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Nullità della fideiussione ABI e contratti di leasing L’eccezione di nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. per violazione della normativa antitrust è sottratta alla disponibilità delle parti ed è suscettibile di rilievo anche officioso ex art. 1421 cc. Con il provvedimento n. 55 del 2.5.2005 la Banca d’Italia, ha riconosciuto che “a) gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90;1” ed ha imposto ad ABI di trasmettere preventivamente alla Banca d’Italia le circolari, emendate dalle disposizioni citate alla precedente lettera a), mediante le quali lo schema contrattuale oggetto d’istruttoria avrebbe dovuto essere diffuso al sistema bancario. Le determinazioni della Banca d’Italia hanno riguardato specificamente il settore bancario e le ripercussioni significative sul mercato rilevante del credito conseguenti alla violazione dell’art. 2 della normativa Antitrust e all’intesa illecita. Tali aspetti sono completamente estranei alla fattispecie in cui la garanzia si riferisca a contratti di leasing. (Daniel Polo Pardise) (riproduzione riservata) Appello Milano 22 luglio 2020.
Risoluzione per inadempimento del contratto di locazione finanziaria e applicabilità della nuova disciplina ai contratti risolti in data anteriore La Legge n. 124/17 non prevede norme relative all’ambito temporale di applicazione della disciplina relativa agli effetti della risoluzione dei contratti di locazione finanziaria, ma anche ritenendo che dette norme non siano applicabili ai rapporti contrattuali già risolti, deve comunque prendersi atto che esse consolidano l’affermarsi di una principio generale, in materia di effetti restitutori della risoluzione e di entità del risarcimento per illecito contrattuale dell’utilizzatore, che aveva già trovato espressione nell’art. 72 quater della Legge Fallimentare. Detto principio generale è quello secondo il quale, dopo la risoluzione del contratto e la restituzione del bene, spetta all’utilizzatore il diritto di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene a prezzo di mercato ricavi il concedente, rispetto alle utilità che avrebbe tratto dal contratto qualora regolarmente adempiuto fino al riscatto del bene. Vi sono i presupposti per ritenere superata, in quanto non più necessaria, la modalità che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente indicato come adeguata per reintrodurre nel fenomeno in esame il meccanismo riequilibratore delle prestazioni, ovvero l’applicazione in via analogica dell’art. 1526, commi 1 e 2 c.c. L’esercizio del diritto dell’utilizzatore di ricevere il ricavato dalla riallocazione del bene già oggetto del contratto di leasing è subordinato alla restituzione del bene, fermo il diritto della società concedente di ricevere gli importi corrispondenti ai canoni scaduti e, previa attualizzazione, ai canoni a scadere e al prezzo fissato per l’acquisto del bene a fine locazione. (Nicola Vascellari) (riproduzione riservata) Appello Venezia 26 febbraio 2020.
Gli obblighi di forma e pubblicità nel contratto di leasing finanziario Per mere ragioni di trasparenza, sulla base delle Istruzioni della Banca d’Italia pubblicate in Gazzetta Ufficiale, supplemento del 19 agosto 2003, è previsto per le società di leasing l’obbligo di pubblicizzare alla clientela, al momento della stipula del contratto, il c.d. “tasso leasing”, quale tasso di attualizzazione per il quale si verifica l’equivalenza finanziaria tra il costo d’acquisto del bene locato e i canoni periodici dovuti dall’utilizzatrice. L’obbligo di pubblicizzare il tasso leasing riguarda i contratti di locazione finanziaria stipulati dopo la divulgazione delle predette Istruzioni della Banca d’Italia, mentre alcun onere sussiste per i contratti stipulati nel periodo precedente. Il tasso leasing rappresenta un mero obbligo informativo, non richiamato all’art. 117 TUB e previsto dalle citate Istruzioni della Banca d’Italia, nel capo riferito alla pubblicità contrattuale, con l’effetto che la mancata o inesatta comunicazione di tale valore alla clientela non determina nullità del contratto, risultando sufficiente, per la valida assunzione dell’impegno finanziario da parte dell’utilizzatrice, la pattuizione del numero, dell’ammontare dei canoni e della periodicità degli stessi, nonché delle spese. (Giovanna Bigi) (riproduzione riservata) Tribunale Ancona 15 ottobre 2019.
Conformità della clausola risolutiva espressa di un contratto di leasing alla L. 124 del 2017 La legittimità della clausola risolutiva espressa inserita in un contratto di leasing deve essere giudicata assumendo come riferimento la L. n. 124 del 2017, anche se il contratto sia stato risolto prima dell’entrata in vigore di quest’ultima, in applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva. In particolare, una clausola risolutiva coerente con lo schema "canoni scaduti + canoni a scadere - bene" è conforme alla disposizione dell'art. 1 comma 138 della L. n. 124 del 2017: la mancanza, nel testo contrattuale, del riferimento alla necessità che la riallocazione del bene sia effettuata a valori di mercato non può infatti reputarsi una differenza rilevante, considerato che tale requisito va comunque ritenuto sussistente alla luce del parametro della buona fede contrattuale ex art. 1375 c.c. (Andrea Vascellari) (riproduzione riservata) Tribunale Bergamo 12 settembre 2019.
Contratto di leasing e conseguenze dell’inadempimento all’obbligazione di pagamento dei canoni In presenza di una clausola contrattuale che riservi al locatore la facoltà di agire “nei fori previsti dalla legge”, l’eccezione di incompetenza territoriale deve contestare tutti i possibili criteri di collegamento e comunque quelli stabiliti dall’art. 20 c.p.c. L’efficacia di giudicato di un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, e dunque irrevocabile, legittima la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento di non scarsa importanza. La clausola pattuita nel contratto di leasing di irripetibilità dei canoni riscossi dalla concedente è valida e vincola anche il cessionario del contratto. L’esercizio del potere riduttivo della penale non può essere esercitato qualora non siano esplicitate valide ragioni. La mancata restituzione del bene preclude il calcolo dell’equo compenso. In presenza di una statuizione di condanna alla restituzione del bene concesso in locazione finanziaria, deve essere accolta la domanda ex art. 614-bis c.p.c., tenuto conto del valore della causa, della natura della prestazione, del protrarsi dell’inadempimento e del danno prevedibile dalla ulteriore mancata consegna. (Marco Quagliaro) (riproduzione riservata) Tribunale Alessandria 03 ottobre 2019.
Ricostruzione unitaria del leasing e applicazione dell'art. 1526 c.c. Il giudicato derivante dal decreto ingiuntivo non opposto, produce l’effetto di rendere incontroverso il rapporto giuridico dedotto. In sede di opposizione dichiarata inammissibile, tale inammissibilità impedisce di dare luogo a qualsiasi procedimento che su di essa si fondi, sicché anche la domanda riconvenzionale dell’opponente resta travolta dall’inammissibilità dell’opposizione. L’art. 1526 c.c. non è applicabile ai contratti di leasing anche se stipulati prima dell’entrata in vigore della Legge n. 124/20I7, in quanto si tratta di disciplina ad esso estranea. Il leasing, nella sua evoluzione giuridica, si è infatti man mano tipizzato assumendo forme del tutto peculiari e tipiche, sino all’introduzione della L. n. 124/2017, che ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento, oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale. Sono dovuti, pertanto, i canoni scaduti insoluti maturati sino alla data di risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore. (Giovanna Bigi) (riproduzione riservata) Tribunale Ancona 19 agosto 2019.
Legittimità della clausola di indicizzazione del tasso d’interesse nel contratto di leasing La clausola di “indicizzazione” prevista in un contratto di leasing costituisce una clausola accessoria che non assume una causa autonoma rispetto a quella del contratto di leasing in cui è inserita. La clausola di indicizzazione, dunque, non dà vita ad una operazione dotata di causa autonoma (di cui agli artt. 21 ss. T.U.F.), ovvero sganciata dal contenuto del contratto di leasing finanziario, in quanto, con essa, le parti adeguano il valore del corrispettivo per il godimento dei beni strumentali ai valori di mercato, senza costituire una diversa operazione negoziale avente natura di investimento finanziario e trovano applicazione dunque le disposizioni del T.U.B. e ulteriori previsioni regolamentari del CIRC (n. 229 del 21 aprile 1999 e ss. mm.) e della Banca d’Italia in materia di trasparenza. Gli interessi corrispettivi e interessi di mora non debbono sommarsi aritmeticamente nel calcolo dell’usura, ma vanno autonomamente considerati, sia perché trattasi di grandezze disomogenee – data la diversa funzione corrispettiva dei primi, risarcitoria ed eventuale dei secondo – sia perché l’interesse moratorio ha normalmente natura sostitutiva di quello corrispettivo, sia perché, in definitiva, ciò che conta, non è solo la percentuale di interessi in sé e per sé, ma l’effettivo onere economico che in termini monetari viene addebitati al cliente. Di conseguenza, l’applicazione dell’art. 1815, comma 2 c.c. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale. (Giovanna Bigi) (riproduzione riservata) Tribunale Ancona 20 giugno 2019.
Locazione finanziaria: clausola penale e verifica del tasso soglia, errata indicazione del Tasso Interno di Attualizzazione La risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore comporta che il bene, la cui proprietà rimane a scopo di garanzia in capo alla società concedente, dovrà essere alienato. E’ perciò configurabile un danno (costi connessi alla conservazione del bene, al pagamento delle imposte, ecc.; costi connessi all’alienazione del bene a terzi) ulteriore e diverso rispetto al ritardo nella restituzione del capitale finanziato e alla perdita dei relativi interessi. Per questa ragione la penale, evidentemente ragguagliata anche a tali differenti pregiudizi, non è equiparabile agli interessi di mora, che rappresentano il risarcimento del più limitato danno da ritardo nel pagamento del debito pecuniario. La penale, quale risarcimento del danno il cui ammontare è predeterminato dalle parti, non rientra nella fattispecie dell’art. 644 c.p., poiché non è pattuita in “corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità”, non potendosi confondere il “risarcimento” per l’inadempimento contrattuale con il “corrispettivo” di una prestazione di denaro. L’ipotetica nullità della clausola penale non comporterebbe anche la nullità delle clausole rimanenti del contratto di leasing ed in particolare della pattuizione degli interessi corrispettivi sul capitale finanziato. La pattuizione di interessi e la pattuizione di una penale per il caso di risoluzione del contratto per inadempimento sono clausole funzionalmente distinte e dunque la sorte dell’una non incide su quella dell’altra. Non è applicabile la disciplina cd. antiusura ad una usurarietà ipotetica, qualora l’esecuzione del rapporto sia in fase più avanzata rispetto all’ipotesi formulata. Ammesso e non concesso che l’indicazione del Tasso Interno di Attualizzazione nel contratto sia errata, è da escludere che l’errore determini la nullità parziale del contratto di leasing. Non sussiste infatti una previsione normativa di nullità per tale ipotesi e non può applicarsi né il 4° comma dell’art. 117 T.U.B., il quale non contempla una fattispecie di nullità, né il 6° comma del medesimo articolo. Va poi osservato che il corrispettivo pattuito con il contratto di leasing non dipende dal Tasso Interno di Attualizzazione: al contrario, è quest’ultimo che, rappresentando un indicatore del costo complessivo annuo del leasing, dipende dal primo. (Nicola Vascellari) (riproduzione riservata) Appello Venezia 20 maggio 2019.
Non trascrivibilità della domanda ex art. 2932 cod. civ. svolta in via surrogatoria ex art. 2900 cod. civ. Il promissario acquirente di un bene immobile concesso in leasing al suo promittente alienante non ha diritto di ottenere la trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 cod. civ. svolta in via surrogatoria ex art. 2900 cod. civ. quando per il promittente alienante (conduttore in locazione finanziaria) non sia sorto il diritto di esercitare il riscatto del bene da lui promesso in vendita. (Studio Legale Nicastro & Associati) (riproduzione riservata) Tribunale Milano 26 giugno 2019.
Leasing e usura: nel calcolo del TEG interesse corrispettivo e moratorio non si sommano Per la stessa struttura del contratto di leasing, il tasso moratorio e quello corrispettivo non possono mai trovarsi ad essere applicati congiuntamente in relazione ad un medesimo periodo temporale. Il tasso di mora sostituisce il tasso corrispettivo e, pertanto, i due tassi non possono sic et simpliciter sommarsi tra loro. Pertanto l’utilizzatore può essere tenuto a corrispondere, per un certo periodo, o il tasso corrispettivo (se il capitale deve ancora scadere) o il tasso di mora (se la rata è già scaduta), mentre non può (né mai potrebbe) essere chiamato a pagare un tasso di interesse periodale pari alla somma del tasso corrispettivo e della mora. Questa considerazione esclude che il T.E.G contrattuale ai fini della verifica dell’usura possa corrispondere alla sommatoria dei tassi. La clausola di salvaguardia, per la quale il tasso di interesse corrisponde al tasso soglia usura impedisce “ab origine” che la pattuizione possa violare la soglia dell’usura impedisce che il debitore possa invocare le sanzioni di cui all’art. 1815 c.c.. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata) Tribunale Torino 20 dicembre 2018. |
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