Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25275 - pubb. 12/05/2021

Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari: verifica delle categorie e conflitto di interessi

Tribunale Prato, 30 Marzo 2021. Pres., est. Brogi.


Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari – Verifica del tribunale dei criteri di formazione della categoria dei creditori non aderenti che subiscono l’estensione dell’accordo – Necessità

Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari – Conflitto di interessi e contrasto di interessi – Neutralizzazione – Modalità



Nell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, il tribunale ha il compito verificare la corretta formazione della categoria dei creditori non aderenti che subiscono l’estensione dell’accordo e il raggiungimento delle maggioranze prescritte dall’art. 182 septies, comma 2, l.fall..

Considerata la riconducibilità dell’accordo di ristrutturazione alla categoria del contratto sono applicabili i principi generali contenuti nella disciplina generale di cui agli artt. 1321 ss., a partire dal principio di conservazione (artt. 1367, 1419, 1424 c.c.), ripreso, peraltro, anche in materia di delibere societarie; di conseguenza, nell’ipotesi in cui non sia corretta l’individuazione della categoria operata in seno all’accordo è possibile ipotizzare, quasi come se si trattasse di una sorta di prova di resistenza, se l’accordo possa reggere a seguito della diversa prospettazione delle categorie.

Il problema della neutralizzazione del voto contrario o della mancata adesione del creditore cd. qualificato inserito in una categoria ex art. 182 septies, comma 2, l.fall. presuppone la necessaria distinzione tra conflitto di interessi e contrasto di interessi.

Il primo determina una possibile patologia ai fini della decisione o del voto su una proposta concordataria o sull’adesione ad un accordo secondo il principio maggioritario che viene neutralizzata mediante la mancata considerazione sia ai fini della percentuale totale dei crediti rilevanti all’interno della classe o della categoria, sia ai fini della manifestazione del voto o dell’adesione.

Il secondo determina, invece, una vicenda fisiologica che può condurre la parte a raggiungere un accordo o ad aderire alla proposta del debitore o a ritenere quest’ultima (o l’accordo proposto) non conveniente al punto da esprimere un voto contrario (sulla proposta concordataria) o da non aderire ad un accordo di ristrutturazione.

La valutazione circa l’adesione all’accordo proposto dal debitore e la possibile sterilizzazione del creditore non aderente al quale si vuole estendere il trattamento della categoria di creditori non possono ampliarsi al punto di andare a sindacare una valutazione di non convenienza da parte del creditore, al di là dei limiti percentuali codificati nell’art. 182 septies, comma 2, l.fall., in mancanza di elementi fattuali che portino a ritenere che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario a buona fede; la valutazione di convenienza in ordine alle alternative concretamente praticabili è, infatti, prevista nell’art. 182 septies, comma 4, l.fall. per l’estensione degli effetti dell’accordo al creditore non aderente, ma non per superare il limite del settantacinque per cento dei crediti di cui siano titolari i creditori aderenti all’accordo al fine di ottenere l’estensione degli effetti di quest’ultimo anche ai non aderenti. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


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omissis.

L’art. 182 septies, comma 1, l.fall. prevede, infatti, che:

“Quando un’impresa ha debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, la disciplina di cui all’articolo 182-bis, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, è integrata dalle disposizioni contenute nei commi secondo, terzo e quarto.

Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari.”. Dall’incipit della norma si ricavano due corollari importanti: l’art. 182 septies l.fall., in primo luogo, non è qualcosa di diverso dagli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis l.fall., ma va ad integrare la disciplina prevista in quest’ultima norma nell’ipotesi di composizione qualificata dell’esposizione debitoria nei confronti di banche o intermediari finanziari. In secondo luogo, viene marcata la deroga rispetto ad uno dei principi della disciplina generale dei contratti, i.e. il principio di relatività ex art. 1372 c.c., consentendo che l’efficacia dell’accordo venga estesa, alle condizioni indicate nello stesso art. 182 septies l.fall., anche ai creditori non aderenti. In particolare, il secondo comma della norma appena richiamata prevede che: “L’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182 bis può individuare una o più categorie tra i creditori di cui al primo comma che abbiano fra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei. In tal caso, con il ricorso di cui al primo comma di tale articolo, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, quando tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il settantacinque per cento dei crediti della categoria. Una banca o un intermediario finanziario può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria.”.

Il collegio, anche alla luce di quanto stabilito in merito al controllo di legittimità sostanziale dal precedente della Corte di Cassazione sopra richiamato ritiene che sia compito del tribunale verificare la corretta formazione della categoria e il raggiungimento delle maggioranze prescritte dall’art. 182 septies, comma 2, l.fall. per l’estensione dell’accordo ai creditori non aderenti. Tanto più che lo stesso art. 182 septies, comma 4, l.fall. stabilisce che: “Il tribunale procede all’omologazione previo accertamento, avvalendosi ove occorra di un ausiliario, che le trattative si siano svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo: a) abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti; b) abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative; c) possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.”. Non solo: l’estensione degli effetti dell’accordo, come risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 182 septies, comma 2, l.fall. consegue ad una pronuncia del tribunale in sede di omologazione (il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria...), con la conseguente necessità del previo accertamento dei requisiti previsti nei commi 2, 3, 4 dell’art. 182 septies l.fall. A tale proposito occorre rilevare che l’art. 182 septies, comma 4, lett. c) l.fall. fa riferimento alla necessaria verifica che l’accordo esteso ai creditori non aderenti determini una soddisfazione non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, imponendo una sorta di cd. cram down anche in assenza di opposizione all’omologazione da parte dei creditori non aderenti, affinché vengano estesi loro gli effetti di un accordo al quale non hanno inteso prendere parte.

Dando per accertato che nella specie, per quanto già indicato (v. supra), sussista la condizione relativa alla presenza di un indebitamento nei confronti delle banche superiore al cinquanta per cento viene in rilievo la questione relativa alla composizione della categoria. La parte ricorrente ha predisposto un’unica categoria di creditori bancari, comprendendo al suo interno sia i crediti ipotecari che quelli chirografari ed evidenziando una percentuale di creditori aderenti pari al 78,78%. Ha poi evidenziato la possibilità del tribunale di riqualificare tale categoria, mediante la suddivisione in due categorie:

quella dei creditori ipotecari e quella dei creditori chirografari.

In tale seconda ipotesi uno dei due creditori non aderenti (I.) vanta un credito di ammontare tale da non consentire integrato il requisito previsto dall’art. 182 septies, comma 2, l.fall., considerato che nell’ambito della categoria dei crediti chirografari sarebbe superiore non solo al venticinque per cento, ma persino al cinquanta per cento. Sul punto, si richiama quanto già rilevato nel decreto 3 febbraio 2020 e, in particolare, circa la necessaria omogeneità della posizione giuridica ed economica tra le posizioni dei creditori inseriti all’interno della medesima categoria, perché richiesta dall’art. 182 septies l.fall. quale condizione per l’estensione dell’adesione prestata dal settantacinque per cento dei creditori anche al venticinque per cento dei creditori non aderenti all’accordo. Non si può parlare di posizione giuridica e interessi economici omogenei tra creditori ipotecari e creditori chirografari. Di conseguenza, nella specie, la presenza di creditori (bancari e finanziari) ipotecari e chirografari rende difficilmente plausibile lo scenario di una medesima categoria. Sul punto non possono essere condivise le osservazioni a pag. 67 dell’attestazione: la circostanza che i creditori ipotecari non abbiano attivato la garanzia reale, sottoponendo ad esecuzione i beni oggetto di iscrizione ipotecaria non fa venir meno la differente posizione sia giuridica che economica nelle prospettive di realizzazione del credito rispetto ai creditori meramente chirografari, essendo evidente che i primi in mancanza di rinuncia espressa alla garanzia (non avvenuta nel caso di specie) mantengono inalterato il diritto (anche in eventuale esito negativo dell’accordo eventualmente omologato) ad una soddisfazione prioritaria sul ricavato del bene.

Per ovviare a possibili censure sul punto la parte ricorrente ha prospettato la riqualificazione delle categorie da parte del tribunale prevedendo una suddivisione dei creditori in due categorie: ipotecari e chirografari e prospettando il raggiungimento dell’adesione da parte del settantacinque per cento dei creditori in entrambi i casi, ancorché nel caso della categoria dei chirografari mediante la sterilizzazione del credito di I. dallo stesso computo della percentuale indicata nell’art. 182 septies, comma 2, l.fall. in relazione ad un ipotizzato conflitto di interesse del creditore non aderente.

Le questioni assai complesse che vengono in rilievo sul punto sono diverse e da verificare analiticamente una ad una.

La prima attiene alla stessa possibilità per il tribunale di riqualificare la categoria predisposta in sede di accordo mediante una suddivisione, ope iudicis, in due categorie connotate dall’inserimento di interessi giuridici ed economici omogenei. A tal proposito l’art. 182 septies, comma 2, l.fall. parla di categoria o di categorie individuate nell’accordo. Il tenore letterale della norma sembrerebbe, quindi, difficilmente compatibile con un intervento giudiziale di riqualificazione e di suddivisione delle categorie.

Le categorie sono individuate mediante l’accordo stesso e su tale accordo non sembra aprirsi uno spazio per un intervento eteronomo di riclassificazione da parte del tribunale. La stessa attestazione (doc. 8) si sofferma (ancorché con considerazioni non condivise dal collegio, v. supra) solo sull’ipotesi di un’unica categoria omnicomprensiva.

Considerata la riconducibilità dell’accordo di ristrutturazione alla categoria del contratto sono, tuttavia, applicabili i principi generali contenuti nella disciplina generale di cui agli artt. 1321 ss., a partire dal principio di conservazione (artt. 1367, 1419, 1424 c.c.), ripreso, peraltro, anche in materia di delibere societarie. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui non sia corretta l’individuazione della categoria operata in seno all’accordo è possibile ipotizzare quasi come se si trattasse di una sorta di prova di resistenza se l’accordo possa reggere a seguito della diversa prospettazione delle categorie in seno all’accordo. Tale valutazione può presentare margini di complessità ardui se si considera che, accanto all’elementare suddivisione in base alla garanzia (i.e. tra creditori ipotecari, creditori garantiti da pegno o da fideiussione personale e chirografari), possono ipotizzarsene delle altre (ad es. in caso di linee autoliquidanti ecc.). Si tratta, pertanto, di ipotesi che presenta margini di applicazione da maneggiare con cura proprio perché l’unico intervento del tribunale è fondato, ma al tempo stesso delimitato, dal principio di conservazione degli atti negoziali, senza alcuna possibilità di modificare l’accordo. Ne consegue che laddove una ripartizione per categorie diversa da quella indicata nell’accordo consenta di soddisfare il requisito di omogeneità della posizione giuridica ed economica, senza alterare il trattamento dei creditori non sembra conforme ad un’interpretazione sistematica, anche alla luce dei principi generali in materia di contratto, fermarsi al solo dato formale dell’art. 182 septies l.fall., seppure con il caveat sopra precisato.

Dato atto che possono essere prese in considerazione due categorie: quella degli ipotecari e quella dei creditori chirografari occorre evidenziare che mentre nella prima categoria non si pongono problemi, nella seconda si pone una questione particolarmente ardua, relativa alla mancata possibilità di escludere i creditori non aderenti, per i quali si richiede l’estensione dell’efficacia dell’accordo, dal computo della percentuale del settantacinque per cento.

Viene, così, in rilievo la seconda, ancor più complessa, questione relativa alla sterilizzazione del computo dei creditori non aderenti ai quali si vuole estendere l’accordo ai sensi dell’art. 182 septies l.fall. dal calcolo per la verifica circa il raggiungimento della percentuale del settantacinque per cento, in ragione del conflitto di interessi ipotizzato dalla parte ricorrente. Si tratta di questione studiata da autorevole dottrina, ma non ancora affrontata nella pratica, quanto meno in precedenti conosciuti dal collegio.

La parte ricorrente, richiama, a tal fine, una pronuncia resa dal massimo consesso di legittimità con riferimento al conflitto di interessi nell’ambito del concordato fallimentare (Cass., S.U., n. 17186/2018), con considerazioni estensibili sicuramente al concordato preventivo. Le Sezioni Unite hanno elaborato e ritenuto applicabile la categoria del conflitto di interesse, partendo da dati normativi specifici e in particolare dall’art. 2373 c.c. e 2379 ter c.c. (con riferimento alle delibere delle assemblee di capitali), dall’art. 127, commi 5 e 6, l.fall. per il concordato fallimentare e dall’art. 163, comma 6, l.fall. (in materia di proposte concorrenti). Viene altresì in rilievo l’art. 177, comma 4, l.fall. con riferimento al concordato preventivo. Nel caso deciso dalle S.U. cit. si è ritenuto dovessero essere escluse dal voto sulla proposta di concordato fallimentare due creditori che appartenevano al medesimo gruppo societario delle proponenti.

Con riferimento agli accordi di ristrutturazione non vi è alcuna disposizione espressa o altra previsione speciale in materia di conflitto di interessi. Ciò è facilmente spiegabile se si considera che l’accordo ex art. 182 bis l.fall. si fonda sulla summa divisio tra creditori aderenti e creditori non aderenti: i primi accettano la proposta fatta dal debitore e sottoscrivono un accordo con quest’ultimo, mentre i secondi devono essere pagati entro centoventi giorni dall’omologazione o dal termine di scadenza del loro credito. Anteriormente all’introduzione degli accordi ad efficacia estesa ad opera dell’art. 182 septies l.fall. non si poneva, quindi, neppure astrattamente il problema circa la possibile rilevanza di un conflitto di interessi, così come elaborata nell’ambito del concordato preventivo e nel concordato fallimentare. L’eventuale presenza di situazioni corrispondenti, ad esempio, a quelle tipizzate dall’art. 127, commi 5 e 6 o 177, comma 4, l.fall. era oggetto di regolazione negoziale o non comportava alcuna ripercussione sul pagamento integrale dei creditori non aderenti all’accordo.

L’introduzione dell’art. 182 septies l.fall. con riferimento ad una particolare categoria di creditori (bancari e finanziari) ha introdotto la possibilità di estensione degli effetti, in presenza della formazione di una categoria di creditori accomunati da una posizione giuridica ed economica omogenea, sempreché il settantacinque per cento dei crediti inseriti in tale categoria sia riferito a creditori che abbiano aderito all’accordo e il tribunale estenda, su richiesta del debitore, gli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti. Ciò ha portato alla luce la questione relativa alla possibile rilevanza del conflitto di interessi. Quest’ultimo è, difatti, intimamente collegato al funzionamento del principio maggioritario, come dimostrano le applicazioni in materia di delibere societarie (art. 2373 c.c.), ancorché abbia una vita propria anche all’infuori del funzionamento della regola maggioritaria, come dimostra il caso del contratto del rappresentante con sé stesso (art. 1394 c.c.). In altre parole, la contaminazione dell’art. 182 septies, comma 2, l.fall. con il modello di formazione del consenso sulla proposta concordataria che vede la maggioranza favorevole prevalere sulla minoranza dissenziente, con la possibilità che il concordato, una volta omologato, diventi obbligatorio per tutti i creditori anteriori (art. 184 l.fall.) porta a chiedersi se possa operare anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (secondo la definizione che ne dà il Codice della crisi, all’art. 61 CCII) la categoria del conflitto di interessi (e in caso di risposta positiva come possa operare).

La scelta del legislatore, con l’introduzione dell’art. 182 septies l.fall., è stata quella di impedire che il dissenso di una percentuale non superiore al quarto dei creditori inseriti nella categoria possa paralizzare la possibilità di pervenire all’intero accordo o faccia richieste eccessivamente elevate in relazione alle alternative concretamente praticabili.

Se è vero che l’art. 182 septies l.fall. innesta nella disciplina degli accordi di ristrutturazione una contaminazione con principi e modelli di natura concordataria ciò non determina una trasmigrazione totale dei primi nei secondi. A prescindere dalla vexata quaestio relativa alla natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione (non rilevante nel caso di specie, ma ormai risolta in senso positivo da un consolidato indirizzo maturato nella recente giurisprudenza di legittimità) resta che nell’accordo ex art. 182 bis l.fall. il consenso dei creditori aderenti sulla proposta del debitore si forma al di fuori della procedura; lo stesso art. 182 septies l.fall. introduce il concetto di categoria individuata nell’accordo e non di classe predisposta dal debitore; l’estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti ex art. 182 septies l.fall. presuppone una verifica, ex multis, circa il conseguimento da parte di questi ultimi di una soddisfazione non inferiore alle alternative concretamente praticabili che nell’ipotesi di creditore dissenziente inserito in una classe all’interno di un piano di concordato preventivo richiede una formale opposizione all’omologazione di quest’ultimo (sempreché ricorrano i requisiti per l’opposizione all’omologazione ex art. 180, comma 4, l.fall.). Inoltre, la decisione di omologazione del concordato preventivo da parte del tribunale ne comporta l’efficacia indistinta per tutti i creditori anteriori ex art. 184 l.fall. (senza che il tribunale possa escludere tale effetto per uno o più creditori dissenzienti inseriti in una determinata classe), mentre il decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione in cui sia prevista una categoria di creditori con le caratteristiche di cui all’art. 182 septies, commi 1 e 2, l.fall. potrebbe non dichiarare l’estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti, in caso di mancato riscontro da parte del tribunale delle condizioni e requisiti previsti nella norma appena richiamata (secondo una condivisibile opzione interpretativa), sempreché sia possibile in presenza delle condizioni di attuabilità richieste dall’art. 182 bis l.fall., ad es. per la presenza di adeguati fondi rischi o di garanzie di terzi salvaguardare l’accordo nel suo insieme (in virtù dell’applicazione del già citato principio di conservazione).

Per tutti i creditori non aventi la qualifica di banche o intermediari finanziari residuano poi le regole dell’art. 182 bis l.fall., con la conseguenza che la mancata adesione all’accordo implica la necessità della loro soddisfazione integrale nel termine di centoventi giorni dall’omologazione dell’accordo o dalla scadenza del debito.

Da un punto di vista sistematico, poi, l’art. 182 septies l.fall. ricostruisce la disciplina integrativa di quella contenuta nell’art. 182 bis l.fall. come ipotesi di deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. (con una scelta lessicale riproposta negli accordi ad efficacia estesa disciplinati nell’art. 61 CCII).

L’art. 182 septies l.fall. viene, quindi, costruito come ipotesi di deroga al principio di relatività del contratto di cui all’art. 1372 c.c., consentendo che un accordo concluso nei casi e alle condizioni rispettivamente previsti nel primo e nel secondo comma dell’art. 182 septies l.fall. esplichi i propri effetti, sulla base di un’espressa previsione contenuta nel decreto di omologazione, anche ai creditori non aderenti che si vendono, così, imposta la ristrutturazione del loro credito alle condizioni pattuite dal debitore con (almeno) il settantacinque per cento dei creditori appartenenti alla medesima categoria. Ciò porta a chiedersi, in primo luogo, se il legislatore abbia tipizzato le ipotesi di estensione dell’accordo ai creditori non aderenti, ritenendo necessarie sempre e comunque le condizioni stabilite nell’art. 182 septies l.fall. e, conseguentemente, se la deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. non possa subire alcuna estensione analogica. Occorre, in altre parole, stabilire se il legislatore abbia ritenuto di disciplinare, al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 182 septies, commi 1 e 2, l.fall., il solo contrasto di interessi tra debitore e creditore non aderente o anche l’eventuale conflitto di interessi di cui quest’ultimo sia portatore.

Primo e inconfutabile dato certo è costituito dalla mancanza negli accordi ad efficacia estesa di cui all’art. 182 septies l.fall. di alcuna previsione o di alcun dato normativo da cui ricavare una possibile soluzione, come avviene, invece, nel caso del concordato fallimentare (art. 127, commi 5 e 6 l.fall.) o del concordato preventivo (art. 177, comma 4, l.fall.).

La possibile rilevanza o meno del conflitto di interessi del creditore all’interno dell’accordo con efficacia estesa ex art. 182 septies l.fall. diventa, quindi, questione da risolvere a livello interpretativo.

Secondo un’interpretazione formale dell’art. 182 septies l.fall. ancorata all’assenza di dati normativi che diano rilevanza al possibile conflitto di interessi del creditore e alla portata derogatoria della norma rispetto al principio di relatività del contratto la risposta potrebbe essere negativa. Tanto più che nell’ipotesi del concordato preventivo l’art. 177, comma 1, l.fall. prevede che: “Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto.”. L’approvazione della proposta richiede il voto favorevole della maggioranza dei creditori ammessi al voto. Non sono ammessi al voto i creditori in conflitto di interessi (salva l’ipotesi prevista nell’art. 163, comma 6, l.fall.). L’art. 182 septies, comma 2, l.fall. ai fini dell’estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti richiede che i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il settantacinque per cento della categoria.

Nel caso in esame I. vanta un credito di euro 859.000, mentre gli altri creditori chirografari ammontano a complessivi euro 472.000 (compreso quello di B., creditore non aderente). Laddove non si ritenesse valida la rinuncia alla cessione del credito iva da parte di I. in relazione all’accordo del 2019 questione particolarmente critica che sarà esaminata più avanti il credito scenderebbe sì a circa euro 333.000 (v. rel. ausiliari 6 marzo 2020), ma sommato a quello di B. (euro 114.000) farebbe sì che non fosse, comunque, integrato il requisito del settantacinque per cento di crediti aderenti richiesto dall’art. 182 septies, comma 2, l.fall. per poter estendere gli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti. A cascata si avrebbe poi la mancata attuabilità della transazione fiscale e la mancata presenza delle risorse per il pagamento dei creditori non aderenti B. e I. In sostanza, ritenere che l’art. 182 septies l. fall. regoli anche il conflitto di interessi e non solo del contrasto di interessi insito nella mancata adesione all’accordo farebbe sì che quest’ultimo non sia omologabile.

La ricostruzione di una categoria di creditori cd. qualificati, non solo in termini soggettivi (banche o intermediari finanziari), ma anche in relazione al carattere omogeneo (in termini giuridici ed economici) della categoria in cui sono inseriti e all’operatività di un principio maggioritario (seppure sulla base di una maggioranza, anch’essa qualificata, di almeno il settantacinque per cento) potrebbe portare, tuttavia, a far assumere un qualche rilievo al conflitto di interessi, anche ai fini dell’applicazione dell’art. 182 septies, comma 2, l.fall.

Ciò richiede, comunque, alcune precisazioni e distinzioni.

La prima riguarda la considerazione in ordine alla circostanza che le tecniche di superamento del conflitto di interessi sono astrattamente due: l’inclusione del creditore in una classe (o categoria nel caso dell’accordo di ristrutturazione) e la sterilizzazione del voto. Entrambe le tecniche sono presenti nel concordato preventivo: la prima per i creditori che presentino la proposta concorrente (con il necessario inserimento in una classe per poter esercitare il diritto di voto, ai sensi dell’art. 163, comma 6, l.fall.) e la seconda nell’art. 177, comma 4, l.fall. Nell’art. 182 septies l. fall. non può trovare applicazione la prima ipotesi, non sembrando affatto configurabile, alla luce del tenore letterale della norma, una categoria costituita con il solo creditore non aderente, ma viene in rilievo solo l’ipotesi di possibile sterilizzazione del voto.

La seconda è che, mentre nel concordato preventivo il debitore predispone il piano e la proposta e va a cercare il consenso su quest’ultima all’interno della procedura concorsuale, dove il giudice delegato può escludere dalle operazioni di voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi, nell’accordo di ristrutturazione la categoria di creditori (bancari e finanziari) di cui all’art. 182 septies l.fall. è individuata nello stesso accordo ed è il debitore che chiede di estendere gli effetti ai creditori non aderenti. Nella specie Istria chiede che non venga considerato ai fini della verifica del raggiungimento della percentuale del settantacinque per cento il credito di I. Ora è evidente che ciò non può discendere da una decisione unilaterale del debitore che propone l’accordo (o anche del debitore e dei creditori che rappresentino il settantacinque per cento della categoria), ma deve essere oggetto di una verifica giudiziale. In altre parole, se il conflitto di interessi non è espressamente contemplato dall’art. 182 septies l.fall. (così come dall’art. 61 CCII, nonostante l’art. 109 CCII, in materia di concordato preventivo, ne preveda, per la prima volta, una codificazione espressa in termini generali escludendo dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi) è altrettanto vero che la sua rilevanza esclusivamente all’interno della categoria individuata nell’art. 182 septies l.fall., per quanto già rilevato supra deve essere, ove ritenuta ammissibile, oggetto di accertamento e di verifica da parte del tribunale in sede di omologazione.

La terza è che occorre distinguere, tanto più con riferimento al creditore non aderente tra contrasto di interessi e conflitto di interessi, richiamando quanto evidenziato dallo stesso massimo consesso di legittimità nella decisione richiamata in materia di concordato fallimentare:

“Ora, tra chi formula la proposta di concordato (così come, del resto, una qualsiasi proposta contrattuale) e i creditori che tale proposta sono chiamati ad accettare (così come, in genere, i destinatari di una qualsiasi proposta contrattuale) vi è un contrasto di interessi di carattere immanente, coessenziale alle loro stesse qualità, essendo l’uno propriamente qualificabile come controparte degli altri: interessato, il primo, a concludere l’accordo con il minor esborso possibile, e gli altri, all’opposto, a massimizzare la soddisfazione dei loro crediti.” (Cass., S.U. n. 17186/2018 cit.). Tale contrasto di interessi è da ritenere presente anche negli accordi di ristrutturazione, dove l’accordo risolve all’infuori e prima della domanda di omologazione il contrasto di interessi tra debitore e creditore.

Nell’ipotesi prevista nell’art. 2373, comma 1, c.c., così come nei casi previsti negli artt. 127, commi 5 e 6, 177 e 163, comma 6, l.fall. il possibile conflitto di interesse attiene alla deliberazione assunta con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società (nella prima ipotesi) o a votare positivamente la proposta di concordato fallimentare o preventivo o concorrente. In sostanza, il conflitto di interessi influisce sulla formazione di una decisione assembleare o su una proposta concordato che diviene vincolante, rispettivamente, anche per i soci dissenzienti o per i creditori non votati e dissenzienti.

In caso di proposta di concordato fallimentare la recente pronuncia delle S.U. (n. 17186, cit.) ha sterilizzato il voto dei creditori che appartenevano allo stesso gruppo societario delle proponenti, mentre con riferimento alla disciplina del concordato preventivo l’art. 163, comma 6, l.fall. prevede il necessario inserimento in una classe per il credito del proponente, quale condizione necessaria per l’esercizio del diritto di voto. Nell’ipotesi in cui si sterilizzi, senza ammettere al voto, il credito di colui che, mediante il proprio voto (positivo), potrebbe rendere vincolante una delibera o una proposta concordataria anche per soggetti contrari all’adozione della prima o alla formazione dell’accordo sulla seconda, in base al principio maggioritario, è possibile richiamare quanto precisato dalle S.U. cit. e cioè che: “Il tema del conflitto di interessi dei creditori nei concordati di massa è stato oggetto di attenzione in dottrina, rinvenendosi in esso, al pari che nelle assemblee societarie, un terreno privilegiato di verifica della tenuta di un principio cardine del diritto privato, quello dell’autonomia negoziale, vista nel suo risvolto negativo di divieto di eteronomia, ossia quale principio di intangibilità della sfera giuridica di ciascuno da parte della volontà altrui. In tale prospettiva, si è condivisibilmente osservato che l’eteronomia nei confronti della minoranza, insita nella regola di prevalenza della maggioranza, applicabile all’approvazione del concordato così come alle assemblee societarie, in tanto è compatibile con il principio dell’autonomia privata, in quanto sia giustificata dalla necessità di realizzare, appunto, un interesse comune a tutti i partecipanti; sicché il principio (di autonomia) è messo in crisi tutte le volte in cui la scelta della maggioranza sia inquinata in maniera decisiva dalla presenza, in capo a taluno dei suoi componenti, di un conflitto di interessi, il quale va pertanto neutralizzato, o ‘sterilizzato’, come pure suol dirsi.”.

Tale ipotesi, a stretto rigore, potrebbe verificarsi, in positivo anche nell’ipotesi di accordo ex art. 182 septies l.fall. nell’ipotesi di presenza, ad es. di un rapporto tra creditore e debitore corrispondente a quello previsto nell’art. 177, comma 4, l.fall.

Viceversa, l’ipotesi in cui si cerchi di sterilizzare il credito del dissenziente (rispetto alla proposta concordataria) o del non aderente all’accordo la questione diventa più complessa. Non è tanto un problema di ammissibilità: l’art. 2373, comma 2, c.c., seppure con una formulazione diversa da quella prevista nel primo comma della stessa norma, prevede, pur sempre, un’ipotesi di conflitto di interessi di cui è portatore l’amministratore in relazione alla delibera sulla sua responsabilità. È evidente che la ratio della norma che in tale ipotesi preclude il voto all’amministratore risiede pur sempre in un conflitto di interessi in ordine all’adozione di una decisione a sé sfavorevole.

Il problema della neutralizzazione del voto contrario o della mancata adesione del creditore cd. qualificato inserito in una categoria ex art. 182 septies, comma 2, l.fall. presuppone, tuttavia, la necessaria distinzione tra conflitto di interessi e contrasto di interessi.

Il primo determina una possibile patologia ai fini della decisione o del voto su una proposta concordataria o sull’adesione ad un accordo secondo il principio maggioritario che viene neutralizzata mediante la mancata considerazione sia ai fini della percentuale totale dei crediti rilevanti all’interno della classe o della categoria, sia ai fini della manifestazione del voto o dell’adesione.

Il secondo determina, invece, una vicenda fisiologica che può condurre la parte a raggiungere un accordo o ad aderire alla proposta del debitore o a ritenere quest’ultima (o l’accordo proposto) non conveniente al punto da esprimere un voto contrario (sulla proposta concordataria) o da non aderire ad un accordo di ristrutturazione. Conflitto di interessi e contrasto di interessi devono essere tenuti sempre ben distinti e non è sufficiente la mancata composizione del secondo all’interno di un accordo per poter ravvisare la presenza del primo. Le zone grigie diventano, tuttavia, più frequenti in caso di mancata adesione alla proposta di concordato o di accordo e richiedono, comunque, una concreta qualificazione in fatto per poter decidere circa l’eventuale ammissione o non ammissione al voto nel concordato preventivo (e la conseguente mancata considerazione dei relativi crediti ai fini della verifica circa le maggioranze per l’approvazione di quest’ultimo) e la decisione in ordine all’eventuale mancata considerazione nella percentuale del settantacinque per cento del creditore non aderente nei confronti del quale si chiede di estendere gli effetti dell’accordo concluso (anche) ex art. 182 septies l.fall.

Un importante principio della disciplina dei contratti, non a caso evocato anche in quest’ultima norma, è quello della buona fede, che può venire in rilievo sia come obbligo di lealtà nelle trattative finalizzate alla conclusione dell’accordo, sia come buona fede esecutiva in relazione alla fase patologica del rapporto che vede la banca o l’intermediario finanziario aver eseguito la prestazione senza aver ricevuto quella del debitore. In tale seconda prospettiva se è vero che la buona fede può specificarsi anche come impegno di salvaguardia, resta fermo che il soggetto è tenuto a far salvo l’interesse altrui ma non fino al punto di subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico. Ciò significa che la valutazione circa l’adesione all’accordo proposto dal debitore e la possibile sterilizzazione del creditore non aderente al quale si vuole estendere il trattamento della categoria di creditori non possono ampliarsi al punto di andare a sindacare una valutazione di non convenienza da parte del creditore, al di là dei limiti percentuali codificati nell’art. 182 septies, comma 2, l.fall., in mancanza di elementi fattuali che portino a ritenere che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario a buona fede. La valutazione di convenienza in ordine alle alternative concretamente praticabili è, infatti, prevista nell’art. 182 septies, comma 4, l.fall. per l’estensione degli effetti dell’accordo al creditore non aderente, ma non per superare il limite del settantacinque per cento dei crediti di cui siano titolari i creditori aderenti all’accordo al fine di ottenere l’estensione degli effetti di quest’ultimo anche ai non aderenti.

omissis