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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/10/2013 Scarica PDF

Strumenti finanziari partecipativi di s.p.a. ed applicazione nell'ambito dell'impresa aeroportuale

Alessio Bartolacelli, Dottore di Ricerca


Sommario: 1. Tra azioni ed obbligazioni: gli strumenti finanziari partecipativi nel diritto societario riformato. – 2. Fonti normative e disciplina degli ibridi: i diritti amministrativi. – 3. (segue) I diritti patrimoniali. – 4. Alcune problematiche aperte: diritto di voto, coordinamento col TUB, collocazione bilancistica, rapporto con gli strumenti finanziari di partecipazione al singolo affare. – 5. Un’ipotesi applicativa all’impresa aeroportuale

 

 

1. Tra azioni ed obbligazioni: gli strumenti finanziari partecipativi nel diritto societario riformato

Tra gli interventi di maggiore rilevanza nell'ambito della riforma organica delle società di capitali si deve senza dubbio situare il grande incremento di possibilità di accedere al finanziamento, accordate in particolare alla società per azioni. In questo quadro, accanto agli investimenti in capitale di rischio, rappresentati da emissioni di azioni di categoria speciale e di cui è già stato tratteggiato un profilo, si deve sottolineare l'introduzione nel nostro ordinamento di figure giuridiche decisamente di nuova tipologia, in certo qual modo a cavallo tra fattispecie azionaria ed obbligazionaria, e dunque tra capitale di rischio e di debito[1].

Tali figure sono note con la denominazione di strumenti finanziari partecipativi, o, meglio, strumenti finanziari partecipativi “altri”, riprendendo la denominazione data dalla rubrica ante art. 2346, c.c., a sottolinearne da un lato l'appartenenza al medesimo genus delle figure azionarie, e dall'altro a marcarne la separazione sulla base dei criteri che ora si diranno[2].

È opportuno segnalare come gli strumenti finanziari in parola, nella loro qualificazione in termini di partecipatività, siano tautologicamente volti ad escludere l'ambito degli strumenti finanziari “non partecipativi”[3]. Queste due macro-aree sembrano destinate, in una logica di breve periodo, ad affiancarsi alla tradizionale bipartizione tra azioni ed obbligazioni; è poi possibile che, in un lasso di tempo ragionevolmente lungo, vengano addirittura a sostituirla. La prima distinzione è essenzialmente basata sul corredo di diritti che sono, o possono essere, incorporati nei titoli, con una logica che ricalca, quindi, il quantum di diritti di interazione dell’investitore con la società in concreto a questi attribuiti; la seconda è, invece, ancorata al più certo criterio determinato dalla appostazione a capitale – e dunque a patrimonio netto –, piuttosto che a debito della società nei confronti di terzi che le abbiano prestato denaro a titolo di mutuo, secondo uno schema che si rifà all’ubi della collocazione in bilancio.

Non si deve cadere nell'insidia di ritenere queste due macro aree come categorie monolitiche, al cui interno sia assente qualsivoglia ulteriore categorizzazione. In particolare, per quanto riguarda il settore degli strumenti dotati di diritti partecipativi, sarà rilevante sottolineare come essi possano essere parte della dotazione di capitale sociale classicamente inteso (trattandosi in questo chiaramente di azioni), piuttosto che di quasi capitale, o addirittura di debito[4].

Il genere che qui interessa in maniera particolare è rappresentato proprio, come già anticipato, da quegli strumenti finanziari dotati di diritti partecipativi, ma “altri”, ovvero diversi dai titoli azionari, rispetto ai quali assumono invece la caratteristica veste di trait d'union con il panorama obbligazionario.

La disciplina dettata dal legislatore per gli strumenti in parola è massimamente improntata alla valorizzazione della autonomia statutaria[5], tuttavia secondo uno statuto non organico, ma anzi estremamente frammentario e da desumersi, volta a volta per via interpretativa, da una serie di norme codicistiche, di legislazione complementare, e pure di normativa secondaria.

In via di prima approssimazione si può asserire, riguardo agli strumenti in parola, che si tratta di “quasi azioni”, senza tuttavia essere assoggettati alle stringenti norme delineate dalla disciplina del capitale sociale; ed, al contempo, “quasi obbligazioni”, che forniscono ai loro titolari la possibilità di mantenere la qualifica di creditori sociali, pur vedendosi attribuiti diritti, anche amministrativi, di notevole rilevanza (diritto di voto, diritto di nomina di un amministratore)[6].

   

2. Fonti normative e disciplina degli ibridi: i diritti amministrativi

La frammentaria normativa di riferimento, si è detto, deve essere rinvenuta da un lato nel codice civile (artt. 2346, comma sesto, 2349, comma secondo, 2351, comma quinto, 2376, eventualmente 2411, comma terzo) e nelle leggi complementari (art. 1, comma secondo, lettera b-bis), d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo Unico dell'Intermediazione Finanziaria; art. 11, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; art. 1, comma 381, l. 23 dicembre 2005, n. 266, legge finanziaria per l'anno 2006), dall'altro pure nella normativa secondaria (in particolare si fa riferimento alla deliberazione C.I.C.R. 19 luglio 2005). Ora, è chiaramente impossibile, in questa sede, fornire una dettagliata ed analitica disamina del contenuto di ciascuna di tali norme; sia tuttavia consentito un sunto del combinato disposto delle varie fonti, non senza sottolinearne quelli che paiono essere, sin da una prima lettura, gli aspetti di maggiore criticità.

Nonostante la pluralità delle fonti di riferimento, infatti, la disciplina imperativa risulta essere estremamente scarna sotto più punti di vista, anche di primaria importanza. Sembra di intendersi che, in linea di massima, gli strumenti de quibus debbano essere intesi come facenti parte del capitale di debito della società, e non di quello di rischio. Sulla base di tale assunto, in ossequio al principio per cui, a seguito della riforma organica, la competenza all'emissione delle obbligazioni spetta agli amministratori, sarebbero proprio questi ultimi deputati all'emissione anche di strumenti finanziari partecipativi[7].

Ferma restando – perlomeno per il momento – la loro collocazione tra i debiti, tuttavia, pare opportuno segnalare come la particolarità degli strumenti in parola derivi innanzitutto dal loro potere essere forniti di diritti amministrativi, anche di notevole importanza. È infatti lo stesso codice civile ad ammettere che a tali titoli possa essere attribuito il diritto di voto su argomenti specificamente indicati, nonché la facoltà di eleggere un membro, dotato di necessari requisiti di indipendenza, del consiglio di amministrazione, del consiglio di sorveglianza, o del collegio sindacale (art. 2351, comma quinto).

Attese queste previsioni di massima, tuttavia, si deve rilevare come il legislatore non si sia preoccupato di fornire indicazioni sulle modalità pratiche di esercizio dei diritti attribuiti. In particolare il diritto di voto, per espresso dettame dell'art. 2346, comma sesto, non potrà trovare la propria esplicazione nell'assemblea generale (salvo il determinare preventivamente in cosa questa consista; “assemblea generale” è, infatti, una nozione estranea al legislatore del 1942, essendo così invece denominata l'assemblea degli azionisti nel codice di commercio del 1882). Significa forse ciò che il luogo deputato al suo esercizio dovrà essere rinvenuto nell'assemblea speciale di cui all'art. 2376, c.c.; o piuttosto in altro organo, eventualmente da costituirsi ad hoc? Agli interpreti l'ardua sentenza[8]. E non minori sono le problematiche destate dalla anzidetta facoltà di nomina di un membro dei board. Anche in questo caso, infatti, non è affatto acclarata la modalità di nomina, ovvero se essa sia da considerarsi assembleare (con meccanismi noti quali, ad esempio, il voto di lista), ovvero extra-assembleare. A favore della prima ipotesi potrebbe condurre la circostanza che, tra i soggetti nominabili ex art. 2351, c.c., siano assenti i membri del consiglio di gestione della società, che normalmente sono scelti dai membri del consiglio di sorveglianza, e non dall'assemblea.

Fin qui per quanto concerne i diritti amministrativi “nominati” dal legislatore; pare tuttavia del tutto possibile, ed anzi sollecitato in qualche modo dalla reticenza del legislatore a fornire una disciplina organica dell'istituto, che la fantasia degli interpreti possa portare al riconoscimento anche di diritti di natura affatto differente, quale il diritto di opzione, ovvero forse, addirittura, il diritto di recesso.

   

3. (segue) I diritti patrimoniali

Sui diritti patrimoniali, invece, il legislatore non si pronuncia. Si può tuttavia immaginare che l'istituto – già presente nell'esperienza azionaria italiana, e che ha ricevuto dalla riforma organica nuovo impulso – delle obbligazioni c.d. partecipanti sia l'antecedente di riferimento per quanto riguarda i diritti a contenuto patrimoniale attribuibili agli strumenti oggetto di questa relazione. Per tale ragione, si potranno immaginare strumenti finanziari dotati di diritti a partecipare ai risultati di esercizio della società non in una misura fissa, ma, similarmente a quanto accade agli azionisti, in ragione dell'andamento della società stessa. E ciò, si badi, non tanto o non solo in relazione al profilo remunerativo dell'investimento, quanto anche alla stessa restituzione del montante, che, a norma dell'art. 2411, comma terzo, c.c., può essere condizionato ne “i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società”; fino all'ipotesi, estrema per quanto non impossibile, di una completa perdita dell'apporto. È dunque chiaro, pure sotto questo aspetto, come la tradizionale bipartizione tra capitale di rischio e di debito sfumi in un limbo di strumenti di nuova concezione, essenzialmente frutto di contaminazioni con le due categorie-madri.

Restando sul piano del profilo pseudo-obbligazionario, si deve rilevare come solo alcuni strumenti – quelli, segnatamente, che incorporino un diritto alla restituzione all'apporto, ancorché condizionato – saranno soggetti al limite all'emissione previsto dall'art. 2412, c.c.; d'altro canto non sarà loro applicabile, se non in via di analogia, neppure la disciplina relativa all'acquisto di azioni proprie, con i problemi a questo connessi, specie in tema di esercizio del diritto di voto. In ragione, invece, della pregnanza dei diritti suscettibili di essere incorporati nei titoli, tuttavia, il legislatore ha inteso fornire una loro equiparazione alle azioni in tema di offerte pubbliche di acquisto, ove la detenzione di una quantità rilevante di partecipazioni attraverso titoli che consentano nomina, revoca e proposizione di azione di responsabilità nei confronti degli amministratori non distingue i casi in cui questi titoli siano azioni da quelli in cui si tratti invece di strumenti finanziari partecipativi.

   

4. Alcune problematiche aperte: diritto di voto, coordinamento col TUB, collocazione bilancistica, rapporto con gli strumenti finanziari di partecipazione al singolo affare

Fin qui, in estrema sintesi, la disciplina codicistica relativa ai diritti incorporati. Restano tuttavia numerose zone d'ombra: da un lato, come già si è avuto modo di rilevare, non è perfettamente chiara neppure la competenza all'emissione. Attesi i particolari diritti di cui i titoli oggetto della nostra indagine possono essere dotati, in primis il diritto di voto, una indiscriminata legittimazione all'emissione in capo agli amministratori si potrebbe tradurre in una vistosa – e forse ulteriore – deroga al principio di correlazione tra rischio e potere. E similari sono i problemi che si solleverebbero ove non si ritenesse applicabile in via analogica la disciplina delle azioni proprie per gli strumenti finanziari partecipativi, dotati di diritto di voto, che si trovino “in pancia” alla società stessa; in tale caso non si vedrebbe, infatti, come evitare che il diritto di voto sia esercitato dagli stessi amministratori.

Problematiche ulteriori sono ravvisabili nell'ambito del regime di circolazione, che pare, ai sensi dell'art. 2346, comma sesto, non strettamente necessario. In tale senso ben si potrebbe asserire che non sarebbe direttamente applicabile anche agli strumenti in parola il principio generico di libertà di trasferimento dei titoli azionari; ove si intendesse prevederlo per gli ibridi, infatti, esso deriverebbe, invece che da una previsione di legge, da una libera opzione statutaria. E nel medesimo senso è il problema se gli strumenti finanziari partecipativi di cui si discorre rientrino sempre nel novero di quegli strumenti oggetto di disciplina nel Testo Unico della Finanza. La soluzione negativa pare evidente, essendo da qualificarsi i titoli di cui all'art. 1 del d.lgs. 58/98 come caratterizzati dal requisito della negoziabilità necessaria e non essendo evidentemente tali gli strumenti in cui tale caratteristica deriverebbe, stando alla lettera della legge, solamente da una precisa scelta dell'emittente. In tale senso, dunque, la disciplina del Testo Unico in parola non sarà da applicarsi a quegli strumenti a circolazione interdetta[9].

Altro tema di interesse può essere rinvenuto nella questione se i titoli partecipativi integrino una fattispecie di raccolta del risparmio ai sensi dell'art. 11 del Testo Unico Bancario. Alla soluzione affermativa si perviene mediante l'analisi della già citata deliberazione C.I.C.R. 19 luglio 2005, la quale, oltre a definire l'emissione degli strumenti un genus rispetto alla specie della raccolta di risparmio, fornisce una interessante integrazione per quanto riguarda il taglio minimo di essi, che viene fissato, in assenza di quotazione, ad € 50.000.

Ora, proprio quest'ultima precisazione consente all'interprete di escludere l'ipotesi di trovarci innanzi a titoli necessariamente di massa, e la specifica natura dei diritti attribuibili potrebbe, in determinati casi, escludere pure la necessaria serialità degli strumenti partecipativi. Il diretto corollario di tali ipotesi è chiaramente rappresentato dalla potenziale liceità di una emissione di titoli avente ad oggetto un unico strumento finanziario, tuttavia dotato di diritti di voto e di nomina di un amministratore o sindaco.

Proprio sui diritti di voto e di nomina di membri di organi sociali sia consentita un'ultima digressione. Pare del tutto evidente come la concessione di diritti di voto in capo a soggetti non azionisti rappresenti una previsione del tutto nuova nell'ambito del nostro diritto societario. Di fatto, esperienze di mezzanine capital erano già presenti nel nostro ordinamento, con particolare riferimento alla disciplina bancaria – esempio per tutte le obbligazioni bancarie c.d. irredimibili, evidente punto di incontro tra capitale di rischio e di debito –, ma si deve rilevare come, di fatto, esse fossero state sinora limitate al momento dell'appostazione a bilancio degli apporti sottostanti, senza dunque che ad essi fossero in alcun modo conferiti diritti amministrativi, anche di importanza inferiore a quelli di cui possono essere dotati gli strumenti finanziari oggetto di queste poche riflessioni. In sostanza, se è vero che per gli strumenti finanziari partecipativi si ripropongono, quanto alla qualificazione bilancistica da darsi agli apporti sottostanti, i medesimi problemi delle obbligazioni di diritto bancario appena accennate – con la necessità, quindi, di procedere alla appostazione a patrimonio netto, ma non a capitale, bensì a riserva, per gli strumenti aventi qualificazione quasi-azionaria, restando tutti gli altri nell'ambito del capitale di debito –, a tali problemi si va affiancando la necessità di determinare criteri formali di distinzione di generi interni alla medesima specie, soprattutto in ragione dell'attribuzione o meno di diritti amministrativi. Come è ovvio, questa operazione non può certamente essere svolta in questa sede, né tantomeno è possibile fornire più elementi di quelli che si sono dati sinora su un terreno così fortemente magmatico, su cui la dottrina ancora non ha potuto piantare picchetti interpretativi generalmente accettati.

Per completezza di esposizione, si devono poi citare en passant anche gli strumenti finanziari di partecipazione al singolo affare, ex art. 2447-ter, c.c.[10]; non pare che essi debbano essere considerati titoli della medesima specie rispetto a quelli trattati sinora. Sembra piuttosto che tali strumenti finanziari servano invariabilmente alla rappresentazione cartolare di un rapporto di associazione in partecipazione, con problemi interpretativi, dunque, decisamente minori rispetto a quelli cui hanno dato adito gli strumenti finanziari partecipativi[11].

Pare evidente che le ragioni che hanno portato il legislatore alla creazione di strumenti finanziari ibridi siano da ricercarsi in perlomeno una duplicità di motivazioni pratiche, tra esse non confliggenti ed anzi complementari. Da un lato, infatti, è stato da più parti rilevato come gli apporti a fronte dell'emissione di strumenti finanziari partecipativi non solo possono essere rappresentati da entità suscettibili di valutazione economica anche non conferibili – il caso tipico è quello degli apporti di prestazioni d'opera o servizio –, ma anche nel caso in cui siano tipologicamente omogenei rispetto ai conferimenti, non necessariamente saranno assoggettati alla disciplina propria di questi ultimi. In secondo luogo, poi, le finalità perseguite paiono essere nel senso di consentire a determinate categorie di creditori una sorta di “garanzia qualificata” costituita dalla partecipazione alla vita della società, mediante l'esercizio del più tipico dei diritti sociali, ovvero il voto; o ancora semplicemente la possibilità di attrarre verso la compagine sociale determinati soggetti investitori senza che essi siano, da un lato, costretti a sopportare il rischio d'impresa, ma pure, d'altronde, possano concorrere alle deliberazioni sociali.

 

5. Un’ipotesi applicativa all’impresa aeroportuale

Riassumendo, dunque, il discorso, e trasponendolo nell’ambito del diritto aeronautico, parrebbe configurabile un interessante profilo applicativo ove si intenda godere di finanziamenti provenienti da taluni soggetti esterni alla compagine sociale, consentendo loro l’attribuzione di limitati poteri di voice nella società, senza che questi divengano soci. Un’ipotesi potrebbe essere, ad esempio, il caso di società aeroportuali che nutrano interesse nella partecipazione nella propria gestione da parte di vettori particolarmente attivi sullo scalo, senza tuttavia desiderare che essi entrino necessariamente a fare parte della compagine sociale classicamente intesa. Ciò, a ben vedere, costituisce un vantaggio per entrambe le parti. Da un lato, infatti, la compagine sociale ben potrebbe, specie nelle società di più ridotte dimensioni, vedere nella propria stabilità un valore irrinunciabile; il titolare di strumenti partecipativi, di fatto, non entrerebbe a farne parte. D’altro canto l’investitore, ove ciò sia stabilito dal contratto di finanziamento, non soffrirà il rischio d’impresa, e beneficerà, a tutela del proprio investimento, delle eventuali maggiori informazioni che gli siano dovute in ragione della sua privilegiata posizione[12].



[1] Sul punto, assai diffusamente, M. Lamandini, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Bologna, 2001, 11 ss., 57 ss., 104 ss., spec. 141 ss.

[2] Assai ampia la bibliografia in tema di strumenti finanziari partecipativi. Sarà sufficiente in questa sede richiamare appena M. Cian, Strumenti finanziari e poteri di voice, Milano, 2006; M. Notari – A. Giannelli, sub art. 2346, 6° comma, in Commentario alla riforma delle società, dir. da P. Marchetti et al., volume Azioni (a cura di M. Notari); G. Mignone, Gli strumenti finanziari di cui al 6° co. Dell'art. 2346, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2009; F. Corsi, La nuova s.p.a.: gli strumenti finanziari, in Giur. comm. 2003, I, 415; M. Miola, Gli strumenti finanziari nella società per azioni e la raccolta del risparmio tra il pubblico, in Riv. dir. comm., 2005, I, 458. Sia inoltre consentito il rinvio a A. Bartolacelli, La partecipazione non azionaria nella s.p.a. Gli strumenti finanziari partecipativi, Milano, 2012.

[3] Sul punto: R. Costi, Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., Torino, 2006, 1, 729.

[4] Di quasi capitale relativamente agli strumenti finanziari discorrono anche A. Gambino, Spunti di riflessione, cit., 645; M. Lamandini, Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte delle società per azioni e delle cooperative per azioni, in Banca borsa, 2003, 519 ss., 534.

[5] M. Lamandini, Autonomia negoziale, cit., 519 ss

[6] Per una disamina delle posizioni dottrinali che vedono negli strumenti in parola semplici declinazioni del fenomeno obbligazionario si v. B. Libonati, I “nuovi” strumenti finanziari partecipativi, Intervento al convegno per i cinquanta anni della Rivista delle Società, ora in Riv. dir. comm., 2007, 1 ss.

[7] Sulla competenza all’emissione degli strumenti partecipativi si v., inter multos, G. Giannelli, Sulla competenza a deliberare l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, in Riv. dir. comm., 2006, 163 ss. e M. Cian, op. cit., 28.

[8] Il problema dell’ubi dell’esercizio del voto ha impegnato gli interpreti sin dai primi commenti successivi alla riforma, individuando tre possibili soluzioni: voto in assemblea degli azionisti, in assemblea speciale ex art. 2376 od in una apposita assemblea separata. Per una ricognizione dei termini del dibattito si v. M. Notari – A. Giannelli, sub art. 2346, 6° comma, cit., 96 ss.

[9] Sul punto M. Miola, op. cit.

[10] Sui quali, ex pluribus: R. Santagata, Strumenti finanziari partecipativi a «specifici affari» e tutela degli investitori in patrimoni destinati (Appunti), in Banca borsa, 2005, 302 ss.; L. Salamone, Il finanziamento dei patrimoni destinati a «specifici affari», in Giur. comm., 2006, I, 235 ss.; A. Laudonio, Strumenti finanziari inerenti a patrimoni destinati ad uno specifico affare: ricostruzione di una categoria, in Riv. dir. impr., 2005, 125 ss.

[11] Con ciò non si intende certamente che il rapporto di associazione in partecipazione non possa costituire una valida causa all’emissione di strumenti finanziari partecipativi nel senso sinora inteso; una tale possibilità pare assolutamente presente, ma, tuttavia, non sembra da ritenersi l’unica, ben potendo essere gli strumenti rappresentazione, ad esempio, di un contratto di mutuo tipico od atipico, assistito da clausole volte ad attribuire all’investitore determinate posizioni amministrative o patrimoniali che altrimenti non gli spetterebbero.

[12] È tuttavia opportuno segnalare come gli strumenti oggetto di questo intervento costituiscano un rischio sotto il profilo dei “costi di transazione” ad essi legati. La novità dell’istituto e la scarsa esperienza sinora maturata sul punto, oltre alla magmaticità del terreno relativo non consentono, in via aprioristica, un conforto che potrà essere dato solamente con le prime pronunce giurisprudenziali.


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