EsecuzioneForzata


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/02/2024 Scarica PDF

Le spese condominiali maturate nel corso dell'esecuzione forzata. Natura del credito e gestione del riparto

Simone Voltarel, Avvocato in Treviso


Commento a Tribunale di Treviso, ordinanza ex art. 512 c.p.c. del 05/12/2023

 

Il fatto

L’ordinanza in commento trae origine da una controversia distributiva nella quale un condominio, creditore procedente nell’esecuzione immobiliare, ha contestato che il proprio credito non fosse incluso tra le somme oggetto di distribuzione ex art. 596 c.p.c. nel quale, al contrario, trovava soddisfazione il solo creditore ipotecario;  ne ha quindi chiesto la modifica affinchè gli fosse riconosciuto il privilegio ex art. 2770 c.c o, quantomeno, il credito fosse appostato in prededuzione.

Con la decisione in commento, mantenendosi nel solco del principio di diritto sancito dalla Suprema Corte con la pronuncia 12877/2016[1], il Giudice trevigiano ha escluso che le spese condominiali possano assurgere al rango di spese privilegiate ex art. 2770 cod. civ, valorizzando la lettura svolta dagli Ermellini dell’art. 8 del d.P.R. 115/2002 (Testo Unico sulle Spese di Giustizia)[2] per la quale il creditore è onerato di anticipare non ogni spesa, bensì quelle “necessarie al mantenimento in esistenza del bene pignorato, come quelle che attengono alla sua struttura o sono intese ad evitarne il crollo o, in genere, il perimento”[3], escludendo inoltre che possa trovare applicazione nella distribuzione in sede esecutiva l’art. 30 della L. 220/2012[4], per il quale le spese maturate in costanza di fallimento sono riconosciute al condominio in prededuzione.

 

1. Sulla natura delle spese condominiali

Benchè il Tribunale della Marca abbia escluso che le spese condominiali maturate in corso di esecuzione costituiscano un credito privilegiato, sull’argomento esiste anche un contrapposto orientamento.

In particolare, con pronuncia del 06/5/2000[5] il Tribunale di Bologna ha sostenuto che gli oneri condominiali, continuando a maturare anche in epoca successiva al pignoramento, non possono esser posti a carico del condominio.

A tale impostazione ha recentemente aderito anche parte della dottrina[6] la quale, valorizzando l’art. 560, 5° co. c.p.c. per il quale il custode provvede “all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato” e precisando che oggetto del pignoramento sono anche le parti comuni condominiali, inseparabili e inscindibili rispetto l’unità a cui sono asservite ex art. 1118 c.c., ne trae il principio per il quale il custode del bene pignorato è onerato al pagamento delle spese condominiali, poiché esse senz’altro rientrano nell’ambito della gestione, amministrazione e conservazione di cui parlano gli artt. 65 e 560 c.p.c.; da tale assunto, secondo la citata dottrina deriva il corollario per cui “le spese condominiali relative all’immobile pignorato sono dunque spese processuali, che il custode personalmente ovvero il creditore procedente debbono anticipare per poi riprendere in prededuzione ex art. 2770 c.c. in sede di distribuzione del ricavato della vendita forzata”.

Tale approdo dottrinale e della giurisprudenza di merito non pare, a chi scrive, sostenuto anzitutto da una valida base normativa: l’art. 2770 c.c., al pari dell’analogo art. 2755 c.c. in materia mobiliare, attribuisce alle spese di giustizia, da intendersi come spese processuali o procedurali per perfezionare atti conservativi o per l’espropriazione di beni immobili nel comune interesse dei creditori, il privilegio d’esser soddisfatte per prime nell’ambito dell’espropriazione forzata: la ratio è che tali esborsi assicurano l'intero ceto creditorio di poter conservare la destinazione del bene immobile al soddisfacimento delle rispettive ragioni di credito, sterilizzando e rendendo inefficaci eventuali alienazioni (artt. 2913 e 2914 c.c.), iscrizioni di gravami (art. 2916 c.c.) o concessioni in godimento a terzi (artt. 2918 e 2923 c.c.)[7], perfezionate maliziosamente o colposamente dal comune debitore.

Al contrario, le spese condominiali, attenendo alla manutenzione del bene nella sua entità e non alla conservazione nel suo stato giuridico, non possono assurgere a “spese processuali” (così definite dalla dottrina citata), poiché mantengono il bene in stato da poter servire all’uso per il quale è stato realizzato, ma non assicurano che i proventi derivanti dalla sua liquidazione consentano di soddisfare i creditori.

Ancora, le conclusioni del Tribunale bolognese e della dottrina sopra citata non paiono sostenute da una valida base sistematica: l’art. 2770 c.c. è norma di stretta interpretazione e, pertanto, non è estensibile a altre tipologie di spese oltre a quelle di giustizia, come quelle per la manutenzione o miglioramento dell’immobile staggito e delle sue pertinenze o accessori.

Né esiste, in ambito di privilegi sopra gli immobili, una norma analoga all’art. 2756 c.c. che, al contrario, attribuisce al creditore che abbia eseguito “prestazioni e sostenuto spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili  il privilegio sui beni stessi” il diritto di esser preferito agli altri.

La pronuncia in commento è quindi maggiormente aderente al sistema normativo, tanto nella sua interpretazione letterale quanto in quella sistematica: poiché il privilegio previsto dall’art. 2770 c.c. è riferito alle sole spese di giustizia e non a quelle di conservazione o miglioramento degli immobili, ne discende che le spese condominiali costituiscono un credito di natura chirografaria, priva di privilegio.

 

2. Inapplicabilità dell’art. 30 L. 220/2012 in ambito esecutivo individuale

La pronuncia in commento, sul punto sollecitata dalle difese del condominio, ha escluso anche che nell’esecuzione immobiliare sia applicabile per analogia la disposizione che prevede la soddisfazione in prededuzione, al grado chirografo, delle spese condominiali maturate dopo la dichiarazione della liquidazione giudiziale (o fallimento).

Anche su tale aspetto, la pronuncia del Tribunale della Marca pare supportata da valide basi dogmatiche.

Infatti, per effetto del pignoramento il debitore diviene custode ex lege del bene[8]. Non per questo vengono però meno gli obblighi sanciti dalla legge derivanti dalla posizione di titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene pignorato, che prescindono dalla sussistenza di una relazione di fatto con l’immobile e finanche dal fatto che egli venga sostituito nella custodia con il conferimento dell’incarico ad un terzo[9].

Ne discende che, in quanto proprietario, l’esecutato è tenuto al pagamento delle spese condominiali ordinarie o straordinarie, poiché non perde né la titolarità del proprio diritto dominicale, né – salve eccezioni di legge - la detenzione e/o il godimento del bene sino all’emissione del decreto di trasferimento (art. 560 co. 8 c.p.c.), ossia fino al momento in cui le spese condominiali, quale obbligazione propter rem visceralmente legate all’immobile principale, non cominciano a maturare in capo al nuovo proprietario risultante all’esito della fase liquidatoria della procedura esecutiva.

A conferma di tale interpretazione, la recente giurisprudenza di legittimità ha escluso che rientri tra i compiti del custode - in assenza di un'espressa previsione normativa o di una precisa istruzione del G.E. -  la partecipazione alle assemblee condominiali, precisando in un obiter dictum che “La soluzione accolta risulta, peraltro, armonica rispetto al sistema di riferimento, il quale non soltanto prevede che il debitore esecutato conservi il diritto di proprietà sull'immobile staggito, e con esso la qualità di condomino, fino al momento dell'emissione del decreto di trasferimento, ma gli consente pure di continuare ad abitare detto immobile in pendenza della procedura esecutiva, ove non ne sia stata ordinata l'immediata liberazione (arg. ex art. 560 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis)[10].

La posizione del debitore in sede di espropriazione forzata è quindi affatto diversa – anzi: contraria – rispetto a quella del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale (o, prima del 15 luglio 2022, a fallimento).

Infatti, uno degli effetti principali dell’apertura della procedura concorsuale maggiore è costituito dallo spossessamento del debitore[11], ossia dal trasferimento dei poteri di disposizione e amministrazione del patrimonio del debitore agli organi della procedura, con l’effetto che tutti gli atti e pagamenti eseguiti successivamente sono inefficaci nei confronti della procedura e dei creditori concorrenti all’accipiens[12].

De jure condito, pregevole è stato quindi l’approccio del Legislatore del 2012 che, limitando la prededuzione per le sole spese condominiali maturate dopo l’apertura della procedura concorsuale, ha dettato una disciplina armonica e compatibile tanto con il sistema positivo previsto dagli artt. 42 e 44 della Legge Fallimentare, ora di fatto confluito negli artt. 142 e 144 del d.lgs. 14/2019, quanto con il sistema codicistico in ambito esecutivo: infatti, mentre nell’esecuzione forzata il debitore non perde la disponibilità dei beni staggiti, rimanendo pertanto vincolato alle obbligazioni da esso scaturenti come le spese condominiali, nella liquidazione giudiziale il debitore non ha più la disponibilità del bene, gestito dalla procedura concorsuale sulla quale devono gravare i relativi oneri, né la possibilità di estinguere efficacemente posizioni debitorie.



[1] Nella pronuncia, la Suprema Corte ha espresso il seguente principio di diritto: “le spese necessarie alla conservazione stessa dell'immobile pignorato e, cioè, le spese indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell'immobile pignorato (con esclusione, quindi, delle spese che non abbiano un'immediata funzione conservativa dell'integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata, essendo intese ad evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese "per gli atti necessari al processo" che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115art. 8, il giudice dell'esecuzione può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente. Tali spese dovranno essere rimborsate come spese privilegiate ex art. 2770 cod. civ. al creditore che le abbia corrisposte in via di anticipazione, ottemperando al provvedimento del giudice dell'esecuzione che ne abbia disposto l'onere a suo carico”.

[2] La norma citata prescrive al primo comma che “Ciascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato”.

[3] Anche in dottrina, a tale riguardo, è stato sostenuto che sono da considerare spese della procedura e quindi oggetto di rimborso col privilegio ex art. 2770 c.c. ove anticipate dal creditore le “eventuali spese di manutenzione e conservazione del bene se erogate dal custode (non quelle condominiali: le spese condominiali debbono essere oggetto di un intervento autonomo da parte del legittimato se antecedenti il pignoramento. Se successive non vi è titolo, secondo la nuova normativa, per l’intervento). Tra le spese di manutenzione e conservazione peraltro vanno considerate quelle necessarie ad evitare il perimento del bene staggito” (così A. Ghedini, A. Crivelli, N. Mazzagardi in Il custode e il delegato alla vendita nel processo esecutivo immobiliare, Cedam 2021, pag. 472).

[4] L’art. 30 L. 220/2012 che ha riformato la disciplina condominiale prescrive che “I contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, se divenute esigibili ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, come sostituito dall'articolo 18 della presente legge, durante le procedure concorsuali.

[5] Si legge in pronuncia che gli oneri condominiali,continuando a maturare anche in epoca successiva al pignoramento, non possono essere posti a carico del condominio” perché “concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori nell’esecuzione” e dunque hanno la “qualità di credito in prededuzione”.

[6] Si veda la nota di D. AMADEI Spese condominiali e custodia nel pignoramento immobiliarein Rivista dell’Esecuzione Forzata, Wolters Kluwer, anno 2017 pag. 368.

[7] Si veda, sul punto, Cass. 10/2/2020 n. 3020.

[8] Così l’art. 559 c.p.c..

[9] Così A.M. SOLDI, in Manuale dell’esecuzione forzata, Wolters Kluwer 2023, pag. 1842.

[10] Prosegue la pronuncia precisando che “E', infatti, coerente con il descritto contesto normativo riconoscere al condomino esecutato la perdurante legittimazione a partecipare alle assemblee condominiali, in difetto di una diversa disposizione del giudice dell'esecuzione che oneri il custode di una siffatta incombenza; disposizione che, ove assunta, dovrà essere portata a conoscenza dell'amministratore del condominio” (Cass. ord. 19/10/2023 n. 29070).

[11] L’attuale art. 142 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza recita: “La sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale priva dalla sua data il debitore dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di apertura della liquidazione giudiziale”, con espressione del tutto analoga al precedente art. 42 del R.D. 267/1942, c.d. Legge fallimentare.

[12] Previsione disposta dall’art. 144 del C.C.I.I., già previsto dall’art. 44 L.F.


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