Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6269 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 19 Luglio 2000, n. 9471. Est. Ferro.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Rapporti tra soci - Conferimenti - In genere - Versamento del socio in conto capitale - Acquisizione al patrimonio sociale - Conseguenze - Utilizzazione delle relative somme - Espressione della volontà sociale determinatasi nei modi previsti dalla legge - Necessità - Determinazione degli amministratori - Sufficienza - Esclusione.

Società - Di persone fisiche - Società semplice - Rapporti tra soci - Conferimenti - In genere - Versamenti del socio alla società - Natura - Diritto alla restituzione - Configurabilità - Condizioni - Interpretazione della reale intenzione dei soggetti del relativo rapporto da parte del giudice di merito - Necessità - Attribuzione di valore preminente alla qualificazione emergente dalla registrazione contabile della relativa operazione - Ammissibilità - Condizioni.



Con il versamento in conto capitale, l'entità pecuniaria che ne forma l'oggetto fuoriesce dal patrimonio del soggetto che vi provvede ed entra a far parte del patrimonio della società (dotato di alterità giuridica rispetto al patrimonio dei singoli soci) e può essere utilizzato soltanto in conformità alla volontà sociale determinatasi nei modi previsti dalla legge; ne consegue che per la distrazione di somme costituenti oggetto di tale versamento nelle società di persone, non è sufficiente una determinazione degli amministratori, giacché la volontà riferibile a tale tipo di società è governata dal principio della collegialità e, nell'ambito di questo, dal principio dell'unanimità, con le sole eccezioni previste dalla legge. (massima ufficiale)

Al fine di accertare se il versamento del socio alla società possa ritenersi effettuato per un titolo che ne giustifichi la restituzione al di fuori dell'ipotesi di liquidazione, occorre accertare quale sia stata la reale intenzione dei soggetti (socio e società) tra i quali il rapporto si è instaurato, verificando, secondo le regole interpretative della volontà negoziale, se tra le parti sia intercorso un rapporto di finanziamento inquadrabile nello schema del mutuo, o se sia intervenuto un contratto atipico di conferimento di capitale (inteso come capitale di rischio, in senso economico, e non come capitale nominale, in senso giuridico); in tale attività ermeneutica il giudice di merito può attribuire valore prevalente alla classificazione contabile con cui l'operazione è stata registrata nei libri della società, giacché la considerazione di una pluralità di elementi ermeneuticamente rilevanti non esclude la selezione di essi in base alla rispettiva valenza e quindi la collocazione di uno o alcuni di essi in posizione di preminenza nell'iter formativo del convincimento del giudice, con la conseguenza che deve ritenersi corretta la prevalenza accordata al dato letterale emergente dalla classificazione contabile, ove esso sia esente da lacune o ambiguità. (Fattispecie relativa a società di persone). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo ROCCHI - Presidente -
Dott. Vincenzo FERRO - rel. Consigliere -
Dott. Walter CELENTANO - Consigliere -
Dott. Giuseppe Maria BERRUTI - Consigliere -
Dott. Bruno SPAGNA MUSSO - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

BRESCIANO ANDREA, BAGNASCO ELIDA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DELLA GIULIANA 80, presso l'avvocato STADERINI C., rappresentati e difesi dall'avvocato LOCATELLI ROBERTO, giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO BRESCIANO SpA, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CASSIODORO 19, presso l'avvocato ALFIERI ARTURO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato COLOMBO GIOVANNI E., giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2375/98 della Corte d'Appello di MILANO, depositata l'08/09/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/04/2000 dal Consigliere Dott. Vincenzo FERRO;

udito per il resistente, l'Avvocato Alfieri, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Orazio FRAZZINI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 31 dicembre 1979 il Tribunale di Milano dichiarava il fallimento della s.p.a. Bresciano, precedentemente costituita in forma di società in accomandita semplice avente quali soli soci i coniugi Bresciano Andrea e Bagnasco Elida (fino al giugno 1977). Con ricorso 20 settembre 1982 il curatore del fallimento chiedeva autorizzazione a sequestro conservativo nei confronti di Bresciano Andrea fino a concorrenza di lire 1.000.000.000 e nei confronti di Bagnasco Elida fino a concorrenza di lire 1.400.000.000, deducendo l'esistenza di crediti della società fallita verso il Bresciano e la Bagnasco risultanti dai saldi debitori, alla data del 28 settembre 1977, di due conti intrattenuti dai suddetti con la società, estinti contabilmente mediante un'operazione registrata in tale data quale giro a decremento del conto "soci c/capitale", costituente una artificiosa compensazione di partite, giuridicamente nulla o simulata, non essendo stato effettuato alcun effettivo versamento dal Bresciano e dalla Bagnasco alla società, e comunque inopponibile al fallimento a norma dell'art. 64 della legge fallimentare o revocabile a norma dell'art. 66 della stessa legge. A seguito del provvedimento di sequestro concesso fino a concorrenza di lire 1.000.000.000 per ciascuno, il Curatore con atto di citazione 23 settembre 1992 citava in giudizio Bresciano Andrea e Bagnasco Elida per sentir "previa occorrendo declaratoria di nullità, annullamento, inefficacia, revoca e comunque inopponibilità alla Curatela delle scritture ed operazioni con cui nella contabilità della società fallita sono stati azzerati i debiti dei convenuti nei suoi confronti ..... convalidare il sequestro conservativo autorizzato dal Presidente del Tribunale di Milano con decreto in data 21 settembre 1982 ed eseguito come in atti; condannare Andrea Bresciano a pagare alla Curatela attrice la somma di lire 2.153.132.565, aumentata dagli interessi sulla stessa al tasso annuo del 15% dal 28 settembre 1977 alla data del pagamento, ed Elida Bagnasco a pagare alla Curatela attrice la somma di lire 1.624.338.048, aumentata dagli interessi nella misura e per il periodo predetti ......."

Con sentenza 20 dicembre 1990/10 ottobre 1991 n. 7870 il Tribunale di Milano convalidava il sequestro, e condannava Bresciano Andrea e Bagnasco Elida alla restituzione, in favore del fallimento della Bresciano s.p.a., rispettivamente della somma di lire 2.153.132.565 e di lire 802.290.750, con gli interessi al saggio del 10% annuo decorrenti dal 28 settembre 1977, ritenendo non provata l'imputabilità alla Bagnasco della residua parte dei prelievi effettuati e disattendendo, quanto al resto, l'assunto dei convenuti secondo cui i prelievi effettuati erano stati destinati ad impieghi comunque ridondanti a favore della società. Proponevano appello Bresciano Andrea e Bagnasco Elida, riproponendo la tesi difensiva circa le destinazioni attribuite agli importi prelevati, invocando l'estinzione del loro debito per compensazione realizzatasi attraverso la registrazione - sul libro giornale della Bresciano e sulle schede relative ai loro conti del giroconto di un equivalente importo dal conto capitale, sostenendo che la compensazione di partite non era un mero artifizio contabile ma rappresentava il frutto di operazioni finanziarie realmente avvenute con l'utilizzazione di versamenti in conto capitale effettuati da soci diversi dai Bresciano ai fini della chiusura dei conti di questi ultimi, e rilevando che l'estinzione dei debiti in questione aveva avuto luogo più di due anni prima della dichiarazione del fallimento della società. Costituendosi in giudizio la Curatela resisteva all'impugnazione sotto ciascuno dei profili suindicati, e proponeva appello incidentale contro il mancato integrale accoglimento della domanda.

La Corte di appello di Milano - sezione quarta civile - con sentenza 25 novembre 1994 n. 3114 rigettava sia l'appello principale sia l'appello incidentale confermando in toto la sentenza impugnata, affermando che l'avere la società utilizzato, per azzerare i conti debitori dei coniugi Bresciano, i versamenti effettuati dai nuovi soci in conto capitale non poteva rappresentare un fatto estintivo delle obbligazioni del Bresciano e della Bagnasco verso la società per difetto dell'essenziale requisito della reciprocità delle ragioni di credito e di debito costituenti oggetto della invocata compensazione, e ritenendo inammissibile l'esame della questione - prospettata tardivamente nella memoria presentata ai sensi dell'art. 190 C.P.C. - se la volontà della società espressa nelle ricordate scritture contabili potesse esplicare effetto estintivo delle obbligazioni del Bresciano indipendentemente dall'applicazione dell'art. 1241 C.C., quale manifestazione di una compensazione plurilaterale presupponente in linea di fatto la dimostrazione di un contratto a favore di terzo.

In accoglimento del ricorso proposto da Bresciano Andrea e Bagnasco Elida, la Corte di Cassazione con sentenza 10 gennaio 1997 n. 170 riteneva che il giudice di appello, dopo avere preso atto che la società Bresciano aveva inteso estinguere il debito dei precedenti soci con i versamenti provenienti dai nuovi soci, non avrebbe potuto esimersi dal giudicare nel merito sulla eccezione di avvenuta estinzione dei debiti attraverso tali versamenti, valutandola in tutti i risvolti giuridici consentiti, compreso quello della compensazione plurilaterale; cassava quindi la sentenza impugnata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di Milano.

Riassunto il processo ad iniziativa di Bresciano Andrea e Bagnasco Elida, ricostituitosi il contraddittorio con la costituzione in giudizio della Curatela, la Corte di appello di Milano - sezione prima civile - con sentenza 7 luglio/8 settembre 1998 n. 2375, respingeva l'appello proposto contro la sentenza del Tribunale di Milano, confermando questa in ogni sua parte, e condannava gli appellanti al rimborso delle spese.

Avverso quest'ultima sentenza Bresciano Andrea e Bagnasco Elida propongono il presente ricorso per cassazione, con deduzione di quattro motivi, aventi ad oggetto rispettivamente: 1) violazione dell'art. 345 C.P.C. 2) omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché violazione degli art. 1362 e seg. C.C.; 3) omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 2306 e dell'art. 2375 secondo comma C.C.; 4) violazione e falsa applicazione degli art. 1418, 1421 e 1427 C.C., insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. La Curatela del fallimento della Bresciano s.p.a. resiste con controricorso.

Entrambe le parti rassegnano memorie difensive ai sensi dell'art. 378 C.P.C.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo di cui al ricorso viene denunciata la violazione del principio della inammissibilità della proposizione di domande nuove nel giudizio di appello, in cui sarebbe incorsa la Corte ambrosiana, sotto il profilo della diversità della causa petendi, per avere il giudice del rinvio posto a fondamento della propria decisione un elemento - individuato nella indisponibilità da parte dei soci, e nella conseguente illegittimità della restituzione da parte degli amministratori ai soci stessi, dei versamenti effettuati in conto capitale e confluiti nell'operazione di compensazione - radicalmente diverso dai presupposti costitutivi della domanda addotti originariamente dalla Curatela e riconosciuti fondati dalla sentenza di primo grado che si riassumevano nella insussistenza giuridica di fatti estintivi del debito degli odierni ricorrenti e nella difformità dalla realtà giuridica sostanziale dell'apparenza contabile creata con la registrazione effettuata il 28 settembre 1977.

1.1. Osservano i ricorrenti che la prima delle suindicate prospettazioni postula l'inesistenza fattuale di quella operazione sul conto capitale (che si assumeva infatti simulatamente attestata nella ricordata registrazione) la cui realtà effettiva viene invece riconosciuta nella ricostruzione definitiva della Corte di merito per essere, nello stesso contesto, sottoposta alla verifica della sua validità giuridica nel raffronto con la disciplina inderogabile dell'organizzazione societaria, con esito negativo. 1.2. La censura per tal modo formulata si palesa priva di fondamento. La Corte di merito aveva anzitutto escluso la configurabilità nella fattispecie di una compensazione diretta tra la società creditrice e i debitori Bresciano e Bagnasco per difetto del presupposto della reciprocità delle rispettive ragioni di credito e debito; ed aveva ritenuto l'inammissibilità, per intempestività, dell'eccezione volta a far valere un compensazione "plurilaterale", mediante la quale i debiti del Bresciano e della Bagnasco verso la società sarebbero stati estinti grazie alla utilizzazione a tal fine dei versamenti precedentemente effettuati alla società stessa da soci diversi dal Bresciano e dalla Bagnasco in conto capitale. Tale eccezione è stata, invece, ritenuta dal giudice di legittimità ritualmente introdotta nella materia del contendere in quanto riconducibile alla tematica tempestivamente delineata con l'atto di appello anche se solo successivamente illustrata, ed è stata conseguentemente esaminata nel merito nel giudizio di rinvio e in quella sede disattesa. Alla stregua della suesposta ricostruzione dello sviluppo della dialettica processuale, devesi riconoscere - in adesione all'assunto difensivo della controricorrente - che, a fronte della causa petendi addotta a fondamento della domanda, che era e resta individuabile nell'esistenza dei debiti dei soci verso la società (quale dimostrata dalle - non controverse - risultanze della contabilità sociale anteriori alla registrazione compensativa del 28 settembre 1977), l'accertamento della sussistenza o meno del dedotto fatto estintivo dei debiti suddetti, con alternativo riferimento all'ipotesi della compensazione diretta o a quella della compensazione plurilaterale, attiene all'eccezione proposta dagli odierni ricorrenti: pertanto, la decisione della Corte ambrosiana non può dirsi fondata sull'accoglimento di una domanda nuova, risultando essa invece affidata alla reiezione, sotto il peculiare (ma ammissibile) profilo suindicato, dell'eccezione di estinzione delle pregresse posizioni obbligatorie. Non è quindi ravvisabile nella sentenza impugnata la denunciata violazione del principio secondo cui nel giudizio di appello non possono subire mutamento ne' il petitum nè la causa petendi, ostandovi il disposto dell'art. 345 C.P.C. 2. Il secondo motivo di ricorso investe la problematica relativa alla qualificazione giuridica del rapporto istituitosi col versamento in conto capitale.

2.1. La Corte ambrosiana, accedendo all'esame della questione se il versamento dei soci possa considerarsi eseguito per un titolo che giustificasse la restituzione ai soci stessi, e con essa l'utilizzazione da parte degli amministratori con il consenso dei soci stessi ad estinzione del debito degli attuali ricorrenti, ha premesso, del tutto correttamente, che la questione deve trovare soluzione in base ai principi che determinano, non solo nelle società di capitali ma anche nelle società di persone, la diversità di trattamento giuridico tra la erogazione di liquidità pecuniaria effettuata dal socio (ma uti singulus) alla società a titolo di mutuo, da cui scaturisce - secondo la configurazione tipica di tale contratto - il diritto del mutuante e l'obbligo del mutuatario alla restituzione, e il versamento effettuato dal socio - non accidentalmente tale ma uti socius - di apporti finanziari che si aggiungono a quelli rappresentati dai conferimenti nominali imputabili alla originaria costituzione della società o al successivo aumento del capitale sociale, che si traducono, quindi, in incremento del patrimonio netto della società, con attribuzione alla società della facoltà di disporne ai fini dell'attività sociale, e che non costituiscono oggetto di un diritto, in capo a chi ne sia stato autore, alla restituzione durante la vita della società e al di fuori della liquidazione. E il giudice del merito ha programmaticamente dichiarato il proprio intendimento di desumere la soluzione "non soltanto dalla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, quanto soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto, e dagli interessi che vi sono sottesi." Tale impostazione risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità la quale (v. Cass. 19 marzo 1996 n. 2314) sottolinea la necessità di "verificare con la massima cautela quale sia stata in concreto la reale intenzione dei soggetti - socio e società - tra i quali il rapporto si è instaurato" e di - accertare di volta in volta, sulla scorta delle normali regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, se si sia trattato di rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo, o se si sia invece in presenza di un contratto atipico di conferimento di capitale (qui inteso come capitale di rischio, in senso economico), e, in quest'ultimo caso, se il conferimento sia stato o meno condizionato ad un futuro aumento del capitale (qui inteso come capitale nominale in senso giuridico) della società".

2.2. Tale impostazione non viene, in se stessa, investita da specifiche ragioni di dissenso dei ricorrenti, dai quali vengono invece addebitati alla Corte di merito due profili di ritenuta devianza dai criteri suesposti. Entrambe le argomentazioni critiche al riguardo formulate vanno disattese in quanto infondate. 2.2.1. I ricorrenti denunciano, anzitutto, l'incongruenza della motivazione della sentenza che, dopo avere affermato l'esigenza di appurare l'effettiva volontà delle parti, ha affermato che "nel caso in esame occorre valutare l'elemento interpretativo di più evidente significato che è rappresentato dalla stessa classificazione contabile con cui l'operazione è stata documentata e registrata nei libri della società Bresciano dove è stata iscritta come versamento "socio c/capitale". Ma la considerazione di una pluralità di elementi ermeneuticamente rilevanti non esclude la selezione di essi in base alla rispettiva valenza e quindi la collocazione di uno o di alcuni di essi in posizione preminente nell'iter formativo del convincimento del giudice: e l'attribuzione, da parte dell'interprete, di un carattere di prevalenza al dato letterale che risulti in se stesso esente da estremi di equivocità o lacunosità risponde a un criterio del quale va riconosciuta la legittimità e la correttezza.

Nell'insieme, la lettura della sentenza conduce a constatare che la Corte ambrosiana non ha mancato di adempiere nella sua motivazione all'esigenza di una interpretazione sostanziale, complessiva e sistematica ai fini della ricostruzione della effettiva realtà giuridica, con la valorizzazione del fatto della collocazione del versamento di cui trattasi nel più ampio contesto della ricapitalizzazione della società (che ha portato tra l'altro alla trasformazione della stessa in società per azioni) a conferma della ritenuta corrispondenza della terminologia adottata in sede contabile all'intento realmente perseguito dalle parti. D'altro canto, osservasi che dai ricorrenti non viene addotto alcun elemento specifico il quale induca a ravvisare nel tenore letterale della registrazione aspetti di incoerenza o di equivocità tali da esigere superamento, sul piano ermeneutico, con il riferimento ad altri elementi significativi.

2.2.2. Sotto diverso profilo, i ricorrenti assumono che la Corte di merito avrebbe in certo qual modo travisato il modo con cui il rapporto ha avuto concreta attuazione, omettendo di considerare che il versamento di lire 14.436.185.386 venne registrato in coincidenza cronologica con la deliberazione dell'aumento del capitale sociale da lire 260.000.000 a lire 10.000.000.000, e omettendo quindi di riconoscere "il sottostante accordo dei vecchi e dei nuovi soci che, effettuando versamenti per lire 17.642.671.812, in misura eccedente l'aumento del capitale sociale deliberato, e il previsto ulteriore aumento fino a lire 14.000.000.000, intesero destinare una parte di tali versamenti. pur registrati in conto capitale, all'estinzione dei debiti dei vecchi soci." È sufficiente osservare, al riguardo: che la correlazione cronologica tra le varie annotazioni contabili non è - in base a logica - significativa nel senso voluto dal ricorrente, ma depone piuttosto in senso contrario, nel senso cioè di conferma della sottoposizione dei versamenti al vincolo di indisponibilità alla luce del carattere di unitarietà dell'operazione; e che dal solo elemento dell'eccedenza quantitativa dei versamenti rispetto all'aumento del capitale sociale, in se stesso considerato, non può essere tratto argomento logicamente esauriente a smentita a quel vincolo, consentaneo all'imputazione al conto capitale, in assenza di ulteriori elementi, dei quali non vi è traccia nell'esposizione dei ricorrenti, concretamente rilevanti agli effetti della pretesa discriminazione, nel coacervo dei versamenti in conto capitale, di una parte vincolata ad aumento del capitale (al fine ulteriore della estinzione del credito del principale creditore della società) e di altra parte disponibile e come tale suscettibile di utilizzazione a beneficio gratuito dei soci debitori. Al di là dei rilievi metodologici fin qui svolti, l'opzione interpretativa del giudice del merito rientra nell'ambito del giudizio di merito che allo stesso è riservato, e si sottrae nel suo contenuto a sindacato in sede di legittimità, onde i ricorrenti non possono aspirare a vederla sostituita, da questa Corte, con altra da essi ritenuta preferibile. 3. Nel terzo motivo i ricorrenti si dolgono della ritenuta inesistenza di una successiva valida rimozione da parte della società del vincolo di indisponibilità che caratterizzava ab origine i versamenti dei soci. Non si pretende, al riguardo, di sostenere l'esistenza di un atto specificamente espressivo della volontà collettiva dei soci della società Bresciano - all'epoca costituita in forma di società in accomandita semplice, nella quale Bresciano Andrea rivestiva, con altri, la veste di accomandatario - avente ad oggetto la sottrazione dei fondi in questione alla disponibilità della società. Si assume, invece, che la rimozione sarebbe stata operata con "un accordo, se pure informale, tra tutte le parti interessate, ovvero di tutti i soci, vecchi e nuovi, accomandatari e accomandanti".

3.1. In ordine a tale ipotesi, la Corte ambrosiana ha disatteso l'assunto degli appellanti secondo cui gli amministratori, disponendo lo storno del versamento a compensazione del saldo a debito dei conti del Bresciano e della Bagnasco, abbiano efficacemente manifestato una volontà riferibile all'ente sociale di ripristinare la disponibilità dei fondi a favore dei soci. Ha rilevato al riguardo il giudice del merito: che la volontà sociale non può essere integrata dall'operato del solo organo amministrativo, istituzionalmente dotato di potere di rappresentanza esterna della società ma non anche, sul piano interno, di potere deliberativo incidente sullo svolgimento del rapporto sociale; che in tema di capitale la necessità del consenso di tutti i soci trova conferma nella previsione dell'art. 2306 C.C. secondo cui il rimborso delle quote pagate o la liberazione dall'obbligo di ulteriori versamenti devono essere approvati con apposita deliberazione di riduzione di capitale; che non può ritenersi significativa l'approvazione da parte dei soci, in sede di deliberazione della trasformazione da società in accomandita semplice a società per azioni, della situazione patrimoniale al 30 settembre 1977 quale riclassificata nella relazione di stima predisposta ai sensi dell'art. 2498 C.C. E non si può non rilevare che la suesposta ratio decidendi viene sostanzialmente travisata dai ricorrenti quando questi assumono che "un tale accordo non è stato negato dai giudici di appello giacché è stato considerato inidoneo a consentire ai soci amministratori di restituire ai soci i versamenti destinati a estinguere il credito della società ......."

3.2. La ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda su una duplice affermazione di principio che risulta del tutto conforme ai principi di diritto che regolano la materia e che esige di essere riaffermata in questa sede nei termini seguenti: i versamenti in conto capitale concorrono alla formazione del patrimonio netto della società, onde per la distrazione di una parte di esso si richiede la volontà della società considerata, anche nel caso di società di persone, nella sua peculiare e pur non perfetta identità giuridica non riducibile alla soggettività giuridica dei singoli soci (quella volontà della società che non si richiede invece per la efficacia del versamento che può assumere anche la configurazione del contratto a favore di terzo); la formazione della volontà riferibile alla società di persone, nella quale non esiste istituzionalmente una assemblea, è governata dal principio della collegialità, e, nell'ambito di questo, dal principio dell'unanimità, con le sole eccezioni dei casi espressamente previsti dalla legge. 3.3. Sostengono i ricorrenti che, mentre può condividersi l'affermazione secondo la quale il socio non può unilateralmente pretendere la restituzione dei versamenti informalmente effettuati in base ad accordo tacito e, comunque, non formalizzato per dotare stabilmente la società di ulteriori mezzi propri, non sussistono invece i presupposti per ritenere la restituzione degli stessi disciplinata dalla stessa norma (l'art. 2306 C.C.) che riguarda la riduzione mediante rimborso di quote ai soci del capitale formalmente costituito.

3.3.1. Osservasi anzitutto, che la prospettata informalità del preteso accordo non può essere indebitamente valorizzata fino a intenderla come esenzione dalla necessità di qualsiasi riscontro documentale (e quindi come identificabilità della volontà negoziale in meri fatti concludenti), ove si tenga presente che anche gli amministratori delle società di persone sono soggetti all'obbligo dell'applicazione, in sede contabile, dei criteri di verità e di prudenza, al fine di evitare possibili sopravvalutazioni del patrimonio sociale in pregiudizio dei creditori e dei terzi oltre che degli stessi soci.

3.3.2. Contro la equiparazione della disciplina dei versamenti contabilmente classificati in conto aumento capitale alla disciplina dei versamenti effettuati in esecuzione di un aumento di capitale regolarmente deliberato, non giova ai ricorrenti segnalare la differenza tra l'uno e l'altro fenomeno giuridico, giacché tale differenza non è stata misconosciuta dalla Corte di merito la quale ha riconosciuto, come si è visto, essere i versamenti de quibus destinati ad incrementare il patrimonio sociale senza però riflettersi sul capitale nominale della società. La portata concreta dell'odierna censura si esaurisce nel porre un quesito: "se i soci possono, mediante accordo anche non scritto, anche tacito, effettuare versamenti destinati a incrementare il patrimonio sociale, non si vede perché, almeno nelle società di persone, informalmente, nello stesso modo essi non possano deciderne la riduzione con la restituzione dei versamenti". Ma tale perplessità non ha ragione di essere, posto che con il versamento dotato della valenza giuridica del conferimento l'entità pecuniaria che ne forma oggetto viene estromessa dal patrimonio del soggetto che vi provvede ed entra a far parte del patrimonio dell'ente sociale che anche nelle società non personalizzate è caratterizzato (secondo ben noti principi) da alterità giuridica rispetto al patrimonio dei soci e, sottratta al potere di disposizione del singolo socio, può essere utilizzata solo in conformità alla volontà sociale formatasi nei modi previsti dalla legge. E di tali concetti la Corte territoriale ha fatto dichiarata inequivocabile applicazione.

3.4. Resta irrilevante, in particolare, la circostanza che l'acquisizione alla società delle disponibilità pecuniarie derivanti dai versamenti effettuati in conto capitale non si risolve in modificazione del contratto sociale ne' viene portata a conoscenza dei terzi mediante le forme di pubblicità riservate ai fatti incidenti sugli elementi costitutivi della società). Infondatamente i ricorrenti ne inferiscono che i versamenti a tale titolo effettuati non assolvono ad alcuna funzione di garanzia nei confronti dei creditori sociali, ne' sono idonei a fondare affidamenti o diritti di alcun genere nei terzi. Non può dirsi infatti che solo il capitale sociale e non anche il patrimonio sociale (nella parte eventualmente eccedente la necessaria corrispondenza col capitale) costituisca oggetto di garanzia generica a favore dei terzi creditori della società: lo dimostra, con specifico riferimento alle società di persone, l'art. 2304 C.C. il quale stabilisce che i creditori sociali, anche se la società è in liquidazione. non possono pretendere il pagamento dai singoli soci se non dopo l'escussione del patrimonio sociale.

3.5. L'asserzione conclusiva del terzo motivo in esame, secondo cui "la Corte di Milano non avrebbe dovuto limitarsi a rilevare che gli amministratori della s.a.s. Bresciano non potevano restituire (considerare nella disponibilità dei soci) le somme da essi versate, e classificate come versamenti in conto capitale, in assenza di delibera unanime dei soci ex art. 2306 C.C., ma avrebbe dovuto accertare se gli amministratori, restituendo (rendendo disponibili) i versamenti poi destinati al pagamento dei crediti della società, avevano operato con il consenso se pure informale se pur tacito, se pure manifestato in momenti diversi. di tutti i soci", si risolve da un lato nella pretesa di una esenzione dall'assolvimento dell'onere della prova del fatto costitutivo dell'eccezione proposta. e dall'altro appare carente di qualsiasi significativo contenuto critico contro la motivazione alla quale il giudice del merito ha affidato la propria decisione sulla scorta delle risultanze acquisite e adeguatamente valutate.

3.6. Anche il terzo motivo in esame deve perciò essere disatteso.

4. Il quarto motivo di ricorso investe la parte finale della motivazione della sentenza impugnata nella quale la Corte ambrosiana afferma che in mancanza di un valido atto dispositivo dei soci, l'elemento del patrimonio netto della società Bresciano rappresentato dal versamento "socio c/capitale" in esame deve giudicarsi invalidamente disposto dagli amministratori, così che se ne deve dedurre l'inefficacia ad estinguere la posizione debitoria dei soci Bresciano e Bagnasco per nullità assoluta ai sensi dell'art. 1418 C.C." non solo per la violazione di norme imperative dettate in funzione dell'organizzazione della società e della tutela dei terzi, ma anche perché posto in essere in situazione di conflitto di interessi tra la società e i soci amministratori. 4.1. Assumono i ricorrenti: che nella fattispecie, non trattandosi di restituzione di quote del capitale nominale ma di versamenti destinati ad incrementare il patrimonio sociale, tale operazione avrebbe potuto risultare confliggente con gli obblighi assunti reciprocamente tra i soci e rilevanti solo all'interno della compagine sociale ma non anche con norme imperative poste a protezione di interessi generali; che, conseguentemente, la disposizione per tal modo compiuta, anche ove indebita (in quanto non giustificata dalla volontà di tutti i soci) avrebbe potuto integrare, a carico dei soci che l'avevano richiesta e degli amministratori che l'avevano disposta, responsabilità di contenuto restitutorio o risarcitorio in favore degli altri soci, ma non anche inficiare in se stessa la validità giuridica della attuata compensazione; che conseguentemente non poteva il Curatore essere considerato legittimato a far valere la ritenuta nullità. 4.2. Al di là del riferimento all'ipotesi del conflitto di interessi, per vero non pertinentemente richiamata in quanto espressamente considerata dalla legge (mediante il coordinato disposto degli art. 2373 e 2377 C.C.) quale causa di annullabilità e non di nullità assoluta, a smentita della tesi dei ricorrenti è sufficiente rilevare quanto segue.

4.2.1. Contro la pretesa irrilevanza esterna - qui invocata nel contesto problematico della ritenuta invalidità - degli atti incidenti sulla destinazione degli incrementi patrimoniali che i ricorrenti vogliono considerare inidonei ad ingenerare affidamenti o diritti nei creditori e nei terzi in genere, giova richiamare in questa specifica sede quanto precedentemente rilevato sub 3.4. a proposito della rilevanza del patrimonio sociale (anche nella parte eventualmente eccedente la necessaria corrispondenza col capitale) quale oggetto di garanzia generica.

4.2.2. L'argomentazione dei ricorrenti sembra ricollegarsi alla distinzione, nell'ambito della disciplina dell'invalidità delle deliberazioni sociali, tra l'annullabilità prevista dall'art. 2377 C.C. per quelle che "non sono prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo" e la nullità assoluta prevista, per quelle caratterizzate da impossibilità o illiceità dell'oggetto, dall'art. 2379 C.C. con rinvio agli art. 1421, 1422 e 1423 C.C. Ai fini di tale impostazione problematica, se ed in quanto pertinente, dovrebbe essere precisato il significato giuridico della suddetta discriminazione, quale chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che ricorrono gli estremi della nullità di cui all'art. 2379 C.C. ogniqualvolta la determinazione sociale si ponga in contrasto con norme cogenti volte a tutela dell'interesse generale che va al di là dell'interesse dei soci, mentre l'annullabilità sanziona le determinazioni che possano risultare lesive di un interesse particolare: e, in questo ordine di concetti, l'interesse generale alla cui tutela è prevista la nullità non è individuabile sic et simpliciter nell'interesse dei terzi, ma assume un contenuto più ampio in correlazione con l'esigenza del corretto svolgimento della vita della società in ogni sua manifestazione trascendente (ed eventualmente limitativa) rispetto all'interesse del singolo socio o di un particolare gruppo di soci. E tale non potrebbe non essere considerato l'interesse alla conservazione del patrimonio sociale, comunque costituito, nella sua destinazione strumentale allo svolgimento dell'attività sociale. Della rilevanza generale e pubblicistica dell'aspetto qui considerato costituisce sintomo decisivo la sanzione penale che colpisce, a norma dell'art. 2623 C.C. (dettato in tema di società soggette a registrazione, ivi comprese quindi le società personali), la condotta degli amministratori che "restituiscono ai soci palesemente o sotto forme simulate i conferimenti o li liberano dall'obbligo di eseguirli, fuori del caso di riduzione del capitale sociale": pertinentemente, quindi, la norma ora citata è stata richiamata dal giudice del merito, sul presupposto della qualificazione dei versamenti de quibus alla stregua di conferimenti effettuati in esecuzione di un rapporto sociale anche se eccedenti l'entità matematica del capitale. 4.2.3. Risulta peraltro decisiva e assorbente la seguente ulteriore osservazione. La Corte di merito ha ritenuto la nullità non già di una deliberazione della collettività dei soci (in ipotesi equipollente, nella società di persone, a quella che è nella società di capitali la deliberazione assembleare), della quale invece ha postulato la ontologica insussistenza, bensì dell'operazione negoziale compiuta dagli amministratori mediante la disposizione, nel modo suindicato, di una parte del patrimonio netto della società. Orbene, nel sistema normativo non si rinviene una disciplina specifica della invalidità delle determinazioni in cui si concreta l'attività giuridica degli amministratori (o del consiglio di amministrazione): la eventuale illegittimità di tali determinazioni può trovare sanzione nella revoca degli amministratori ai sensi dell'art. 2383 C.C. o nei provvedimenti giudiziari di cui all'art. 2409 C.C., o nella responsabilità di cui agli art. 2392 e seguenti C.C. Ciò posto, il rilievo della illiceità della disposizione, da parte degli amministratori, del patrimonio sociale assume, nel contesto della ratio decidendi del giudice di merito, rilevanza determinante ma incidentale - in relazione alla quale risulterebbe in se stessa inadeguata per eccesso una espressa formale declaratoria di nullità, presupponente la legittimazione attiva della parte che la richiede o gli estremi della rilevabilità di ufficio - ai fini del riconoscimento della inidoneità di essa a produrre, quale legittima conseguenza di diritto sostanziale, l'effetto estintivo, in virtù di compensazione, delle situazioni debitorie del Bresciano e della Bagnasco. Tale rilievo, nella sua opponibilità contro l'eccezione di compensazione plurilaterale, prospettata dagli attuali ricorrenti come precisato in precedenza sub 1), rientra innegabilmente - e indipendentemente da qualsiasi iniziativa processuale della Curatela - nel potere del giudice del merito di ricerca e di verifica, ai fini della decisione sull'eccezione, di tutte le necessarie componenti dell'iter formativo del proprio convincimento.

5. Il ricorso riceve quindi totale reiezione. Consegue la condanna dei ricorrenti in solido tra loro al rimborso in favore del Fallimento resistente delle spese del giudizio di legittimità. P. Q. M.

la Corte

rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti Bresciano Andrea e Bagnasco Elida in via solidale tra loro al rimborso in favore del Fallimento della s.p.a. Bresciano delle spese del presente giudizio che liquida in lire 590.400 per esborsi e lire 35.000.000 per onorari.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2000.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2000