Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6653 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 19 Settembre 2006, n. 20259. Est. Di Amato.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grande imprese in crisi - In genere - Concordato speciale - Interesse pubblico alla continuazione dell'impresa - Pagamento ai creditori - Esclusione dall'attivo di una parte dei beni - Ammissibilità - Esclusione - Fondamento - Conseguenze - Acconti parziali differenziati - Carattere provvisorio - Sussistenza - Fondamento - Conseguenze.



In tema di concordato della liquidazione coatta amministrativa, la disciplina integrale dell'istituto dettata all'art. 214 legge fall. e la sua autonomia dal concordato fallimentare attribuiscono all'interesse pubblico il solo potere di scegliere circa la convenienza tra conservazione o liquidazione dell'impresa, in quanto i creditori non sono chiamati all'approvazione della proposta, ma ad essi spetta il diritto di presentare opposizione, così provocando il sindacato giurisdizionale sul rispetto del principio della "par condicio creditorum", regola incompatibile con l'eventuale sottrazione di parte dell'attivo alla garanzia generica di cui all'art. 2740 cod. civ., poiché si tratterebbe di sacrificio senza indennizzo, non giustificabile dall'interesse pubblico alla continuazione dell'impresa; ne consegue che anche gli acconti parziali differenziati, erogabili ai sensi dell'art. 212 legge fall., non possono assumere alcun carattere di stabilità, in quanto la loro natura provvisoria impone il ripristino, con la ripartizione finale, della "par condicio creditorum". (massima ufficiale)


Massimario, art. 212 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. DI AMATO Sergio - rel. Consigliere -
Dott. NAPOLEONI Valerio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LIQUIDAZIONE CONCORDATIZIA BENI AGRIFACTORING S.p.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore Giudiziale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso l'avvocato Gregorio Iannotta, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSORZIO AGRARIO PROVINCIALE DI VITERBO SCARL IN LCA;
- intimato -
sul 2^ ricorso n. 12347/04 proposto da:
CONSORZIO AGRARIO PROVINCIALE DI VITERBO SCRL, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA B DUSE 5/G, presso l'avvocato Leonardi Sergio, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
LIQUIDAZIONE CONCORDATIZIA BENI AGRIFACTORING S.p.A. IN LIQUIDAZIONE;
- intimata -
avverso la sentenza n. 687/04 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 09/02/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/2006 dal Consigliere Dott. DI AMATO Sergio;
udito per il ricorrente l'Avvocato Iannotta, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale;
udito per il resistente l'Avvocato Leonardi, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consorzio Agrario Provinciale di Viterbo s.c. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa proponeva al Tribunale di Viterbo un concordato che, per quanto qui interessa, prevedeva: a) il pagamento dei creditori chirografari, entro dodici mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, in percentuali commisurate per scaglioni all'ammontare del credito (50% per lo scaglione di credito sino a L. 10.000.000; 35% da L. 10.000.001 a L. 20.000.000; 25% da L. 20.000.001 a L. 100.000.000;
11,16% oltre 100.000.000); b) l'esclusione dall'attivo di immobili per un valore totale di L. 6.602.000.000 in quanto "strumentali e, quindi, essenziali all'attività del Consorzio"; c) l'esclusione di garanzie in quanto la provvista necessaria all'adempimento del concordato era già nella disponibilità del commissario liquidatore.
Avverso detta proposta il liquidatore dei beni del concordato della S.p.A. Agrifactoring proponeva opposizione, lamentando che:
a) il pagamento dei creditori chirografari in percentuali differenziate, risultanti dalla applicazione degli scaglioni, violava il principio della par condicio creditorum; b) la sottrazione di parte dell'attivo al soddisfacimento dei creditori violava la garanzia attribuita ai creditori sui beni del debitore e realizzava una espropriazione senza indennizzo; c) la mancanza di garanzie e di termini certi per l'adempimento degli oneri concordatari rendeva comunque illegittima la proposta. Il Tribunale di Viterbo, con sentenza del 15 marzo 2002, comunicata all'opponente il 26 marzo ed affissa il successivo 5 aprile, approvava la proposta di concordato.
Il liquidatore del concordato Agrifactoring, con atto notificato il 17 aprile 2002, proponeva gravame che la Corte di appello di Roma rigettava con sentenza del 9 febbraio 2004 osservando che: 1) era infondata l'eccezione di tardività dell'appello sollevata dal Consorzio in quanto, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 27 novembre 1980, per i soggetti diversi dal debitore il sistema di pubblicità delle decisioni, ai fini dell'eventuale impugnazione, era rimasto integro e continuava a fare riferimento alla affissione; pertanto, la tempestività dell'appello doveva essere apprezzata in relazione alla data dell'affissione e non in relazione alla data della precedente comunicazione; 2) la liquidazione coatta amministrativa è un procedimento concorsuale dominato dal pubblico interesse che permea di sè il concordato, finalizzato a consentire la continuazione dell'impresa, alla stregua di una valutazione affidata all'autorità amministrativa, con una conseguente marginalizzazione del ruolo dei creditori in una disciplina che non prevede ne' la loro approvazione della proposta, ne' percentuali minine di pagamento dei creditori chirografari, ne' garanzie o forme obbligatorie; 3) nel concordato di liquidazione non sussiste un vero e proprio obbligo di rispettare in modo assoluto il principio della par condicio, come è confermato dalla possibilità di riparti parziali in favore di alcune categorie di creditorii inoltre, il pagamento dei creditori chirografari in percentuali commisurate a scaglioni progressivi rispecchia il precetto dell'art. 53 Cost. ed è consono alla ratio della liquidazione coatta amministrativa, consentendo sia di risanare l'impresa, sia di tutelare maggiormente le ragioni dei piccoli creditori; 4) l'interesse pubblico alla permanenza dell'impresa, affidato alle valutazioni dell'autorità amministrativa, giustifica la sottrazione ai creditori, senza contropartite, di beni dell'impresa giudicati essenziali allo svolgimento della sua attività; 5) la L. Fall., art. 214, prevede la mera eventualità e non l'obbligatorietà delle garanzie; 6) la proposta di concordato prevedeva il pagamento entro dodici mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di omologazione e, pertanto, un termine compatibile con la disciplina della L. Fall., art. 214, tenuto conto della mera eventualità di una impugnazione, alla quale soltanto si doveva in ipotesi un allungamento dei tempi di adempimento e tenuto conto, comunque, del fatto che il credito dell'opponente era chirografario.
Avverso detta sentenza il liquidatore dei beni della S.p.A. Agrifactoring propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi. Il Consorzio Agrario Provinciale di Viterbo resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
Con il ricorso incidentale condizionato il Consorzio deduce la violazione della L. Fall., artt. 17, 18 e 214, lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto tempestivo l'appello proposto oltre il termine di quindici giorni decorrente dalla comunicazione della sentenza di primo grado. A fondamento del gravame il ricorrente osserva che questa Corte, con la decisione a sezioni unite n. 5101 (rectius 5104) del 3 giugno 1996, ha individuato la comunicazione, quale momento che, per il debitore, in relazione alle esigenze di tutela e di certezza non soddisfatte dall'affissione, segna la decorrenza del termine per il compimento dell'attività processuale. Tale individuazione, pertanto, dovrebbe valere anche per gli altri soggetti quando hanno ricevuto la comunicazione in un momento anteriore alla affissione.
Il ricorso incidentale, in quanto relativo a questione pregiudiziale rilevabile d'ufficio, deve essere esaminato per primo ed è infondato. Infatti, mentre la L. Fall., art. 183, comma 1, in tema di concordato preventivo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, per le parti costituite, fa decorrere il termine per l'appello dall'affissione della sentenza anziché dalla data di ricezione della comunicazione del dispositivo (Corte cost. 12 novembre 1974, n. 255), analoga declaratoria di illegittimità non vi è stata per la L. Fall., art. 214, comma 4, ne' in questa sede può assumere rilievo una questione di legittimità costituzionale della decorrenza del termine dalla affissione, atteso che nella specie il termine è stato rispettato. Non si può, neppure, ritenere che la comunicazione sia idonea far decorrere il termine breve anche prima dell'affissione. In proposito, infatti, si deve escludere che la comunicazione possa considerarsi nel sistema delineato dalla L. Fall., art. 214, cit., un atto equipollente alla affissione. Anzitutto, la citata disposizione non fa decorrere il termine dalla conoscenza comunque acquisita della sentenza che ha provveduto sulla proposta di concordato, ma soltanto dall'affissione, pur essendo prevista, attraverso il rinvio alla L. Fall., art. 17, una contemporanea comunicazione alle parti dell'estratto della sentenza. Una tale previsione, in assenza di una declaratoria di incostituzionalità della norma per profili che nella fattispecie, per quanto detto, non assumono rilievo, esclude la possibilità, di fare decorrere i termini per impugnare dalla comunicazione dell'estratto; A ininfluente, pertanto, il fatto che questa possa ritenersi in astratto più idonea dell'affissione a soddisfare le esigenze di tutela e di certezza connesse alla individuazione della decorrenza del termine per il compimento di una attività processuale, in secondo luogo, si deve osservare che in tema di impugnazioni per aversi un atto equipollente a quello individuato dalla legge come idoneo a far decorrere il relativo termine (v. ad es. Cass. 20 ottobre 2005, n. 20279, secondo cui la presa visione del provvedimento da parte del difensore, accompagnata dalla rinunzia alla notificazione, deve ritenersi equipollente alla comunicazione) occorre non soltanto che l'atto equipollente sia riferibile all'organo competente e cioè al cancelliere (v. da ultimo Cass. 10 febbraio 2006, n. 2991), ma anche che non si verifichino ne' un deterioramento delle garanzie del diritto di difesa ne' una lesione del principio di certezza del diritto; il che esclude possa esservi equipollenza quando l'atto che si assume come equipollente comporta una decorrenza del termine per impugnare diversa da quella indicata dalla legge, senza che la parte la abbia accettata, neppure implicitamente.
Con il primo motivo il ricorrente principale deduce la violazione del principio della par condicio creditorum, della L. Fall., art. 214, e dell'art. 2740 c.c., nonché il vizio di motivazione. In particolare, il ricorrente assume che nel nostro ordinamento non è consentito, sulla base dell'entità del credito, un trattamento differenziato di creditori appartenenti alla stessa categoria; in proposito, secondo il ricorrente, la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto che ciò possa giustificarsi con la natura pubblicistica della liquidazione coatta amministrativa ed ha erroneamente richiamato la L. Fall., art. 212, in quanto tale disposizione consente solo l'erogazione di acconti che devono riguardare l'intera categoria e che, comunque, lasciano ferma la necessità che il riparto definitivo rispetti la par condicio. A conforto della propria tesi il ricorrente osserva che: 1) il principio della par condicio creditorum è suscettibile di deroghe solo nei casi previsti dalla legge e tale non può considerarsi la mancata previsione di una percentuale minima, che comunque deve essere uguale per tutti i creditori indipendentemente dall'ammontare del credito; 2) nella liquidazione coatta amministrativa oltre che una fase amministrativa, caratterizzata da norme di azione e diretta alla realizzazione dell'interesse pubblico a che un'impresa appartenente ad un settore di interesse pubblicistico sia estromessa dal mercato ovvero sia mantenuta in vita con un concordato, vi è anche la fase della procedura concorsuale, che realizza la c.d. esecuzione collettiva che investe tutti i beni e rapporti dell'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa e coinvolge tutti i creditori, con la conseguente necessità della tutela piena dei diritti soggettivi e del rispetto delle norme di relazione.
Il motivo è fondato. La possibilità di un trattamento differenziato per classi era ignoto nel nostro ordinamento prima della disciplina dettata per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza dal D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 4 bis, convertito in L. 18 febbraio 2004, n. 39;
successivamente tale possibilità è stata estesa dal D.L. n. 35 del 1980, convertito in L. 14 maggio 1995, n. 80, ai concordati preventivi omologati a partire dal 17 marzo 2005 e dalla L. Fall., art. 124, nel testo novellato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, ai concordati fallimentari relativi a fallimenti dichiarati a partire dal 16 luglio 2006; anche dopo la recente riforma della legge fallimentare è restato, invece, inalterato il disposto della L. Fall., art. 214. Ciò posto, per la liquidazione coatta amministrativa l'ipotesi di un trattamento differenziato dei creditori, indipendentemente dalle cause di prelazione, non può certo fondarsi sulla disposizione dettata dalla L. Fall., art. 212, secondo cui "previo il parere del comitato di sorveglianza e con l'autorizzazione dell'autorità che vigila sulla liquidazione, il commissario può distribuire acconti parziali, sia a tutti i creditori, sia ad alcune categorie di essi...". La deroga alla regola della par condicio creditorum, implicita nella possibilità di acconti differenziati, dato che secondo un'ovvia logica finanziaria chi riceve prima riceve di più, non può essere estesa oltre il caso espressamente previsto, sino ad ipotizzare definitivi trattamenti differenziati, un siffatto risultato è escluso dal carattere provvisorio proprio degli acconti (Cass. 11 ottobre 1984, n. 5085), confermato dalla circostanza che gli stessi possono essere erogati "anche prima che siano realizzate tutte le attività e accertate tutte le passività". Si deve, quindi, ritenere che dopo la distribuzione differenziata sussiste la necessità di ristabilire la par condicio creditorum con la ripartizione finale. Tale conclusione è confermata dalla disciplina della liquidazione bancaria, dettata dalla L. 7 marzo 1938, n. 141, come modificata dalla L. 7 aprile 1938 n. 636, che rappresenta il precedente storico sul quale il legislatore del 1942 ha modellato la disciplina generale della liquidazione coatta amministrativa. L'art. 81 delle leggi citate, nel prevedere la possibilità di distribuzioni limitate ai piccoli creditori, dispone, infatti, che "tale precedenza deve essere contenuta in limiti che non intacchino le possibilità della definitiva assegnazione delle quote spettanti a tutti i creditori". Viene, pertanto, ribadito il principio della par condicio creditorum, in un contesto che non solo è servito da modello per la disciplina generale della liquidazione coatta amministrativa, ma è restato in vigore sino all'abrogazione disposta dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 161, sul testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Nello stesso senso, del resto, la Corte costituzionale, con la decisione n. 159 del 17 giugno 1975, ha affermato che la liquidazione coatta, pur avendo natura prevalentemente amministrativa, è comunque intesa "a dare attuazione al criterio della par condicio creditoturum". Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione della L. Fall., art. 214, degli artt. 41, 42 e 3 Cost., e dell'art. 2740 c.c., nonché il vizio di motivazione. In particolare, il ricorrente lamenta che il concordato sottrae esplicitamente ai creditori un'ingente parte dell'attivo, con la giustificazione di riportare in bonis il CAP di Viterbo per realizzare una finalità pubblicistica, ponendo in essere una forma di espropriazione per pubblica utilità senza indennizzo, fuori da ogni logica e da ogni schema del nostro ordinamento giuridico. In contrario, il ricorrente osserva che con la liquidazione coatta amministrativa alla decisione di estromettere un'impresa dal mercato segue la necessità di liquidare tutti i beni e rapporti ad essa facenti capo, che si realizza attraverso una esecuzione che investe tutti i beni dell'impresa e tutti i creditori e nella quale, al di fuori di ogni problematica autoritativa, si assicura la realizzazione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. Nella stessa prospettiva l'autorizzazione alla presentazione della proposta di concordato, indipendentemente dall'approvazione dei creditori, testimonia che la valutazione discrezionale della sussistenza di un interesse pubblico a che l'impresa torni in bonis e riprenda la sua attività è demandata alla Pubblica Amministrazione, ma non significa che possano essere sacrificati i diritti dei creditori tutelati da norme di relazione, come e confermato dall'intervento del giudice ordinario, che decide tenendo conto delle opposizioni, inoltre, si doveva escludere che, se anche vi fosse stato un potere autoritativo ablativo della Pubblica Amministrazione, i beni destinati al soddisfacimento dei creditori potessero essere distratti da tale destinazione senza indennizzo per la sola sussistenza di un interesse pubblico alla base del concordato. Il ricorrente, infine, nell'ipotesi che la L. Fall., art. 214, debba interpretarsi nel senso di rendere possibile un concordato che comporti il denunciato sacrificio dei creditori, solleva eccezione di illegittimità costituzionale della disposizione in relazione agli artt. 42 e 3 Cost.
Il motivo è fondato. Questa Corte (Cass. 27 dicembre 2005, n. 28774) ha già avuto modo di osservare che nel concordato di liquidazione sussiste una preminente ragione di interesse pubblico cui consegue la sottoposizione dell'impresa, ritenuta dalla legge meritevole di particolare tutela in relazione alla rilevanza della sua attività sotto il profilo collettivo, ad una disciplina peculiare nella quale l'eliminazione della stessa dal mercato, ovvero un suo recupero, è gestito direttamente in sede amministrativa proprio per la rilevanza sociale od economica del tipo di impresa in questione.
Ciò giustifica una attenuazione della tutela dell'interesse del ceto creditorio per la coesistenza dell'interesse pubblico alla gestione della liquidazione o al recupero tramite un eventuale concordato; per tale ragione la proposta di concordato non necessita dell'approvazione del ceto creditorio ed ai singoli creditori e data solo la facoltà di proporre opposizione, mentre l'autorizzazione alla presentazione del concordato è riservata all'autorità di vigilanza e l'approvazione dello stesso è demandata per intero al tribunale sulla base del parere della stessa autorità di vigilanza e tenuto conto delle opposizioni. Tale disciplina, tuttavia, in assenza di disposizioni che prevedano ulteriori sacrifici dei creditori per il soddisfacimento dell'interesse pubblico, consente soltanto di affermare che la convenienza alla stregua dell'interesse pubblico deve guidare la scelta tra la liquidazione ed il concordato. Alla luce dell'interesse pubblico occorre, quindi, valutare sia l'opportunità di salvare la funzione produttiva sia la modalità di tale salvataggio, e cioè se attraverso la liquidazione ovvero attraverso il ritorno in bonis dell'impresa. Su tali scelte, che possono comportare un diverso grado di soddisfacimento dei creditori, questi non hanno direttamente voce in capitolo; ciò non significa, tuttavia, che i diritti ad essi spettanti sul patrimonio dell'impresa debitrice possano essere posti nel nulla proprio in tale prospettiva è attribuita ai creditori la facoltà di opporsi al concordato. Dalle scelte di interesse pubblico consegue, quindi, la possibilità di diversi risultati in tema di soddisfacimento dei creditori, ma non già il sacrificio senza indennizzo delle loro posizioni, con la sottrazione di alcuni beni alla garanzia generica ex art. 2740 c.c. come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata addirittura con un riferimento alla capacita contributiva ex art. 53 Cost. Proprio in relazione alla possibilità di diversi risultati, in ogni caso però senza sottrazione di attivo, si spiega il contemperamento tra l'interesse pubblico e quello privato dei creditori affidato al tribunale.
Questa prospettiva, infine, è coerente con i principi affermati nella citata sentenza n. 159 del 17 giugno 1975, con cui la Corte costituzionale ha escluso che nella liquidazione coatta amministrativa si verifichi "una riduzione dei controlli giurisdizionali tale da abbandonare alla discrezionalità di apprezzamento del commissario liquidatore e dell'autorità amministrativa lo svolgimento della procedura" con ingiustificato sacrificio dei diritti dei creditori e con limitazione dei mezzi di tutela giuridica lesiva del precetto costituzionale". Al contrario, secondo tale decisione, le norme comuni a tutte le specie di liquidazione coatta amministrativa dettate dalla legge fallimentare hanno lo scopo di tutelare i diritti individuali dei creditori e riguardano "il momento giurisdizionale della liquidazione, per il quale valgono precisamente i principi sistematici che regolano il fallimento e le procedure concorsuali in genere; talché si può fondatamente concludere che la liquidazione coatta realizza una forma di collaborazione tra l'autorità amministrativa e l'autorità giudiziaria, per la coordinata tutela dell'interesse pubblico e degli interessi privati, pienamente compatibile con il vigente ordinamento costituzionale.".
La sentenza impugnata deve essere, quindi cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, pronunziando nel merito, accoglie l'opposizione proposta dal liquidatore dei beni del concordato della S.p.A. Agrifactoring e rigetta la proposta di concordato presentata dal Consorzio Agrario Provinciale di Viterbo s.c. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa.
Soccorrono giusti motivi in relazione alla novità della questione in sede di legittimità ed alle incertezze della giurisprudenza di merito per compensare le spese dell'intero giudizio. P.Q.M.
Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso incidentale, accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'opposizione e rigetta la proposta di concordato; compensa le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2006