Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26893 - pubb. 11/01/2021

Ordine di distribuzione, sussistenza e prededucibilità di un credito

Cassazione civile, sez. I, 08 Maggio 1991, n. 5124. Pres. Vercellone. Est. Bibolini.


Fallimento - Ripartizione dell'attico - Ordine di distribuzione - Sussistenza e prededucibilità di un credito - Contestazione del curatore - Accoglimento da parte del giudice delegato - Provvedimento relativo - Natura - Impugnabilità



Qualora la sussistenza e la prededucibilità di un credito nei confronti della massa, che siano contestate dal curatore, e difettino di accertamento in forza di pronuncia giurisdizionale, vengano disconosciute anche dal giudice delegato, con decreto di reiezione dell'istanza di pagamento, reso a norma dell'art. 111 secondo comma della legge fallimentare, si deve escludere che il preteso creditore, per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, possa proporre reclamo contro detto decreto, e poi ricorso per cassazione contro la statuizione sul reclamo, atteso che i relativi provvedimenti, meramente ricognitivi del difetto dei presupposti per il pagamento in prededuzione, non hanno portata decisoria su quei diritti. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Paolo VERCELLONE Presidente

" Mario CORDA Consigliere

" Francesco FAVARA "

" Antonino RUGGIERO "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

MAGAZZINI GENERALI DOCKS PIEMONTESI S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, elett. dom. in Roma, via Ferdinando Galiani n.. 68, presso l'Avv. Gaetano Guerra, rapp.ta e difesa dall'Avv. Rodolfo Ummarino, giusta delega a margine del ricorso;

Ricorrente

contro

FALLIMENTO DI CONRIERI FILIPPO e C. S.P.A., in persona del Curatore dott. Giorgio Nicodano, elett. dom. in Roma, via di Porta Pinciana n.. 4, presso l'Avv. Virgilio Gaito, rapp. e difeso dall'Avv. Ettore Sisto, giusta delega a margine del controricorso.

Controricorrente

Avverso il decreto del Tribunale di Torino (Sez. fallimentare) dello 11-6-1986;

Udita la relazione svolta dal Cons. Gian Carlo Bibolini;

Udito il P.M. Dott. Mario Di Renzo che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e in subordine il rigetto.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.p.a. Conrieri Filippo e C. aveva affidato in deposito alla s.p.a. MAGAZZINI GENERALI DOCKS PIEMONTESI varie partite di olio, oggetto di pegno costituito a favore di banche.

Dichiarato il fallimento della depositante con sentenza in data 12-9-78 del Tribunale di Torino, il curatore, debitamente autorizzato, subentrava nel rapporto di deposito.

Il 24-1-1979, peraltro, il Giudice Istruttore penale di Torino disponeva il sequestro ex art. 337 c.p.p. delle partite di olio, già costituite in deposito, nominando custode della stessa società depositaria e successivamente disponeva la vendita giudiziaria delle stesse, il cui ricavato trasmetteva al curatore fallimentare. Con progetto di riparto parziale, reso poi esecutivo il 2-5-86, il curatore predisponeva il pagamento in prededuzione dei canoni dovuti alla depositaria per il periodo corrente dalla dichiarazione di fallimento fino al momento del sequestro penale; nessuna corresponsione era, invece, prevista per il periodo successivo, pur provvedendosi all'accantonamento della somma di L. 13.876.823 per spese di conservazione come liquidate dal Giudice Istruttore penale a favore della s.p.a MAGAZZINI GENERALI DOCKS PIEMONTESI, nella veste di custode ex art. 344 c.p.p.. La società depositaria svolgeva osservazioni al progetto di riparto, chiedendo che a suo favore fosse liquidato l'importo di L. 458.330.600, in relazione ai canoni maturati, nel rapporto cui la curatela era subentrata, tra la data del sequestro e quella della vendita dei beni.

Il Giudice Delegato, con decreto in data 2-5-86, respingeva le osservazioni, ritenendo insussistente il diritto vantato dalla società predetta che, comunque, non era stato insinuato al passivo. Il reclamo proposto dalla predetta società, era dichiarato inammissibile dal Tribunale di Torino, con decreto in data 11-6-86, ritenendo detto organo che il mezzo procedurale necessario per l'accertamento del credito vantato, e di cui si sosteneva la prededucibilità, fosse quello dell'insinuazione allo stato passivo, e non quello del reclamo avverso il decreto di rigetto dell'istanza di pagamento emesso dal giudice delegato, esulando dalla procedura delle osservazioni al progetto di riparto la finalità di accertamento dei crediti.

Avverso il decreto proponeva ricorso la s.p.a. MAGAZZINI GENERALI DOCKS PIEMONTESI, deducendo due motivi; si costituiva con controricorso l'amministrazione fallimentare.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione oggetto del dibattito tra le parti attiene fondamentalmente alla procedura da adottare per l'accertamento di un credito, di cui si adduca la prededucibilità per avere avuto fonte in un rapporto in corso durante il fallimento, credito di cui la curatela contesti, a parte l'entità, la stessa legittimazione passiva del fallimento.

Si tratta di valutare se la procedura, valorizzando il disposto dell'ultimo comma dell'art. 111 L.F., debba svolgersi attraverso il decreto del giudice delegato, il reclamo al Tribunale ed il ricorso per cassazione ex art. 111, II comma della Costituzione della Repubblica, come sostenuto dalla società ricorrente, ovvero se debba farsi ricorso alla verifica dei crediti tramite eventualmente insinuazione tardiva, ovvero ancora se l'iter procedurale da seguire debba essere l'azione ordinaria di accertamento, secondo ben note opinioni di dottrina.

Si tratta, in sostanza, di valutare se un soggetto, il quale vanti un credito prededucibile, credito non liquidato dal giudice delegato ex art. 27 n.. 7 L.F. ne' accertato con provvedimento giurisdizionale, ed inoltre contestato nella sua esistenza e nella sua entità, sia legittimato a proporre osservazioni al progetto di riparto nel quale non sia prevista la soddisfazione della pretesa vantata è accantonamento relativo, ed inoltre se sia legittimato a proporre reclamo avverso il decreto di esecutività dello stato passivo ed infine ricorso per cassazione ex art. 111, II comma Cost. Sul punto la società depositaria deduce due mezzi di cassazione. Con il primo, essa assume la violazione e la falsa applicazione dell'art. 111 I comma e 26 del R.D. 16-3-42 N.. 267 in relazione all'art. 360 N.. 3 C.P.C., censurando il decreto del Tribunale di Torino nel punto in cui negò che il provvedimento del giudice delegato costituisse il mezzo procedurale di accertamento del credito prededucibile contestato, individuandolo nel procedimento di verificazione dei crediti. Assume la ricorrente che in base al principio dell'art. 111, I comma, L.F. i debiti della massa sono di regola esclusi dalla procedura di verificazione del passivo, in quanto muniti di sufficiente grado di certezza perché assunti dal curatore sotto la direzione del giudice delegato. Sostiene, inoltre, che la applicabilità della disciplina dell'art. 93 e ss. L.F. ai crediti sorti in precedenti procedure concorsuali e confluenti come debiti di massa nel fallimento in virtù del principi di consecuzione delle procedure, non è estensibile al caso di specie, in cui la situazione debitoria della massa nacque in base ad un rapporto continuato durante il fallimento e comportante corrispettivo per prestazioni di custodia ricevute dagli organi della procedura per finalità concorsuali.

Assume quindi, la ricorrente che il credito vantato era esistente, in quanto riconosciuto nelcorsodel procedimento di fallimento, nonché certo nel suo ammontare, essendo stato assunto dal curatore in periodo successivo alla dichiarazione di fallimento in base alle tariffe contrattuali, per cui non aveva necessità di alcun accertamento ed avrebbe dovuto essere ammesso al riparto, in diretta applicazione dell'art. 111, n.. 1 L.F.. Conseguentemente, l'esclusione dal riparto comportava, in tesi, una lesione di diritto che legittimava la società predetta al reclamo prima, al ricorso per cassazione ex art. 111, II comma, cost., poi. Con il secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 26 e 110 R.D. 16-3-42 N.. 267 in relazione all'art. 360 n.. 3 c.p.c., censurando il decreto del Tribunale di Torino nella parte in cui ha ritenuto che la questione attinente all'accertamento dei crediti non fosse proponibile in sede di osservazioni al progetto di riparto ne', conseguentemente, in fase di reclamo contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso su di esso.

Sostiene la ricorrente di non avere proposto alcuna questione inerente all'accertamento del credito, essendosi limitata a dedurre il proprio diritto alla controprestazione dovuta per l'eseguito deposito.

I due mezzi di cassazione dedotti debbono essere valutati congiuntamente, in quanto relativi ad un'unica situazione esaminata sotto diversi profili, inerenti rispettivamente all'interpretazione degli artt. 110, 111, I comma n.. 1 e 26 L.F., nonché relativi all'applicazione della relativa disciplina al caso di specie. In particolare, il contrasto di fondo emergente tra la posizione della società ricorrente e quella espressa dal fallimento controricorrente, attiene ad elementi essenziali relativi alla stessa individuazione della fattispecie, in relazione alla quale applicare, o no, la relativa disciplina concorsuale richiamata. Ed invero, sostiene la società depositaria che il suo credito, sorto incorso di fallimento in base a contratto a prestazioni continuate e corrispettive, cui il curatore era subentrato dopo la dichiarazione di fallimento, è certo nella sua esistenza, determinato nel suo ammontare ed incontroverso nella sua qualifica di debito di massa, per cui nessun procedimento accertativo preventivo era necessario perché il pagamento avvenisse. La ricorrente, quindi, assume sostanzialmente di avere fatto valere unicamente un diritto all'esecuzione (adempimento del credito), la cui sede naturale era proprio la fase satisfattiva della procedura concorsuale regolata dalla disciplina degli artt. 110 e 111 L.F., ed il cui regime delle impugnative deve ricondursi alla disciplina dell'art. 26 L.F.. Assume per contro, il fallimento che, quantomenoper il periodo successivo al sequestro disposto in sede penale, la prestazione di custodia e deposito non venne eseguita dalla società predetta in base al rapporto cui il curatore era subentrato ed inoltre che le prestazioni non erano state fatte a favore della procedura concorsuale per le finalità proprie della stessa, ma in base ad un differente rapporto instaurato ex art. 344 c.p.p. al di fuori della disponibilità degli organi della procedura concorsuale e per finalità conservative che trascendevano gli scopi del procedimento concorsuale.

La contestazione, pertanto, quale emerge dallo stesso provvedimento del giudice delegato, ripetuto nel decreto emesso dal Tribunale su reclamo, attiene sia alla sussistenza del debito della massa, debito che se esistente la curatela ha ritenuto inerire ad altro tipo di procedura (quella di sequestro ex art. 337 in relazione all'art. 344 c.p.p. in allora vigente), sia all'ammontare, perché i criteri di liquidazione inerenti alla custodia in sede penale prescindono dal rapporto contrattuale intervenuto con la curatela e dalle tariffe conseguenti, sia alla qualifica della prededucibilità nella procedura concorsuale, eccezion fatta per il minore importo liquidato dal giudice Istruttore penale.

Conseguentemente, quand'anche la società predetta, con la relativa istanza, si sia limita a proporre al sua pretesa di partecipazione alla fase satisfattiva del fallimento, il rigetto dell'istanza stessa poneva come presupposto il mancato accertamento del debito della massa, e quindi la carenza, allo stato, del diritto di partecipare alla fase satisfattiva.

La controversia, dunque, emersa dal dibattito tra le parti e riflessa nei due provvedimenti del giudice delegato e del Tribunale, attineva proprio all'insussistenza del presupposto per la partecipazione della società predetta alla fase satisfattiva ed esecutiva della procedura, in virtù del contestato, e non altrimenti accertato, credito della società stessa verso la massa. Tanto premesso, occorre in primo luogo accertare se la società MAGAZZINI GENERALI DOCKS PIEMONTESI, in virtù di una situazione creditoria di massa, asserita e contestata, era legittimata a proporre osservazioni al piano di riparto e, conseguentemente, a proporre ricorso ex art. 26 L.F. avverso il decreto che, dichiarando esecutivo il piano, la escludevadallasoddisfazione in prededuzione per il credito vantato, ovvero se la mancanza di certezza in ordine alla situazione giuridica addotta fosse preclusiva, sul piano della legittimazione, ad entrambe le attività espletate. In proposito si rileva che l'art. 110, III comma L.F. indica le persone facultizzate a proporre osservazioni al piano semplicemente come "creditori".

Peraltro, nella struttura della procedura concorsuale, attinendo la disciplina dell'art. 110 solo alla fase satisfattiva, non è sufficiente la semplice asserzione di partesullaposizione di creditore per esplicare l'attività indicata dall'art. 110, III comma L.F., ma occorre che il legittimato assuma una qualificazione creditoria che già determini il suo diritto di partecipare al riparto. Ciò, per i creditori concorrenti, è dato dai provvedimenti della verificazione dei crediti, intesa nell'ampio senso comprensivo sia delle insinuazioni tardive, sia delle opposizioni allo stato passivo, cui è demandata la funzione accertativa della situazione di concorrenza, dalla quale nasce il diritto alla partecipazione alla fase satisfattiva della procedura.

Per i crediti di massa, il titolo partecipativo è dato dal decreto del giudice delegato previsto dall'art. 111, II comma L.F., costituente il provvedimento legittimante il curatore al prelievo delle somme per i pagamenti.

Nulla esclude, inoltre che (stante l'identità dell'organo cui è deferito il provvedimento ed inoltre in considerazione del fatto che il pagamento dei debiti di massa non deve necessariamente e sempre passare attraverso la fase del progetto di ripartizione ex art. 110 L.F.), il provvedimento dell'art. 111, II comma L.F. venga assorbito ed incorporato in quello stesso con cui, rigettandosi le osservazioni al riparto, si dichiari esecutivo il progetto.

Si tratta a questo punto di valutare quale sia la funzione ed il valore del provvedimento del giudice delegato ex art. 111, II comma L.F., volta che la legge interviene espressamente nella disciplina dei debiti dell'Ufficio per regolarne la fase solutoria, ma nessuna norma espressa provvede per l'accertamento del credito di asserita prededucibilità, quando ne sia controversa la sussistenza, l'entità e la qualifica.

Sul punto giova ricordare l'indirizzo ormai prevalente di questa Corte (Cass. 30 maggio 1978 n.. 2278; ribadita da Cass. 22 ottobre 1984 n.. 5345 ed inoltre, sul principio generale, da Cass. 5 luglio 1988 n.. 4421) secondo cui, la correlazione della disciplina dell'ultimo comma dell'art. 111 L.F., raccordata ai provvedimenti di cui all'art. 25 n.. 4 e 5 ed inoltre 25 N.. 7 L.F., consente di ritenere che i decreti previsti dall'art. 111 citati abbiano funzione meramente ricognitiva di situazioni che troveranno nel piano di riparto la loro finale collocazione e che, in quanto riconosciute col decreto suddetto, legittimano il titolare a proporre osservazioni al piano di riparto, a reclamare contro l'esecutività del progetto di riparto ed a proporre, infine, ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto del reclamo.

Da ciò, peraltro, deriva un duplice ordine di conseguenze:

innanzi tutto un provvedimento con funzione meramente ricognitiva di spese non può essere sollecitato per l'accertamento di un credito di cui debbano ancora essere verificata l'esistenza, l'ammontare ed il rango; in secondo luogo, la mancanza di un provvedimento ricognitivo che consenta al creditore di intervenire nella fase satisfattiva della procedura, gli preclude l'ammissibilità alle osservazioni al riparto, nonché alle forme impugnative conseguenti del riparto stesso.

Una volta accertato, quindi, che il decreto di cui all'ultimo comma dell'art. 111 L.F. è elemento necessario per la partecipazione al riparto del credito prededucibile e che, conseguentemente, il decreto stesso e le forme impugnative ex art. 26 L.F. e 111, II comma L.F. non possono essere utilizzabili per l'accertamento della sussistenza, l'entità e la qualifica controverse di un credito di cui si adduca la prededucibilità, ne deriva che un decreto di rigetto di riconoscimento della sussistenza di un credito prededucibile vantato non preclude al titolare della situazione giuridica vantata di adire le vie giudiziaria di accertamento consentite, siano esse quelle previste per l'accertamento dei crediti, secondo l'indicazione prevalente della giurisprudenza, siano esse l'azione di cognizione ordinaria, come sostenuto da pur valida dottrina per le situazioni giuridiche di cui si assume la fonte in un atto giuridico intervenuto in corso di fallimento con la partecipazione della curatela debitamente autorizzata, e ciò in considerazione della mancata anteriorità della situazione giuridica all'inizio della procedura concorsuale.

Nel caso di specie, di fronte al disconoscimento, da parte del giudice delegato, della sussistenza, dell'ammontare e della prededucibilità del credito vantato dalla società ricorrente e contestato dalla curatela per le ragioni sopra ricordate, non può non trovare fondamento il decreto di inammisibilità del reclamo pronunciato dal Tribunale di Torino il quale, evidenziando la mancanza di un provvedimento ricognitivo del credito che legittimasse la partecipazione al riparto, e l'impossibilità di procedere all'accertamento del credito con le modalità procedurali ed impugnative del c.d. foro interno fallimentare, decretava l'inammissibilità del reclamo, incidente su situazioni che non attinevano alla fase satisfattiva del credito, ma alla preliminare fase di accertamento da svolgersi con diverso procedimento. Meramente conseguente è la pronuncia di inammissibilità del presente ricorso, proponibile ex art. 111, II comma L.F. solo in presenza di provvedimenti definitivi ed incidenti in maniera pregiudizievole su situazione di diritto, volta che le situazioni oggetto di controversia non sono direttamente lesive del diritto della parte alla partecipazione al riparto, ma incidono su situazioni giuridiche che costituiscono presupposto della partecipazione al riparto e per l'accertamento delle quali il mezzo procedurale utilizzato è a sua volta inammissibile.

 

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alle spese della presente fase in L. 31.400 liquidando gli onorari in L. 3.000.000.

Roma 20-4-1990.