qualora non si risolva nella mera messa a disposizione di un’area predeterminata, è un contratto atipico, la cui disciplina è assimilabile al contratto di deposito, con conseguente affidamento del mezzo in custodia al gestore del servizio e con obbligo per quest’ultimo di custodia e restituzione dei beni depositati (cfr. Cass. 15-11-2002, n. 16079; Trib. Roma, 13-01-2001; App. Milano, 30-05-2000; 1°-02-2000; Cass. 1°-10-1999, n. 10892; 14-6-1996, n. 5461; 23-8-1990, n. 8615; 12-12-1989, n. 5546; 22-12-1983, n. 7557; 27-5-1983, n. 3288; 25-2-1981, n. 1144; 16-11-1979, n. 5959; 27-7-1965, n. 1768). Contratto, quest’ultimo, che si conclude con il semplice ingresso del mezzo all’interno di un’area delimitata, non occorrendo la dazione delle chiavi, ma rilevando sul piano dell’obbligazione di custodia l’affidamento indotto dalla presenza di misure di protezione e comunque in grado di condizionare la fruizione da parte di terzi (cfr. Cass. 20.12.2005, n. 28232).

In quest’ordine d’idee, pertanto, appare irrilevante stabilire chi avesse le chiavi degli automezzi, per quanto, a parte la dichiarazione della teste P., gli autisti abbiano riferito che per l’esecuzione delle riparazioni erano soliti posizionarli davanti al capannone (il solo B. ha riferito che in alternativa le chiavi erano lasciate al B.). Ciò, peraltro, è in linea con quanto affermato dall’attore: all’interno del piazzale avevo un camion vecchio che fungeva da deposito delle chiavi degli altri miei automezzi. Tale camion veniva chiuso a chiave e tali chiavi erano nella disponibilità mia e dei miei dipendenti. Se il convenuto doveva accedere ai mezzi gli veniva consegnata la chiave. Oltre alle chiavi degli automezzi

contenute nel camion non ve ne erano altre copie”.

Sennonché, la questione della disponibilità delle chiavi potrebbe avere un qualche peso rispetto all’eventualità di un furto degli autocarri, dovendo in tal caso valutare l’adeguatezza delle misure precauzionali sotto il profilo della non imputabilità ex art. 1780 c.c. a fronte di un uso promiscuo dell’area in questione: le chiavi del cancello erano nella disponibilità di una pluralità di persone.

L’aspetto più assorbente nel caso all’esame del Tribunale, per quanto inizialmente non adeguatamente messo in evidenza dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio, è che la distruzione degli autocarri è avvenuta a causa di due distinti incendi dolosi avvenuti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, completando con l’incendio del 21.2.1999 quanto iniziato il 19.2.1999. Al riguardo, che si sia trattato di episodi dolosi, non può sorgere alcun dubbio alla luce della documentazione versata in atti e prodotta dalla difesa del convenuto all’udienza del 18.7.2003 (cfr. le schede di intervento redatte dai VV.FF. del 19.2.1999 e del 21.2.1999, nonché la comunicazione della notizia di reato del 23.2.1999 della Questura di Venezia).

       Tanto premesso, osserva il giudicante che il Supremo collegio ha da tempo statuito che, laddove l'obbligazione di custodia non si configuri come l'unica prestazione qualificatrice del rapporto, ma si atteggi come prestazione accessoria, il criterio di misura della diligenza va individuato nell'art. 1176 c.c. (Cass. 23-1-1986, n. 430, 27-10-1981, n. 5618; nella stessa direzione cfr. Cass. 25-9-1995, n. 10116 e la già citata Cass. 10-12-1996, n. 10986). Per contro, è stata sostenuta in dottrina e giurisprudenza l'applicabilità delle norme sulla responsabilità ex recepto, con il conseguente limite del caso fortuito, ogniqualvolta taluno sia tenuto per legge o per contratto ad un'obbligazione di custodia, anche se quest'ultima non assuma carattere principale nell'ambito del rapporto (Cass. 12-04-2006, n. 8629; 1-7-2005, n. 14092; 19-07-2004, n. 13359; 18-10-1991, n. 11010; 21-12-1990, n. 12120; Trib. Napoli 12-7-1988; Cass. 17-5-1969, n. 1702).

In realtà, a ben vedere, l'alternativa fra le norme sulla responsabilità ex recepto ed il criterio generale di cui all'art. 1176 c.c. porta alla stessa conclusione in punto di diligenza da osservare e di esonero da responsabilità del soggetto tenuto alla restituzione del bene affidato. In altri termini, tanto l'articolo da ultimo citato, quanto l'art. 1768 c.c., individuano un solo criterio misuratore della diligenza, ossia si riferiscono alla figura del “buon padre di famiglia” (come da ultimo evidenziato anche da Cass. 10-12-1996, n. 10986), che, tuttavia, deve transitare per il crivello dell'art. 1218 c.c., come comprovato dall'art. 1780, 1° comma, c.c., che, ai fini dell'esonero da responsabilità per la mancata restituzione del bene affidato, esige la prova del fatto non imputabile al depositario (cfr. Pret. Bari 23-03-1993). In sostanza, al fine di sottrarsi alla responsabilità in subiecta materia non basta dimostrare il livello di diligenza osservato, ma occorre provare che la mancata esecuzione della prestazione derivi da causa non imputabile al debitore, perché estranea alla sua sfera organizzativa (cfr. Cass. 12-04-2006, n. 8629; 10-11-2003, n. 16826).

È evidente come il livello di diligenza e, quindi, il novero degli eventi prevedibili debba essere graduato in funzione del carattere professionale, o no, dell'obbligazione presa in esame, con il conseguente ampliamento dell'area degli eventi imputabili, quando si sia in presenza di una prestazione resa nell'esercizio di un'attività d'impresa (Cass. ex plurimis Cass. 6-11-1996, n. 9643; 28-3-1994, n. 3023; 29-11-1984, n. 6257). Da ciò deriva che, dovendosi valutare la condotta del debitore alla luce delle c.d. regulae artis, su quest'ultimo ricadono quegli avvenimenti, che, secondo una valutazione in termini di normalità sociale, risultano prevedibili ed evitabili, perché legati al tipo di attività esercitata e, quindi, ricomprensibili nei costi d'impresa, stante la possibilità di predisporre particolari cautele, o in ultimo, al cospetto di rischi insopprimibili, mediante il ricorso allo strumento assicurativo.

       Sennonché, premesso che è pacifico che il parcheggio degli autocarri avveniva gratuitamente essendo funzionale all’esecuzione del contratto d’opera, non pare che il rischio incendio da atto vandalico, considerato l’ambito dell’attività esercitata dal B., potesse essere incluso nel novero degli eventi prevedibili ed evitabili da parte dello stesso. In altri termini, l’apparato precauzionale posto in essere dal B., in assenza di un corrispettivo per il parcheggio degli autocarri, è in linea con quello esigibile nei confronti di un operatore mediamente avveduto. Nella specie, l’area era delimitata da una recinzione munita di cancello chiuso ed era sorvegliata nottetempo da un istituto di vigilanza privata (cfr. il doc. 1 del fascicolo di parte convenuta). È pur vero che secondo un approccio di tipo economicistico la sopportazione di un rischio (in termini di adozione di misure precauzionali o di ricorso allo strumento assicurativo) deve gravare sul soggetto che meglio è in grado di stimarlo, di modo che il soggetto in questione potrà scegliere se sopportare il costo di prevenzione ovvero risarcire il danno. Sta di fatto che al cospetto di una prestazione di parcheggio di natura gratuita, l’art. 1768, comma 2, c.c. impone una valutazione meno stringente della colpa e proprio l’assenza di corrispettivo rende impraticabile, mediante il ricorso al senno di poi, l’imposizione del ricorso al meccanismo assicurativo contro gli atti vandalici. Si aggiunga, che la transazione intercorsa tra la Assicurazioni Generali s.p.a. ed il B. in data 31.3.2004 sul presupposto della pendenza di altro giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia rubricato al n. 4970/01 RGA (cfr. la documentazione prodotta dal convenuto all’udienza dell’11.6.2004), mediante la quale all’attore è stato riconosciuto per i fatti di causa l’importo di € 125.000, poggia esattamente sull’addebito all’agente della ridetta compagnia di non aver adeguatamente rappresentato che nei contratti di assicurazione stipulati non era compreso il rischio di atti vandalici. Ciò a riprova di quale fosse il soggetto meglio posizionato a valutare la presenza del rischio ridetto al cospetto di automezzi destinati all’impiego sul territorio.

All’infuori dello strumento assicurativo in esame, sul piano precauzionale l’alternativa poteva essere data forse solo da una sorveglianza continuativa in sede, il cui costo, all’evidenza, avrebbe pesato non poco sull’azienda gestita dal B. in modo sicuramente più oneroso rispetto a quello connesso al contratto di vigilanza posto in essere. D’altronde, e questo rileva sul piano degli obblighi informativi tra le parti del contratto, lo stesso B. aveva operato una sottostima del rischio di custodia degli autocarri, posto che le uniche chiavi degli automezzi erano riposte all’interno di un camion-deposito, la cui cabina, a dire degli autisti, rimaneva aperta.

La domanda proposta, pertanto, deve essere rigettata. Va da sé che anche la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta dal convenuto per quanto indicato a proposito dell’insorgenza dell’obbligazione di custodia deve essere rigettata.

Le spese di lite, per la natura della controversia, possono essere compensate.

Le spese di C.T.U. devono essere poste a definitivo carico dell’attore.

P.Q.M.

       Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe riportata, respinta ogni altra domanda o eccezione, così provvede:

1) rigetta la domanda proposta da Paolo B.;

2) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta da P. B.;

3) spese di lite compensate;

4) spese di C.T.U. a definitivo carico dell’attore.

Venezia, li 23 febbraio 2007

PUBBLICATA IL 2 MAGGIO 2007