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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/04/2023 Scarica PDF

Interdittiva antimafia e peculiarità dell'infiltrazione mafiosa nella giurisprudenza del Consiglio di Stato

Vincenzo Musacchio, Associato e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA)


Il Consiglio di Stato con sentenza del 31 marzo 2023 n. 3338 si è espresso sugli elementi “rivelatori” dell’infiltrazione mafiosa. L’organo giurisdizionale amministrativo ci dice che “il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere più probabile che non, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa”.

Cerchiamo di specificare meglio l’assunto della magistratura amministrativa. Il ragionamento induttivo cerca di portare ad una affermazione generale partendo dall’osservazione di alcuni fatti “particolari”. Questo metodo d’indagine è alla base delle scienze legate all’osservazione. La probabilistica in tal contesto invece è ragionamento basato sulla teoria della probabilità. Viene applicato ad esempio per determinare l’esistenza più probabile di un elemento determinante per il possibile accadimento di un evento.

Il metodo induttivo probabilistico indicato dal Consiglio di Stato non è altro che il metodo sperimentale nel quale soltanto la raccolta dei dati e la ripetizione dei medesimi nel corso del tempo consente di avvalorare il risultato ottenuto. L’infiltrazione mafiosa e la tendenza ad influenzare la gestione dell’impresa o della pubblica amministrazione sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di cui si discorre è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non la mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi. La sua valutazione si fonda sulla formulazione di un giudizio di pericolosità da parte del giudice relativo a un determinato comportamento antigiuridico. In questo caso, il pericolo rappresenta il motivo dell’interdittiva antimafia, ma non un elemento costitutivo del reato. Siamo nell’ambito del diritto amministrativo della prevenzione antimafia. Per cui non si sanzionano fatti penalmente rilevanti, ma si vuol perseguire lo scopo di scongiurare un pericolo per la sicurezza pubblica e cioè l’infiltrazione mafiosa nel sistema economico e politico. Sia chiaro che il pericolo dell’infiltrazione mafiosa non può fondarsi su un sospetto della pubblica amministrazione o in una intuizione del giudice. Il pilatro portante dell’impianto deve poggiare su condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali. In tal senso ci viene in aiuto lo stesso legislatore che con il decreto legislativo del 6 settembre 2011 n. 159 (Codice Antimafia) tipizza una serie di “delitti spia”, mentre altri, a condotta libera, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa. È possibile, inoltre, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna non definitiva per reati funzionali all’attività delle organizzazioni mafiose “unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata” (in tal senso vedasi anche Consiglio Stato, Sez. III, sentenza 5 settembre 2019 n. 6105). Gli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, ovviamente, sono desumibili anche dagli accertamenti disposti dal Prefetto. Gli indizi tratti dalle indicazioni legislative o dalla giurisprudenza consolidata, possono considerarsi “indici” o “spie” dell’infiltrazione mafiosa, non senza precisare che esse, per la loro stessa necessaria ampia formulazione, costituiscono un catalogo aperto, e non già un numerus clausus, in modo da poter consentire all’ordinamento di poter contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa via via che essa assume forme sempre nuove e mutevoli. Gli indizi di cui si discorre sono gli elementi probatori raggiunti attraverso il ragionamento induttivo che, partendo da un fatto, conducono ad un fatto ignoto in virtù dell'applicazione di regole scientifiche o di massime di consolidata esperienza. Un esempio forse renderà più comprensibile il punto. Se si ha un testimone che va a dire al Prefetto che circa mezz’ora prima del momento nel quale si è aggiudicata una gara d’appalto ha visto qualcuno uscire dall’abitazione del funzionario responsabile del procedimento e questa persona viene successivamente identificata come l’aggiudicatario della gara, il giudice potrà avere un indizio a carico di questa persona proveniente dal fatto che possa essere l’autore di una possibile corruzione. Non avrà in nessun caso una prova dichiarativa, perché nessuno sa come si sono svolti i fatti relativi. Ciò però è sufficiente all’emissione di una interdittiva antimafia qualora il soggetto uscito dalla abitazione del funzionario del procedimento è un mafioso o contiguo agli interessi della criminalità organizzata. Basti qui ricordare, nell’ambito di questa ormai consolidata tipizzazione giurisprudenziale, le seguenti ipotesi, molte delle quali tipizzate, peraltro, in forma precisa e vincolata dal legislatore stesso: a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa, nelle multiformi espressioni con le quali la continua evoluzione dei metodi mafiosi si manifesta; c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso codice antimafia; d) i rapporti di parentela, laddove assumano un’intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”, in cui il ricambio generazionale mai sfugge al “controllo immanente” della figura del patriarca, capofamiglia, ecc., a seconda dei casi; e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa; g) le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, incluse le situazioni, recentemente evidenziate in pronunzie del Consiglio di Stato, in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne, o simili, antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità. Da queste brevi riflessioni possiamo dedurre che le interdittive antimafia oggi rappresentano un fondamentale presidio di legalità per preservare l’economia dalle infiltrazioni criminali. È vero che siamo di fronte a provvedimenti fortemente restrittivi, in grado di paralizzare l’attività dell’impresa compromessa con le mafie, ma è altrettanto vero che così facendo si salvaguardano sia l’ordine pubblico sia l’integrità dell’economia di uno Stato democratico. Le interdittive nei fatti rispettano i principi di legalità, di difesa e di iniziativa economica. Non ledono affatto la libertà personale. Sono convinto dell’importanza, del valore e dell’appropriatezza di uno strumento oggi irrinunciabile per proteggere l’economia legale dalle sicure penetrazioni mafiose.

 

L’infiltrazione mafiosa e la sua valutazione da parte del giudice amministrativo.

Il Consiglio di Stato - in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9180 del 2022, proposto dall’Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS-, in persona del Prefetto pro tempore, dal Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, presso gli uffici di via dei Portoghesi, n.12;

contro

il Comune di -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato xxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in -OMISSIS-,;

la società -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Natale Polimeni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ulpiano, n.29;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, resa tra le parti nel ricorso per l’annullamento

quanto al ricorso n. -OMISSIS-

-dell'informazione interdittiva ex art. 91 del d.lgs. n.-OMISSIS-adottata dalla Prefettura di -OMISSIS- Ufficio Territoriale del Governo in data 1 luglio 2021 nei confronti dell'impresa “-OMISSIS-”, e ove occorrer possa, di tutti gli atti ad essa presupposti, collegati, connessi e susseguenti;

quanto al ricorso n. -OMISSIS-:

per l'annullamento del provvedimento del 3 agosto 2021 del dirigente della Città di -OMISSIS- Settore Sviluppo Economico con cui veniva disposto nei confronti della ditta “-OMISSIS- di -OMISSIS-.”, il divieto, con effetto immediato, della prosecuzione dell'attività di distributore di carburante-OMISSIS-), con impianto sito in -OMISSIS-- e dell'attività secondaria di autolavaggio e bar esercitata presso la medesima sede; la sospensione, con effetto immediato, degli effetti prodotti dalla Scia del 02.12.2013 dalla autorizzazione sanitaria n. -OMISSIS- e dalle disposizioni n. -OMISSIS-.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e della -OMISSIS- di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il Cons. Antonella De Miro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1.-La -OMISSIS- di -OMISSIS- (d’ora in avanti, solo -OMISSIS-), composta da -OMISSIS- (socio accomandatario), -OMISSIS- (socie accomandanti), è proprietaria e cura la gestione di una stazione di servizio e di distribuzione di carburante, ubicata in -OMISSIS--quartiere -OMISSIS-, dove ha la propria sede legale.

2.- Con provvedimento in datato 1° luglio 2021 la Prefettura di -OMISSIS-- Ufficio Territoriale del Governo adottava un’informazione interdittiva ex art. 91 del D.lgs. n.159/2011 - OMISSIS- nei confronti dell'impresa “-OMISSIS-”.

3.- Con provvedimento del 3 agosto 2021 del dirigente del comune di -OMISSIS- - Settore Sviluppo Economico, venivano disposti nei confronti della medesima ditta il conseguente divieto, con effetto immediato, della prosecuzione dell'attività di distributore di carburante E-OMISSIS-), con impianto sito in -OMISSIS-- e dell'attività secondaria di autolavaggio e bar esercitata presso la medesima sede; nonché la sospensione, con effetto immediato, degli effetti prodotti dalla Scia del 2 dicembre 2013, dalla autorizzazione sanitaria n. -OMISSIS- e dalle Disposizioni n. -OMISSIS-.

4.- Avverso tali provvedimenti la ditta proponeva ricorso al TAR per la Calabria- sede di -OMISSIS- che, con la sentenza n. -OMISSIS-, lo accoglieva sul presupposto assorbente della ritenuta carenza di motivazione ed istruttoria, e ciò in quanto si delineava “un quadro indiziario troppo debole per fondare la prognosi di permeabilità mafiosa, essendo fondato su indizi privi degli indispensabili requisiti di individualità, concretezza ed attualità e che i dati investigativi raccolti sono troppo generici ed indeterminati per suffragare, secondo il parametro della probabilità cruciale, il temuto pericolo di infiltrazione criminosa ai danni della società ricorrente.”

5.- Avverso tale sentenza insorge la Prefettura proponendo ricorso al Consiglio di Stato, deducendo i seguenti profili di censura:

1) Erronea valutazione dei presupposti dell’informativa prefettizia.

L’Amministrazione ritiene che il provvedimento sia sufficientemente motivato e, con riferimento alla vicinanza parentale del titolare alla famiglia -OMISSIS-, sottolinea il contesto ambientale in cui è inserita la società appellata che ha sede nel quartiere -OMISSIS-, sito nell'estremo nord del territorio del comune di -OMISSIS- e caratterizzato, come emerso da numerose attività di indagine, proprio dall'egemonia della cosca -OMISSIS--, di cui importantissime operazioni di polizia fotografano la capacità pervasiva e infiltrativa in tutti i settori dell'economia.

L’appellante, inoltre, ritiene vadano valorizzate, da una parte la circostanza che una socia accomandante, subentrata nella compagine sociale nell'anno 2019, è figlia di persona già indagata per associazione di tipo mafiosa nonché sorella di altri soggetti controindicati; dall’altra il subentro delle due nuove socie accomandanti, avvenuto nell'anno 2019 e che oltre, a rafforzare il carattere familiare della compagine sociale, ne metterebbe in luce il legame con ambienti vicini alla criminalità organizzata.

L’Amministrazione, ancora, contesta il richiamo operato dal TAR ad un proprio precedente (sentenza n. 460 del 7 luglio 2020), perché si tratta di sentenza impugnata dal Ministero dell’Interno con appello tutt’ora pendente nel corso del quale il Consiglio di Stato, con ordinanza del 7 ottobre 2021, n. -OMISSIS-, ha sospeso il giudizio a seguito dell’ammissione della società appellata al controllo giudiziario ex art. 34 bis codice antimafia e, con successiva ordinanza del -OMISSIS-, ha prorogato la sospensione del giudizio per effetto della proroga del controllo giudiziario sino al 3 maggio 2023.

6.- Con ordinanza n. -OMISSIS- il Consiglio di Stato ha respinto l’istanza cautelare.

7.-Le parti appellate hanno presentato memorie.

In particolare, la ditta appellata, nel respingere le censure, sottolinea l’illogicità di un ricorso avverso sentenza che ha annullato un provvedimento interdittivo “gemello” di quello a carico di altra ditta riconducibile allo stesso rappresentante legale, parimenti annullato dal TAR con sentenza n. -OMISSIS- e divenuto definitivo in quanto non impugnato dall’Amministrazione.

Il comune di -OMISSIS- insiste sulla natura vincolata dell’atto emanato dall’ente locale, non residuando in capo al comune, in presenza di un provvedimento interdittivo antimafia che dichiara il pericolo di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata, alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il Prefetto alla sua adozione, “atteso che si tratta di provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all’Autorità di pubblica sicurezza e non può essere messo in discussione da parte dei soggetti che alla misura interdittiva devono prestare osservanza” (cfr. CdS n. 6057/2019).

8.-Alla data del 23 marzo 2023 la causa è stata tratta in decisione.

 

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.

2.- L’Amministrazione lamenta che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto l’insussistenza di un grave quadro indiziario a carico della società appellata secondo un argomentare non condivisibile.

3.- La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).

3.1.Lo stesso legislatore - art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) - riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate».

3.2- Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

3.3- Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi.

3.4.- Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi.

3.5.- Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, “non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»”(cfr. Consiglio di Stato, III, n. 6105/2019).

3.6 –Come noto, il d.lgs. n. 159 del 2011 prevede, all’art. 84, comma 4, lett. d), che gli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, al di là di quelli previsti dall’art. 91, comma 6, siano anche quelli desunti «dagli accertamenti disposti dal prefetto».

3.7 - La giurisprudenza di questo Consiglio, elaborata a commento delle richiamate disposozioni, ha così enucleato - in modo sistematico a partire dalla sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016 - le situazioni indiziarie, tratte dalle indicazioni legislative o dalla casistica giurisprudenziale, che possono costituire altrettanti “indici” o “spie” dell’infiltrazione mafiosa, non senza precisare che esse, per la loro stessa necessaria formulazione aperta, costituiscono un catalogo aperto e non già un numerus clausus, in modo da poter consentire all’ordinamento di poter contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa via via che essa assume forme sempre nuove e sempre mutevoli.

Basti qui ricordare, nell’ambito di questa ormai consolidata tipizzazione giurisprudenziale, le seguenti ipotesi, molte delle quali tipizzate, peraltro, in forma precisa e vincolata dal legislatore stesso:

a) i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;

b) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa, nelle multiformi espressioni con le quali la continua evoluzione dei metodi mafiosi si manifesta;

c) la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d. lgs. n. 159 del 2011;

d) i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”, in cui il ricambio generazionale mai sfugge al “controllo immanente” della figura del patriarca, capofamiglia, ecc., a seconda dei casi;

e) i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;

f) le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;

g) le vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa, incluse le situazioni, recentemente evidenziate in pronunzie di questo Consiglio, in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne, o simili, antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;

h) la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;

i) l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

3.8 - Per una migliore esposizione ed esplicazione di ogni singola ipotesi tipizzata dalla richiamata giurisprudenza, il Collegio non può che rinviare, ai sensi dell’art. 3, comma 2, e dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., alla più analitica trattazione di dettaglio che si legge nella sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016.

3.9 -Da quanto sopra precedesi ricava che “il sistema della prevenzione amministrativa antimafia non costituisce e non può costituire, in uno Stato di diritto democratico, un diritto della paura, perché deve rispettare l’irrinunciabile principio di legalità, non solo in senso formale ma anche sostanziale, sicché il giudice amministrativo, chiamato a sindacare il corretto esercizio del potere prefettizio nel prevenire l’infiltrazione mafiosa, deve farsi attento custode delle irrinunciabili condizioni di tassatività sostanziale e di tassatività processuale di questo potere per una tutela giurisdizionale piena ed effettiva di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), nel necessario, ovvio, bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle mafie.(cfr. Consiglio di Stato, III, n. 6105/2019)

4.- Chiarito quanto sopra, il Collegio può ora valutare la riconducibilità dell’atto impugnato ai paradigmi sopra declinati, ovvero la sua coerenza motivazionale in relazione alla ritenuta sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa nella società appellata da parte della cosca -OMISSIS-- egemone nel comune di -OMISSIS-.

5.-Il provvedimento prefettizio avversato in primo grado è essenzialmente motivato su una serie di elementi indiziari che si possono così declinare:

- sussistenza di vincoli di parentela tra il rappresentante legale della società e la famiglia di ‘ndrangheta dei "-OMISSIS-" e, in particolare con i fratelli -OMISSIS-, il cui esponente -OMISSIS-, arrestato nel 2010 dopo circa diciassette anni di latitanza, condannato per gravi reati, sottoposto al regime detentivo speciale ex art. 41 BIS, -OMISSIS-, è ritenuto elemento di vertice della cosca mafiosa "-OMISSIS--", attiva nella zona nord della città di -OMISSIS-;

- -OMISSIS-, socia accomandante della s.a.s. in esame, subentrata nel 2019, coniugata con soggetto già proprietario, responsabile tecnico ed amministratore unico della ditta medesima ditta, è figlia di persona coinvolta, nel 2003, nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- per associazione di tipo mafioso ed usura; nonché sorella di indagato dalla Direzione Distrettuale Antimafia, nel 2010, per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del D.P.R. 309/90;

- l’avvenuto subentro nell'anno 2019 delle due nuove socie accomandanti, che rafforza, da un lato, il carattere familiare della compagine sociale (venuto meno il socio -OMISSIS-, estraneo alla famiglia -OMISSIS-, vi è subentrata, oltre alla sig.ra -OMISSIS-, la socia -OMISSIS-, cugina dal lato paterno di -OMISSIS--) e, dall'altro, il legame con ambienti vicini alla criminalità organizzata (con l'ingresso della socia -OMISSIS-).

6.-Il collegio ritiene che il richiamo motivazionale ai surriferiti elementi indiziari non offra una giustificazione pienamente esaustiva del provvedimento.

7.-Innanzitutto, la richiamata relazione tra l’amministratore e la citata famiglia di ‘ndrangheta costituisce un dato parentale lontano (si tratterebbe di cugini di sesto grado), essendo il rappresentante legale della società appellata nipote per parte di madre del fratello della mamma dei fratelli -OMISSIS-, appartenenti, come detto, alla omonima cosca di ‘ndrangheta.

Vero è che, in un contesto ambientale ad alto indice di criminalità mafiosa, è già la famiglia in senso “clanico” ad assumere significativo rilievo e, cioè, quella struttura organizzata di stampo mafioso che ha proprio nella famiglia, al di là della formale incensuratezza dei singoli componenti, il nucleo costitutivo e il braccio operativo, anche in ambito economico (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105). Tuttavia, nel caso di specie, la lontananza del vincolo di parentela in linea collaterale avrebbe richiesto un maggiore sforzo di approfondimento volto a rintracciare elementi indiziari ulteriori e aggiuntivi, in grado di comprovare o quantomeno lasciare verosimilmente supporre una qualche forma di vicinanza, colleganza o coesione di tipo familiare della quale allo stato non vi è traccia nel corredo istruttorio, non essendo stati neanche specificati la diretta conoscenza tra gli interessati, il grado di frequentazione familiare, l’eventuale esistenza di vincoli di comparaggio, una comunanza di interessi economici o altre circostanze tali da poter far ritenere, almeno nell'ottica probabilistica che presiede alle informazioni antimafia quale strumento più avanzato della prevenzione, la ragionevole inferenza di un apprezzabile pericolo infiltrativo.

Per quanto riguarda, poi, il riferimento alla diretta parentela della socia accomandante con soggetti controindicati, l’assoluzione del genitore “perché il fatto non sussiste” avrebbe dovuto imporre all’autorità emanante uno sforzo di attualizzazione delle notizie informative e l’esplicitazione delle ragioni che possono concorrere ad individuare, ancora, nel genitore assolto un elemento di pericolo per la salvaguardia dell’impresa. Altrettanto dicasi con riferimento al fratello della socia accomandante, che il provvedimento indica essere stato anni addietro indagato per i reati previsti dagli artt. 73 e74 del d.P.R. n. 309/90, senza tuttavia fornire alcun riferimento alla sussistenza di eventuali pregiudizi penali e/o di frequentazioni pregiudizievoli a suo carico.

Né, ad avvalorare la tesi del paventato condizionamento mafioso, sono state indicate operazioni societarie sospette (fusioni societarie, valzer di nomine, cessioni di quote sociali, intestazioni fittizie) che abbiano riguardato la ditta appellata.

8.-In conclusione, la prognosi espressa nell’atto gravato non pare assistita da un sufficiente grado di verosimiglianza, in quanto svolge un ragionamento di tipo preventivo non fondato su un corredo di dati indiziari sufficientemente gravi, concreti ed attuali.

9.- L’appello è quindi infondato e deve essere respinto, ferma restando in capo alla Prefettura, nell’ambito del proprio ampio potere discrezionale, la facoltà di rivalutare la posizione dell’impresa alla stregua dei criteri di indirizzo sin qui illustrati.

10.-Sussistono le condizioni per disporre la compensazione delle spese.


P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della ditta appellata, del suo rappresentante legale, dei soci, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificarli.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Omissis.



* Associato e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.


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