Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26873 - pubb. 11/01/2021

Le questioni di graduazione riguardanti la collocazione di un credito trovano la loro sede di risoluzione nella fase di ripartizione dell'attivo

Cassazione civile, sez. I, 30 Luglio 1998, n. 7481. Pres., est. De Musis.


Fallimento - Ripartizione dell’attivo - Questioni concernenti la graduazione delle cause di prelazione - Risoluzione in sede di ripartizione dell'attivo - Decreto del giudice delegato autorizzante il creditore pignoratizio a trattenere parte della somma ricavata dai beni dati in pegno - Carattere decisorio - Esclusione - Reclamabilità al Tribunale nel termine di tre giorni - Ammissibilità - Provvedimento del Tribunale dichiarativo dell'inammissibilità del reclamo per mancato rispetto dei termini - Ricorribilità in Cassazione ex art. 111 Cost. - Esclusione



Il decreto di cui all'art. 96 legge fallimentare, se non impugnato, preclude, nell'ambito del procedimento fallimentare, ogni questione relativa all'esistenza e all'entità del credito ammesso, all'efficacia del titolo dal quale esso deriva e all'esistenza delle cause di prelazione, mentre le questioni di graduazione di dette cause e in genere quelle riguardanti la collocazione di un credito rispetto agli altri trovano la loro sede di risoluzione, a norma degli artt. 110 e seg. legge fallimentare, nella fase di ripartizione dell'attivo; pertanto il decreto con il quale il giudice delegato autorizzi un creditore ammesso al passivo in via privilegiata a trattenere solo una parte della somma derivante dalla riscossione dei titoli tenuti in pegno è privo di carattere decisorio, sia perché l'attribuzione definitiva delle somme ricavate dai beni dati in pegno non può che avvenire in sede di riparto, sia perché l'eventuale accantonamento di parte della detta somma non può che avere effetto provvisorio e non costituisce pertanto decisione sulla loro spettanza, con la conseguenza che detto decreto è reclamabile nel previsto termine di tre giorni, mentre è inammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento del Tribunale che abbia dichiarato l'inammissibilità per tardività del reclamo avverso il suddetto decreto. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Rosario DE MUSIS - Presidente e Relatore -

Dott. Enrico PAPA - Consigliere -

Dott. Francesco FELICETTI - Consigliere -

Dott. Laura MILANI - Consigliere -

Dott. Giuseppe Maria BERRUTI - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI TORINO SpA, in persona del Dirigente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso l'avvocato VENTURINI MARIA TERESA, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO IMMOBILIARE LE DUNE Srl, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO GENERALE GONZAGA 2, presso l'avvocato LUDOVICO PAZZAGLIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso il provvedimento del Tribunale di ROMA, Sezione Fallimentare, depositato il 05/07/96 (fall. 56583)

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/98 dal Consigliere Dott. Rosario DEMUSIS;

udito per il resistente, l'Avvocato Pazzaglia, che ha chiesto l'inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto CINQUE che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Svolgimento del processo.

L'Istituto bancario S. Paolo di Torino , ammesso in via privilegiata al passivo del fallimento della s.r.l. "Immobiliare Le Dune" , quale creditore pignoratizio su titoli , per lire 2.808.676.505 avendo riscosso titoli per lire 1.103.874.000 chiese di poter trattenere definitivamente questa somma.

Il giudice delegato autorizzò a trattenere la somma , tranne che per lire 150.000.000 , delle quali dispose la restituzione alla procedura con riserva di procedere ad ulteriori pagamenti del credito sul quale avrebbero gravato gli oneri della procedura.

L'Istituto propose reclamo deducendo : che trattandosi di pegno "'irregolare"" il credito avrebbe potuto essere soddisfatto mediante trattenimento definitivo della somma per (diretta) compensazione e che pertanto la istanza di autorizzazione non avrebbe potuto che essere intesa quale volontà di compensazione ; che il credito avrebbe potuto subire il concorso solo di crediti per spese di amministrazione e di liquidazione del bene dato in pegno. Con provvedimento del 5-6-1996 il Tribunale di Roma - ritenuto che lo stato passivo era divenuto definitivo e quindi era passata in giudicato l'ammissione del credito sulla base di pegno "regolare" e che sul credito pignoratizio gravava il compenso del curatore - affermò che il decreto impugnato non aveva carattere decisorio sia perché l'attribuzione definitiva della somma ricavata dai beni dati in pegno non può che avvenire in sede di riparto sia perché l'accantonamento costituisce provvedimento provvisorio dal momento che il compenso al curatore va determinato dal Tribunale e il concorso di altre spese va accertato in sede di riparto , e conseguentemente dichiarò inammissibile il reclamo perché proposto dopo il previsto termine di tre giorni. Ha proposto ricorso per cassazione l'Istituto; ha resistito con controricorso seguito da memoria il fallimento.

 

Motivi della decisione.

Con l'unico motivo, denunziandosi violazione di legge e falsa applicazione di norme di diritto nonché vizio di motivazione , si deduce che il Tribunale: 1) erroneamente ha ritenuto il provvedimento del giudice delegato non avente natura decisoria laddove tale natura ricorreva in quanto il provvedimento di restituzione di parte della somma aveva inciso su posizione di diritto sostanziale dal momento che con esso si dichiarava che l'importo che la banca aveva chiesto di trattenere non costituiva oggetto di pegno irregolare ed era entrato nell'attivo fallimentare , tanto che avrebbe costituito base di calcolo per la determinazione dei compensi del curatore e sarebbe stato gravato dalle spese di massa in generale , e che il credito era assoggettato al concorso dei crediti in prededuzione ; 2) ha affermato che la banca aveva fatto valere il diritto di prelazione previsto dall'art.53 della legge fallimentare , laddove la banca aveva chiesto l'ammissione al passivo seguendo l'opinione che ciò dovesse avvenire pur in caso di pegno irregolare e pertanto la istanza di autorizzazione a trattenere la somma andava intesa quale volontà di avvalersi della compensazione prevista dall'art.56 di detta legge ; non ha quindi rilevato che non poteva non considerarsi decisorio il provvedimento che dichiarava che non fosse stata fatta valere la compensazione e che il pegno era non irregolare ma regolare e quindi la banca non era proprietaria della somma riscossa ; 3) avendo affermato che sui beni oggetto di garanzia privilegiata possono gravare solo le spese correlate all'accertamento e alla liquidazione del bene , avrebbe dovuto escludere dalla restituzione la parte di somma (lire 90.000.000) che il curatore aveva rapportato alle spese relative ad altro cespite da liquidare.

Il ricorso è inammissibile.

Va premesso che il Tribunale ha emesso una pronunzia di rito - inammissibilità del reclamo perché proposto tardivamente in relazione alla natura non decisoria del provvedimento impugnato - e pertanto occorre solo stabilire se sia fondata la motivazione di tale natura non decisoria, dovendosi le argomentazioni del Tribunale ritenersi svolte unicamente a tal fine.

Al quesito va data risposta positiva, e le argomentazioni che si esporranno vanno intese come integrazione della motivazione ai sensi dell'art.384 c.p.c. Va premesso che il decreto di formazione dello stato passivo se non impugnato preclude nell'ambito del procedimento fallimentare ogni questione relativa alla esistenza ed entità del credito ammesso nonché alla efficacia del titolo da cui esso deriva ed alla esistenza di cause di prelazione e che le questioni di graduazione di dette cause ed in genere quelle concernenti la collocazione di un credito rispetto agli altri hanno la loro sede di risoluzione nella fase di ripartizione dell'attivo (cass,n.2302/1995). Il provvedimento del giudice delegato pertanto, non avendo costui potere di decidere le questioni di cui sopra - la risoluzione delle quali , si ripete , compete al giudice dell'opposizione allo stato passivo o al giudice del riparto - non poteva rivestire contenuto decisorio : ne' in quanto autorizzava il trattenimento di parte della somma perché tale disposizione non immutava - peraltro non risultano esaminate dal giudice delegato le questioni che avrebbero giustificato un provvedimento traslativo - ne' il titolo del diritto spettante alla banca ne' il tipo di prelazione ; ne' in quanto disponeva la restituzione al fallimento di parte della somma perché tale disposizione non poteva che essere intesa quale provvedimento di mero accantonamento , il quale , ad onta delle argomentazioni addotte a suo sostegno, ha il solo effetto di procrastinare la definitiva attribuzione di determinate somme e non costituisce quindi decisione sulla loro spettanza.

Peraltro poiché, per le considerazioni più sopra svolte , il giudice delegato non aveva il potere di decidere sulla spettanza delle somme (e se ciò avesse fatto il relativo provvedimento sarebbe stato illegittimo) non potrebbe , come sostiene il ricorrente, ritenersi che tale questione sia stata decisa implicitamente, dovendo invece presumersi , se del caso, in difetto di specifici diversi elementi desumibili dal provvedimento e dalla ricorrente non evidenziati , che il giudice abbia pronunziato sulla base ed in conformità dei poteri che gli competono.

Il ricorso pertanto proposto ai sensi dell'art. 111, secondo comma della Costituzione, dev'essere dichiarato inammissibile.

La soccombente va condannata al pagamento delle spese.

 

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, a favore del resistente, di lire 172.630 per spese e di lire 5.000.000 per onorari.

Così deciso in Roma, il 23-4-1998.

Depositato in Cancelleria il 30 Luglio 1998.