Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27751 - pubb. 26/07/2022

Associazione senza scopo di lucro, fallimento e criterio della prevalenza tra ricavi commerciali e istituzionali

Appello Venezia, 24 Agosto 2020. Pres. Taglialatela. Est. Balletti.


Associazione senza scopo di lucro – Fallimento – Criterio della prevalenza tra ricavi commerciali e ricavi istituzionali



Il discrimen tra attività commerciale e non commerciale svolta dall’associazione non va ricercato nello scopo più o meno di lucro perseguito dall’ente svolgendo le singole attività, visto che, comunque, anche una associazione senza scopo di lucro deve reperire risorse per sostenere economicamente i propri fini istituzionali; il discrimen va, invece, ricercato nella esistenza o meno di proventi a remunerare l’utilizzo di beni e servizi dell’ente e, quindi, proventi con valenza economica (cd. lucro oggettivo).

Le associazioni senza fine di lucro potrebbero sostenere economicamente i propri fini istituzionali mediante operazioni di iscrizione e tesseramento (attività non economica), ma se svolgono attività commerciale, come sopra definita, devono essere sottoposte al regime giuridico dell’imprenditore commerciale.

Il semplice fatto che un’attività di carattere oggettivamente economico imprenditoriale venga svolta per perseguire i fini istituzionali - così come individuati nello statuto associativo - non muta in alcun modo il carattere commerciale dell’attività medesima e non giustifica l’esenzione dell’associazione dal fallimento.

In sostanza, nell’attività istituzionale non imprenditoriale rientra l’attività tipicamente associativa (quale la riscossione di quote associative, tesseramenti ecc.), mentre va qualificata come attività commerciale, anche se svolta per finalità istituzionali, quella di natura economica, di acquisizione di proventi dall’utilizzo dei beni della associazione, anche se le prestazioni siano finalizzate alla sola copertura dei costi, piuttosto che al profitto.

Sebbene il legislatore non abbia espressamente imposto il criterio della prevalenza, lo stesso appare connaturato alla necessità di qualificare correttamente l’attività di un soggetto che si afferma privo di scopo di lucro ed evitare che sia sottoposto al regime dell’imprenditore commerciale se, di fatto, svolge attività economica in via residuale, non rapportabile (se non in modo simbolico) con i “costi di produzione” e, quindi, senza incidere sulla complessiva attività dell’ente che resta non economica. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


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