Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1803 - pubb. 06/08/2009

Esdebitazione per fallimenti dichiarati prima della riforma

Cassazione penale, 11 Settembre 2008, n. 35118. Est. Piccialli.


Esdebitazione – Fallimento dichiarato prima del 16 luglio 2006 – Esclusione.



I soggetti dichiarati falliti prima del 16 luglio 2006, data di entrata in vigore della recente riforma delle procedure concorsuali di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006, non possono giovarsi del beneficio della esdebitazione qualora il fallimento sia stato chiuso prima di tale data. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato




 

omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Trieste con la sentenza indicata in epigrafe confermava quella di primo grado con la quale B. G. era stato ritenuto responsabile del reato di bancarotta semplice documentale perché, nella qualità di socio accomandatario della B. B. S. s.a.s., dichiarata fallita in data 14 dicembre 2000, non aveva tenuto (ovvero non ne aveva impedito la mancata tenuta) i libri e le altre scritture previste dalla legge, in particolare il libro giornale ed il libro inventari della società previsti dall'art. 2214 c.c. ed i libri sociali previsti dall'art. 2421 c.c. (L. Fall., ex art. 222, art. 217, comma 2). Con riferimento alla richiesta difensiva diretta alla declaratoria di estinzione del reato per chiusura della procedura concorsuale ex artt. 142 e 241, L. Fall., i giudici di appello ne argomentavano la infondatezza sul rilievo del difetto di prova dell'avvenuta attivazione del procedimento di esdebitazione ex artt. 142 e 145, L. Fall., e della intervenuta pronuncia da parte del Tribunale della declaratoria di inesigibilità nei confronti del debitore già dichiarato fallito dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente, essendosi la difesa limitata a produrre copia del solo decreto di chiusura della procedura concorsuale per completa distribuzione dell'attivo realizzato.

Ricorre il difensore dell'imputato chiedendo l'estinzione del reato di bancarotta semplice o, in subordine, la remissione degli atti alla Corte Costituzionale per la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 241, con riferimento all'art. 3 Cost. Lamenta, in sostanza, l'impossibilità giuridica per l'imputato di accedere alla procedura della esdebitazione introdotta con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, non ricorrendo le condizioni previste dall'art. 150 del richiamato decreto e D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 19.

Sottolinea che l'art. 241, L. Fall., rimasto immutato, in relazione a tali casi continua a fare riferimento alla procedura di riabilitazione e non a quella di esdebitazione. Cita alcune pronunce di merito in cui, attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata, si sarebbe sostenuto che l'entrata in vigore della nuova legge fallimentare, con il conseguente venir meno dell'istituto della riabilitazione, avrebbe comportato per tutti gli iscritti nel registro dei falliti una sorta di riabilitazione ex lege, in linea con i criteri ispiratori della nuova procedura fallimentare. In subordine solleva, appunto, questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 241, sostenendo il contrasto di tale disposizione con l'art. 3 Cost.

Il ricorso è infondato.

In premessa, va ricordato che il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 128, con decorrenza dal 16 luglio 2006, ha sostituito il capo IX del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, che prevedeva le condizioni e gli effetti del procedimento di riabilitazione del fallito. Le nuove disposizioni fanno riferimento all'istituto della "esdebitazione", che comporta a favore del fallito persona fisica, alle condizioni ivi espressamente previste, il beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti.

Ai sensi dell'art. 150 del citato D.Lgs., che regola la disciplina transitoria, i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell'entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore. La norma indicata è stata poi modificata dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 19, entrato in vigore il 1 gennaio 2008, che ha espressamente statuito che le disposizioni di cui al capo IX della esdebitazione si applicano anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Il quadro normativo sopra delineato consente, pertanto, di osservare che i soggetti dichiarati falliti prima dell'entrata del D.Lgs. n. 5 del 2006 non possono giovarsi del beneficio della esdebitazione qualora il fallimento sia già stato chiuso prima di quella data. Di conseguenza, è erroneo il riferimento alla procedura di esdebitazione fatto nel caso in esame dalla Corte di merito, sia pure per rigettare l'istanza, considerato che la sentenza di fallimento era intervenuta in data 14 dicembre 2000. All'evidenza, tale erronea indicazione non è però rilevante ai fini della tenuta logico-giuridica della sentenza gravata, in considerazione dell'esito della decisione, che è sostanzialmente corretta, siccome recettiva della infondata pretesa difensiva.

L'infondatezza della doglianza discende, infatti, dall'inapplicabilità ratione temporis dell'istituto invocato.

In questa prospettiva, l'eccezione di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 241, sollevata con riferimento all'art. 3 Cost., è assorbentemente irrilevante, essendo, all'evidenza, priva di rilievo in questa sede, proprio per la richiamata inapplicabilità della norma alla fattispecie in esame, ammessa del resto dallo stesso difensore. In ogni caso, va osservato che il ricorrente ha erroneamente formulato l'eccezione, che non riguarderebbe, in ogni caso, la L. Fall., art. 241, che prevede quale effetto della riabilitazione civile del fallito l'estinzione del reato di bancarotta semplice, ma semmai il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 150, nella parte in cui non prevede la persistente applicabilità, nei confronti di coloro il cui fallimento sia stato disciplinato dalla previgente normativa fallimentare, delle disposizioni che prevedevano e regolavano la procedura di riabilitazione. La doglianza, anche diversamente indirizzata, sarebbe comunque infondata, ove si consideri che la lamentata diversità di trattamento, lungi dall'essere arbitraria, è correlata all'applicabilità ratione temporis della disciplina censurata, secondo una determinazione del legislatore che, in quanto coerente con le ragioni dell'intervento di modifica, non viola il principio di eguaglianza fissato dall'art. 3 Cost.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

omissis


Testo Integrale