Diritto Penale


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26083 - pubb. 26/10/2021

La domanda avente ad oggetto l’indennizzo ex art. 35-ter, comma 1, O.P. (detrazione di pena) non può considerarsi neppure implicitamente comprensiva dell’indennizzo in forma pecuniaria

Tribunale Alessandria, 20 Maggio 2021. Est. Vignera.


Ordinamento penitenziario - Istituti di prevenzione e pena - Divieto di trattamenti disumani e degradanti - Istanza di detrazione di pena - Sopravvenuta cessazione dell'esecuzione della pena - Conseguenze - Competenza del magistrato di sorveglianza - Perpetuatio - Esclusione - Sopravvenuta inammissibilità della domanda - Affermazione (l. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, artt. 35-ter; cod. proc. civ., art. 5; cod. proc. pen., art. 666)



La domanda avente ad oggetto l’indennizzo ex art. 35-ter, comma 1, O.P. (detrazione di pena) non può considerarsi neppure implicitamente comprensiva dell’indennizzo in forma pecuniaria ex art. 35-ter, comma 3, O.P., ma integra una domanda autonoma e diversa rispetto a quella proponibile ex art. 35-ter, comma 3: con la conseguenza che essa (domanda ex art. 35-ter, comma 1) va dichiarata inammissibile ex art. 666, comma 2, c.p.p. per sopravvenuta carenza di una condizione di legge (lo status detentionis dell’istante), se nelle more del procedimento sia cessata l’esecuzione della pena. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


N. 2021/960 SIUS

N. 2021/1012 Decreto

 

Il Magistrato di Sorveglianza

letto il reclamo presentato in data 20 maggio 2019 da S. A., nato in XXXX il XXXX, già detenuto nella Casa circondariale di Alessandria ed elettivamente domiciliato al momento della scarcerazione in XXXX, difeso dall’Avv. XXXXo del Foro di XXXX (di fiducia), a seguito dell’annullamento da parte della Corte di cassazione (con sentenza del 15 settembre 2020, depositata il 25 novembre 2020) del decreto emesso da questo Ufficio il 20 agosto 2019,

OSSERVA

quanto segue.

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1. – Con atto in data 20 maggio 2019 S. A. lamentava a partire dal 5 marzo 2018 e sino al 20 maggio 2019 (periodi espiati in parte nella Casa di reclusione di XXX ed in parte nella Casa circondariale di Alessandria) condizioni di vita penitenziaria asseritamente inumane e degradanti perché “la metratura non consente un’abitabilità idonea”.

Invocando “le leggi vigenti e per come la Corte costituzionale e Strasburgo si è più volte pronunciata in merito alle norme di abitabilità dei detenuti”, chiedeva espressamente “lo sconto di pena … come previsto dall’art. 35-ter”.

Con decreto emesso de plano ai sensi dell’art. 35-bis, comma 1, O.P. e dell’art. 666, comma 2, c.p.p. questo Ufficio dichiarava l’inammissibilità del reclamo per sua assoluta astrattezza e genericità.

Con sentenza in data 15 settembre 2020 (depositata il 25 novembre 2020) la Corte di cassazione (su difforme parere del P.G.) annullava il suindicato decreto e disponeva la trasmissione degli atti a questo Ufficio per un nuovo giudizio.

In occasione dell’iscrizione del presente procedimento (avvenuta il 19 marzo 2021) è stato accertato che S. A. è stato scarcerato per integrale espiazione della pena.

 

2. - La domanda va dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 35-bis, comma 1, O.P. e 666, comma 2, c.p.p.

Invero:

condizione per il conseguimento dell’indennizzo previsto dall’art. 35-ter, comma 1, O.P. è lo stato di detenzione dell’istante;

ciò si desume sia dal testo normativo (là dove  parla di “istanza presentata dal detenuto”) sia dalla natura del relativo rimedio “risarcitorio” (consistente in una “riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito pregiudizio”: il “risarcimento” in forma pecuniaria, invero, è consentito dal comma 2 dello stesso articolo soltanto in via eccezionale e residuale);

per principio generale del nostro ordinamento giuridico le condizioni dell’azione devono persistere e/o sussistere al momento della decisione e la sopravvenuta carenza di una di esse determina  il rigetto della domanda (v. esemplificativamente in tal senso Cass. civ., Sez. I, sentenza 11 febbraio 2015 n. 2673, Rv. 634328; Cass. civ., Sez. I, sentenza 13 novembre 1996 n. 9939, Rv. 500529; Cass. civ., Sez. III, sentenza 9 febbraio 1981 n. 802, Rv. 411289);

poiché nelle more (il 14 dicembre 2019) l’istante è stato scarcerato per integrale espiazione della pena, è venuta meno la condizione dell’azione costituita dallo status detentionis del ricorrente;

quest’ultimo, pertanto, oggi si trova nella condizione per “azionare” innanzi al tribunale civile il (diverso) rimedio “risarcitorio” specificamente e testualmente previsto dall’art. 35-ter, comma 3, O.P. per “coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere” e finalizzato a conseguire il “risarcimento” attraverso la liquidazione di una somma di denaro pari ad euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale ha subito il pregiudizio;

la domanda ex art. 35-ter comma 1, O.P. è  diversa da quella ex art. 35-ter, comma 3, O.P., diversi essendo sia la rispettiva condizione dell’azione (costituita nel primo caso dallo status detentionis del ricorrente e nel secondo caso dalla già avvenuta espiazione della pena da parte di colui che lamenti il pregiudizio di cui al comma 1) sia il rispettivo petitum c.d. mediato o bene della vita che il ricorrente intende conseguire (rappresentato nel primo caso da una riduzione della pena detentiva ancora da espiare e nel secondo caso da una somma di denaro) sia il rispettivo regime processuale: di guisa che un’eventuale perpetuatio iurisdictionis della magistratura di sorveglianza non potrebbe affermarsi alla stregua dell’art. 5 c.p.c., il quale, individuando il momento determinate la giurisdizione e la competenza rispetto alla stessa domanda giudiziale, non può riguardare l’ipotesi in cui (come nella fattispecie) ci si trovi in presenza di due domande diverse;

l’odierna domanda, pertanto, va dichiarata inammissibile ex art. 666, comma 2, c.p.p. per sopravvenuta carenza di una condizione di legge (lo status detentionis del ricorrente).

 

3.1 - Tali conclusioni erano state già rassegnate da questo Ufficio nel decreto emesso il 6 luglio 2018 nel procedimento N. SIUS 2018/2869, che è stato annullato da Cass. pen., Sez. V, sentenza 21 gennaio 2019 n. 10413, Vukovic, con la seguente motivazione : “In realtà, la domanda volta ad ottenere il ristoro dal pregiudizio derivante dalla violazione dell’art. 3 CEDU è unica, ha un unico petitum che si declina diversamente, come sconto di pena o ottenimento di una somma di denaro, a seconda che l’istante abbia o meno scontato la pena, nei termini precisati dal comma 2 dell’art. 35-ter. Il presupposto che determina la competenza del Magistrato di sorveglianza piuttosto che del giudice civile è, quindi, lo stato di detenzione al momento della proposizione della domanda; la scarcerazione intervenuta nelle more della decisione influisce semplicemente sulle modalità risarcitorie, ai sensi del primo comma” (con detrazione di pena) “se detenuto o del secondo comma” (in forma pecuniaria) “se libero”.

 

3.2 - Questo ragionamento non può essere condiviso per diverse ragioni.

Esso, anzitutto, esporrebbe la norma a censura di incostituzionalità.

Invero:

poichè al momento della decisione il magistrato di sorveglianza dovrebbe (in base all’opinione qui avversata) provvedere “ai sensi del secondo comma” in quanto l’istante in quel momento è libero, il medesimo (magistrato di sorveglianza) provvederebbe allo stesso modo in cui provvede il tribunale civile (che “decide in composizione monocratica”: v. art. 35-ter, comma 3, O.P.) nei confronti di soggetto libero: vale a dire, in entrambi i casi con l’indennizzo in forma pecuniaria;

ciò, nondimeno, renderebbe privo di ragionevole giustificazione il diverso regime di impugnazione dei due provvedimenti;

infatti, il provvedimento emesso dal tribunale civile ex art. 35-ter, comma 3, O.P. “non è soggetto a reclamo” (come prescrive lo stesso art. 35-ter, comma 3, O.P.), ma esclusivamente a ricorso “straordinario” in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. da proporsi entro 60 giorni dalla notificazione ex art. 325, comma 2, c.p.c. (v. ex multis Cass. civ., Sez. I, sentenza 14 maggio 2014 n. 10450, Rv. 631223); mentre il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza ex art. 35-ter, comma 1, O.P. è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza ex art. 35-bis, comma 4, O.P., la cui decisione a sua volta è ricorribile “ordinariamente” per cassazione “nel termine di 15 giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisone stessa” (v. art. 35-bis, comma 4-bis, O.P.);

questa disparità di trattamento normativo del regime impugnatorio (in particolare, la previsione della garanzia del doppio grado di giurisdizione rispetto al procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza e l’esclusione di quella garanzia rispetto al procedimento innanzi al tribunale civile) sarebbe irragionevole e, quindi, in contrasto con l’art. 3 Cost., avendo il provvedimento del tribunale civile lo stesso contenuto (detrazione di pena ex art. 35-ter, comma 1, O.P.) di quello emesso dal magistrato di sorveglianza e promanando gli stessi in entrambi i casi da un organo monocratico;

solo la diversità del contenuto dei provvedimenti di rispettiva competenza (detrazione di pena da parte del magistrato di sorveglianza e indennizzo pecuniario da parte del tribunale civile), invece, può giustificare quel diverso regime impugnatorio perché soltanto nel primo caso (detrazione di pena da parte del magistrato di sorveglianza) si è in presenza di un provvedimento avente “incidenza sull'oggetto dell'esecuzione penale” (per usare le parole di Cass. pen., Sez. I, 16 marzo 2017 n. 47333, P.G. in proc. Chargui, Rv. 271173, sulla quale si tornerà tra poco).

 

3.3 – Il suesposto (al punto 3.1) ragionamento della Suprema corte non può essere condiviso anche per un altro motivo.

Invero:

secondo Cass. pen., Sez. V, sentenza 21 gennaio 2019 n. 10413, Vukovic, “il presupposto che determina la competenza del Magistrato di sorveglianza piuttosto che del giudice civile è … lo stato di detenzione al momento della proposizione della domanda; la scarcerazione intervenuta nelle more della decisione influisce semplicemente sulle modalità risarcitorie, ai sensi del primo comma” (con detrazione di pena) “se detenuto o del secondo comma” (in forma pecuniaria) “se libero”;

se ciò fosse esatto, dovrebbe ammettersi “coerentemente e reciprocamente” che “la carcerazione intervenuta nelle more della decisione influisce semplicemente sulle modalità risarcitorie, ai sensi del primo comma (con detrazione di pena) “se detenuto o del secondo comma (in forma pecuniaria) “se libero”;

pertanto, se nelle more del giudizio innanzi al tribunale civile (adìto inizialmente e tempestivamente ex art. 35-ter, comma 3, O.P. da soggetto che aveva terminato di espiare la pena detentiva) sopravvenisse la carcerazione dell’istante in esecuzione di  un cumulo comprensivo pure di quella pena già espiata (cumulo sulla cui ammissibilità v. ultimamente Cass. pen., Sez. I, sentenza 27 marzo 2018 n. 20207, Rv. 273141) e lo stato detentivo dell’istante permanesse ancora al momento della decisione del tribunale civile, quest’ultimo in accoglimento della domanda dovrebbe provvedere (in base ed in coerenza all’opinione qui avversata) con le “modalità risarcitorie ai sensi del primo comma” dell’art. 35-ter O.P. e, quindi, con la detrazione di pena nella misura prevista da quest’ultima disposizione;

tale conseguenza, nondimeno, non solo colliderebbe con il testo normativo (v. art. 35-ter, comma 3, ultima proposizione, secondo cui il tribunale civile può provvedere al “risarcimento” solo in forma pecuniaria nella misura prevista  dal comma 2), ma esporrebbe il sistema ad una censura di incostituzionalità “eguale e contraria” a quella esposta sopra al punto 3.2;

invero, poichè al momento della decisione il tribunale civile (che “decide in composizione monocratica”: v. art. 35-ter, comma 3, O.P.) dovrebbe provvedere nei confronti di soggetto detenuto allo stesso modo in cui provvederebbe il magistrato di sorveglianza nei confronti di soggetto detenuto, (vale a dire, in entrambi i casi con la detrazione di pena prevista dal comma 1), sarebbe privo di ragionevole giustificazione il diverso regime di impugnazione del provvedimento che definisce il procedimento innanzi al tribunale civile;

infatti, il provvedimento emesso dal tribunale civile ex art. 35-ter, comma 3, O.P. “non è soggetto a reclamo” (come prescrive lo stesso art. 35-ter, comma 3, O.P.), ma esclusivamente a ricorso “straordinario” in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. da proporsi entro 60 giorni dalla notificazione ex art. 325, comma 2, c.p.c. (v. ex multis Cass. civ., Sez. I, sentenza 14 maggio 2014 n. 10450, Rv. 631223); mentre il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza ex art. 35-ter, comma 1, O.P. è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza ex art. 35-bis, comma 4, O.P., la cui decisione a sua volta è ricorribile “ordinariamente” per cassazione “nel termine di 15 giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisone stessa” (v. art. 35-bis, comma 4-bis, O.P.);

questa disparità di trattamento normativo del regime impugnatorio (in particolare, la previsione della garanzia del doppio grado di giurisdizione rispetto al procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza e l’esclusione di quella garanzia rispetto al procedimento innanzi al tribunale civile) sarebbe irragionevole e, quindi, in contrasto con l’art. 3 Cost., avendo il provvedimento del tribunale civile lo stesso contenuto (detrazione di pena ex art. 35-ter, comma 1, O.P.) di quello emesso dal magistrato di sorveglianza e promanando gli stessi in entrambi i casi da un organo monocratico;

solo la diversità del contenuto dei provvedimenti di rispettiva competenza (detrazione di pena da parte del magistrato di sorveglianza e indennizzo pecuniario da parte del tribunale civile), invece, può giustificare quel diverso regime impugnatorio perché soltanto nel primo caso (detrazione di pena da parte del magistrato di sorveglianza) si è in presenza di un provvedimento avente “incidenza sull'oggetto dell'esecuzione penale” (per usare le parole di Cass. pen., Sez. I, 16 marzo 2017 n. 47333, P.G. in proc. Chargui, Rv. 271173, sulla quale si tornerà tra poco).

 

4.- Ad abundantiam si rileva, infine, che il vizio di origine della soluzione qui confutata è ravvisabile nel fatto che la Corte di cassazione pare abbia inteso estendere alla materia in questione i principi enucleati dalla giurisprudenza civile in materia di risarcimento del danno, secondo cui nella domanda di risarcimento del danno in forma specifica è ricompresa quella del risarcimento per equivalente (v. ex multis Cass. civ., Sez. II, sentenza 19 gennaio 2017 n. 1361, Rv. 642468: “Non incorre nella violazione dell'art. 112 c.p.c. il giudice che, a fronte della domanda di restituzione di beni oggetto di compravendita dissimulante una donazione, pronunci d'ufficio una condanna del convenuto al pagamento del loro valore, per il caso in cui essi siano già stati alienati, atteso che la reintegrazione per equivalente rappresenta un surrogato legale della reintegrazione in forma specifica, con la conseguenza che nella domanda diretta al trasferimento del bene può ritenersi implicita la richiesta volta all'acquisizione del suo equivalente pecuniario”): come, peraltro, ha recentemente ed esplicitamente affermato Cass. pen., Sez. V, sentenza 4 novembre 2020 n. 1995, Burgio, Rv. 280327, secondo cui “in materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, sussiste la competenza del magistrato di sorveglianza - e non del giudice civile - a provvedere sull'istanza prevista dall'art. 35-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, presentata dal detenuto per il quale, nelle more del procedimento di reclamo per la detrazione della pena, a seguito alla proposizione di ricorso per cassazione, sia cessata l'esecuzione, dovendo ritenersi l'istanza risarcitoria implicitamente compresa in quella specifica di riduzione della pena e riferita ai medesimi periodi pregressi di carcerazione”.

Sennonchè:

“nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore, che, tanto con riferimento alla riduzione della pena, quanto con riferimento al compenso in denaro, assume che vengono riconosciuti ‘a titolo di risarcimento del danno’, deve concordarsi con quanto già più volte affermato dalle sezioni penali circa il fatto che si è in presenza di un mero ‘indennizzo’ ” (cosi Cass. civ., Sez. un.,  sentenza 8 maggio 2018 n. 11018, 648270);

tale affermazione, a sua volta, deriva dalla semplice e ovvia constatazione che è impossibile risarcire in forma specifica una carcerazione già espiata in condizioni disumane e degradanti (lo stesso art. 2058, comma 1, c.c., infatti, subordina la proponibilità della domanda di risarcimento in forma specifica solo quando esso “sia in tutto o in parte possibile”);

conseguentemente, tanto la riduzione di pena ex art. 35-ter, comma 1, O.P. quanto il pagamento di una somma di denaro ex art. 35-ter, comma 3, O.P. hanno entrambi natura indennittaria;

ciò trova puntuale conferma in Cass. pen., Sez. I, 16 marzo 2017 n. 47333, P.G. in proc. Chargui, Rv. 271173, nella cui motivazione sta scritto quanto segue: “La tesi sostenuta dall'Amministrazione e fatta propria dal P.g. territoriale, nella sostanza, configura l'azione prevista dall'art. 35-ter cit. come azione risarcitoria di matrice aquiliana, sussumibile pienamente sotto lo schema dell'art. 2043 cod. civ., così valorizzando la formulazione testuale della norma e configurando la detrazione di pena come vera e propria forma di rimedio risarcitorio in forma specifica, sicché, preesistendo il diritto al risarcimento alla suddetta innovazione normativa, esso sarebbe da assoggettarsi a prescrizione di giorno in giorno in corrispondenza della maturazione del dedotto danno. Epperò, non può essere condiviso l'inquadramento del rimedio strutturato dall'art. 35-ter cit. in termini risarcitori, in quanto, al di là della terminologia adoperata dalla disposizione, l'azione con essa attribuita al detenuto presenta sicuri elementi di peculiarità per diverse ragioni, ma prima di tutto e fondamentalmente per il contenuto della tutela apprestata, che inerisce, con riguardo alla persona detenuta, alla riduzione della pena in esecuzione in misura predeterminata ed in modo proporzionale alla durata del pregiudizio sofferto (un giorno di riduzione per ogni dieci giorni di detenzione degradante). Pertanto, l'effetto dell'esperimento dell'azione attinge direttamente la pena oggetto di esecuzione, secondo uno schema di natura solidaristica e di ordine compensativo, con chiara inflessione pubblicistica, attesa l'incidenza sull'oggetto dell'esecuzione penale. Del resto, anche per la riparazione di natura pecuniaria per il periodo residuo non compensabile con la riduzione di pena ed anche per quella prevista per la riparazione della sfera del soggetto già detenuto, ma successivamente restituito alla libertà (che, in quanto tale, non può beneficiare della riduzione di pena), il criterio, di segno chiaramente compensativo, è dalla legge fissato nel riconoscimento di un importo fisso (euro 8,00) per ciascun giorno di detenzione degradante”;

la natura meramente indennittaria (pure) della somma liquidata ex art. 35-ter, comma 3, O.P. è stata ancor più nitidamente spiegata da Cass. civ., Sez. I, sentenza 2 luglio 2018 n. 17274, Rv. 649514, nella cui motivazione sta scritto quanto segue: “È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 35 ter, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dal d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 117…perché la questione è sollevata sul presupposto che la somma corrisposta in applicazione della norma denunciata abbia natura risarcitoria, mentre il giudice di merito è partito da una premessa diversa, affermando trattarsi di indennità, soluzione che trova conferma nella giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 8 maggio 2018, n. 11018), dal momento che il legislatore si è mosso in una logica di forfettizzazione della liquidazione, che considera solo l'estensione temporale del pregiudizio, senza nessuna variazione in ragione della sua intensità e senza alcuna considerazione delle eventuali peculiarità del caso, in assenza di ogni rapporto tra specificità del danno e quantificazione economica che caratterizza il risarcimento, nonché di ogni considerazione nel profilo soggettivo; e, ovviamente, trattandosi di un indennizzo, come tale non rapportato alla precisa entità del danno di  volta in volta ipoteticamente cagionato, non ha senso — trattandosi di grandezze eterogenee — raffrontare l'entità della somma riconosciuta per la detenzione inumana o degradante, come prevista dalla norma in discorso, con il valore giornaliero della detenzione considerato ai fini del ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, ovvero ai fini della riparazione per ingiusta detenzione; non ricorre dunque la violazione dell'articolo 3 Cost.”;

poiché l’indennizzo ex art. 35-ter, comma 3, O.P. ha “contenuto, presupposti e regole processuali” diversi da quello ex art. 35-ter, comma 1, O.P. e poiché, in particolare,  l’indennizzo ex art. 35-ter, comma 3, O.P. non può considerarsi affatto il “rimedio” in forma equivalente dell’indennizzo ex art. 35-ter, comma 1, O.P. (che  - lo si ripete -  non integra affatto un risarcimento del danno in forma specifica: v. la surricordata motivazione di Cass. Cass. pen., Sez. I, 16 marzo 2017 n. 47333), la domanda avente ad oggetto l’indennizzo ex art. 35-ter, comma 1, O.P. (detrazione di pena) non può considerarsi neppure implicitamente comprensiva dell’indennizzo in forma pecuniaria ex art. 35-ter, comma 3, O.P. (ad onta di quanto postulato dalla surricordata pronuncia n. 1995 del 2020 della Cassazione, che va, perciò disattesa), ma integra una domanda autonoma e diversa rispetto a quella proponibile ex art. 35-ter, comma 3.

 

5.- Si ribadisce, pertanto, che l’odierna domanda va dichiarata inammissibile. per sopravvenuta carenza di una condizione di legge (lo status detentionis dell’istante).

 

P.Q.M.

visto il parere del P.M.; visti gli art. 35-bis, comma 1, O.P. e 666, comma 2, O.P.;

DICHIARA

inammissibile la domanda.

Alessandria, 20 maggio 2021

Il Magistrato di sorveglianza

Dr. Giuseppe Vignera