Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21006 - pubb. 28/12/2018
Responsabilità da direzione e coordinamento: responsabilità solidale degli amministratori della controllante e responsabilità oggettiva
Tribunale Prato, 14 Settembre 2012. Est. Raffaella Brogi.
Responsabilità da direzione e coordinamento – Responsabilità solidale degli amministratori della controllante – Contributo materiale e soggettivo – Responsabilità oggettiva – Esclusione
Gli amministratori della società controllante rispondono in solido con la stessa, in via aquiliana, per la lesione all’integrità del patrimonio della società controllata conseguente a condotte che costituiscono violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento alle quali abbiano preso parte o – sempre in via extracontrattuale - per aver concorso con gli amministratori della società controllata al depauperamento del suo patrimonio sociale.
In entrambi i casi, considerato che lo schema di riferimento è quello aquiliano, non si può comunque prescindere da un contributo materiale e soggettivo (quanto meno colposo), senza che gli amministratori della società controllante possano rispondere per il solo fatto di appartenere al consiglio d’amministrazione di quest’ultima. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
TRIBUNALE ORDINARIO di PRATO
Procedimenti Speciali Sommari CIVILE
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 460/2012 promossa da:
CURATELA DEL FALLIMENTO SASCH SPA IN LIQUIDAZIONE (C.F. 04038290484), con il patrocinio dell’avv. *
RICORRENTE
contro
M. S. (C.F. *), con il patrocinio dell’avv. *
A. R., con il patrocinio dell’avv. *
R. C., con il patrocinio dell’avv. *
G. G., con il patrocinio *
G. C., con il patrocinio dell’avv. *
G. G., con il patrocinio con il patrocinio *
B. T., con il patrocinio dell’avv. *
M. P., con il patrocinio dell’avv. *
E. R., con il patrocinio dell’avv. *
C. C., con il patrocinio dell’avv. *
G. L., con il patrocinio con il patrocinio *
G. G., con il patrocinio dell’avv. *
C. M., con il patrocinio dell’avv. *
R. C., con il patrocinio dell’avv. *
A. V., con il patrocinio dell’avv. *
L. P., con il patrocinio dell’avv. *
F. V., con il patrocinio dell’avv. *
RESISTENTI
Il Giudice dr.ssa RAFFAELLA BROGI,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 25/06/2012,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Premesso che con decreto emesso in data 9 febbraio 2012, su richiesta della Curatela del Fallimento Sasch s.p.a., è stato concesso il sequestro conservativo sui beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari nei confronti di A. R., R. C., G. G., G. C., G. G., B. T., M. P., E. R., Claudia C., G. L., G. G., G. G., C. M., R. C., A. V., L. P., F. V.
I resistenti hanno ricoperto funzioni di amministratori, liquidatori e sindaci nella Sasch s.p.a., dichiarata fallita dal Tribunale di Prato in data 24 ottobre 2011.
La parte ricorrente ha esposto che la Sasch s.p.a. aveva esaurito il capitale sociale sin dall’anno 2007. I bilanci, sempre chiusi in utile - ad eccezione dell’anno 2009 - sono stati redatti in modo da nascondere le perdite, attraverso irregolari ed inveritiere rappresentazioni di quasi tutte le più rilevanti voci dell’attivo patrimoniale: rimanenze, crediti e valore delle partecipazioni nelle società controllate e collegate. In tal modo l’attività di impresa è proseguita, anche grazie un consistente ed illegittimo ricorso al credito, spesso con il supporto, anch’esso illegittimo (in quanto intervenuto in presenza di una causa di scioglimento della società), da parte della controllante Go-fin s.p.a.
Gli amministratori hanno inoltre compiuto operazioni imperite e contrarie al principio di corretta gestione imprenditoriale. Ad esempio, nel 2009, il c.d.a. della società fallita ha approvato la vendita dell’immobile della società controllata TXY per l’importo di € 5.000.000,00, senza che, tuttora, il prezzo sia stato riscosso, con il conseguente azzeramento del valore della partecipazione nella controllata stessa. Anche le forniture nei confronti dei clienti esteri (specialmente quelli russi) sono proseguite senza riscuotere, facendo lievitare il credito ad € 26.000.000,00.
È stata poi contestata l’operazione di acquisizione del marchio della Sasch s.p.a., che ha comportato l’erogazione di una somma consistente, mentre il marchio era già di proprietà della società fallita.
La Sasch s.p.a., data l’insostenibilità delle perdite, a seguito di un inutile tentativo di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis l. fall., ha presentato, in data 24/12/2010, la domanda di ammissione al concordato preventivo, sui cui il Tribunale di Prato si è espresso positivamente in data 25/2/2011.
In data 29/12/2010 l’assemblea dei soci della Sasch s.p.a. ha preso atto della riduzione del capitale sotto il minimo legale e la società è stata posta in liquidazione.
La proposta di concordato preventivo evidenziava, tuttavia, la sostanziale impossibilità del piano, in quanto retto su un’entrata di € 16.700.000,00 ricavabili dalla vendita dell’azienda e del marchio Sasch. I commissari hanno poi chiesto la revoca del provvedimento di ammissione alla procedura, in ragione di atti di frode rilevanti ex art. 173 l. fall.
La Sasch s.p.a. ha quindi chiesto la revoca della procedura di concordato preventivo, presentando istanza di fallimento in proprio, accolta con la sentenza dichiarativa del fallimento n. 80 del 24/10/2011.
La Sasch s.p.a. faceva parte di un gruppo con ha capo due holding: Go-Fin s.p.a e Gommatex s.p.a., che direttamente o indirettamente (tramite Sasch s.p.a. e Go-Real Estate s.r.l.) controllavano tutte le società appartenenti al gruppo.
Il marchio Sasch era di proprietà della fallita, che era la maggiore distributrice del gruppo di appartenenza.
Il capitale sociale della Sasch, dal 22/11/2004 era così composto:
- Go-Fin 95%
- R. C. 2%;
- Gommatex 1%;
- G. G. 1%;
- G. G. 1%.
L’ammontare del capitale sociale, a seguito dell’ultimo aumento, era pari ad € 15.495.000,00.
Il consiglio d’amministrazione di Sasch s.p.a. è stato composto nell’ultimo periodo (v. relazione ex art. 33 l. fall. pag. 10-11) da:
- A. R. (Presidente) dal 4/4/2001 al 29/12/2010;
- R. C. (Amministratore delegato): dal 4/4/2001 al 31/5/2009;
- G. G. (Amministratore delegato): dal 4/4/2001 al 29/12/2010;
- G. C.: dal 4/4/2001 al 29/12/2010. Con delibera dell’assemblea del 5 giugno 2009 lo stesso assume qualifica compenso e poteri di a.d.;
- B. T.: dal 4/4/2001 al 30/4/2009;
- M. P.: dal 4/4/2001 al 28/1/2005;
- E. R.: dal 4/4/2001 al 29/12/2010;
- Claudia C.: dal 15/1/2002 al 29/12/2010;
- G. L.: dal 28/1/2005 al 29/12/2010;
G. G. e G. C. sono stati liquidatori della società dal 29/12/2010 fino al fallimento.
Il collegio sindacale negli ultimi dieci anni è stato composto da:
- A. V. dal 4/4/2001 fino alla dichiarazione di fallimento;
- A. T.: dal 4/4/2001 al 15/1/2004;
- F. V.: dal 15/1/2004 fino al fallimento;
- L. P.: dal 4/4/2001 al 20/5/2011;
- E. Ciambellotti: dal 20/5/2011 fino al fallimento.
Il capitale sociale di Go-Fin s.p.a. (dichiarata fallita dal Tribunale di Prato il 7/11/2011) era invece composto così (come da visura di cui al doc. 23):
- R. C. 40%;
- Gommatex 20%;
- G. G. 20%;
- G. G. 20%.
Il capitale sociale era pari ad € 12.500.000,00.
Gli amministratori nel quinquennio anteriore alla liquidazione sono stati:
- R. C. (Presidente) sino al 3/3/2010;
- G. G. (Consigliere delegato) fino all’8/6/2009;
- M. P.: fino al 29/12/2010;
- P. B.: fino all’8 giugno 2009;
- R. C.: fino al 29/12/2010;
- E. R.: fino al 29/12/2010;
- G. C.: dall’8/6/2009 fino al 29/12/2010 (Consigliere delegato e dal 3/3/2010 Presidente);
- C. M.: dal 9/6/2009 al 29/12/2010;
- Michele T.: dal 25/5/2010 al 29/12/2010.
Ritenuta la sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora è stato concesso, inaudita altera parte, il sequestro conservativo dei beni dei resistenti. Successivamente è stata espletata, compatibilmente ai tempi ed alla sommarietà della cognizione tipica della tutela cautelare, un’istruttoria articolata su produzioni documentali, ascolto degli informatori ed espletamento di una c.t.u., in relazione non solo agli aspetti contabili della redazione dei bilanci, ma anche alla verifica delle cause del dissesto della Sasch ed alla quantificazione del danno.
Esaminati gli atti e le risultanze istruttorie il Giudice osserva quanto segue.
La parte ricorrente ha esposto di voler esercitate nella causa di merito una pluralità di azioni.
In primo luogo è stata indicata l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, di terzi soggetti concorrenti (in particolare M. P.) e dei liquidatori ai sensi degli artt. ex art. 2392, 2394 e 2394 bis c.c.
La ricorrente contesta, a tal fine, una pluralità di violazioni che vanno dalla continuazione dell’attività d’impresa in una situazione di diminuzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale - con violazione degli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c. - fino alla contestazione dei criteri di redazione del bilancio, con riferimento alle seguenti voci: rimanenze; partecipazioni; crediti nei confronti delle società partecipate a titolo di rimborso di finanziamenti erogati nel corso degli anni; crediti commerciali (inesistenti, inesigibili o di dubbia esigibilità); mancata rilevazione dei debiti o dei rischi di escussione per fideiussioni concesse a terzi; illegittima capitalizzazione di costi di pubblicità; ricavi per operazioni infragruppo simulate (c.d. conto merce a disporre).
Ha inoltre contestato una serie di condotte di mala gestio da parte degli amministratori, specificamente indicate, come il finanziamento di imprese estere in perdita costante per un ammontare complessivo di € 25.355.000,92; la vendita di un immobile di proprietà della controllata TXY non solo per un prezzo inferiore al valore di mercato, ma anche senza alcuna garanzia di pagamento, non ancora avvenuto. È stata poi indicata come particolarmente discutibile l’operazione di acquisto del proprio marchio da parte della Sasch nell’anno 2008, per una somma pari ad e 7.000.000,00.
Anche la sistematica fornitura di merci ai clienti russi insolventi senza alcuna garanzia, per l’ammontare di € 26.705.706,96, è stata oggetto di specifica censura. La società fallita ha inoltre fatto ricorso al credito bancario in un contesto di decozione, anche grazie alle garanzie rilasciate dalla controllante Go-fin s.p.a. ed all’uso di fatture inesistenti.
Nella fase di liquidazione, alla fine del 2010, è stata realizzata un’ultima discutibile operazione: l’affitto dell’azienda alla Via M. s.r.l. non solo senza garanzie di solvibilità dell’affittuario, ma anche con una deliberazione approvata dal c.d.a. della fallita grazie al voto di amministratori in conflitto d’interessi. Tale operazione ha comportato la disgregazione dell’azienda. Infine è stato presentato il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con un piano infattibile ed è stata pertanto ritardata la dichiarazione di fallimento.
In relazione a tali condotte la parte ricorrente ha invocato l’applicazione delle norme di cui agli artt. 2392, 2394, 2394 bis c.c. e art. 146 l. fall.
Mentre l’art. 2392 c.c. disciplina l’azione di responsabilità degli amministratori verso la società per il mancato adempimento con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto, l’art. 2394 c.c. prevede l’azione di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Entrambe le azioni sono inquadrabili nell’ambito della responsabilità contrattuale.
Tale soluzione, che è pacifica per l’azione di responsabilità nei confronti della società, in quanto derivante da un rapporto contrattuale i cui contenuti sono definiti dalla legge e dallo statuto, è da ritenere preferibile anche nel caso dell’azione di responsabilità nei confronti dei creditori, dal momento che tale responsabilità scaturisce per effetto della violazione di doveri legali o statutari.
Nella specie, trattandosi di azioni esercitate dalla Curatela del Fallimento Sasch ai sensi dell’art. 2394 bis c.c. e art. 146 l. fall., le stesse, pur non perdendo i loro tratti distintivi originari, si fondono comunque in un’unica azione unitaria di carattere contrattuale, che cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni ed è finalizzata a fare acquisire all’attivo fallimentare ciò che è stato sottratto al patrimonio sociale per fatti imputabili agli amministratori.
Sul carattere contrattuale dell’azione cumulativa esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. si è espressa recentemente anche la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale: “L'azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 146 legge fall., ha natura contrattuale e carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 cod. civ.; ne consegue che, mentre su chi la promuove grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, su amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti; pertanto, l'onere della prova della novità delle operazioni intraprese dall'amministratore successivamente al verificarsi dello scioglimento della società per perdita del capitale sociale, compete all'attore e non all'amministratore convenuto.” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25977 del 29/10/2008 Rv. 605521).
Le conclusioni della Suprema Corte, in punto di qualificazione dell’azione esercitata dalla Curatela, hanno importanti ripercussioni sul piano processuale dell’onere della prova. A tal fine il giudice di legittimità ha precisato che: “La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti.” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22911 del 11/11/2010).
La Curatela intende poi esercitare l’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci della Sasch ex art. 2407 c.c. e 146 l. fall. per omesso controllo e, in particolare, per la mancata rilevazione sia di illegittime operazioni contabili e di bilancio sia dell’integrale perdita del capitale sociale, nonché per la mancata adozione delle conseguenti e prescritte iniziative. La Curatela contesta ai sindaci di non aver eseguito i rilievi in ordine alla negligente gestione delle controllate estere, in merito alla fornitura di merce a credito in favore dei clienti russi e di non aver contestato la contrarietà ai principi di corretta amministrazione del ricorso al credito in un contesto di decozione e operazioni infragruppo in danno di Sasch s.p.a.
Sono state espresse censure all’operato dei sindaci anche con riferimento alla fase finale caratterizzata dall’affitto dell’azienda alla Via M. s.r.l. e del relativo conflitto di interessi degli amministratori che hanno deliberato l’operazione e dalla presentazione di un ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con piano infattibile.
L’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci nasce dalla violazione del contratto sociale, cioè dalla violazione dei doveri inerenti alla carica. Si tratta pertanto di un’ipotesi di responsabilità contrattuale, con le conseguenze già menzionate con riferimento all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori in punto di ripartizione dell’onere della prova.
La Curatela ha altresì censurato il comportamento degli amministratori della Go-Fin s.p.a., società controllante ed esercente attività di direzione e coordinamento della fallita, ex art. 2497 e 2043 c.c., sia per aver sostenuto l’attività della Sasch s.p.a. anche quando il capitale era perduto, anziché provvedere alla sua ricapitalizzazione, sia per aver prestato garanzie favore dei debiti della società fallita verso il sistema bancario per € 40.000.000,00.
L’art. 2497 c.c. prevede un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante. Ne consegue che, dal punto di vista della ripartizione dell’onere della prova spetta alla Curatela provare gli elementi costitutivi del fatto illecito disciplinato dall’art. 2497 c.c., da ricondurre, secondo l’opinione preferibile, nello schema aquiliano di cui all’art. 2043 c.c.
Infine, la Curatela ha indicato come possibile azione oggetto del giudizio di merito quella di responsabilità nei confronti dei liquidatori per atti di frode ex art. 173 l. fall., con particolare riferimento all’omessa comunicazione agli amministratori di fatti rilevanti relativi all’azienda affittata a Via M. s.r.l.
II. IL FUMUS BONI IURIS.
A) I BILANCI DELLA SASCH S.P.A.
IL MOMENTO IN CUI SI SONO VERIFICATI I PRESUPPOSTI DI CUI ALL’ART. 2447 c.c.
La prima contestazione della Curatela del Fallimento Sasch nei confronti degli amministratori della società fallita attiene all’errata redazione dei bilanci. La tesi della ricorrente è che sin dal 2007 si è verificata una situazione di erosione del capitale sociale, rilevante ai sensi dell’art. 2447 c.c.
Le perdite sono state, tuttavia, occultate grazie all’errata contabilizzazione delle voci più significative dell’attivo patrimoniale (rimanenze, crediti, partecipazioni in società controllate), in modo da nascondere la reale situazione patrimoniale e finanziaria della società.
Nel decreto che ha disposto il sequestro sono state condivise le censure della Curatela in relazione alla violazione dei criteri di redazione del bilancio di cui agli artt. 2423 s.s. c.c., mentre, diversamente dalla prospettazione della Curatela, la situazione di cui all’art. 2447 c.c. è stata collocata nell’anno 2008.
Nel corso della fase instaurata a seguito dell’emanazione del decreto le produzioni documentali, l’ascolto degli informatori e soprattutto la c.t.u. hanno consentito di approfondire l’esame dei bilanci della Sasch s.p.a.
È, tuttavia, opportuno premettere all’esame delle risultanze istruttorie una serie di osservazioni relative alla funzione del bilancio ed alle norme che ne regolamentano la redazione.
Il bilancio ha la funzione di fornire un’informazione chiara, completa e veritiera della situazione patrimoniale e finanziaria della società, nell’interesse dei soci, dei terzi e dell’economia generale. Un’altra funzione – che non viene in rilievo nella specie e che pertanto viene solamente accennata – attiene alla misurazione dell’utile di esercizio e alla determinazione dei dividendi distribuibili.
La funzione informativa del bilancio si ricollega alla necessità dell’impresa di farsi conoscere sul mercato. Il modo di farsi conoscere è dato dalla diffusione di nozioni relative allo stato dell’azienda.
È stato infatti osservato che: “Di frequente è necessario che l’imprenditore si rivolga al mercato nel quale egli opera per ottenere ulteriori mezzi finanziari che gli consentano l’ampliamento degli orizzonti dell’impresa. Ecco perché l’imprenditore che agisce sul mercato punta essenzialmente a conquistare il credito del mercato, ma il credito del mercato non si conquista solo perché lo si vuole, solo perché lo si desidera: il credito lo si conquista sulla base delle prove di capacità, di correttezza che l’imprenditore riesce a dare e, per dimostrare queste sue qualità, uno degli strumenti più importanti dei quali può servirsi è appunto la diffusione di informazioni adeguate sullo stato della propria azienda.”
L’insieme degli strumenti di cui dispone l’impresa per farsi conoscere sul mercato è denominato come sistema informativo dell’impresa. Il bilancio d’esercizio è senza dubbio quello più importante. L’impresa è infatti preposta all’esercizio dell’attività economica, che si svolge necessariamente mediante l’instaurazione di rapporti contrattuali con i terzi, siano essi fornitori, clienti o creditori. È pertanto necessario che tali rapporti siano intessuti consapevolmente da parte dei terzi che interagiscono con l’impresa.
La funzione informativa del bilancio è ben esplicata dal principio contabile O.I.C. n. 11 (“Utilità del bilancio d'esercizio per i destinatari e completezza dell'informazione”), il quale stabilisce che: “Il bilancio d'esercizio deve essere predisposto in maniera da essere di concreta utilità per il maggior numero di destinatari, i quali nella attendibilità ed imparzialità dei dati in esso esposti devono trovare la base comune per la composizione degli interessi contrapposti.
Mentre il bilancio di esercizio dà in prevalenza informazioni sul presente e sul passato, molti degli atti economici compiuti dai destinatari dei bilanci riguardano il futuro.
I creditori utilizzano il bilancio per valutare le prospettive di recupero del proprio credito. Gli azionisti e coloro che sono interessati all'acquisto di azioni analizzano, fra l'altro, gli utili conseguiti e la situazione patrimoniale-finanziaria del presente al fine di dedurre orientamenti sul futuro andamento degli utili, per valutare il prezzo d'acquisto delle azioni e la capacità di produrre redditi e quindi di originare dividendi.
Affinché gli investitori e gli altri destinatari del bilancio possano utilizzare i dati in esso esposti per effettuare delle previsioni sugli andamenti operativi futuri, è necessario che tali dati siano oltre che attendibili anche analitici ed intelligibili. L'informazione patrimoniale, finanziaria ed economica esposta nel bilancio d'esercizio per essere utile deve essere completa e deve scaturire da un insieme unitario ed organico di documenti.”
Le norme che disciplinano la redazione del bilancio (art. 2423 s.s. c.c.), in quanto finalizzate alla tutela di un interesse generale, hanno carattere imperativo. Tale valenza si desume, come è stato autorevolmente osservato, proprio dal fatto che la legge prescrive il deposito del bilancio presso il registro delle imprese, in modo da assicurarne la piena conoscibilità a tutti gli operatori economici interessati.
Dall’imperatività delle norme che presiedono alla redazione del bilancio scaturisce che la loro violazione non integra una mera irregolarità, come tale sanabile da una delibera assembleare (semmai è quest’ultima a poter essere inficiata dall’invalidità in caso di violazione delle norme di cui agli artt. 2423 ss. c.c.). Gli interessi generali sottesi alla normativa che disciplina la redazione del bilancio non sono infatti disponibili da parte dei singoli soci.
Un’altra peculiarità delle norme civilistiche in materia di bilancio, oltre al loro carattere imperativo, è costituita dal fatto che le stesse sono regole contabili elevate dal legislatore al rango di norme giuridiche. Sono pertanto una rielaborazione di principi contabili ricavati dalla tecnica aziendale.
Rispetto alle norme dettate nel codice civile assumono funzione complementare, di integrazione tecnica e parametro di riferimento a livello interpretativo i principi elaborati, a livello nazionale, dall’O.I.C. e, al livello internazionale, dallo I.A.S. (questi ultimi sono addirittura richiamati dal d.lgs. n. 38/2005 per la redazione del bilancio consolidato e di esercizio delle società quotate, delle società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, delle banche, delle società finanziarie capogruppo di gruppi bancari, delle società di intermediazione mobiliare, delle società di gestione del risparmio, delle società finanziarie iscritte all’albo ex art. 107 T.U.B. e delle società di assicurazione).
Secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di merito: “Le poste di bilancio devono essere valutate nel rispetto dei principi generali sanciti dagli art. 2423, 2423 bis c.c., opportunamente integrati ed interpretati dai principi contabili nazionali (O.I.C.) e internazionali (I.A.S.).” (Corte d’Appello di Torino, 8 agosto 2007).
L’orientamento del giudice di merito appena richiamato è condivisibile per una serie di ragioni.
In primo luogo i principi O.I.C. e I.A.S. sono parametri tecnici elaborati dalla scienza aziendalistica complementari a regole, che seppure rielaborate in sede giuridica con gli artt. 2423 s.s. c.c., hanno pur sempre origine contabile.
In secondo luogo la codificazione di tali principi da parte di organismi di categoria consente di tendere ad un’uniformità applicativa dei parametri normativi di cui agli artt. 2423 ss c.c.
In terzo luogo la norma di salvaguardia di cui all’art. 2423, IV c., c.c. stabilisce che: “Se in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato.” In casi eccezionali, laddove l’osservanza delle regole giuridiche sul bilancio conduca a fornire informazioni non veritiere e corrette, il redattore deve quindi disapplicare la normativa civilistica per redigere il bilancio sulla base di regole non contenute nel codice civile.
È evidente come ciò non possa avvenire sulla base di un parametro soggettivo proprio del solo redattore, ma sulla base di un criterio tecnico-contabile di natura oggettiva. Ne consegue che se le regole contabili, in casi eccezionali ed espressamente motivati, possono condurre alla disapplicazione della normativa civilistica, le stesse possono ben servire in funzione integrativa e di ausilio interpretativo delle norme di cui all’art. 2423 s.s. c.c.
L’elaborazione dei principi contabili da parte degli organismi di contabilità nazionali (O.I.C.) e internazionali (I.A.S.) assicura pertanto un punto di riferimento tecnico-oggettivo, utilizzabile anche in sede di sindacato giurisdizionale sulla corretta redazione del bilancio d’esercizio ed è tale da consentire un’uniformità applicativa delle norme civilistiche.
Venendo all’esame delle norme civilistiche relative alla redazione del bilancio, l’art. 2423 c.c. indica gli obiettivi del bilancio, cioè la rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, in modo chiaro, veritiero e corretto.
La chiarezza impone che la rappresentazione di tale situazione avvenga mediante la corretta collocazione delle singole voci e nella non equivoca denominazione delle stesse. La verità impone di rappresentare solo fatti veri e tutti attinenti all’impresa, mentre la correttezza si ricollega non solo ad un’assenza di errori, ma ad un atteggiamento del redattore improntato ai principi di buona fede.
La corretta rappresentazione delle voci patrimoniali trova esplicazione nel divieto di compensazione di partite di cui all’art. 2423 ter, VI comma, c.c. (“Sono vietati i compensi di partite.”). Tale divieto non è stato osservato dalla società fallita nella redazione dei bilanci.
Il c.t.u., dr. M. B., ha rilevato infatti che, dalla lettura dei bilanci e delle note integrative della società Sasch S.p.A, emerge che sino all’esercizio 2008 (compreso) i debiti verso le banche per le anticipazioni di ricevute bancarie sono stati rappresentati nello stato patrimoniale a decremento dei crediti verso clienti. È stata pertanto operata una compensazione tra diverse partite (debiti verso le banche e crediti verso i clienti), contrastante con il dettato dell’art. 2423 ter, VI comma, c.c.
È da rilevare che il legislatore ammette la compensazione tra partite solo per i bilanci bancari. Anche in tale materia, tuttavia, l’art. 7, V comma, d.lgs. n. 27 gennaio 1992, n. 87 conferma in prima battuta il divieto di compensazione (“Sono vietati compensi di partite.”), per poi introdurre un temperamento nei soli casi stabiliti dallo stesso decreto e in quelli disciplinati dagli atti di cui all’art. 5 delle disposizioni della Banca d’Italia, quando la compensazione sia un aspetto caratteristico dell’operazione oppure si tratti di operazioni di copertura.
Anche nell’ipotesi dei bilanci bancari si può quindi osservare non solo come la normativa dapprima contenga la riproposizione del divieto di compensazione di partite presente nella disciplina del codice civile relativa al bilancio d’esercizio, ma anche come le ipotesi di deroga siano limitate ai soli casi previsti dalla legge (con divieto di applicazione analogica, stante il rapporto tra la regola generale che vieta le compensazioni e le eccezioni nelle quali sono ammesse) e non siano pertanto rimesse alla volontà dei singoli amministratori.
Sul punto sono pertanto condivisibili le osservazioni del c.t.u., per il quale: “Tale modalità di iscrizione in bilancio dei debiti verso banche e dei crediti verso clienti per ricevute bancarie, mediante compensazione dei primi (debiti) con i secondi (crediti), pur non determinando una variazione nella consistenza patrimoniale complessiva della società, comporta una rappresentazione non chiara e non fedele dei dati di bilancio in violazione dell’art. 2424 che prevede l’iscrizione dei crediti all’attivo del bilancio (e non a diminuzione di debiti, nel caso di specie nei confronti di altra categoria di creditori – banche), dell’ art. 2423 ter che vieta la compensazione delle partite e del postulato della “chiarezza” di bilancio descritto nel principio contabile OIC n. 11 nonché del principio D.XI d) del principio OIC 15. Basti pensare al diverso grado di certezza delle poste oggetto di compensazione: i debiti verso banche hanno infatti la caratteristica di essere certi (importo certo, scadenza determinata) mentre i crediti verso clienti nei cui confronti sono state emesse le ricevute bancarie sono esposti ai normali rischi di incasso che possono assumere caratteri fisiologici e, in presenza di eventuali comportamenti scorretti, anche carattere patologico (si pensi a casi di doppie o plurime emissioni di ricevute bancarie con riferimento al medesimo credito o con riferimento a crediti che si originano da operazioni destinate al successivo annullamento tramite nota credito).”
Solo a partire dal bilancio chiuso al 31 dicembre 2009, come risulta dalla nota integrativa, le ricevute bancarie accreditate “salvo buon fine” sono inserite tra i crediti verso i clienti mentre i relativi anticipi sono indicati nei debiti verso le banche.
La rettifica nella rappresentazione dei debiti verso banche per anticipazioni di ricevute bancarie, in base alla norma che vieta le compensazioni tra partite, produce i seguenti effetti sulla rappresentazione del debito a breve complessivo di Sasch S.p.A verso le banche: nell’anno 2007 i debiti vero le banche entro l’esercizio sono rappresentanti per la somma di € 31.689.188,00 in luogo di € 46.246.267,00, mentre nell’anno 2008, tale voce è stata rappresentata per l’importo di € 37.425.794,00, in luogo di quello di € 49.157.827,00.
Sul punto non è condivisibile quanto argomentato dai c.t.p. di parte resistente, con riferimento al fatto che il problema sia più di forma che di sostanza.
Il divieto di compensazione di partite costituisce infatti un corollario del principio di chiarezza, la cui applicazione non può essere derogata per il solo fatto che la rappresentazione non chiara non sia suscettibile di inficiare il risultato del bilancio.
Sul punto si rileva come le stesse S.U. della Corte di Cassazione (sentenza n. 27/2000, hanno smentito l’interpretazione secondo la quale il principio di chiarezza era subordinato la principio di verità. Il Giudice di legittimità ha infatti precisato che: “Non può esser seguito, invece, l'indirizzo che, muovendo da un rapporto di strumentalità tra il principio di chiarezza e quello di verità, finisce col subordinare il primo al secondo. Una simile tesi, insostenibile dopo l'emanazione del decreto legislativo n. 127 del 1991 (v., in sito, le puntuali osservazioni contenute nella sentenza di questa corte n. 8048 del 1996, che si condividono), non appare accettabile neppure alla stregua della normativa pregressa, vigente all'epoca della redazione del bilancio in esame. Al riguardo si deve sottolineare che l'art. 2423 comma secondo, c.c. (vecchio testo) attribuisce specifica ed autonoma rilevanza al principio di chiarezza, che dunque non può essere ridotto al rango di mero elemento di supporto al principio di verità. Chiarezza, secondo parte della dottrina, significa evidenza (v. anche l'art. 2217 c.c.) e significa soprattutto trasparenza e intelligibilità delle strutture, analiticità delle voci in misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione del patrimonio, dell'origine del risultato e delle ragioni per le quali una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che le sono state attribuite nel documento.
Peraltro, come sopra si è notato, tra le funzioni del bilancio c'è quella di fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni prescritte dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione. Orbene, un bilancio poco chiaro elude tale finalità e pregiudica, quindi, gli interessi generali tutelati dalla normativa in materia, ancorché i dati in esso riportati non risultino, nella loro espressione contabile, contrari al vero. D'altro canto il semplice dato numerico è di per sé insufficiente a fornire una informazione leggibile, se non è accompagnato dalla univocità e dalla comprensibilità, delle denominazioni delle voci dei conti, non meramente assertive ma dotate di adeguata capacità dimostrativa.”
Il postulato della chiarezza non può pertanto essere aggirato con la giustificazione che una rappresentazione non chiara di una voce non inficia la reale situazione patrimoniale della società. Il valore della chiarezza ha infatti la funzione di diffondere la conoscenza delle notizie che sono indicate nel bilancio non solo ai soci, ma anche ai terzi ed al mercato in generale.
Nella specie, il fatto di portare i debiti per anticipazioni di fatture presso le banche in detrazione dei crediti verso i clienti ha comportato una non chiara rappresentazione di una voce del passivo non solo rilevante, ma anche certa, come i debiti. Tale voce è infatti stata compensata con una voce meno certa come i crediti, la realizzazione dei quali può risentire di problemi di esigibilità o di litigiosità, come è ben dimostrato nel caso della Sasch, dove in sede domanda di ammissione al concordato preventivo i crediti subiscono una svalutazione pressoché totale ad opera degli stessi amministratori.
La compensazione tra partite è suscettibile di alterare la chiarezza della rappresentazione in bilancio delle singole poste al punto che il legislatore non ha ritenuto opportuno fare discendere il divieto di compensazione quale corollario del postulato di chiarezza, ma ha preferito enunciare espressamente tale divieto all’art. 2423 ter, VI comma, c.c.
Anche con riferimento al principio di correttezza i bilanci della Sasch s.p.a. presentano dei seri profili di criticità.
Tutti i crediti (commerciali e per finanziamenti) vantati dalla Sasch nei confronti delle controllate sono stati infatti iscritti nell’attivo circolante tra i crediti a breve, inducendo in tal modo i terzi a pensare che tali crediti sarebbero stati incassati entro l’esercizio successivo.
Il c.t.u. rileva tuttavia come, in relazione alla dinamica crescente dei crediti e delle immobilizzazioni rappresentate dalle partecipazioni nelle società controllate, la corretta rappresentazione dei crediti in bilancio avrebbe dovuto portare a classificare tra i “crediti oltre l’esercizio” quelli che venivano incassati dopo 12 mesi ed a classificare tra le “immobilizzazioni finanziarie” i crediti per i finanziamenti.
L’affermazione del c.t.u. è condivisibile in quanto supportata dalla lettura dei verbali di assemblea del c.d.a. della Sasch s.p.a. Ad esempio, la delibera del C.d.A. del 30 agosto 2006 motiva il finanziamento concesso ad Allusion con la finalità di supporto alle iniziative tese allo sviluppo della società da effettuare il prima possibile. Una simile motivazione viene indicata anche nelle ulteriori delibere del c.d.a. in ordine ai finanziamenti ad Allusion, come quella del 9/8/2007, dove si parla di supporto alle iniziative di sviluppo. Nella delibere del C.d.A. di Sasch s.p.a. del 23 gennaio 2007 e del 10 agosto 2008, i finanziamenti concessi alla Mintaim sono motivati ritenendo tali investimenti necessari e di fondamentale importanza per le politiche commerciali del gruppo.
Sono stati rappresentati tra i “crediti commerciali entro 12 mesi” anche i crediti contenziosi, che in ragione della maggior incertezza non solo sull’incasso ma anche sui tempi di quest’ultimo, avrebbero dovuto essere rappresentati tra i “crediti commerciali oltre 12 mesi”.
La classificazione dei crediti, commerciali e per finanziamenti verso le società controllate, nell’attivo circolante, tra i “crediti commerciali entro 12 mesi” piuttosto che tra i crediti oltre 12 mesi o, addirittura tra le immobilizzazioni finanziarie, sebbene non vada ad inficiare il risultato complessivo, incide notevolmente sull’indicazione corretta del rapporto tra attività e passività correnti.
Il rapporto corrente misura la capacità dell’azienda di far fronte ai debiti correnti con i crediti correnti. È pertanto un indicatore importante della situazione finanziaria della società.
Tra gli elementi utili ai fini della determinazione si tiene infatti conto per le attività correnti dei crediti da riscuotere entro l’esercizio successivo (siano essi indicati nelle immobilizzazioni finanziarie o nell’attivo circolante), così come per le passività correnti si tiene conto dei debiti da pagare entro l’esercizio successivo, ma non di quelli che devono essere pagati oltre l’esercizio successivo.
La compensazione dei debiti entro 12 mesi con i crediti eseguita dalla società fallita fino a tutto il 2008 (con la diminuzione di una considerevole voce del passivo, costituta dai debiti verso le banche) e la classificazione di tutti i crediti verso le controllate tra i “crediti commerciali entro 12 mesi” (con il conseguente innalzamento di una consistente voce dell’attivo, rilevante ai fini della determinazione del rapporto tra attività e passività correnti), hanno quindi determinato una rappresentazione non chiara e non corretta della situazione finanziaria della Sasch s.p.a. a partire dall’anno 2006.
Difatti, a seguito della mera riclassificazione delle voci di bilancio (con l’eliminazione della compensazione tra debiti e crediti e la corretta classificazione dei crediti esigibili oltre l’esercizio) risulta che il rapporto corrente per l’anno 2006 avrebbe dovuto essere pari al 138,76%, in luogo di quello pari al 166,53% risultante dal bilancio depositato; per l’anno 2007 il rapporto corrente avrebbe dovuto essere pari al 96,09% in luogo di quello pari al 140,94% risultante dal bilancio depositato, mentre per l’anno 2008 il rapporto corrente sarebbe stato pari al 69,88% in luogo di quello del 119,42% ricavabile dal bilancio depositato e per l’anno 2009 sarebbe stato del 49,56% in luogo di quello del 100,44% risultante dal bilancio depositato.
È pertanto evidente una situazione di debolezza finanziaria della società Sasch s.p.a., che inizia a far intuire, alla luce dei dati riclassificati dal c.t.u., un vero e proprio squilibrio finanziario sin dal 2007, quanto il rapporto tra attività e passività a breve scende al di sotto del 100%. Tale situazione di squilibrio risulta evidente nel 2008, quanto il rapporto corrente scende al 69,88%, per andare al di sotto della metà nel 2009 (49,56%).
La presenza di una situazione di squilibrio finanziario evidente nel 2008, attestata dal rapporto tra attività e passività correnti del 69,88%, è confermata dalle dichiarazioni fatte al Curatore dall’informatrice Laura Cesaretti (che, all’udienza del 30 marzo 2012, ha confermato quanto verbalizzato): “Che Sasch fosse in difficoltà finanziaria a fine 2008 lo si capiva dai minori incassi, dai pagamenti da fare che non si riusciva a fare per mancanza di fondi, dai clienti che si lamentavano della quantità e qualità della merce. Non pagando i fornitori anche la merce veniva prodotta in minore quantità e soprattutto in ritardo.”
Tuttavia, dai bilanci d’esercizio della società fallita non risulta alcuna situazione di squilibrio finanziario fino al 2010, quando il rapporto corrente scende al 15,48% dal 100,44% del 2009. Negli anni precedenti la compensazione dei debiti verso le banche con i crediti (fino a tutto il 2008) e la classificazione dei crediti verso le collegate tra i “crediti commerciali entro 12 mesi” ha consentito di ottenere risultati superiori al 100% in ordine al rapporto corrente, dando pertanto una rappresentazione non chiara e non corretta della situazione finanziaria della società, soprattutto nei confronti dei terzi creditori, in primis fornitori e finanziatori istituzionali.
Mentre fin qui ci siamo occupati della corretta allocazione delle poste patrimoniali della società fallita, occorre adesso esaminare più da vicino le censure della Curatela in ordine alle valutazioni delle più significative voci dell’attivo patrimoniale della società fallita: le rimanenze, i crediti e le partecipazioni nelle società controllate.
Con riferimento alla voce rimanenze (attivo circolante) ed ai prodotti finiti, cioè al magazzino, risultano contabilizzati nei bilanci i seguenti importi:
- anno 2006: € 13.768.00,00;
- anno 2007: € 12.230.193,00;
- anno 2008: € 12.890.000,00;
- anno 2009: € 10.145.236,00;
- al 30/9/2010: € 11.614.588,00. Tale valore è stato svalutato in sede concordataria di € 9.293.221,00, e portato quindi ad € 2.321.367,00.
La Curatela ha rilevato che la svalutazione operata in sede di concordato non è riconducibile all’uso di meri criteri liquidatori, ma evidenzia la non corretta contabilizzazione del magazzino nei bilanci d’esercizio della Sasch s.p.a.
I parametri normativi che vengono in rilievo ai fini della valutazione dell’operato degli amministratori della Sasch s.p.a. sono costituiti in primo luogo dagli obblighi di veridicità e correttezza di cui all’art. 2423 c.c. e dalla norma generale di cui all’art. 2423 bis, n.1), c.c., che impone nella redazione del bilancio, di valutare le voci secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché “tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato.”.
Vengono poi in rilievo le norme speciali di cui all’art. 2426 n. 9) c.c., in tema di rimanenze (“le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione.”) e n. 10) (“il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: “primo entrato, primo uscito” o “ultimo entrato, primo uscito”; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa.”).
La normativa prevede quindi che i prodotti finiti devono essere contabilizzati al costo d’acquisto o al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore.
Il costo d’acquisto può, a sua volta, essere calcolato o secondo il metodo della media ponderata o secondo il criterio del “primo entrato, primo uscito” (LIFO) o dell’ultimo entrato, primo uscito (FIFO).
Con riferimento invece al valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato il
Principio Contabile n. 13 (“Le rimanenze”) dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (par. D.VI.) prevede che il valore di realizzo “rappresenta il prezzo di vendita nel corso della normale gestione (ossia di un'impresa in funzionamento), al netto dei costi di completamento e delle spese dirette di vendita che possono ragionevolmente prevedersi.”
La scelta degli amministratori tra costo e valore del bene deve essere quindi esplicitata nella nota integrativa (Principio Contabile n. 13 (par. E), unitamente ad una serie di informazioni (indicate nel principio contabile appena richiamato), idonee a rendere edotto il terzo lettore del bilancio circa il modus procedendi usato dagli amministratori e la correttezza delle relative valutazioni. La nota integrativa costituisce infatti una componente del bilancio, come tale assoggettata ai principi di chiarezza, verità e correttezza che ne regolano la redazione.
Nella specie, dalle informazioni contenute nelle note integrative dei bilanci d’esercizio chiusi dal 31/1/2006 al 31/12/2009, il criterio di valutazione per l’iscrizione delle rimanenze adottato dalla società Sasch è stato il seguente: “Le rimanenze, costituite da prodotti e merci destinate alla vendita, sono valutate con l’applicazione del costo medio d’acquisto” (Nota integrativa del bilancio chiuso al 31/12/2006). Nella nota integrativa del bilancio al 31/12/2007, il criterio di valutazione viene meglio precisato come segue. “Le rimanenze, costituite da prodotti e merci destinate alla vendita, sono valutate al minore tra il costo d’acquisto ed il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato. Il metodo per la determinazione del costo è il costo medio”. Tale criterio rimane invariato nel bilancio chiuso al 31/12/2008. Nel bilancio chiuso al 31/12/2009 il criterio di valutazione viene diversamente articolato prevedendo che “Le rimanenze finali sono valutate, ai sensi dell’art. 2426, c. 1, n. 9, al minor valore tra il costo di acquisto o di produzione ed il valore di presunto realizzo desunto dall’andamento del mercato. La configurazione di costo è la seguente:
- materie prime e merci: costo medio
- prodotti in corso di lavorazione: costo industriale, determinato in funzione dello stato di lavorazione raggiunto dagli stessi alla chiusura dell’esercizio;
- prodotti finiti: costo industriale di produzione determinato sulla base dei costi medi delle materie prime utilizzate, della manodopera impiegata e degli altri costi industriali attribuibili ai prodotti.”
Il criterio usato dalla società fallita per la valutazione delle rimanenze è stato quindi quello del costo medio di acquisto. Il c.t.u. ha poi rilevato che in merito al magazzino solo nel bilancio del 2006 risulta stanziato un fondo rettificativo delle rimanenze pari ad e 16.897,00.
Come giustamente osservato dal c.t.u.: “La nota integrativa dei bilanci in esame non offre alcuna informazione sull’effettiva modalità di valutazione delle rimanenze se non il riferimento al costo medio; nulla viene detto in merito ad eventuali valutazioni al (minore) presunto valore di realizzo.”
L’informazione fornita dalla Sasch s.p.a. in merito alle rimanenze è quanto mai scarna e generica, priva di qualsiasi riferimento ai criteri di determinazione dei prodotti finiti. Solo nella nota integrativa al bilancio del 2009 viene fatto un riferimento ai costi medi delle materie prime, della manodopera impiegata e degli altri costi industriali attribuibili ai prodotti. Anche tale riferimento, a ben vedere, non consente di verificare se la valutazione del magazzino sia stata effettuata o meno correttamente.
Gli amministratori omettono poi di prendere in considerazione il valore di mercato dei beni costituenti il magazzino, ai fini di una sua eventuale comparazione con il costo d’acquisto. Non è presente, inoltre, alcuna indicazione in merito alla composizione del magazzino, pur in presenza di una valutazione così elevata del suo valore, fino alla svalutazione dell’80% eseguita in sede di presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo.
C’è pertanto un’evidente carenza informativa nella nota integrativa ai bilanci, con la conseguenza che la corretta valutazione delle rimanenze non è ricavabile dalle informazioni fornite dagli amministratori. Sul punto sono pertanto da tenere presenti le dichiarazioni degli informatori e le affermazioni provenienti dagli stessi resistenti in sede di presentazione del concordato preventivo.
L’informatore R. ha dichiarato che il magazzino era composto per un 20% dalla merce di stagione e per un 80% da merce della stagione passata (il 30% della quale poteva essere poi costituito da merce della stagione appena passata o da merce che poteva essere ricondizionata). L’informatore ha poi precisato di aver recentemente preso visione del magazzino, trovandosi quasi tutti i giorni in Sasch, per la vendita organizzata dalla Curatela fallimentare.
L’informatore B. ha dichiarato che la merce vecchia era invece pari al 60-70% e di essersi reso conto di tale percentuale quando faceva l’inventario fisico del magazzino (mediante una pistola automatica che memorizzava il codice). L’informatore ha poi confermato di aver verificato la presenza di merce obsoleta anche in occasione della recente vendita organizzata dall’I.V.G. per conto della Curatela.
Con riferimento alle dichiarazioni dell’informatore F. (che, sentito dal Giudice ha fornito una versione diversa rispetto a quella data al Curatore, disconoscendo quanto verbalizzato da quest’ultimo) il c.t.u. ha rilevato invece come lo stesso abbia dichiarato percentuali contrastanti non solo con quanto affermato dagli altri due testi, ma anche con i dati a valore del magazzino.
Con riferimento alla differente versione data dal F. (sentito anche dall’avv. Baldini in data 6 marzo 2012, con dichiarazioni verbalizzate in base a quanto disposto dal c.p.p.), al Giudice (all’udienza del 30 marzo 2012) ed al disconoscimento delle dichiarazioni fatte alla Curatela, il Giudice, da un punto di vista metodologico ritiene di non dover tener conto di queste ultime, ma solo di quanto dichiarato in udienza e rimette per le valutazioni del caso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato, disponendo la trasmissione a quest’ultima del presente provvedimento, delle dichiarazioni rese dal F. al dr. Castoldi, del verbale d’udienza del 30 marzo 2012 e della c.t.u. con i relativi allegati.
Si ritiene pertanto maggiormente attendibile quanto dichiarato dagli altri due informatori B. e R., anche alla luce delle osservazioni del c.t.u.
I sigg. ri G. G., G. C. e A. R. (dichiarazioni scritte al Curatore in data 8 novembre 2011 – secondo quanto riportato nella reazione art. 33 l.f. pag. 62) hanno riferito che: “I contratti estimatori contestualmente stipulati prevedevano che il prezzo delle singole giacenze di magazzino è stato determinato sulla base del valore di mercato della merce medesima puntualmente determinato applicando determinate percentuali di svalutazione ai valori contabili di carico della concedente”. Inoltre: “Le giacenze di magazzino delle collezioni precedenti al 2009 sono state opportunamente quasi integralmente svalutate (percentuale di svalutazione del 95%) onde tener conto, come ben noto a tutti gli operatori del settore, del fatto che giacenze di merci di abbigliamento riferite a collezioni superate da oltre due stagioni sono praticamente invendibili se non a stockisti che per prassi consolidata riconoscono un prezzo unitario bassissimo”. Infine:“Nessun operatore del mercato, libero di operare in condizioni economiche di libero mercato, avrebbe riconosciuto un valore diverso da quello di stock “
In sostanza sia il R., che G. G. e G. C. dichiarano che le giacenze di magazzino sono indicate nei contratti estimatori con Via M. s.r.l. al prezzo di mercato e che le stesse sono state opportunamente svalutate, in modo da tener conto del fatto che le giacenze di merci di abbigliamento di stagioni passate da più di due anni sono praticamente invendibili.
Non è possibile che, trattandosi di dichiarazioni di parte, possa essere travisato il significato letterale delle stesse: parlare di valore di mercato non significa riferirsi a valori liquidatori, così come non può considerarsi riferita a questi ultimi la considerazione in base alla quale la merce passata da oltre due stagioni perde di valore, al punto da renderne doverosa l’iscrizione a bilancio secondo il suo effettivo valore attuale.
Alla luce di quanto esposto risultano pertanto condivisibili i criteri adottati dal c.t.u. nel ricostruire il magazzino della Sasch, non solo e non tanto alla luce della sommarietà che caratterizza la cognizione cautelare, ma anche in relazione alla genericità delle indicazioni contenute nelle note integrative dei bilanci della Sasch sopra rilevate.
Il dr. B. ha pertanto confermato la valutazione dei prodotti della stagione corrente (relativa all’anno di redazione del bilancio), ha considerato la perdita di valore del 40% per i prodotti della stagione precedente e del 95% per i prodotti degli anni precedenti. Non ha invece considerato alcuna perdita di valore per i prodotti basici. Il c.t.u. ha pertanto concluso, con valutazione condivisibile, nel senso che avrebbero dovuto essere fatti i seguenti accantonamenti a fondo rischi: € 6.555.410,50 per l’anno 2006 (con un’incidenza sul 47,61% sul totale del magazzino); € 6.281.192,53 per l’anno 2007 (con un’incidenza sul 51,36% sul totale del magazzino); € 6.927.717,62 per l’anno 2008 (con un’incidenza sul 53,74% sul totale del magazzino); € 4.891.518,89 per l’anno 2009 (con un’incidenza sul 48,21% sul totale del magazzino).
Si osserva che se i criteri di stima del magazzino fossero stati quelli indicati dal c.t.u. la svalutazione del magazzino al momento della presentazione del concordato rispetto a quella che avrebbe dovuto essere contabilizzata nel bilancio del 2009, sarebbe stata pari al 40% circa e non all’80% indicato dai liquidatori.
Si sarebbe pertanto avuta una svalutazione del 40% maggiormente compatibile e giustificabile mediante il passaggio da criteri di continuità aziendale a criteri di tipo liquidatorio.
Dal punto di vista giuridico si rileva come la condotta degli amministratori nella valutazione del magazzino sia connotata dalla violazione del principio di prudenza di cui all’art. 2423 bis c.c.
Come è stato osservato, la prudenza consiste in quello che è stato definito come un “ragionevole pessimismo” e si traduce nell’obbligo di rilevare ed iscrivere i valori di perdite temute (solo temute) e di iscrivere gli utili solo se realizzati.
Nella specie risulta come gli amministratori di Sasch s.p.a. – stando al contenuto delle note integrative – non abbiano neppure preso in considerazione l’ipotesi della possibile diminuzione del valore di un magazzino, che hanno continuato ad indicare nell’attivo patrimoniale per una cifra particolarmente consistente nel corso degli anni.
Il c.t.u. rileva che le giacenze più vecchie (anni 1993-2004) rimangono pressoché costanti negli anni 2006 e 2007, mentre dal 2008 inizia una progressiva riduzione delle stesse. Tale fatto può essere la conseguenza della vendita a terzi dei prodotti a rimanenza più vecchi (tesi dei CTP) o anche della vendita mediante i “conti merci a disporre” di cui hanno riferito gli informatori sentiti nel corso del procedimento cautelare.
Sul punto è, tuttavia, condivisibile quanto osservato dal c.t.u., dr. B., per il quale: “La tesi dei CTP, che può essere ritenuta corretta in caso di effettiva vendita a terzi delle rimanenze di magazzino con incasso del relativo credito, appare contrastata da:
- anomalo andamento delle giacenze di merci di esercizi più remoti che negli anni 2006 e 2007 sono pressoché costanti per poi diminuire negli anni in cui è più evidente la crisi del mercato e dei consumi;
- dichiarazioni rilasciate da informatori (R. e B.) su utilizzo dei conti “merci a disporre” negli anni 2008 e 2009;
- rilievo della GDF - verbale del 16.04.2012 - all. 11 relazione ex art. 33 l.f. Via Veneto 09;
- dichiarazione del Sig. F. che riferisce circa vendite a stock solo nel 2010 a prezzi unitari tra € 1,70 e € 2,40 (significativamente inferiori ai costi medi quali risultano nell’all. Magazzino n. 14).”.
La questione relativa al conto merci a disporre è stata descritta, in particolare, dall’informatore R., il quale ha dichiarato che dapprima tale conto è stato usato per approntare merce alle varie società distributive del gruppo, in modo che la merce potesse essere sempre pronta in caso di necessità. Da metà del 2008 in poi – secondo le dichiarazioni del informatore - i conti sono stati invece movimentati per creare un aumento di fatturato di Sasch, soprattutto verso la fine dell’anno. L’iter descritto dall’informatore era il seguente: dapprima veniva fatta una stampa del magazzino Sasch e venivano prese le quantità maggiori della merce più vecchia (che normalmente non veniva movimentata all’interno dell’azienda). Poi venivano emesse fatture verso le società distributive, ma senza movimentare fisicamente la merce. Erano fatture con documenti di trasporto, che non venivano mai firmati da nessuno. Il periodo di massima movimentazione, secondo quanto dichiarato dall’informatore, è stato da agosto del 2008 ai primi mesi del 2010.
Anche i testi B. e M. hanno confermato di essere a conoscenza del conto merci a disporre. Quest’ultima ha dichiarato che: “quando arrivavamo al 16 del mese ci chiedevano se le aziende erano a debito o a credito I.V.A. e di conseguenza a me arrivavano direttamente le fatture da registrare.”. L’informatrice ha poi dichiarato che le fatture che arrivavano erano più o meno corrispondenti all’importo del debito o del credito I.V.A.
La diminuzione di merci di stagioni passate è pertanto da ricondurre, al momento (tenendo conto della sommarietà della cognizione cautelare, ma con il rilievo che gli elementi probatori sono particolarmente incisivi), a vendite fittizie eseguite per l’aumento del fatturato della Sasch e per poter effettuare compensazioni dell’i.v.a. con le società distributive.
Del resto lo stesso informatore B. ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di merce obsoleta anche di recente, al momento dell’organizzazione della vendita dei prodotti di magazzino da parte dell’I.V.G. per conto della Curatela del Fallimento Sasch s.p.a.
Le vendite delle rimanenze svolte recentemente dall’I.V.G. non possono portare, al momento, all’adozione di un diverso criterio di valutazione del magazzino. Occorre infatti verificare se le vendite eseguite dalla Curatela del Fallimento consentano di realizzare un prezzo pari o, addirittura, superiore a quello indicato in sede di bilancio, tenendo conto, come osservato dal c.t.u., sia delle quantità vendute (e non solo del prezzo complessivamente realizzato), sia del rapporto tra tali quantità e quelle in giacenza alla fine di ciascun esercizio.
Non è pertanto possibile ricavare tali dati da un articolo di giornale in cui si parla di incassi vicino ad € 100.000,00. Sul punto è condivisibile quanto dichiarato dal c.t.u. in ordine al fatto che si tratti di un incasso modesto in relazione alle quantità giacenti in magazzino. Non bisogna infatti dimenticare che il valore del magazzino era indicato nel bilancio d’esercizio del 2009 per un valore di € 10.145.236,00 e che tale valore è stato svalutato in sede concordataria di € 9.293.221,00, e portato quindi ad € 2.321.367,00.
I resistenti non hanno pertanto provato, come sarebbe stato loro onere, la giustificazione di una svalutazione pari all’80% del magazzino in sede concordataria.
Anche un’altra voce rilevante dell’attivo patrimoniale costituita dai crediti è stata contestata dalla Curatela, con riferimento alla sua errata valutazione nei bilanci d’esercizio della società fallita. In particolare è stata contestata la contabilizzazione dei crediti verso le controllate e con riferimento crediti verso i clienti non è stata condivisa la mancata iscrizione di un fondo di accantonamento dei rischi per i crediti verso i clienti russi.
Il parametro normativo di riferimento per la valutazione dei crediti è costituito dall’art. 2426, I comma, n. 8) c.c., in base al quale: “I crediti devono essere iscritti secono il valore presumibile di realizzazione.”
Secondo il principio Contabile n. 15 O.I.C.: ““Il valore nominale dei crediti in bilancio deve essere rettificato, tramite un fondo di svalutazione appositamente stanziato, per le perdite per inesigibilità che possono ragionevolmente essere previste e che sono inerenti ed intrinseche ai saldi dei crediti esposti in bilancio.
Detto fondo deve essere sufficiente (adeguato ma non eccessivo) per coprire nel rispetto del principio di competenza:
- sia le perdite per situazioni di inesigibilità già manifestatesi,
- sia quelle per altre inesigibilità non ancora manifestatesi ma temute o latenti”.
Il principio richiamato sottintende il principio di prudenza, laddove prevede che debba essere iscritto un fondo di svalutazione per crediti non solo in relazione alle perdite che si sono manifestate, ma anche su quelle temute o latenti. Questo si ricollega anche al c.d. principio di competenza, che lo stesso principio contabile richiama espressamente, laddove prevede che: “Le perdite per inesigibilità non devono gravare sul conto economico degli esercizi futuri in cui esse si manifesteranno con certezza, ma, in ossequio ai principi della competenza e della prudenza ed al principio di valutazione del realizzo dei crediti, devono gravare sugli esercizi in cui le perdite si possono ragionevolmente prevedere.
Detto obiettivo viene raggiunto sul piano organizzativo-contabile tramite lo stanziamento di un fondo svalutazione crediti, col quale si mira a coprire sia le perdite di inesigibilità già manifestatesi, sia quelle perdite non ancora manifestatesi ma che l'esperienza e la conoscenza dei fatti di gestione conducono a far ritenere siano già intrinseche nei saldi esposti in bilancio e che pertanto si possono ragionevolmente prevedere”
Sul modo in cui deve essere calcolato tale fondo di svalutazione dei crediti il Principio n. 15 O.I.C. prevede che (D.II. b ): “Lo scopo del fondo svalutazione crediti è solo quello di fronteggiare le previste perdite sui crediti in bilancio, pertanto il fondo deve essere determinato tramite l'analisi dei singoli crediti e di ogni altro elemento di fatto esistente o previsto.
Tecnicamente, lo stanziamento al fondo svalutazione crediti deve avvenire tramite:
- analisi dei singoli crediti e determinazione delle perdite presunte per ciascuna situazione di inesigibilità già manifestatasi;
- stima, in base all'esperienza ed ad ogni altro elemento utile, delle ulteriori perdite che si presume si dovranno subire sui crediti in essere alla data di bilancio;
- valutazione dell'andamento degli indici di anzianità dei crediti scaduti rispetto a quelli degli esercizi precedenti;
- condizioni economiche generali, di settore e di rischio paese.”
Come criterio di determinazione delle perdite ai fini della determinazione dell’ammontare del fondo di svalutazione dei crediti viene indicata la tenuta di “un'aggiornata evidenza dell'anzianità dei crediti divisi per classi temporali di scaduto, nonché un'adeguata procedura di indagine circa le motivazioni della mancata regolarizzazione dello scaduto stesso.”
In sostanza nella stima del valore presumibile di realizzo dei crediti gli amministratori devono effettuare una valutazione equilibrata, che tenga conto sia del principio di prudenza (dando rilievo alle perdite anche solo temute, sulla base di criteri di tipo oggettivo) sia sul principio di competenza, dovendo essere iscritto un apposito fondo di svalutazione nell’esercizio nel quale si è verificato l’evento dal quale può scaturire un minor valore di realizzo del credito, in modo da non differire ad esercizi futuri perdite già attuali negli esercizi precedenti.
I crediti, dal 2006 in poi, sono stati indicati in bilancio nel modo seguente:
- anno 2006: € 26.142.748,00;
- anno 2007: € 33.328.209,00;
- anno 2008: € 31.422,179,00;
- anno 2009: € 42.712.427,00.
Al 30/9/2010 i crediti erano pari ad € 36.802.264,00, secondo quanto risulta dalla domanda di ammissione al concordato preventivo presentata dagli amministratori di Sasch s.p.a. (doc. 11 parte ricorrente).
Nella domanda di concordato preventivo la società fallita ha svalutato i crediti di circa l’87,569%, indicando la somma di € 4.574.875,00.
Prima di verificare se tale svalutazione sia giustificabile con il passaggio alla fase di liquidazione della società o se l’eccessivo ammontare di tale percentuale sia riconducibile alla violazione delle norme relative alla redazione del bilancio perpetrata negli esercizi precedenti, occorre partire dalle informazioni fornite dagli amministratori nelle note integrative ai bilanci oggetto di esame.
Nella nota integrativa al bilancio d’esercizio chiuso al 31/12/2006 si legge: “I crediti sono classificati nelle immobilizzazioni finanziarie e nell’attivo circolante in funzione della loro natura e dell’originaria scadenza. I crediti inseriti nelle immobilizzazioni finanziarie sono stati iscritti al valore nominale in quanto coincidente con quello di presunto realizzo.
Il valore nominale dei crediti inseriti nell’attivo circolante è stato adeguato al valore di presunto realizzo mediante apposito fondo svalutazione crediti, tenendo in considerazione le condizioni economiche generali ed i rischi specifici inerenti tali attività”. Il criterio di valutazione non viene modificato nelle note integrative dei bilanci chiusi al 31/12/2007, 31/12/2008 e 31/12/2009.
I fondi di svalutazione dei crediti iscritti a bilancio sono i seguenti: € 190.000,00 per il 2006; € 330.000,00 per il 2007; € 750.000,00 per il 2008; € 4.430.310,00 per il 2009.
Una prima comparazione di tipo numerico rivela già come tali importi non siano idonei a coprire neppure l’ammontare dei soli crediti contenziosi che sono per il 2006 € 393.608,00, per il 2007 € 1.048.482,00, per il 2008 € 1.169.431,00, per il 2009 € 872.793,00.
I fondi di svalutazione dei crediti, come osservato dal c.t.u., sono quindi sempre insufficienti a coprire i crediti per gli anni 2006-2008 e finiscono per essere integralmente utilizzati negli esercizi successivi. Tale circostanza, secondo quanto rilevato dal c.t.u., si ricava dal fatto che nel conto economico, alla voce E 21, sono iscritte perdite su crediti che avrebbero dovuto trovare capienza nel fondo di svalutazione, qualora lo stesso fosse stato adeguato.
Inoltre, nel bilancio chiuso al 31/12/2009 è stata iscritta al conto economico la somma di € 4.934.446,00 per “perdite e svalutazione crediti di natura straordinaria”. Tali perdite avrebbero dovuto essere rilevate nel corso degli esercizi precedenti, come attestato sia dal fatto che gli amministratori qualificano tali perdite come straordinarie, sia in ragione della loro iscrizione al conto economico alla voce E 21, quando il principio contabile O.I.C. n. 11 stabilisce che le perdite su crediti di esercizio siano iscritte alla voce “oneri diversi di gestione”, che concorre alla formazione del risultato dato dalla differenza tra valore e costi della produzione. Si deve pertanto condividere la valutazione fatta dal c.t.u. secondo la quale la somma di € 4.934.446,00 indicata come perdita straordinaria al bilancio del 2009, fosse in realtà di competenza dei bilanci chiusi negli anni precedenti.
Non è pertanto giustificabile con la sola adozione di criteri di tipo liquidatorio la svalutazione dei crediti pari all’87,569% eseguita in sede di concordato preventivo. In tale sede i crediti commerciali sono stati infatti svalutati di € 41.226.334,00 su un ammontare complessivo di € 47.354.948,00.
Com’è noto, la realizzazione del credito può infatti subire delle ripercussioni in merito alle vicende che interessano il debitore ed il suo patrimonio, ma non in merito a quelle che riguardano la sfera giuridica del creditore. Difatti, il legislatore mentre non ammette la successione nel debito, in assenza del consenso del creditore, viceversa ammette la cessione del credito anche in assenza del consenso del debitore ceduto.
Ne consegue che le vicende concorsuali che riguardano il creditore non comportano delle ripercussioni automatiche in merito alla realizzazione del credito. Le uniche incognite possono essere legate ai crediti litigiosi, ma non all’intero complesso dei crediti di chi chiede di accedere ad una procedura concorsuale.
I soli criteri che attengono al presumibile valore di realizzo del credito, così come indicato nell’art. 2426 n. 8) c.c. attengono pertanto alle vicende relative al debitore, che devono essere valutate in relazione all’anzianità del credito, alle garanzie dalle quali è assistito ed alla condotta pregressa del debitore in termini di solvibilità.
Da quanto esposto risulta già che di per sé non può essere giustificata una svalutazione dei crediti pari all’87%, così come quella eseguita dalla società fallita al momento della presentazione del concordato preventivo.
Sul punto si rileva come i resistenti, nonostante l’onere della prova sugli stessi incombente, non abbiano provato di aver iscritto correttamente i crediti nei bilanci da loro stessi redatti.
Il c.t.u. ha poi effettuato un esame dei singoli crediti oggetto di svalutazione da parte del Curatore, verificando la correttezza o meno delle stime in considerazione degli elementi ritraibili dalla documentazione agli atti e dalle memorie dei CTP.
Con riferimento alla Pulp Modernvertriebs Gmbh (società tedesca correlata) emerge in primo luogo la totale assenza di informazioni nelle note integrative ai bilanci degli esercizi 2006-2009.
Tale elemento già depone nel senso di un’assenza di verifica da parte degli amministratori in merito alla situazione debitoria della società in esame.
In merito a tale società la dipendente Laura Cesaretti ha dichiarato (all. 30 parte ricorrente) che la situazione di inesigibilità della società risultava già dal 2008 e che agli inizi del 2009 è cessato l’invio della merce (“I Clienti esteri che si sapeva già a fine 2008 essere completamente inesigibili erano (per citare i più grossi): 1. Pulp …: la società era già chiusa o in via di chiusura …. A questa abbiamo smesso di spedire già agli inizi del 2009” ).
Sul punto è pertanto condivisibile quanto affermato dal c.t.u. in ordine alla correttezza della necessità di iscrizione in bilancio di un apposito conto rettificativo in merito ai crediti verso Pulp.
La società Klips, a seguito dell’atto di cessione di azienda da parte della Wink Modernvertriebs GmbH (avvenuta in data 4 agosto 2009) subentra nei debiti di quest’ultima verso Sasch per un ammontare di € 1.076.017,00. Il c.t.u., pur ritenendo che tale debito trovi origine almeno nel 2008 e che in tale anno avrebbe dovuto essere svalutato, ha ritenuto, tuttavia, in assenza di informazioni sufficienti, di non procedere ad alcuna svalutazione per tale anno. È stata correttamente operata la sola svalutazione relativa ai crediti di Sasch verso Klips, rilevando che quest’ultima non aveva pressoché mai pagato (come è attestato dal fatto che il debito pari ad € 390.608,00 nel 2006, scende ad € 375.608,00 nel 2007, per poi rimanere tale fino al 2009). È pertanto da condividere la scelta del c.t.u. circa una svalutazione prudenziale mediante un fondo accantonamento per rischi su crediti verso Klips, pari ad € 375.608,00 per gli anni 2007 e 2008 e pari ad € 1.805.467,00 per il 2009.
Anche con riferimento ai Crediti di Poet il c.t.u. ha ipotizzato la necessità di predisporre un apposito fondo di accantonamento rischi pari ad € 59.714,00 per l’anno 2008; € 248.699,00 per l’anno 2009 ed € 259.177,00 per il 2010. La Poet Fashion Trading era una società svizzera controllata da Gommatex. I rapporti con la Sasch erano regolamentati nel senso che era previsto il pagamento in contanti nell’ipotesi in cui il credito maturato da Sasch nei confronti di Poet superasse la somma di € 51.646,00. Non solo tale condizione contrattuale non è stata rispettata, ma dal 2003 al 2006 Sasch ha fornito merce a Poet, senza incassare una fattura. Nel 2007 Poet paga il proprio debito, ma solo a seguito di un finanziamento ricevuto da Go-fin e in parte mediante liquidità generate dalla gestione ordinaria. Nel 2008 il credito di Sasch nei confronti di Poet cresce sistematicamente, senza che Poet paghi, nonostante i finanziamenti ricevuti da Go-fin (€ 379.000,00 nel 2008 ed € 153.179,00 nel 2009).
Tra i crediti verso i clienti la componente quantitativamente maggiore è quella verso i clienti russi. Nel volgere di pochi anni Sasch matura infatti una grossa esposizione di oltre € 26.000.000,00, pari al 60,87% dei crediti alla data del 31/12/2009.
I rapporti con i clienti russi sono risalenti agli anni ’90. In tale epoca si era già verificata una svalutazione della moneta russa che aveva generato una crisi, a fronte della quale Sasch aveva deciso una rateizzazione dei pagamenti. Tale vicenda è stata riferita da P. C., il quale ha dichiarato: “C’è stato un periodo molto interessante, perché c’è stato un periodo di sviluppo di Mosca come città. Nel 1997 i negozi furono vuotati e la gente non aveva più merce né soldi, a causa dell’inflazione totale. Il rublo andò, io dico, a zero. Ci fu l’inflazione. L’azienda fece una scelta prevedendo che il mercato sarebbe ripresto, come poi è stato, ed io suggerii: “se l’azienda ha le spalle solide, diamo una mano, perché qui si possono fare degli sviluppi belli.” Da quel momento l’azienda fece la scelta di fare degli investimenti nel senso che invece di investire in danaro, fu scelto di mandare merce e farsela pagare pian piano e questa è una scelta che fu fatta nel 1997. Questa scelta fece subito riprendere il lavoro. Poi, per alcuni anni, questo tipo di sviluppo crebbe e la proprietà ha continuato a investire. Se veniva acquistata questa merce, che di solito all’estero si manda con garanzie totali, fino ad un certo punto questo è stato proporzionale a quello che erano i pagamenti. C’erano delle rateizzazioni, ma c’erano dei pagamenti regolari. Prima del 1997 prima pagavano e poi si mandava la merce. Dopo il 1997 vengono fatte delle rateizzazioni, ma con acconti sulla merce man mano che pagavano. Era un rischio ma sempre calcolato. Dovevano pagare degli acconti, ma c’era sempre un aumento di merce che si mandava, ma che aumentava sempre l’esposizione.”
Lo stesso C. rileva quindi che, a seguito della crisi del 1997, ci sono state delle rateizzazioni, ma con dei pagamenti regolari: si trattava di un rischio comunque calcolato. L’informatore precisa poi come di solito la merce all’estero venga spedita con garanzie totali.
Successivamente, a partire dal 2006-2007, i saldi nei confronti della Russia incominciano ad aumentare. Lo stesso C. dichiara infatti: “Fino al 2007-2008 si è occupato della Russia R. C., che si lamentava per l’aumento del non pagamento da parte dei clienti. Io dissi che si sarebbe dovuto smettere di mandare merce, perché quelli pagavano sempre meno.”.
Sul punto lo stesso M. P. ha dichiarato: ““Mi risulta una grossa esposizione creditoria verso la Russia che si è aggravata dal 2007 e nasceva dal mancato rispetto delle scadenze pattuite”. Queste erano di 120 giorni dalla spedizione …….. nessun anticipo veniva richiesto. Per me si trattava di condizioni non normali a meno che ci fossero altre condizioni di sviluppo in Russia di negozi di con so (di cui non so?) e comunque per me era incomprensibile”
Laura Cesaretti ha riferito che: “Tornando alla Russia eravamo tutti stupiti che si spedisse merce senza riscuoterla. Abbiamo provato a chiedere qualcosa a M. P. ma questo ci rispondeva che andava bene così. La ragazza che fatturava alla Russia per Sasch si chiama Laura F. (con Silvia L.) e ora lavora per altri.
Le spedizioni estere erano principalmente in Russia (Integro, Enigma), Messico (Mintaim). Gli altri clienti esteri hanno sempre pagato ma avevano altre condizioni di pagamento. Quando arrivai in Sasch la situazione debitoria russa e messicana era già fuori da ogni controllo. Nonostante ciò si continuava a spedire come se nulla fosse. L’unica spiegazione era che ci fossero accordi.”
I criteri indicati dagli amministratori nelle note integrative dei bilanci d’esercizio degli anni 2006-2009 sono già stati riportati. È già stato rilevato come i fondi di svalutazione dei rischi fossero insufficienti a coprire anche i soli crediti litigiosi.
Manca qualsiasi indicazione relativa ai crediti verso i clienti russi o, forse, è meglio dire il cliente russo come risulta da quanto dichiarato dallo stesso R. C. nel verbale d’assemblea dei soci di Sasch, in data 5 luglio 2010, riferisce che è stato dato incarico allo Studio Pavia ed Ansaldo di Mosca per il “recupero dell’ingente credito vantato nei confronti delle società indirettamente riferibili al sig. Roman K..”.
Solo nella relazione sulla gestione del bilancio al 31/12/2009 il Consiglio riferisce che: “Particolarmente intenso è stato il calo delle vendite nel mercato russo dove la società ha rapporti con circa 30 negozi in franchising e dispone di ben 35 negozi monomarca Sasch nei confronti dei quali si evidenzia un credito rilevante garantito opportunamente. Infatti su invito del collegio Sindacale, formalizzato nel corso delle verifiche periodiche, le società di gestione russe dei negozi monomarca Sasch hanno prodotto garanzie di firma per cui la Vs. Società è nelle condizioni di acquisire i punti vendita comprensivi di tutte le attività costituiti da arredi, merci ed avviamenti commerciali ad una cifra simbolica in adempimento di quanto previsto”
Tale affermazione contrasta con quanto riportato nella relazione al bilancio chiuso al 31/12/2010 (ripetuto nella memoria integrativa alla Istanza per Fallimento in Proprio), dove si legge: “La società con cadenza semestrale, aveva ritenuto opportuno di procedere alle nuove forniture di merci a seconda delle esigenze commerciali; tuttavia a fronte di questa ingenua prassi commerciale, gli uffici commerciali e, quindi, i relativi responsabili non hanno verificato se per le forniture effettuate esistessero i presupposti per i puntuali pagamenti secondo la maturazione dei relativi crediti”.
Inoltre, con riferimento alle garanzie prodotte dalla parte ricorrente a giustificazione della mancata iscrizione di un fondo di accantonamento dei rischi per i crediti nei confronti dei clienti russi, è condivisibile quanto affermato dal c.t.u., il quale ha rilevato come le “dichiarazioni” (all. 40 agli atti difensivi C.) siano rilasciate dalle società FLO, GLENKO, MIRANDA, JASMIN, KOMPANIA LMM 2000 (i cui legali rappresentanti sono soggetti altresì diversi da K.), le ragioni sociali delle quali non coincidono con quelle delle società che risultano avere delle pesanti esposizioni debitorie con Sasch, che sono INCOM, ENIGMA, INTEGRO. Inoltre, le dichiarazioni prodotte dalla parte resistente recano la data del giorno 11 marzo 2010, rendendo così difficile, da un punto di vista cronologico, coniugare il loro contenuto con quello delle valutazioni eseguite nei bilanci degli anni precedenti. Difatti, nei bilanci degli anni 2006, 2007 e 2008 non viene fatta alcuna annotazione in merito all’esposizione debitoria nei confronti del cliente russo, né in merito alla controprestazione offerta da quest’ultimo.
Occorre poi richiamare quanto statuito dal Principio O.I.C. n. 15 in merito ai crediti incassabili con attività diversa da fondi liquidi. Tale principio, in particolare, stabilisce che: “I crediti incassabili con un'attività diversa dai fondi liquidi vanno valutati al valore corrente di tali attività. Se il debitore ha l'opzione di pagare con fondi liquidi o con altra attività, il credito, per il principio della prudenza, deve essere esposto al minore tra il valore incassabile per contanti ed il valore corrente delle attività. Se l'opzione è del creditore, va usato l'ammontare relativo alla scelta che si prevede verrà effettuata. Eventuali rettifiche al valore originario così iscritto vanno imputate al conto economico.”
Come osservato dal c.t.u. non risulta mai stata fatta alcuna delle valutazioni richieste dal principio contabile appena richiamato al fine di valutare i crediti nei confronti del cliente russo. Non risulta essere stata fatta alcuna valutazione della controprestazione offerta in cambio del pagamento dei crediti, al fine di valutare l’iscrizione al bilancio secondo il minor valore.
Le note integrative ai bilanci della Sasch presentano quindi delle evidenti lacune informative in ordine all’esposizione della società fallita nei confronti del cliente russo.
Non risulta pertanto provata la presenza di garanzie sufficienti – anche alla luce del fatto che l’informatore C. ha dichiarato che senza garanzie la merce non partiva per l’estero – a giustificare l’indicazione dei crediti verso il cliente russo nell’attivo circolante senza la predisposizione di un apposito fondo di svalutazione per i rischi in ordine a tali crediti.
Inoltre, dalla relazione dello Studio P. risulta che i rapporti commerciali verso il cliente russo sono stati intrapresi in assenza di un’attenta valutazione degli aspetti giuridici rilevanti, omettendo di verificare la necessità della forma scritta ad substantiam per i rapporti contrattuali, in base alle norme di diritto internazionale privato vigenti in Russia. Ne consegue che, data la mancanza di contratti scritti con il cliente russo, non è possibile recuperare i crediti, al punto che gli stessi in sede di concordato preventivo sono stati pressoché interamente svalutati.
Un’ultima segnalazione riguarda il ritardo nei pagamenti da parte del cliente russo. Come ricordato dall’informatore C., quando alla fine degli anni ’90 sono state concesse delle rateizzazioni si avevano dei pagamenti dilazionati, ma pur sempre regolari. Negli anni 2007-2008 il credito verso il cliente russo ha invece raggiunto un ammontare di segno particolarmente elevato. La mancata predisposizione di un fondo di accantonamento per i rischi è da ritenere pertanto ingiustificata alla luce dei molteplici fattori di rischio (ritardo nei pagamenti, ammontare dell’esposizione, oltretutto verso un unico cliente, mancanza di garanzie sufficienti). Sono pertanto condivisibili gli accantonamenti calcolati dal c.t.u., tanto più che gli stessi sono stati calcolati in base alle scadenze (abbastanza lunghe) di 120 giorni.
In particolare, per l’anno 2008, su un credito complessivo di € 12.105.921,00 nei confronti della società Integro è stato calcolato un fondo di accantonamento dei rischi pari ad € 6.725.511,00, mentre su un credito di € 5.250.797,00 nei confronti della società Inkom è stato calcolato un fondo di accantonamento pari ad € 2.862.195,00.
Nel 2009, su un ammontare complessivo dei crediti nei confronti di Inkom pari ad € 13.490.979,00, è stato calcolato un fondo di accantonamento dello stesso ammontare, mentre su un ammontare dei crediti nei confronti di Enigma, pari ad € 4.863.416,00, è stata calcolato un fondo di accantonamento di € 2.269.594,00. Per i crediti di Inkom, nello stesso anno, pari ad € 3.571.122.00 è stata calcolato un fondo di accantonamento pari ad € 2.862.195,00. Nell’anno 2010 è stato calcolato un fondo di accantonamento per i rischi pari agli importi dei crediti maturati nei confronti delle tre società.
Passando all’esame delle valutazioni delle società partecipate, occorre dare atto che verrà seguita la stessa impostazione metodologica del c.t.u., nel senso che insieme alle valutazioni delle partecipazioni vengono verificate anche quelle relative ai crediti (commerciali e per finanziamenti) nei confronti delle società partecipate (in ragione di quanto detto nella parte iniziale circa la corretta classificazione dei crediti nei confronti delle società partecipate).
Le partecipazioni nelle società controllate e collegate sono iscritte nei bilanci della società fallita per un valore complessivo di € 5.649.664,00 nell’anno 2006; € 7.446.512,00 nell’anno 2007; € 18.176.239,00 nel 2008; € 18.510.905,00 nel 2009.
La Curatela del Fallimento Sasch ha contestato agli amministratori della società fallita di non aver mai eseguito alcuna svalutazione delle partecipazioni, nonostante che le società presentassero nel corso degli anni dei risultati costantemente negativi.
Prima di scendere nel merito delle censure della parte ricorrente occorre richiamare brevemente la normativa che disciplina i criteri in base ai quali le partecipazioni devono essere indicate nel bilancio d’esercizio.
Il criterio di valutazione delle immobilizzazioni è stabilito nell’art. 2426 c.c., in base al quale: “Nelle valutazioni devono essere osservati i seguenti criteri:
1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori.
2) il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa;
3) l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata.
Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall'applicazione del criterio di valutazione previsto dal successivo numero 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa;
4) le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio indicato al numero 1), per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis .
Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa controllata o collegata può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni ammortizzabili o all'avviamento, deve essere ammortizzata.
Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall'applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell'esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile”.
Il principio è pertanto quello di iscrizione dell’immobilizzazione al costo d’acquisto. Qualora, alla chiusura dell’esercizio il valore sia durevolmente inferiore a quello del costo l’immobilizzazione deve essere iscritta a tale minore valore.
Le partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere iscritte, oltre che in base al costo di acquisto, in base all’importo della corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio. Se tale ultimo importo è inferiore al primo, cioè al costo di acquisto, tale differenza deve essere motivata nella nota integrativa.
La correttezza dell’iscrizione in bilancio delle partecipazioni al costo storico non può infatti prescindere dalla considerazione dell’andamento economico della partecipata e dal risultato conseguito nei singoli esercizi. Non può infatti considerarsi conforme al principio di prudenza l’iscrizione in bilancio al valore nominale, se tale valore si allontana significativamente dal valore patrimoniale e dal valore di mercato.
A tal fine il principio contabile O.I.C. n. 20, paragrafo 3.6, prevede che: “Né il testo della legge (art. 2426 cod. civ.) né la relazione che la accompagna forniscono compiute definizioni dei concetti di perdita di valore e di durevolezza. Poiché interpretazioni diverse di tali espressioni possono condurre a svalutare, o meno, il valore di carico di una partecipazione considerata l'esigenza che i criteri di valutazione non siano arbitrari e siano al tempo stesso, di uniforme applicazione - come si evince da più parti della relazione di accompagnamento dal D.Lgs. 127 - si ritiene necessaria una loro definizione.
Trattasi anzitutto di situazione che il compilatore del bilancio deve accertare in modo accurato, in quanto due sono i problemi ad essa connessi:
1) individuare il carattere duraturo della perdita di valore;
2) determinare quale deve esser il valore inferiore al costo, ovvero la misura della rettifica allo stesso.
Le ragioni originarie che inducono alla prima analisi sono da ascrivere alle condizioni economico-finanziarie della partecipata, ossia quando sulla base di riferimenti certi e costanti, sono accertate perdite d'esercizio non episodiche o temporanee, bensì strutturali tali cioè da intaccare la consistenza patrimoniale della partecipata.
Una perdita di valore, sovente, deriva da perdite d'esercizio significative riportate dalla partecipata, frequentemente accompagnate o provocate da situazioni negative interne all'impresa stessa o esterne ad essa, oppure da una combinazione di fattori interni ed esterni.”.
Secondo tale principio pertanto: “una perdita di valore è durevole quando fondatamente non si prevede che le ragioni che la hanno causata possono essere rimosse in un breve arco temporale, cioè in un periodo così breve da permettere di formulare previsioni attendibili e basate su fatti obiettivi e ragionevolmente riscontrabili. Quindi, una perdita di valore è durevole perché non è ragionevolmente dimostrabile che nel breve periodo la società partecipata possa sovvertirla mediante positivi risultati economici.”
La perdita di valore è durevole se pertanto non possono essere rimosse in un breve arco di tempo le ragioni che l’hanno determinata. La brevità di tale termine deve essere fondata su previsioni non solo ragionevoli, ma fondate altresì su elementi obiettivamente riscontrabili.
La prognosi favorevole circa la possibilità della partecipata di sovvertire il trend negativo deve basarsi anche sulla plausibilità dei piani e dei programmi predisposti da tale società per il recupero economico. A tal fine il principio contabile in esame prevede che: “Se invece la partecipata ha predisposto piani e programmi tesi al recupero delle condizioni di equilibrio economico finanziario e di redditività, con caratteristiche tali da far fondatamente ritenere che la perdita ha carattere contingente, questa può definirsi non durevole.”
Tali piani, in attuazione del principio di prudenza, devono essere caratterizzati da ragionevolezza, concretezza e brevità di attuazione: “ Affinché ciò sia ammissibile, tuttavia, per non violare il postulato della prudenza nella formazione del bilancio (si veda il Principio contabile 11 ), i piani e programmi devono avere caratteristiche di:
- concretezza;
- ragionevole possibilità di realizzazione (tecnica, economica, finanziaria);
- brevità di attuazione.
Inoltre si ritiene necessario che i piani e i programmi operativi presentino le seguenti caratteristiche: a) risultino da deliberazioni degli organi societari; b) siano analitici così da individuare con precisione gli elementi di intervento e i benefici (qualificati in termini economici) che da essi si attendono; c) definiscano in modo esplicito il tempo entro cui il recupero dell'equilibrio economico è atteso, che deve collocarsi comunque nell'arco di esercizi futuri molto ravvicinati. In particolare, l'elemento tempo è di grande importanza, in quanto la capacità di formulare previsioni attendibili diminuisce tanto più rapidamente quanto più esse si collocano nel futuro.
Se gli organi amministrativi della partecipante, trovandosi nella possibilità sopra descritta, considerano la perdita di valore non durevole , debbono dare esplicita illustrazione nella nota integrativa, indicando gli elementi caratterizzanti dei piani/programmi che consentiranno il recupero della perdita di valore, ivi inclusa l'indicazione nel tempo atteso per il recupero della perdita.”
La valutazione circa il carattere non durevole della perdita non può invece fondarsi su una mera aspettativa o previsione di recupero, disancorata da elementi obiettivi di giudizio. Tale tipo di valutazione sarebbe infatti contraria al principio di prudenza. Il principio contabile O.I.C. n. 20 chiarisce infatti che: “Non si ritiene ammissibile, al contrario, che la perdita di valore sofferta da una partecipazione sia considerata non durevole sulla semplice base di ipotesi generiche di recupero o di consistenza dei valori patrimoniali. Tale comportamento, nei fatti, è assimilabile ad un puro rinvio del riconoscimento della perdita che, per il richiamo postulato della prudenza e per quello della competenza, non è accettabile.”
Con riferimento alle partecipazioni in società acquisite al momento della loro costituzione il principio contabile richiamato prevede che in caso di perdite verificatesi nella fase di avvio del primo esercizio è possibile non svalutare la partecipazione, purché dall’esercizio successivo si possano ricavare indicazioni positive circa il ripianamento delle perdite pregresse o l’attuazione dei piani aziendali (“Nel caso in cui la partecipazione immobilizzata sia acquisita in sede di costituzione di questa, oppure in sede di inizio di attività, e tale società nella fase di avvio relativo al primo esercizio consegua perdite, anche consistenti, è possibile non svalutare la partecipazione, in quanto la perdita non è da ritenere con carattere permanente, se dall'esercizio successivo si possano trarre indicazioni di positivo cambiamento in misura tale da ripianare le perdite precedenti e, comunque, i risultati e lo sviluppo dell'attività confermino i piani e i programmi aziendali.”).
La conseguenza dell’accertamento del carattere durevole della perdita è costituita dalla rettificazione del costo storico per allinearlo al patrimonio netto della partecipata, da iscrivere in conto economico nel gruppo D) Rettifiche di valore di attività finanziarie, punto 19) svalutazioni, voce a ) di partecipazioni.
Tale rettifica di valore, in base al principio di competenza, deve essere interamente imputata all'esercizio in cui è accertata.
I principi che guidano devono pertanto essere seguiti dagli amministratori sono il principio di prudenza, in base al quale deve essere iscritto in bilancio il minor valore della partecipazione, quando le perdite della partecipata non possono venir ripianate in un arco di tempo ragionevolmente certo e verificabile, ed il principio di competenza, secondo il quale la perdita deve essere iscritta nell’esercizio nel quale si è verificato l’evento dal quale scaturisce la perdita temuta.
Proprio il principio di prudenza, unitamente al tenore letterale dell’art. 2426 n. 3) c.c. porta a ritenere errata la tesi secondo la quale la svalutazione della partecipazione può avvenire solo laddove in capo alla partecipata si verifichino le situazioni di cui all’art. 2446-2447 c.c. Il principio di prudenza impone infatti di iscrivere in bilancio le perdite solo se temute. È evidente che in presenza della situazione di cui all’art. 2446 c.c. o art. 2447 c.c. la perdita è ben più che temuta, ma, in mancanza di nuove liquidità immesse nella società, diventa definitiva, potendo addirittura comportare probabile azzeramento del valore della partecipazione. Del resto tale tesi non solo contrasta con il dettato dell’art. 2426 n. 3) c.c., letto alla luce del principio di prudenza, ma anche con quanto stabilito all’art. 2426 n. 4) c.c., che consente di iscrivere la partecipazione in base alla corrispondente frazione del patrimonio netto. È evidente che il legislatore tenga presente al fine della valutazione della partecipazione il criterio del patrimonio netto e non le situazioni patologiche nell’andamento della società descritte dall’art. 2446 e 2447 c.c. Ciò è ben dimostrato dal fatto che l’art. 2426 n. 3) c.c., in presenza di un iscrizione del valore della partecipazione superiore al valore della corrispondente quota del patrimonio netto, impone di motivare tale differenza nella nota integrativa. Non è quindi un caso che il principio O.I.C. n. 20 non prenda come riferimento il verificarsi delle situazione di cui agli artt. 2446-2447 c.c. come discrimen al quale ancorare la rettificazione del valore della partecipazione nella società controllata o collegata. Tale interpretazione è infatti palesemente contraria al dettato della normativa civilistica.
Passando all’esame delle valutazioni eseguite dagli amministratori della Sasch s.p.a. nella redazione dei bilanci d’esercizio, il criterio di valutazione delle partecipazioni, che rimane invariato dal 2006 fino al 2009, come risulta dalle note integrative, è il seguente: “Le partecipazioni, in quanto relative a società con le quali si intende instaurare un legame durevole, sono iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie e sono valutate al costo d’acquisto. Qualora il patrimonio netto, risultante dall’ultimo bilancio approvato dalle società partecipate, risulti durevolmente di un importo inferiore al costo medesimo, la valutazione è effettuata in base al valore del patrimonio netto determinato mediante apposito fondo di svalutazione. Nel caso del venire meno delle ragioni che hanno indotto all’abbandono del costo storico, si procede al ripristino del valore fino alla concorrenza del costo originario.”
Gli amministratori di Sasch s.p.a. non effettuano mai alcuna rettificazione del costo delle partecipazioni, nonostante le società partecipate abbiano presentato un trend costantemente negativo.
In linea generale – più aventi si esamineranno le valutazioni delle singole partecipazioni – il mancato adeguamento (con appositi fondi rettificativi) del costo di iscrizione in bilancio delle singole partecipazioni viene motivato dagli amministratori della società fallita (senza alcun rilievo sul punto da parte di sindaci) in base ad asseriti valori patrimoniali intrinseci (ad esempio il valore dell’immobile per la TXY) e di avviamento dei punti vendita oppure sulla base del fatto che la partecipata di trovasse nella fase di start up.
Con particolare riferimento alla mancata rettificazione del valore della partecipazione in considerazione della fase di start up della società partecipata, si rileva in primo luogo come il principio O.I.C. n. 20 ritenga sicuramente plausibile tale spiegazione per il primo esercizio, mentre per i successivi esercizi l’iscrizione della partecipazione al costo d’acquisto è conforme al principio di prudenza solo in presenza di elementi obiettivi che facciano ritenere ragionevole il ripianamento delle perdite in un arco temporale breve o portino a ritenere rispettate le previsioni contenute nei piani aziendali.
Non si può poi sostenere che i principi che governano le aziende di nuova costituzione si discostino da quelli generali delle aziende che si trovano in fase di continuità ordinaria, né può ammettersi una deroga ai principi civilistici e contabili durante i primi anni di vita di un’azienda.
In merito a tale questione il c.t.u. osserva: “Al momento della costituzione di una iniziativa imprenditoriale, necessita redigere un ”business plan” sul quale formulare le ipotesi economico-patrimoniali per verificare l'esistenza delle condizioni generali di impresa per dar vita ad una nuova azienda. Da questo momento, cioè dalla partenza concreta dell'attività imprenditoriale, non si può immaginare di entrare in una situazione di gestione che per alcuni anni abbandoni i principi civilistici e contabili, in virtù del fatto che l'azienda si trovi in un periodo particolare contraddistinto dallo “start-up”. Innanzi tutto il business-plan iniziale deve costituire, in “ogni momento”, per la nuova azienda, un parametro di raffronto per poter verificare la realizzazione o meno delle aspettative scaturite dalle previsioni formulate nel business-plan stesso. Nell'operazione del cosiddetto monitoraggio della gestione economico – finanziaria - patrimoniale, è d'obbligo ricorrere ai predetti principi generali di prudenza che informano l'intera gestione economica. Infatti, non è possibile giustificare, al di là di ogni “ragionevole” stima aziendale, il perdurare di gravi risultati economici, in omaggio al principio che caratterizza le aziende in fase di start-up.”
D’altra parte, che la situazione di difficoltà economica finanziaria delle aziende neo-costituite potesse durare per un tempo indeterminato è testimoniata dal fatto che in alcuni casi nelle stesse note integrative dei bilanci di Sasch vengono fatte delle previsioni di ripianamento delle perdite delle società partecipate per l’esercizio successivo, che vengono poi puntualmente disattese, senza alcuna rettificazione del valore della partecipazione mediante l’accantonamento nell’apposito fondo. A tal fine sono emblematici i casi di Allusion SA, Mintaim e Aero S. s.r.l.
Ad esempio per la società Allusion SA è prevista, nella nota integrativa al bilancio del 2006, la messa regime dei punti vendita per l’anno 2007. Nella nota integrativa al bilancio 2007 si legge: “La diminuzione patrimoniale non configura una perdita di valore in considerazione della validità della introduzione commerciale e delle possibilità di sviluppo dell’area. I dati previsionali in nostro possesso fanno presupporre un ritorno all’utile già a partire dal prossimo esercizio” (2008).
Nella nota integrativa al bilancio 2008 si legge di “incremento delle vendite” e di “leggera perdita” (il c.t.u. rileva che “dalla nota integrativa del bilancio al 2009 si rileva che la “leggera perdita” ammontava a € 792.478 e che il patrimonio netto della partecipata - pro quota di Sasch - era negativo per € 1.644.318”). Nella relazione sulla gestione, con riferimento ad Allusion viene menzionata l’apertura di un punto vendita a Losanna e l’apertura di un magazzino centrale per la logistica. Inoltre viene resa l’informativa sull’aumento di capitale deliberato nel 2008 “al fine di potenziare la struttura” “da perfezionare nel corso del corrente esercizio, di cui la vostra società ha già deliberato l’appostamento in conto futuro aumento capitale pari a Euro 3,8 mln”.
Nella nota integrativa bilancio 2009 si legge: “Le potenzialità commerciali nell’area geografica, nonché, le introduzioni commerciali dei negozi permettono di ritenere la differenza tra il valore della partecipazione e la quota patrimoniale di spettanza non una perdita duratura di valore”.
Nella situazione patrimoniale al 30/9/2010 (proposta di concordato) la partecipazione viene integralmente svalutata (€ 4.445.777), così come il finanziamento di € 1.071.886,00.
È condivisibile l’osservazione del c.t.u. circa la mancata menzione nelle note integrative di piani industriali, economici e finanziari a supporto del criterio di valutazione adottato.
È altresì significativo il fatto che gli amministratori non diano mai conto del perché le previsioni di recupero economico fatte di esercizio in esercizio in ordine all’anno successivo vengano smentite, senza che ciò porti ad una riconsiderazione del valore della partecipazione.
Del resto il Ba. ha dichiarato con riferimento ad Allusion che il fatturato è stato sempre basso (“il fatturato è sempre rimasto basso. E’ cresciuto perché è cresciuto il numero dei negozi ma non perché i singoli negozi aumentassero il fatturato. La Svizzera è andata male per la disorganizzazione.”).
Tra il 2006 ed il 2008 sia Sasch che Go-fin erogano ingenti finanziamenti ad Allusion, che continuano, per importi minori, anche nel 2009 e nel 2010. Tenuto conto che la capacità di pagamento dei crediti commerciali consegue all’erogazione di tali finanziamenti e che i risultati sono costantemente negativi, è condivisibile la conclusione del c.t.u. in ordine alla necessità di iscrivere i seguenti accantonamenti a fondo rischi: per l’anno 2007 € 613.098,00 per il minor valore della partecipazione ed € 655.717,00 per i finanziamenti; per l’anno 2008 € 613.098,00 per il minor valore della partecipazione ed € 1.644.318,00 per i finanziamenti; per l’anno 2009 l’integrale svalutazione della partecipazione.
Un’ipotesi simile riguarda anche la partecipazione in Mintaim. Nella relazione al bilancio del 2006 si legge infatti che la società: “Costituita per sviluppare ulteriori attività in campo internazionale e principalmente nell’area Messico e del Centro America. La società ha sottoscritto importanti accordi con il Gruppo Carso – Sears i cui risultati dovrebbero manifestarsi fin dal corrente esercizio”. Tale previsione risulta smentita e nella nota integrativa al bilancio dell’anno 2007 la mancata svalutazione della partecipazione viene motivata così: ““la diminuzione patrimoniale non configura una perdita duratura di valore in considerazione della validità delle introduzioni commerciali e delle potenzialità di sviluppo dell’area e della situazione della società ancora sostanzialmente in start up”. Anche in tale caso la nota integrativa non fa riferimento né ad alcun piano industriale, economico e finanziario, né all’errata previsione degli amministratori in ordine ai risultati economici della società controllata. Nella nota integrativa al bilancio chiuso al 31/12/2008 si legge che la diminuzione patrimoniale, “non configura una perdita durevole di valore in considerazione del miglioramento dell’andamento della società, della validità delle introduzioni commerciali e delle potenzialità di sviluppo dell’area e della situazione della società, ancora sostanzialmente in start up”.
Con riferimento all’anno 2009 non c’è menzione del risultato economico. Nella nota integrativa vengono riportati i dati economici e patrimoniali al 31.12.2008 in quanto quelli al 31.12.2009 “non sono disponibili”.
Anche per Mintaim nel periodo 2006-2008 sia Sasch che Go-fin erogano numerosi ed ingenti finanziamenti.
È da rilevare che nell’anno 2008 il reddito operativo è positivo, ma che in tale periodo sono state eseguite le vendite in favore di Veneto 09 ed Australia 09, che hanno aumentato i ricavi per € 2.357.657,00.
In ordine a tale operazione l’informatore B. ha riferito che: “Australia 09 e Via Veneto 09 sono state costituite alla fine del 2008, per riacquistare la merce che veniva dalla controllata estera Mintain, messicana, perché il valore a cui si sono riacquistate le merci erano a valore più alto di quello a cui acquistava la Sasch e l’acquisto di questa merce tramite Australia e Via Veneto avrebbe consentito di non deprimere il margine lordo della Sasch. La costituzione delle aziende mi è stata comunicata da M. P., che mi ha dato la spiegazione che ho appena riferito. Me lo disse, più o meno, nella stessa occasione in cui mi ha comunicato la costituzione delle due nuove società.”
Il c.t.u. rileva poi che amministratore unico di Go-fin era C. M., che siedeva nel collegio di Go-fin, dove erano altresì presenti alcuni amministratori di Sasch ed il cui collegio sindacale era composto dai medesimi membri di Sasch s.p.a.
In ordine all’operazione di vendita delle merci da Mintaim a Veneto 09 ed Australia 09, il c.t.u. rileva che: “In considerazione delle informazioni che si possono trarre dalle relazioni ex art. 33 l.f. di Australia 09 e Via Veneto 09 si concorda con l’esigenza, evidenziata dal Curatore, di rettificare il patrimonio netto di Mintaim al fine di tenere nel dovuto conto il fatto che Australia 09 e Via Veneto 09 non sarebbero state in grado di pagare il proprio debito nei suoi confronti. Tale circostanza, anche se non a conoscenza del management di Mintaim, era conosciuta dall’organo amministrativo di Sasch S.p.A. considerato che gli acquisti da parte di Australia 09 e di Via Veneto 09 avevano avuto ad oggetto merci di Mintaim di precedenti stagioni verosimilmente di valore probabilmente inferiore in misura significativa a quello di costo, che non si sarebbero potute vendere se non a stock, alternativa che Sasch non intendeva percorrere.”
La circostanza della conoscenza da parte di Sasch in ordine al fatto che Veneto 09 ed Australia 09 non sarebbero state in grado di pagare i debiti nei confronti di Mintaim risulta suffragata dalle dichiarazione del B..
Il c.t.u. in sede di relazione finale, in base ai dati indicati dal curatore nella relazione ex art. 33 l. fall. (depositata al momento dell’introduzione del presente procedimento) è partito dal valore della partecipazione in Mintaim iscritto nei bilanci Sasch nel 2008 per € 5.671.000,00. Dalla quota di patrimonio netto indicata in € 7.650.000,00, ha poi dedotto i crediti (non pagati) nei confronti di Australia 09 e Veneto 09 (successivamente dichiarate fallite dal Tribunale di Prato), per una somma pari ad € 2.537.657,00, ottenendo un patrimonio netto rettificato pari ad € 5.112.981,00. La quota di patrimonio netto corrispondente alla partecipazione di Sasch (61,15%) è quindi pari ad € 3.126.587,00 con una differenza rispetto al costo per il quale tale partecipazione è iscritta a bilancio, pari ad € 2.544.568,12.
I c.t.p. hanno contestato al c.t.u. tale quantificazione. Il dr. B., in sede di risposta alle osservazioni dei c.t.p., ha pertanto esaminato il bilancio di Mintaim chiuso all’anno 2008 (allegato 18 alla relazione ex art. 33 del Fallimento di Veneto 09), rilevando come il patrimonio netto sia in realtà pari ad € 5.933.493,75, quindi ben inferiore alla somma ricavabile dalla relazione ex art. 33 l. fall. della Sasch s.p.a. (pari ad € 7.650.000,00). Ne consegue che il patrimonio rettificato (deducendo i crediti verso Australia 09 e Veneto 09) dovrebbe essere pari ad € 3.395.667,29, mentre la quota di patrimonio netto di pertinenza di Sasch dovrebbe essere pari ad € 2.071.357,00, e la differenza rispetto al costo al quale tale partecipazione è iscritta nel bilancio di Sasch è pari ad € 3.599.799,00.
Considerato lo scopo delle vendite infragruppo tra Mintaim e Veneto 09 e Australia 09 – sul quale non c’è bisogno di spendere particolari argomentazioni – è pienamente condivisibile la svalutazione della partecipazione in Mintaim effettuata per € 2.544.568,12 nel 2008; € 2.726.296,00 nel 2009; € 3.498.921,00 nel 2010. La necessità di operare un apposito accantonamento a fondo rischi è motivata infatti sia in base all’andamento economico della controllata, sia in considerazione dell’assenza di piani industriali, sia per il fatto che Sasch, già dal 2008, era ben a conoscenza del fatto che l’operazione di vendita delle merci ad Australia 09 e Veneto 09 non avrebbe comportato (come poi è stato) la riscossione di alcun credito.
Proprio in relazione alla consapevolezza da parte di Sasch in ordine alla situazione di Mintaim già nell’anno 2008, si ritiene condivisibile altresì la necessità di apporre un ulteriore fondo di accantonamento per i rischi relativi ai crediti verso la società controllata, partendo dall’indice di copertura delle passività a breve (cioè delle liquidità disponibili per pagare i propri debiti) e calcolando conseguentemente i fondi in base alla percentuale rimanente. Considerato pertanto che nel 2009 l’indice di copertura è pari all’87,78% ed i crediti ammontano ad € 1.585.881,00, è conforme al criterio di prudenza una svalutazione pari ad € 193.788,00 dei crediti (pari cioè al 12,22% - somma non coperta dall’indice di copertura del rapporto tra attività e passività a breve che nel 2008 è pari all’87,78% - di € 1.585.881,00) e ad € 351.832,00 per i crediti finanziari (che ammontano ad un totale di € 2.879.242,00). Similmente, considerato che l’indice di copertura corrente per l’anno 2009 è pari al 79,65% è condivisibile la necessità indicata dal c.t.u. di iscrivere un fondo di svalutazione per i crediti commerciali pari ad € 308.211,00 (su un totale di € 1.514.574,00) e per i crediti finanziari pari ad € 550.221,00 per i crediti finanziari.
Anche nel caso della partecipazione in Aero Studio s.r.l., acquistata nel 2006, nella Relazione al bilancio del 2006 gli amministratori affermano di: “poter valutare l’effettiva messa a regime dell’attività distributiva nel corrente esercizio” (cioè il 2007).
Nella Relazione al bilancio del 2007 il mancato raggiungimento della fase di break even viene motivato: “stante la natura sostanzialmente ancora in start up della società che comunque è dotata di punti vendita di indubbia validità commerciale” . Il c.t.u. rileva: “è significativa questa affermazione ai fini dell’applicazione dei principi contabili in quanto sposta l’attenzione dalla “durevolezza delle perdite” – la società è sempre stata in perdita – alla consistenza di asset patrimoniali intangibili il cui valore è legato non ad avviamenti commerciali ma a possibili buone uscite dai punti vendita utilizzati, quindi valori realizzabili sono in ipotesi di cessazione dell’attività e rilascio del negozio ad altro imprenditore commerciale disposto a pagare una buonuscita per subentrare nel punto vendita.”.
Nella Relazione sulla gestione bilancio 2008 il consiglio riferisce, con frase pressoché identica a quella riportata nella relazione al bilancio 2007, che la controllata non raggiunge la fase di break even “stante la natura sostanzialmente ancora in start up della società che comunque è dotata di punti vendita di indubbia validità commerciale”
Nella Relazione sulla gestione bilancio 2009 non viene fornita alcuna informazione specifica sull’andamento dell’attività. Viene segnalata la chiusura di due negozi (Udine e Bari) ritenuti non più strategici. Viene fornito dettaglio che riepiloga i corrispettivi per negozio, le superfici commerciali ed i dipendenti di ciascun negozio. Il c.t.u. rileva che “i corrispettivi bassi, il numero di dipendenti (da un minimo di 4 ad un massimo di 6 per negozio) e le ampie metrature confermano indirettamente il fatto che dai bilanci di Aero S. (pag. 115 della relazione ex art. 33 l.f. di Sasch) emerga un risultato operativo lordo (corrispettivi dedotti i costi per acquisti merci e per lavoro) costantemente negativo.”.
Nella nota integrativa del bilancio chiuso al 31 dicembre 2006 si legge che è attesa la messa a regime per il 2007. Tale previsione non si realizza e nelle nota al bilancio del 2007 si legge che: “la diminuzione patrimoniale non configura una perdita durevole di valore in virtù della validità commerciale dei punti vendita, stante la localizzazione particolarmente strategica”
Un’indicazione pressoché identica si ritrova anche nelle note integrative ai bilanci del 2008 e del 2009.
Con riferimento al modo in cui da un anno all’altro venissero richiamati i criteri di valutazione delle partecipazioni l’informatore B. ha spiegato che: “per il criterio di valutazione delle partecipazioni nelle società controllate e non io chiedevo a M. P. quali criteri usare e lui diceva di utilizzare quelli dell’anno precedente. Lo stesso vale anche per i crediti e per tutti i criteri di valutazione, che in generale rimanevano sempre gli stessi.”
Con riferimento allo specifico caso di Aero S. il c.t.u. ha rilevato di non aver elementi sufficienti per poter verificare la congruità delle svalutazioni operate dal Curatore con riferimento alle rimanenze ed alle cessioni di negozi infragruppo, sebbene alcuni informatori abbiano manifestato alcune perplessità (v. dichiarazioni di Claudia M.). In assenza di elementi specifici si ritiene condivisibile la scelta del c.t.u.
Quanto alla valutazione della partecipazione e dei crediti (commerciali e per finanziamenti) nei confronti delle società partecipate, si rileva, che Aero S. era già operativa in Italia (dove il marchio Sasch era già conosciuto) al momento dell’acquisto della partecipazione. La fase di start up di un negozio con un marchio noto ed una formula commerciale già testata non può essere pertanto ragionevolmente estesa oltre l’anno. Il c.t.u. rileva pertanto che, secondo una valutazione prudenziale già al 31/12/2007 si sarebbe dovuto tenero conto della differenza tra il costo della partecipazione in bilancio e la corrispondente quota di patrimonio netto (100%). Difatti: “Già al 31.12.2007 il patrimonio netto negativo determina l’integrale svalutazione della partecipazione e dei crediti per finanziamenti limitatamente alla eccedenza tra Valore negativo del patrimonio netto e costo della partecipazione posto che in una simile situazione la Aero S. si trovava con il vincolo di indisponibilità dei finanziamenti ricevuti.”.
Nel bilancio chiuso al 31/12/2007 la partecipazione è stata iscritta per € 540.000,00, mentre il patrimonio netto presentava segno negativo, pari a - € 227.349,00. Ne consegue che la svalutazione avrebbe dovuto essere pari ad € 540.000,00.
Nel 2008 la partecipazione è stata iscritta in bilancio per € 1.167.346,00, mentre il patrimonio netto è pari ad € 71.916,00. È evidente che una valutazione conforme al principio di prudenza avrebbe ben suggerito la predisposizione di un fondo di accantonamento rischi pari alla differenza, per un ammontare di € 1.095.430,00. Anche in questo caso, tuttavia, la nota integrativa contiene un laconico riferimento al fatto che la società fosse acquisita in fase di start up.
Per i crediti finanziari residui il c.t.u. ha usato lo stesso criterio già indicato per Mintaim: partendo dalla percentuale corrispondente al rapporto tra attività e passività correnti ha ritenuto, con valutazione condivisibile, indicare nel fondo di accantonamento rischi la quota corrispondente alla percentuale non coperta dal rapporto corrente.
Nel 2007, in presenza di un rapporto corrente del 34,24%, a fronte di un credito per finanziamento di € 772.651,00 deve essere iscritto un fondo pari ad € 508.129,00 (pari cioè alla percentuale del 65,76% - ottenuta da 100 – 34,24 – non coperta dal rapporto corrente).
Similmente per il 2008, a fronte di un rapporto tra attività e passività correnti del 44,77%, su un credito di € 1.622.654,00 viene calcolato un fondo svalutazione pari ad € 896.216,00.
Un’altra società controllata, la Sartoria Sro, è stata costituita nel 2007 per gestire un punto vendita a Praga. Il c.t.u. rileva come i pagamenti siano regolari nel 2008, grazie al supporto di Sasch, la cui partecipazione passa da € 7.538,00 ad € 707.538,00. Per il resto la società è costantemente in perdita. È pertanto da ritenere opportuna l’iscrizione ad un fondo accantonamenti per rischi in ordine alla partecipazione pari ad € 301.676,00 nel 2008 ed € 707.538,00 nel 2009.
La controllata lussemburghese SHS aveva dapprima un capitale sociale di € 32.000,00, di cui il 96,875% (€ 31.000,00) appartenente a Sasch, mentre il 3,125% (€ 1.000,00) di proprietà di Go-fin.
Nella nota integrativa al bilancio redatto al 31/12/2006 risulta che la società è stata costituita per sviluppare attività in campo internazionale, mentre nella nota integrativa al bilancio chiuso al 31/12/2007 si legge che la società è inattiva e che la sua consistenza patrimoniale è rappresentata solo dagli apporti di capitali.
Nel 2008 Sasch effettua nei confronti di SHS una serie di cospicui finanziamenti nell’ambito della controversa operazione relativa all’acquisto dei marchi SASCH ed SHS.
I finanziamenti in favore di SHS sono iscritti da Sasch s.p.a. nell’attivo circolante. Il c.t.u. sul punto rileva che: “Dall’esame dei verbali del C.D.A. di Sasch S.p.A è pacifico che i finanziamenti infruttiferi erogati a SHS Europe SA fossero finalizzati, secondo quanto verbalizzato, all’acquisto di immobilizzazioni immateriali la cui “messa a reddito” avrebbe dovuto generare un flusso di ricavi atto a consentire il rimborso del finanziamento.
Tali finanziamenti pertanto non avrebbero dovuto essere iscritti tra i crediti del circolante ma ad incremento del valore della partecipazione o, al più nei crediti nei confronti della partecipata tra le immobilizzazioni finanziarie.”
Al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo è stato interamente svalutato sia il valore della partecipazione (per € 1.331.000,00) che quello del credito finanziario nei confronti della società controllata (pari ad € 4.950.000,00).
In merito alle svalutazioni il c.t.u., mentre non condivide quelle per € 31.000,00 (pari al valore della partecipazione) eseguite nel 2006 e nel 2007, “concorda, sul fatto che la Partecipazione in SHS Europe SA ed il credito nei confronti della stessa avrebbero dovuto essere oggetto di svalutazione al 31.12.2008 mediante appostazione di fondo rischi di importo pari alla somma del valore di iscrizione in bilancio della partecipazione e del credito finanziario (€ 7.161.000,00 ridotta ad € 6.281.000,00 unicamente per tener conto del rimborso parziale del finanziamento soci che, considerata la dinamica degli accadimenti, non avrebbe potuto ragionevolmente considerarsi prevedibile alla data del 31.12.2008).”
Le svalutazioni del c.t.u. sono condivisibili alla luce delle vicende che connotano l’operazione relativa all’acquisizione del marchio e che saranno più approfonditamente esaminate nel prossimo paragrafo.
L’ultima controllata da prendere in esame è la società cinese Tian Xin Yi Garment co. LTD (TXY), costituita per sfruttare le offerte del mercato cinese.
La partecipazione è stata iscritta nei bilanci d’esercizio per € 4.008.510,00 negli anni 2006 e 2007 ed € 4.757.968,00 negli anni 2008 e 2009.
La partecipazione di Sasch Spa in TXY non è mai stata oggetto di svalutazione fino alla presentazione della proposta di concordato preventivo, dove si ha una svalutazione del 100% sia della partecipazione (€ 4.757.968) che del credito (€ 82.243,00). La minor quota di patrimonio netto riferibile alla partecipazione di Sasch in TXY rispetto al costo di iscrizione in bilancio viene motivata nel 2006 affermando che “La diminuzione patrimoniale non configura una perdita duratura di valore in considerazione della validità delle introduzioni produttive - commerciale e delle potenzialità di sviluppo dell’area”. Nella nota integrativa al bilancio chiuso al 31.12.2007 la motivazione è modificata, affermando che: “Si ritiene che la diminuzione patrimoniale non configuri una perdita durevole di valore anche in relazione agli importanti asset societari come l’immobile in fase di ultimazione in Taicang". Motivazione che rimane pressoché invariata nelle note integrative dei bilanci chiusi al 31/12/2008 e 31/12/2009. In data 25/11/2009 il consiglio d’amministrazione di TXY delibera la vendita dell’immobile.
L’organo amministrativo di TXY era composto da R. C., M. Cappellini, A. V., G. C., Elaine Chen, M. P.. Tale circostanza consente di ritenere ragionevolmente che il medesimo fosse nella condizione di garantire un’adeguata e tempestiva informativa all’organo amministrativo ed al collegio sindacale di Sasch affinché tali organi fossero in grado di procedere con adeguate valutazioni e relativi controlli con riferimento alla società TXY.
In merito alla valutazione della partecipazione nella società cinese è opportuno tenere conto della durevolezza delle perdite (pari ad € 955.679,00 nel 2006; € 533.702,00 nel 2007; € 330.151,00 nel 2008; € 1.346.155,00 nel 2009), nonché dell’assenza di piani industriali finalizzati ad un riequilibro economico della partecipazione. Le valutazioni degli amministratori hanno fatto leva sui plusvalori insiti nelle immobilizzazioni, con particolare riferimento all’immobile posto in Taicang, sin dal 2007. Tuttavia, è condivisibile l’osservazione del c.t.u., in ordine ad una valutazione maggiormente prudenziale che avrebbe ben suggerito la predisposizione di un fondo di accantonamento dei rischi inerenti a tale partecipazione, pari ad € 800.571,00 nel 2008; € 1.665.134,00 nel 2009 ed € 4.757.869,00 nel 2010.
Un’ultima questione da analizzare, prima di passare di individuare il momento in cui si è verificata la situazione di cui all’art. 2447 c.c., è quella relativa alla contabilizzazione delle spese di pubblicità.
Con riferimento a tali spese la Curatela del Fallimento Sasch ha proceduto ad una svalutazione integrale della posta di bilancio, in base al fatto che la società fallita non ha lanciato propri prodotti, ma ha cercato piuttosto di sostenere il proprio marchio già esistente. La capitalizzazione dei costi di pubblicità non è prevista dalle norme comunitarie, né dalle prassi e dalle regolamentazioni contabili internazionali più diffuse. Tali costi sono infatti ritenuti di carattere corrente ed operativo e la loro iscrizione tra le attività patrimoniali è suscettibile di distorcere i risultati d’esercizio. Nel dare attuazione alla IV direttiva comunitaria il legislatore ha indicato tra le immobilizzazioni immateriali di bilancio i “costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità”. Secondo il principio O.I.C. n. 24 è da ritenere che l’inclusione di tali costi tra quelli aventi utilità pluriennale avviene in ragione del fatto che tali costi, pur avendo carattere pubblicitario, sono pur sempre da considerare quali oneri sostenuti in correlazione con altri oneri pluriennali propriamente detti, cioè i costi di impianto e di ampliamento.
Si tratta pertanto dei costi pubblicitari correlati con l’avvio di una nuova attività produttiva o il lancio di un nuovo prodotto. Inoltre, sempre secondo il principio contabile in esame, la contabilizzazione dei costi di pubblicità tra le immobilizzazioni immateriali deve avere carattere di eccezionalità.
Tale soluzione deve essere condivisa, anche in relazione al fatto che la mancata menzione dei costi di pubblicità nella IV direttiva comunitaria, in attuazione della quale è stato emanato il d.lgs. n. 127/1991, non può di per sé essere significativa.
In sostanza la possibilità di menzionare i costi di pubblicità tra le immobilizzazioni materiali non implica di per sé la possibilità di contabilizzare qualsiasi costo pubblicitario nell’attivo patrimoniale, ma deve essere caratterizzata dalla stessa ratio che ispira l’iscrizione all’attivo dei costi di impianto e di ampliamento. Conseguentemente i costi pubblicitari possono essere collegati ad attività di lancio di un nuovo prodotto o di una nuova attività, pena un artificioso differimento di costi o di perdite.
Per verificare la corretta iscrizione delle spese di pubblicità alla luce dei parametri sopra indicati occorre pertanto esaminare le singole voci inerenti ai costi pubblicitari. Non essendo disponibile agli atti la documentazione necessaria non è stato possibile per il c.t.u. effettuare le opportune valutazioni. È pertanto possibile verificare la possibilità di svalutare tali spese al momento del venir meno dei presupposti di continuità aziendale, che secondo la Curatela avviene al 31/12/2007. Sul punto il c.t.u. rileva che: “Se i presupposti (da principi contabili) per l’iscrizione all’attivo delle spese di pubblicità hanno rispettato i principi contabili (verifica che non è stata possibile in questa sede), non convince la collocazione della perdita del capitale sociale alla data del 31.12.2007 fatta dal Curatore, in quanto la stessa si determina anche per effetto della svalutazione delle spese di pubblicità iscritte all’attivo del bilancio al 31.12.2007 ma il presupposto per tale svalutazione è il venir meno del going concern (ovvero la perdita del capitale sociale) circostanza che non ricorre se si esclude la svalutazione delle spese di pubblicità capitalizzate.
In sostanza, i presupposti che possono condurre ad una rettificazione dell’iscrizione delle spese di pubblicità eseguite dalla società fallita nell’attivo patrimoniale sono due.
Il primo è costituito dal mancato rispetto dei principi contabili durante il periodo di continuità aziendale, nel senso che le spese di pubblicità non sono ancorate al lancio di un nuovo prodotto o ad una nuova attività. Non ci sono, tuttavia, allo stato elementi sufficienti per poter procedere ad una svalutazione in tal senso, non essendo stata prodotta la documentazione relativa a tale spese.
Il secondo è collegato al venir meno dei presupposti di continuità aziendale, come avviene in presenza del verificarsi della situazione di cui all’art. 2447 c.c. In tale ipotesi per poter procedere a tale svalutazione è necessario che prima si sia verificata la diminuzione del capitale sociale al di sotto del minimo stabilito dalla legge. Solo dopo si può procedere alla svalutazione delle spese di pubblicità. Il presupposto di cui all’art. 2447 c.c. non può essere ancorato alla svalutazione delle spese di pubblicità, che non sia riconducibile alla rettificazione conseguente all’applicazione dei principi contabili (O.I.C. n. 24). Tanto più che, allo stato, la tesi della Curatela che riconduce l’erosione del capitale sociale al 31 dicembre 2007 è imperniata proprio sulla svalutazione delle spese di pubblicità. Se tale svalutazione è riconducibile alla violazione del principio contabile O.I.C. n. 24 la stessa non è provata, in quanto manca la documentazione relativa alle spese. Se tale svalutazione è riconducibile al venir meno dei criteri di continuità aziendale la stessa non può concorrere a determinare la situazione di cui all’art. 2447 c.c., in quanto presuppone necessariamente il previo verificarsi di quest’ultima.
È invece possibile procedere a tale svalutazione nel momento in cui si realizza la situazione di cui all’art. 2447 c.c., da riferire, alla luce degli elementi disponibili, al 31 dicembre 2008 (“Se si esclude la svalutazione delle spese di pubblicità il capitale sociale al 31.12.2007 secondo le rettifiche apportate dal Curatore, si sarebbe ridotto ad € 1.112.278 (considerando anche la rettifica conseguente al minor utili dovuto alle vendite sui conti merci a disporre) circostanza che implicava il verificarsi delle fattispecie di cui al 2446 e non quelle di cui al 2447… Si tiene conto di tale svalutazione con riferimento al 31.12.2008, data in cui il sottoscritto ritiene possa essere collocato il verificarsi le fattispecie di cui al 2447 c.c.”)
A tal fine il c.t.u. ha confermato la tesi fatta propria dal Giudice nel decreto che in data 9 febbraio 2012 ha disposto il sequestro conservativo, secondo la quale il momento in cui si è avuta la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale è da collocare nell’anno 2008, piuttosto che al 31 dicembre 2007 come indicato dalla Curatela nel ricorso introduttivo.
Tale conclusione è quella attualmente verificabile alla luce delle risultanze istruttorie, in base alle quali alla data del 31 dicembre 2008 il patrimonio netto della Sasch s.p.a. era di segno negativo ed ammontava a - € 8.834.368,00.
Si tratta di una valutazione ancorata a criteri prudenziali e non certamente ad ipotesi non giustificabili alla luce degli elementi agli atti.
A tale fine è bene dare atto del fatto che i crediti commerciali verso i clienti e verso le società partecipate esaminati dal c.t.u. non esauriscono l’ammontare dei crediti. Il c.t.u. ha ribadito che esistono infatti crediti non allocati per € 13.500.000,00, fra i quali, ad esempio, il credito € 1.176.000,00 nei confronti di Wink GMBH trasferito a Klips a seguito della cessione del ramo d’azienda (credito, probabilmente, maturato quanto meno nel 2008) ed i crediti nei confronti delle società russe Benada, OU Corpus e Wilberg, per un ammontare complessivo pari ad € 3.075.665,00 (crediti sorti nel periodo che va dal 2006 al 2009, senza che sia stata rilevata l’esatta collocazione temporale).
Il c.t.u. osserva quindi che: “In questa sede è opportuno tener conto che le voci di credito analizzate al fine di individuare la data a cui collocare la perdita del capitale sociale da parte di Sasch S.p.A non esauriscono, probabilmente, tutti quella che avrebbero dovuto essere oggetto di approfondita analisi .
Qualora dovesse emergere l’esistenza di altri crediti oggetto di svalutazioni specifiche, iscritti in bilancio al 31.12.2008 o anteriormente a tale data, non si esclude che la data a cui viene collocata la perdita del capitale sociale possa essere anticipata rispetto alle risultanze della presente CTU.”
Anche per le cessioni di negozi infragruppo il Curatore ha effettuato, per l’anno 2008, una riduzione del risultato d’esercizio pari all’importo delle plusvalenze da ritenere simulate (€ 995.519,00), mentre per l’anno 2007 tale riduzione è pari ad € 909.592,00. Sulla questione, come già rilevato, il c.t.u. ha rilevato di non avere elementi sufficienti per procedere ad alcuna rettificazione.
Si rileva come l’onere della prova, stante il carattere contrattuale delle azioni di merito, sarebbe spettato ai resistenti, in primis, a coloro che, in qualità di amministratori della Sasch s.p.a. nel periodo 2006-2009, hanno firmato i bilanci oggetto di esame, dovendo ben essere a conoscenza delle circostanze in essi indicati.
Alla luce di quanto esposto, come affermato più volte dal c.t.u., è possibile che il momento in cui si è verificata la situazione di cui all’art. 2447 c.c. possa essere retrodatato rispetto al 31 dicembre 2008, ma non vi sono elementi che possano ragionevolmente suffragare la conclusione che tale momento possa essere spostato all’anno 2009. Al contrario, la mancata possibilità di verificare – allo stato – la corretta contabilizzazione di una consistente parte di attivo patrimoniale, depone semmai nel senso che, una volta effettuata l’istruttoria nella causa di merito, sia altamente probabile anticipare rispetto al 31 dicembre 2008 il momento in cui si è verificata la diminuzione del capitale sociale sotto al minimo stabilito dalla legge. Non è invece possibile ipotizzare, al momento, alcuna posticipazione di tale momento se non in base alla violazione delle norme civilistiche ed ai principi contabili che disciplinano la redazione dei bilanci.
Le indicazioni contenute nei bilanci sono, tuttavia, la risultante della corretta applicazione di norme che, in quanto finalizzate alla tutela di un interesse generale, hanno carattere imperativo.
B) LE CONDOTTE DI MALA GESTIO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SASCH S.P.A.
La Curatela del Fallimento Sasch ha contestato agli amministratori di quest’ultima di aver continuato l’attività d’impresa anche in presenza della situazione di cui all’art. 2447 c.c.
Come visto nel paragrafo precedente tale addebito si rivela fondato, benché sia stata spostata al 31 dicembre 2008 la data in cui il capitale era sceso al di sotto del minimo legale. In realtà, alla data del 31/12/2007 si è verificata la riduzione del capitale sociale in misura superiore al terzo, con la conseguenza che gli amministratori già in tale epoca avrebbero dovuto provvedere agli adempimenti di cui all’art. 2446 c.c., con la convocazione senza indugio dell’assemblea al fine di sottoporle la situazione patrimoniale della società. Mentre in tale ipotesi l’assemblea può aspettare a provvedere, rimandando all’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo la deliberazione circa la riduzione del capitale sociale, nel caso dell’art. 2447 c.c., quando cioè il capitale scende al di sotto del minimo legale, l’alternativa è tra la riduzione e l’aumento dello stesso o la trasformazione della società. In mancanza di una di tali decisioni la società si scioglie ed entra in stato di liquidazione (art. 2484 n. 4 c.c.).
Nel caso in cui il patrimonio netto subisca delle perdite tali da far scendere il capitale al di sotto del minimo legale la società per azioni o reperisce nuove liquidità oppure, ove ciò non sia possibile e in assenza della trasformazione in un diverso tipo societario, si scioglie e viene posta in liquidazione.
È evidente, alla luce di quanto rilevato nel paragrafo precedente, il fumus circa la responsabilità degli amministratori per la violazione, dapprima dell’art. 2246 c.c. (anno 2007), poi dell’art. 2247 c.c., infine dell’art. 2485 c.c. (“Gli amministratori devono senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’articolo 2484. Essi, in caso di ritardo o di od omissione, sono personalmente e solidalmente responsabilità per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi.”).
Nella specie risulta pertanto che, pur in presenza di una causa di scioglimento della società, l’attività sia continuata fino a quando non si è provveduto, tardivamente, a constatare la perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale, nell’assemblea del 29 dicembre 2010.
Con riferimento ai danni patrimoniali conseguenti a tali violazioni viene in rilievo la specifica contestazione fatta dalla curatela relativa alla concessione di finanziamenti alle società collegate estere in perdita. In merito alla situazione finanziaria di tali società si è già riferito nel paragrafo precedente. In tale sede si è dato conto anche della mancanza di riferimenti nelle note integrative dei bilanci della società fallita in ordine alle opportune valutazioni che avrebbero dovuto essere fatte in ordine ai piani industriali ed alle prospettive di crescita delle società controllate e collegate. Si ritiene pertanto sussistere il fumus di una responsabilità degli amministratori della società fallita per aver continuato ad erogare finanziamenti alle società controllate e collegate.
Considerata anche la situazione di difficoltà finanziaria della Sasch s.p.a., a partire dal 2007 (dove si colloca la situazione di cui all’art. 2446 c.c.) per proseguire con il verificarsi della situazione descritta nell’art. 2447 c.c. nel 2008, si ritiene di dover collegare a tale ultimo anno il momento in cui deve essere quantificato il danno conseguente al perdurare dei finanziamenti nei confronti delle società controllate e collegate (estere ed italiane).
Nel complesso i finanziamenti successivi al 31/12/2008 ammontano ad € 3.393.130,00 fino al 31/12/2009 (dei quali € 2.851.786,00 per incremento crediti commerciali ed € 541.344,00 per finanziamenti ed aumenti di capitale) a cui si aggiungono € 397.000,00 (€ 320.000,00 + € 77.000,00) per finanziamenti erogati nel 2010.
È stato chiesto al c.t.u. anche di verificare se le risorse finanziarie usate dalla società fallita per la concessione di finanziamenti alle società controllate provenisse dai finanziamenti bancari. Il c.t.u. ha risposto che per l’anno 2009: “L’impiego di maggior importanza (€ 10.824.398 pari al 56,82% del totale degli impieghi) è rappresentato dall’incremento dei crediti (comprensivi dei crediti verso clienti e dei crediti verso società controllate, collegare ed altre partecipate).
La principale fonte di finanziamento (€ 10.608.416 pari al 55,69% delle fonti) è rappresentata dall’incremento dei debiti verso banche; a seguire la seconda fonte di finanziamento è rappresentata dagli “Altri debiti” (€ 3.119.910 pari al 16,38% del totale delle fonti).
Nel 2009 gli impieghi in partecipazioni finanziarie ammontano ad € 351.816 e rappresentano l’1,85% degli impieghi.”
È evidente pertanto, come a seguito della perdita del capitale sociale, la società fallita abbia continuato la propria attività per tutto l’anno 2009, in gran parte grazie all’indebitamento nei confronti delle banche (per un ammontare pari ad € 10.608.416,00), in una situazione in cui tale indebitamento non avrebbe potuto essere più ripianato, stante la compromissione del suo patrimonio.
Occorre precisare che, laddove nella causa di merito venisse provato che la situazione di cui all’art. 2447 c.c. si fosse verificata in un periodo anteriore al 31/12/2008, dovrebbero essere considerati anche i finanziamenti concessi alle società controllate e collegate anteriormente a tale momento.
È stato posto al c.t.u. un quesito specifico circa l’aggravamento del passivo fallimentare conseguente alla continuazione dell’attività imprenditoriale, in presenza di una causa di scioglimento della società.
Sul punto il c.t.u. è partito da una premessa pienamente condivisibile: non tutto l’incremento del passivo fallimentare rispetto a quello risultante dal bilancio alla data del verificarsi dei presupposti dell’art. 2447 c.c. (attualmente al 31/12/2008) è riconducibile alla continuazione dell’attività, pur in presenza dei presupposti che ne avrebbero richiesto la liquidazione. La gestione di un’azienda non può infatti essere interrotta ottenendo con effetto immediato la cessazione di ogni spesa, come ad esempio i rapporti di lavoro, la chiusura dei contratti pluriennali, la disdetta dei canoni di locazione, le utenze e gli interessi passivi.
Il c.t.u. ha poi calcolato l’incremento del passivo concordatario rispetto a quello risultante al 31/12/2007 (pari ad € 21.725.854,00) e a quello risultante al 31/12/2008, pari ad € 17.567.890,00. Tuttavia, rispetto al passivo fallimentare effettivamente esistente alla data del 9 luglio 2012, che è pari ad € 76.440.104,49 (comprese le domande tardive presentate e non esaminate e con la precisazione che sono ancora pendenti i termini per la proposizione di domande tardive, dato che la sentenza dichiarativa del fallimento è del 24 ottobre 2011) risulta un minor incremento di € 3.772.224,49 all’anno 2007 e una differenza di segno positivo € 385.739,51 rispetto al bilancio del 2008 (dove risulta un passivo pari ad € 76.825.844,00). L’incremento del passivo fallimentare è pertanto riferibile solamente al passivo concordatario. Pur considerando che quest’ultimo è riconducibile ad ammissioni fatte dagli stessi resistenti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo, si rileva come tale differenza non possa essere presa a criterio di commisurazione del danno, dal momento che alla luce delle domanda di insinuazione al passivo fallimentare presentate alla data del 9 luglio 2012 non è possibile qualificare come danno attuale e provato, quanto meno in punto di fumus, quello pari alla differenza tra il passivo di bilancio al 31/12/2008 e quello fallimentare (ancora non definitivo, data la pendenza dei termini per le insinuazioni tardive).
Nondimeno, non è accettabile la tesi dei c.t.p. di parte resistente che vorrebbe individuare il danno conseguente alle condotte di mala gestio degli amministratori solamente in quello riconducibile nell’incremento del passivo. Tale tesi contrasta infatti con le norme in materia di responsabilità patrimoniale, espressione di veri e propri principi di ordine pubblico.
Secondo l’art. 2740 c.c.: “il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.”. È evidente che nell’ipotesi delle società di capitali, dove si realizza un’autonomia patrimoniale perfetta, è il patrimonio della società a costituire la garanzia di tali obbligazioni. Ne consegue che gli amministratori che, in violazione dei doveri legali e statutari, cagionino un danno all’integrità del patrimonio sociale, determinando la perdita di importanti componenti dell’attivo patrimoniale, devono ben risponderne. Una diversa soluzione ermeneutica, in base alla quale gli amministratori rispondono solo dell’incremento del passivo, ma non della disgregazione dell’attivo patrimoniale dovuta a vere e proprie condotte di mala gestio, comporrebbe la definitiva traslazione dei danni sui soggetti danneggiati, cioè sui creditori della società, che proprio per la cattiva gestione degli amministratori non possono più soddisfarsi sul patrimonio della stessa, il quale costituisce la loro garanzia ai sensi dell’art. 2740 c.c. Inoltre, la soluzione prospettata dai resistenti contrasta con il dettato di cui all’art. 2394 c.c., in base al quale: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.”
Del resto il tenore letterale del ricorso introduttivo del presente procedimento cautelare è chiaro: la Curatela non ha contestato ai resistenti solamente il fatto di aver continuato l’attività d’impresa in una situazione di compromissione dell’integrità del patrimonio sociale, ma ha contestato agli amministratori in maniera specifica singole condotte di mala gestio, che si sono rivelate depauperative del patrimonio della società fallita, come l’acquisto del marchio, la vendita dell’immobile della società controllata cinese, l’invio di merce verso il cliente russo, in assenza di pagamenti, il finanziamento di società in perdita.
Alla luce di tali contestazioni il criterio di commisurazione dei danni derivanti dalle condotte di mala gestio degli amministratori non può non tener conto dell’istruttoria espletata a seguito del decreto del 9 febbraio 2012, con particolare riferimento alla c.t.u. dalla quale è risultata chiara la possibilità di procedere alla quantificazione dei danni conseguenti alle singole condotte contestate dalla Curatela agli amministratori della società fallita. Le soluzioni individuate dal c.t.u. devono poi essere coniugate con le indicazioni che emergono dalla recente giurisprudenza di legittimità.
Il criterio di commisurazione dei danni secondo il metodo dei c.d. netti patrimoniali, adottato da parte della giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 19 gennaio 2011; Trib. Torino, 6 maggio 2005) – ed usato nel decreto del 9 febbraio 2012 - individua infatti il danno risarcibile nella differenza tra il passivo in essere al momento del fallimento e quello in essere nel momento in cui la società avrebbe dovuto cessare la propria attività. Si tratta di un criterio di natura equitativa, al pari di quello che determina l’ammontare del danno risarcibile nella differenza tra attivo e passivo fallimentare. In ordine a tale ultimo criterio, ritenuto utilizzabile nell’ipotesi in cui la mancanza delle scritture contabili impedisca la ricostruzione della situazione patrimoniale della società, è intervenuta, tuttavia, una recentissima pronuncia del giudice di legittimità, che si ritiene possa essere utile anche nel caso in esame.
Il giudice di legittimità ha infatti precisato che: “Qualora il curatore fallimentare di una società di capitali eserciti l'azione di responsabilità verso l'ex amministratore imputato di "mala gestio" (nella specie, per violazione del divieto di nuove operazioni dopo la perdita del capitale sociale), il mancato rinvenimento della contabilità d'impresa non determina in modo automatico che l'ex amministratore risponda della differenza tra l'attivo e il passivo accertati in sede fallimentare, potendo il giudice di merito applicare il criterio differenziale soltanto in funzione equitativa, attraverso l'indicazione delle ragioni che non hanno permesso di accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta e che rendono plausibile ascrivere al convenuto l'intero sbilancio patrimoniale.” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11155 del 04/07/2012).
Nella massima appena richiamata il giudice di legittimità, seppure con riferimento ad un criterio diverso da quello dei c.d. netti patrimoniali, ammette il ricorso al criterio equitativo purché il giudice motivi in ordine alle ragioni che hanno impedito di “accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta”.
Si ritiene che tale soluzione debba essere applicata anche in relazione al criterio dei c.d. netti patrimoniali, che costituisce pur sempre un criterio equitativo di liquidazione del danno, come tale applicabile, ex art. 1226 c.c. “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare.”.
In considerazione sia del principio ricavabile dalla pronuncia di legittimità citata, sia del fatto che la c.t.u. espletata nel presente procedimento cautelare ha dimostrato che è ben possibile ricostruire le specifiche conseguenze dannose delle condotte contestate agli amministratori ed ai sindaci della Sasch s.p.a., si ritiene che il corretto metodo di quantificazione del danno sia quello di ricostruire gli effetti pregiudizievoli conseguenti a ciascuna delle condotte di mala gestio accertate nei confronti dei resistenti.
La c.t.u. ha infatti consentito di verificare gran parte dei pregiudizi conseguenti alle condotte contestate dalla Curatela, mentre in altri casi non è stato possibile fare un’esatta quantificazione, perché mancava la documentazione necessaria. Si ritiene pertanto che l’uso del c.d. criterio dei netti patrimoniali (secondo il quale il dr. B. ha quantificato il danno in € 65.092.479,00) in un’ipotesi in cui sia possibile ricostruire gli effetti pregiudizievoli delle condotte imperite degli amministratori costituisca non già un mezzo di liquidazione del danno in funzione equitativa, volto a sopperire all’impossibilità di determinare l’esatto ammontare del danno, ma uno strumento che determina, di fatto, una semplificazione eccessiva degli oneri probatori facenti capo alla Curatela fallimentare.
Si deve pertanto procedere alla ricostruzione degli effetti pregiudizievoli di ciascuna delle condotte di mala gestio contestate agli amministratori, costituite non solo dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in presenza di una causa di scioglimento della società, ma anche dall’acquisto dei marchi SASCH e SHS, dalla vendita dell’immobile cinese TXY, dalla cessione di merci ai clienti russi pur in assenza di pagamenti e della concessione di apposite garanzie, oltre che dalla concessione di finanziamenti alle società controllate e collegate in perdita. Mentre quest’ultima attività dell’organo amministrativo è già stata esaminata come conseguenza della violazione dell’art. 2447 c.c., occorre esaminare più a fondo le altre contestazioni della curatela.
È già stato fatto un cenno alla controversa operazione di acquisto dei marchi SASCH ed SHS nel paragrafo precedente con riferimento alla valutazione della partecipazione in SHS e del credito per il finanziamento conseguente a tale operazione.
La controllata lussemburghese SHS aveva originariamente un capitale sociale di € 32.000,00, di cui il 96,875% (€ 31.000,00) apparteneva a Sasch, mentre il 3,125% (€ 1.000,00) a Go-fin. Tale società risulta essere stata costituita per sviluppare attività in campo internazionale (come risulta dalla nota integrativa al bilancio redatto al 31/12/2006). Alla data del 31/12/2007 la società è inattiva e la sua consistenza patrimoniale è rappresentata solo dagli apporti di capitale effettuati dai soci.
In data 23 luglio 2007 si svolge l’assemblea ordinaria della Sasch avente per oggetto le controversie relative ai marchi SASCH ed SHS. A tale assemblea prendono parte R. C., in qualità di azionista della Sasch (1%) e in rappresentanza di Go-fin s.p.a. (società controllante di Sasch in quanto detentrice del 95% del capitale sociale), G. G., in qualità di azionista Sasch s.p.a. (1%) ed in rappresentanza di Gommatex s.p.a. (che detiene l’1% del capitale di Sasch) e G. G., azionista (1%). È poi presente il c.d.a. al completo, nelle persone di A. R., R. C., G. G., G. C., Claudia C., E. R., G. L. e B. T.. È altresì presente il Collegio sindacale al completo nelle persone di A. V., L. P., F. V..
Nel verbale di tale assemblea si legge che R. C. ha relazionato in merito ai rapporti con le società Ma. B.V. (detentrice del marchio SHS per tutti i paesi) e Tambern Limited (detentrice del marchio SASCH solo in alcuni paesi). Il relatore ha parlato dei contatti avuti con tali società, dando lettura della corrispondenza ed ha dichiarato che la proposta d’acquisto per € 6.800.000,00 è stata respinta. Il sig. C. ha dichiarato poi di aver consultato uno studio legale, il quale aveva riferito che Sasch sarebbe stata soccombente in un eventuale causa sia per il mancato pagamento della prima tranche delle royalties in merito al marchio SHS, sia per aver registrato il marchio SASCH in alcuni paesi di competenza della Tambern Limited. Lo stesso ufficio legale avrebbe indicato, inoltre, che anche il ricorso ad un arbitrato internazionale avrebbe visto condannare la Sasch al pagamento di importi elevatissimi. A questo punto R. C. ha proposto all’assemblea di procedere all’acquisto dei marchi SASCH ed SHS per un importo non superiore ad € 8.000.000,00, anche attraverso la controllata SHS EUROPE S.A.
L’assemblea, all’unanimità e con il parere favorevole del collegio sindacale, ha dato mandato al Consigliere delegato R. C. al fine di acquistare i marchi Sasch ed SHS per un importo non superiore ad € 8.000.000,00 e comunque non superiore al valore di perizia redatta da un professionista indipendente. Inoltre “preso atto della convenienza dei trattati internazionali vigenti che esprimono le holding lussemburghesi, anche in relazione agli sviluppi internazionali futuri” è stato dato mandato, sempre a R. C., di valutare e, in caso affermativo di perfezionare tale operazione anche attraverso la controllata SHS EUROPE S.A. Luxembourg, dotando tale società dei mezzi necessari tramite l’aumento del capitale sociale e/o finanziamenti dei soci, infruttiferi, atti a finalizzare tale iniziativa.
In data 18 settembre 2008 si è svolta una riunione del c.d.a. di Sasch s.p.a., alla presenza del collegio sindacale, relativa ai finanziamenti effettuati alla controllata SHS Europe S.A., alla ratifica dei versamenti ed alla valutazione delle ulteriori necessità finanziarie.
Il consigliere delegato R. C. ha esposto le motivazioni che hanno consentito il perfezionamento dell’operazione di acquisto dei marchi al prezzo di € 7.000.000,00. La controllata lussemburghese è stata quindi dotata dei seguenti mezzi:
- in data 20/2/2008 di € 1.200.000,00, quale finanziamento infruttifero con obbligo di restituzione;
- in data 23/5/2008 di € 1.300.000,00, quale versamento in conto di futuro aumento di capitale;
- in data 10/7/2008 di € 1.800.000,00, quale finanziamento infruttifero con obbligo di restituzione;
- in data 15/8/2008 di € 1.000.000,00, quale finanziamento infruttifero con obbligo di restituzione;
- in data 12/9/2008 di € 1.000.000,00, quale finanziamento infruttifero con obbligo di restituzione.
I versamenti effettuati ammontavano ad un totale di € 6.300.000,00, mentre il versamento del saldo, pari ad € 700.000,00 sarebbe dovuto avvenire entro il 31 ottobre 2008.
Il Consigliere R. C. ha proposto quindi di dotare la controllata SHS Europe dei mezzi finanziari necessari per il saldo, nonché per le spese di gestione. Ha quindi proposto di deliberare i seguenti finanziamenti infruttiferi con obbligo di restituzione: € 730.000,00 entro il 31 ottobre 2008 ed € 100.000,00 entro il 30 novembre 2008.
Il c.d.a., a questo punto ha deliberato, con il parere favorevole del collegio sindacale, di prendere atto e di ratificare i versamenti effettuati per il perfezionamento dell’acquisto dei marchi SASCH ed SHS, per un importo complessivo di € 6.300.000,00, nonché di effettuare ulteriori finanziamenti per un ammontare complessivo di € 830.000,00.
L’operazione presenta plurimi profili di criticità che si vanno ad indicare.
In primo luogo dal verbale dell’assemblea dei soci Sasch del 23 luglio 2007 risulta che sia stato dato atto della presenza di un contenzioso potenziale con Tambern e Ma., in modo alquanto generico: non sono stati indicati i termini esatti del contenzioso, né quale fosse lo studio legale che aveva fornito il parere circa un’onerosa soccombenza di Sasch in una futura azione giudiziale.
Non è stato inoltre prodotto agli atti alcun documento che riguardi i rapporti tra Tambern e Ma. con la Sasch s.p.a., tale da dimostrare l’esistenza di un effettivo contenzioso in atto.
Sul punto si rileva una scarsa avvedutezza degli amministratori di Sasch e del collegio sindacale, che non risultano chiedere informazioni più precise.
Non è poi chiaro quale fosse la “convenienza dei trattati internazionali vigenti che esprimono le holding lussemburghesi, anche in relazione agli sviluppi internazionali futuri”. Sappiamo solamente, dalla nota integrativa al bilancio di Sasch del 2006, che la SHS Europe è stata creata per sviluppare attività in campo internazionale. Anche a voler ritenere che la società lussemburghese potesse avere degli sviluppi futuri, risulta ben strano che gli stessi non fossero stati chiariti agli amministratori. Al contrario, dal verbale dell’assemblea del 23 luglio 2007 risulta un accenno solo ad una controversia in fieri di Sasch con Tambern e Ma..
Inoltre, è stato proposto di acquistare i marchi dalle società Tambern e Ma., mentre poi l’acquisto è stato fatto da Astrom Farm. Non risultano poi documenti che pongano fine il contenzioso tra Sasch e Tambern e Ma., che avrebbe determinato la necessità di procedere all’acquisto dei marchi. Non è dato infatti capire non solo come tale acquisto, che avrebbe dovuto essere per evitare un contenzioso con Tambern e Ma. sia stato fatto con una società diversa da queste ultime due (Astrom Farm), ma altresì come sia possibile che manchi la benché minima documentazione che giustifichi il modo in cui sono stati definiti i rapporti tra Sasch e Tambern e Ma. in ordine ad un contenzioso che ha dato vita ad un’operazione così onerosa per la società fallita.
Il c.t.u. ha, inoltre, rilevato che, mentre Tambern Limited (società con sede a Dublino, che nel 1998 ha acquistato il marchio SASCH dalla Seymoore Venture Capital LLC, cui era stato ceduto nello stesso anno da Sasch) e Ma. (con sede a Lugano) risultano effettivamente proprietarie rispettivamente dei marchi SASCH ed SHS (che sono anche registrati a loro nome), nessuna registrazione risulta essere stata mai fatta in favore di Astrom Farm.
L’acquisto del marchio risulta essere stato fatto invece, in data 2 gennaio 2008 (doc. 37 parte ricorrente), dalla società lussemburghese SHS EUROPE S.A. nei confronti della società svizzera ASTROM FARM (con sede a Lugano), rappresentata in tale occasione da Diego Colombo. Quest’ultimo non era, a sua volta, un nome sconosciuto alla Sasch s.p.a., dato che Bacigalupo, in data 19.1.2012 (pag. 96 della relazione art. 33 l.f.) riferisce che: “Diego Colombo è, per quanto mi risulta, capo di una fiduciaria che si chiama Gruppo Colombo con sede a Lugano e svolgeva per Allusion e alla fine anche per Poet attività di fiduciaria e amministrazione di queste due società”. Da questa dichiarazione, come rilevato dal c.t.u., sembra possibile dedurre che il referente (fiduciario) di Sasch per la gestione di Poet ed Allusion era anche il legale rappresentante di Astron Farm, controparte di SHS Europe SA per l’acquisto dei marchi che avrebbe dovuto definire la potenziale causa minacciata da Tambern Limited e Ma..
Inoltre, dal contratto del 2 gennaio 2008 la firma per Astrom Farm non è quella di Diego Colombo, ma il nome che è dato leggere è Fr.
I c.t.p. di parte, in sede di osservazioni alla c.t.u. hanno prodotto un contratto di acquisto dei marchi tra Astrom Farm da un lato con Ma. e Tambern Limited dall’altro, datato 31 dicembre 2007.
Il Giudice ritiene in primo luogo di dover ammettere tale produzione, dal momento che siamo nell’ambito di un procedimento cautelare, instaurato prima della causa di merito, con la conseguenza che non sono ancora decorsi i termini preclusivi di cui all’art. 183, VI comma, n. 2) c.p.c. Inoltre, si rileva come in base all’art. 669 terdecies c.p.c., in sede di reclamo: “Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti.”.
È pertanto illogico e contrastante con un principio di economia processuale non ammettere la produzione di un documento che la parte può sempre produrre nella successiva fase di reclamo, anche in considerazione della deformalizzazione che caratterizza tale tipo di procedimento.
In ordine a tale contratto con il quale la parte resistente intende provare che Astrom Farm era titolare dei marchi SASCH ed SHS al momento in cui li ha venduti ad SHS EUROPE, si rilevano delle peculiarità con particolare riferimento alle date.
In primo luogo ASTROM FARM avrebbe acquistato i marchi da Tambern e Ma. tre giorni prima (31 dicembre 2007) di cederli ad SHS EUROPE (2 gennaio 2008). Sul punto non sono state fornite, né sono rilevabili dagli atti spiegazioni sufficienti a giustificare l’intervento della società svizzera Astrom Farm, che sarebbe stata proprietaria dei marchi per soli tre giorni. Tanto più che nel verbale del 23 luglio 2007 R. C. parla di una corrispondenza di Sasch con Tambern Limited e con Ma. (che non è stata prodotta nel presente procedimento), senza fare alcun riferimento ad Astrom Farm, neppure come possibile intermediaria dell’operazione. Neppure durante il c.d.a. di Sasch s.p.a. del 19 settembre 2008 viene fatto alcun riferimento ad Astrom Farm. Anche in tale occasione emerge come gli amministratori di Sasch s.p.a. abbiano tenuto – in un’operazione che ha comportato l’impiego di ingenti risorse – un comportamento non adeguatamente prudente, dal momento che non risultano aver verificato, come avrebbero ben dovuto, il modus procedendi dell’amministratore delegato nella gestione del mandato assembleare.
Procedendo in ordine al contratto del 31 dicembre 2007, prodotto dai convenuti, il c.t.u., in sede di risposta alle osservazioni dei c.t.p. ha rilevato: “la firma per conto di Marichis è stata apposta con dicitura “Signed April 23 (o 28?) 2010”. Sorge spontanea la domanda come possa essere stata validamente perfezionata la cessione da Astron Farm ad SHS Europe SA con il contratto stipulato in data 02.01.2008, allorché il precedente contratto non poteva, a tale data, risultare sottoscritto da almeno una delle parti cedenti (ferme comunque le riserve sulla validità della firma da parte del Sig. Fr. – apposta su entrambi i contratti – già esposte nella CTU e su cui i CTP nulla eccepiscono).”
Le osservazioni del c.t.u. sono pienamente condivisibili. In sostanza dalla copia del contratto prodotta agli atti risulta che Ma. non avrebbe firmato il contratto in data 2 gennaio 2008, ma bensì due anni dopo nel 2010.
Non è pertanto stato provato dalle parti resistenti (come sarebbe spettato loro) il ruolo svolto dalla Astrom Farm nella vicenda e perché una così ingente quantità di denaro di provenienza dalla Sasch s.p.a. sia stata versata nelle sue casse tramite SHS EUROPE.
Tanto più che quest’ultima non risulta aver effettuato le volture dei marchi in suo favore.
Difatti, il c.t.u. ha rilevato che il marchio internazionale SHS n. 702218 del 10.09.2008 di titolarità della Ma. BV, avente scadenza 10/09/2008 è stato rinnovato con pubblicazione in data 23/10/2008 dalla Ma. medesima (all. A alla c.t.u.) e che il marchio comunitario SHS n. 000951582 del 08/10/1998 di titolarità della Tambern Limited, avente scadenza 06/10/2008, è stato rinnovato con pubblicazione del 10/11/2008, con nuova scadenza prevista 06.10.2018 (allegato B, c.t.u.).
In sostanza le società già proprietarie dei marchi, Tambern Limited e Ma., ne risultano tuttora titolari, secondo le risultanze dei registri, mentre nessuna trascrizione è stata fatta in favore di SHS EUROPE, che pure aveva acquistato i marchi per la somma di € 7.000.000,00.
Sul punto non è plausibile la spiegazione data dai c.t.p. dei resistenti, in base alla quale la trascrizione non ha effetti costitutivi, ma meramente dichiarativi. L’azione cautelare proposta non riguarda una disputa tra due imprese che hanno acquistato un marchio da un medesimo dante causa, ma bensì la responsabilità degli amministratori per aver determinato la perdita di ingenti risorse economiche di una società per effetto di un’operazione, qualificabile quanto meno come atto di mala gestio. D’altra parte il marchio è uno strumento di cui si avvale l’imprenditore nell’esercizio di un’attività imprenditoriale svolta nell’ambito di un mercato concorrenziale ed è pertanto necessario procedere alla tempestiva trascrizione del suo acquisto, per evitare che tale formalità sia espletata da un’impresa concorrente.
Del resto Sasch s.p.a. ha sempre incentrato una parte importante della propria strategia imprenditoriale sul proprio marchio ed i fatti sopra riportati non trovano alcuna giustificazione possibile alla luce dei criteri di sana, prudente e corretta gestione imprenditoriale.
È pertanto privo di spiegazione il fatto che non sia stata effettuata alcuna voltura dei marchi acquistati in favore di SHS EUROPE, né prima ancora di Astrom Farm. Sul punto è pertanto condivisibile quanto osservato dal c.t.u.: “appare quanto meno strano che, in data 02.01.2008, SHS Europe SA (tenuto conto anche della propria ragione sociale) procede all’acquisto dei marchi SASCH, SHS, SHS WITH WING e ACROSS THE WORLD, versando ad Astron Farm la somma complessiva di € 7.000.000,00, per poi non procedere alla trascrizione/registrazione del proprio titolo di proprietà, permettendo alle società Ma. BV e Tambern Limited, in data successiva al contratto del 02.01.2008, di rinnovare le registrazioni del marchio internazionale (da parte di Ma. BV) e comunitario (da parte di Tambern Limited) SHS.”
In sostanza, un’operazione che ha comportato l’impiego di rilevanti risorse economiche della Sasch s.p.a. è stata eseguita per acquistare un marchio, che attualmente risulta registrato a favore delle società che ne erano precedentemente titolari e non della SHS Europe.
Alla luce di quanto esposto, a fronte delle allegazioni della Curatela e in ragione del carattere contrattuale dell’azione intrapresa nei confronti degli amministratori e dell’onere della prova gravante su di loro, si rileva, come in punto di fumus boni iuris, i resistenti non abbiano dato la prova circa l’effettiva esistenza di un’operazione che ha comportato l’esborso di € 6.300.000,00.
Non è compito del presente Giudice verificare le ragioni sottostanti al passaggio di denaro da Sasch ad SHS Europe, fino ad Astrom Farm, essendo sufficiente ai fini del presente procedimento rilevare come la mancata produzione della documentazione relativa al contenzioso con Tambern e Ma., la presenza non giustificata della Astrom Farm in tale vicenda e la mancata voltura dei marchi in favore di SHS Europe portano a non considerare come effettivamente esistente l’operazione di acquisto del marchio, che allo stato ha prodotto per la Sasch s.p.a. un rilevante danno all’integrità del patrimonio sociale del quale gli amministratori devono rispondere.
Sono pertanto da ritenere responsabili per il danno scaturente da tale operazione, che il c.t.u. ha quantificato in € 6.281.000,00, tutti gli amministratori di Sasch. In particolare R. C., deve essere ritenuto responsabile, in quanto da amministratore delegato ha proposto all’assemblea dei soci l’acquisto dei marchi Sasch ed ha curato l’esecuzione di tale operazione. Gli altri amministratori di Sasch s.p.a., già presenti all’assemblea dei soci del 23 luglio 2007, sono da ritenere responsabili per aver agito in violazione dell’obbligo di informazione di cui all’art. 2381, VI comma, c.c., senza chiedere adeguate informazioni, per aver agito senza la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico (che nella specie riguardava la gestione di una società di rilevanti dimensioni economiche), per aver ratificato un’operazione che ha cagionato un notevole pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale della società fallita, anche nei confronti dei creditori.
Un ulteriore episodio di cattiva gestione societaria contestato dalla Curatela del Fallimento Sasch è costituito dalla vendita dell’immobile di proprietà della società cinese TXY alla società Taicang Kundi Venture Co LTD, per la somma pari ad € 5.500.000,00, senza alcuna garanzia di pagamento. La TXY non ha infatti ancora riscosso il credito, come risulta dal resoconto contenuto nella relazione ex art. 33 l. fall.
Nella domanda di concordato preventivo gli amministratori della società fallita prospettano una imprecisata azione per ottenere la restituzione dell’immobile venduto con la conseguente possibilità di lucrare la plusvalenza derivante dal maggior valore attuale del bene. A parere della Curatela le affermazioni contenute nella domanda di concordato preventivo costituiscono una confessione non solo circa il fatto che il bene è stato venduto ad un prezzo inferiore al suo valore, ma anche in ordine al fatto che tale prezzo non è stato nemmeno riscosso. Ciò comporta una grave imprudenza degli amministratori, indipendentemente dal comportamento dell’amministratore di M. Cappellini.
Come già accennato nel precedente paragrafo la TIAN XIN YI GARMENT CO. LTD (TXY) è una società costituita da Sasch prima del 2006, con lo scopo di avvalersi delle opportunità offerte dal mercato cinese. La sua attività, di fatto, è stata prevalentemente rivolta alla produzione di capi d’abbigliamento per la distribuzione commerciale.
Il c.d.a. della società era composto da R. C., M. Cappellini, A. V., G. C., Elaine Chen e da M. P.. Erano pertanto presenti delle figure strategiche all’interno di Sasch (C. e P.) e, addirittura, il presidente del collegio sindacale di Sasch s.p.a. (nonché di Go-fin) A. V. (l’appartenenza al c.d.a. della controllata avrebbe dovuto determinare, ai sensi dell’art. 2399 c.c., la decadenza dalla carica di sindaco).
Il c.d.a. di Sasch, in data 17/11/2009, conferisce la delega per la vendita dell’immobile all’amministratore delegato G. C. ed a M. Cappellini, con la seguente motivazione: “Quanto sopra al fine di capitalizzare l’investimento effettuato anche in considerazione della mancanza di alternativa in merito, stante la possibilità di diffida di esproprio da parte delle autorità della provincia di Taicang in considerazione delle modifiche effettuate al piano regolatore dell’area in questione”. Tale motivazione, tuttavia, differisce rispetto a quanto risulta nella relazione sulla gestione al consolidato, dove si legge: “La società – ndr TXY – nel corso del 2009 evidenzia un calo delle vendite da Euro 12,4 mln ad Euro 8,5 mln ed un risultato d’esercizio con una perdita di € 1,4 mln (…). E’ stato quindi deciso la vendita dell’immobile in Taicang ad ente governativo locale. Tale vendita prevede il mantenimento dell’attività per due anni in locazione nell’immobile oggetto della vendita. Tale operazione permetterà l’ottenimento di risorse finanziarie utilizzabili per gestire l’attuale fase critica della società.”).
Come osservato dal c.t.u., non è possibile capire come potesse esserci una società disposta ad acquistare un immobile sotto esproprio per 52 mln di Rmb. È pertanto da condividere il giudizio relativo all’imprudenza con cui è stata condotta l’intera operazione che ha privato, al momento, la società sia della proprietà (per il tramite della controllata TXY) dell’immobile di Taicang che delle risorse finanziarie al cui reperimento era finalizzata l’operazione (stando a quanto emerge nella relazione al consolidato Go Fin S.p.A.).
Anche in tale ipotesi dalla lettura del verbale del c.d.a. del 17 novembre 2009 emerge come l’amministratore delegato fornisca delle informazioni generiche: “da un primo incontro avvenuto con le autorità della provincia di Taicang viene comunicata la volontà di esproprio del terreno su cui è stato costruito lo stabilimento essendo tutta l’area di riferimento trasformata in abitativa e commerciale.”
Non emergono richieste di chiarimenti da parte degli altri amministratori sul perché, ad esempio, per trasformare un’area in abitativa e commerciale si provveda ad espropriare un terreno, sul quale si trova uno stabilimento, la cui costruzione è terminata nel 2008 (v. Relazione sulla gestione del bilancio al 31/12/2007, datata 27 marzo 2008, dove si dà atto che la costruzione di tale immobile sta terminando). Neppure è chiaro, come possa esserci un terzo interessato ad acquistare per una somma equivalente ad € 5.500.000,00 un immobile che insiste su un terreno che l’autorità amministrativa ha intenzione di espropriare. Anche qui l’amministratore delegato comunica che: “Dopo varie trattative tra la sig.ra Elaine Chen ed il sig. M. Cappellini con le autorità di Taicang viene concordata la eventuale cessione dell’immobile di proprietà della TXY Italian Garment Co. Ltd alla società Taicang Kundi Venture Co. ltd, 77 south Xingye Rd. – Taicang – al prezzo di Rmb 52 mln e la possibilità di rimanere in affitto per due anni con un canone concordato non superiore ad euro 200.000,00 l’anno, importo ritenuto più che congruo, in considerazione dell’ampiezza dell’immobile di oltre mq. 22.000. Il pagamento della cessione è stato concordato con le seguenti modalità: Rmb 10mln entro 3 gg lavorativi dalla sottoscrizione del presente accordo ed il saldo pari a Rmb 42 mln entro 5 gg. lavorativi dal passaggio dei certificati di proprietà del diritto sul terreno dell’immobile.”
È evidente, come dalle condizioni di vendita indicate dall’amministratore delegato non risulti l’indicazione di alcuna garanzia. Al contrario, il pagamento del prezzo inizia dopo la sottoscrizione dell’accordo. Inoltre, pur trattandosi di un’operazione economica così importante in un paese straniero, non viene effettuata alcuna richiesta di assistenza legale.
Anche in tale caso, gli amministratori, come per l’operazione relativa al marchio, assistono e deliberano favorevolmente operazioni per milioni di euro, pur in presenza di seri profili di criticità, che avrebbero suggerito condotte maggiormente diligenti. Tale inerzia non può che essere fonte di responsabilità nei confronti di tutti gli amministratori, a prescindere dalle responsabilità del Cappellini, che non possono comunque giustificare davanti ai creditori della Sasch s.p.a. il comportamento imprudente dei suoi amministratori.
Con riferimento alla quantificazione del danno, si concorda con la valutazione eseguita dal c.t.u., secondo la quale: “Il danno, al momento, può essere quantificato nella perdita di valore della partecipata, tenuto conto della consistenza del relativo patrimonio netto in caso di realizzo dell’immobile al prezzo equivalente a 5,5 milioni di € e pertanto in € 4.757.869,00.”
Anche le vicende relative al mancato pagamento dei crediti del cliente russo sono state già esaminate nel precedente paragrafo.
Si rimanda a quanto già esposto in ordine alla cronologia dei rapporti tra la Sasch ed il cliente russo, rilevando come le questioni esaminate in ordine alla valutazione di tali crediti in sede di bilancio abbia già evidenziato un comportamento particolarmente imprudente da parte degli amministratori.
Ci si limita pertanto a richiamare in tale sede l’ammontare dell’esposizione complessiva di Sasch s.p.a. nei confronti del cliente russo, pari ad oltre € 26.000.000,00, importo che rappresenta il 60,87% dei crediti nei confronti dei clienti alla data del 31 dicembre 2009. Il rapporto con il cliente russo deve essere qualificato quanto meno, se non altro, come un’operazione di grave imprudenza, sia in considerazione della situazione finanziaria della società, sia in relazione alla congiuntura economica. Si è già dato atto delle dichiarazioni dell’informatore C. in relazione al diverso comportamento tenuto dalla società fallita nei confronti delle società russe nel periodo successivo al 2006 (quando la merce veniva spedita senza essere pagata) rispetto a quanto invece accaduto dopo la crisi del 1997 (concedendo sì rateizzazioni nei pagamenti, ma con il pagamento di acconti da parte dei clienti). Si richiamano poi le osservazioni fatte in merito all’assenza di garanzie ed alla scarsa oculatezza degli amministratori nell’intrattenere dei rapporti con un partner straniero, in assenza delle opportune conoscenze giuridiche.
È pertanto da condividere quanto osservato dal c.t.u.: “gli amministratori (di comprovata esperienza commerciale) avrebbero dovuto sapere che il mancato pagamento entro l’esaurimento del normale ciclo commerciale di vendita al dettaglio delle collezioni d’abbigliamento espone il fornitore al rischio di mancato incasso dei crediti in quanto tale politica commerciale consente al distributore di ordinare merce anche in esubero rispetto alla capacità di assorbimento del mercato e di destinare il ricavato della vendita a finalità diverse dal pagamento del fornitore della merce che ha generato i ricavi. Se il distributore non ha vincoli di pagamento è facilmente portato ad ordini più consistenti che, probabilmente, possono aumentare le vendite lasciando il rischio di credito sul fornitore. Inoltre “rinunciare” all’incasso del credito per le vendite della stagione significa affidare in realizzo di detti crediti ai proventi delle successive stagioni traslando di stagione in stagione il rischio di credito e facendo proprio il rischio imprenditoriale del distributore.”.
La cattiva gestione dei rapporti con il cliente russo ha determinato un danno pari all’ammontare dei crediti non pagati, per una somma complessiva di € 26.704.354,00. Da tale somma devono essere detratti € 3.075.665,00, pari alla somma dei crediti verso Benada, OU Corpus e Wilberg LLP, per i quali non è stato possibile ricostruire l’esatta collocazione temporale. Il danno deve pertanto essere quantificato nella somma di € 23.628.689,00.
Con riferimento al conto merci a disporre si richiama quanto già osservato nel paragrafo precedente, dove è stata spiegata la genesi e la modalità di funzionamento di tale conto. Occorre dare atto del fatto che, allo stato, non è stato possibile per il c.t.u. fare alcuna quantificazione dei danni, nonostante dalle dichiarazioni degli informatori sia ricavabile il fumus di una condotta perpetrata in violazione dei doveri di corretta amministrazione, che potrebbe aver determinato un artificioso incremento del risultato economico degli esercizi nei quali è stata tenuta.
Alla luce di quanto esposto deve ritenersi sussistente il fumus della responsabilità di tutti i componenti del consiglio di amministrazione di Sasch s.p.a. per le condotte di mala gestio loro contestate dalla Curatela.
Non si ritiene poi condivisibile la tesi di alcuni resistenti circa la distinzione tra la posizione degli amministratori delegati e quella degli amministratori privi di deleghe.
In primo luogo l’art. 2392 c.c. stabilisce che: “Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.” Il riferimento alla natura dell’incarico, riferito alla gestione di un ente esercente attività imprenditoriale, comporta che la diligenza abbia il carattere della professionalità, con accentuazione della responsabilità rispetto a quella configurabile rispetto alla diligenza dell’uomo medio. Nella specie l’incarico gestionale riguardava una società appartenente ad un gruppo imprenditoriale di vaste dimensioni, tale da richiedere ai componenti l’organo amministrativo una diligenza commisurata all’elevata professionalità necessaria per la gestione di un’attività imprenditoriale di così vasta portata.
In secondo luogo, l’art. 2392 c.c. non fa distinzioni, nella disciplina della responsabilità degli amministratori, tra delegati e non delegati, imponendo a tutti di agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (“Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprio del comitato esecutivo o di funzioni attribuite in concreto ad uno o più amministratori.”).
L’art. 2392 c.c. stabilisce inoltre un obbligo di intervento in caso di conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società (“In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.”).
Inoltre, l’art. 2392 comma III c.c. prevede che: “La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso ne libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.”. Tale norma prevede quindi una specifica causa di esenzione della responsabilità da parte dell’amministratore, senza operare distinzioni in base al ruolo ricoperto (esecutivo o non esecutivo), imponendo un’attivazione tale non solo da esteriorizzare il dissenso rispetto alle scelte fatte dagli altri amministratori, ma da portare tale dissenso anche a conoscenza dell’organo sindacale.
In terzo luogo la definizione dei rapporti tra amministratore delegato e gli altri componenti del c.d.a. è definita dagli art. 2381, II e III comma, c.c.
È il c.d.a., se lo statuto lo prevede o l’assemblea lo consente, a delegare le proprie attribuzioni ad un amministratore delegato (“se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare le proprie attribuzioni … ad uno o più dei suoi componenti.”).
La scelta di nominare un amministratore delegato è una facoltà rimessa alla discrezionalità del consiglio d’amministrazione. Quest’ultimo provvede poi non solo a determinare il contenuto, le modalità ed i limiti dell’esercizio della delega, ma mantiene sempre un potere di direttiva e, addirittura, di avocazione delle operazioni rientranti nella delega (“Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.”).
In sostanza, i componenti del consiglio d’amministrazione decidono se delegare o meno i compiti inerenti alla gestione della società, provvedendo, tuttavia a determinare i contenuti ed i limiti di tale delega e mantenendo il potere di impartire direttive e di avocare operazioni rientranti nella delega. Inoltre, il c.d.a. valuta sulle base delle informazioni ricevute l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e sulla base della relazione degli organi delegati il generale andamento della società.
Tuttavia, l’atteggiamento degli amministratori non delegati a fronte delle informazioni fornite dagli amministratori delegati non è meramente passivo. L’art. 2381, III comma, c.c. deve necessariamente essere coordinato con il disposto dell’art. 2381, VI comma, c.c. che sancisce l’obbligo degli amministratori di agire informati. (“Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato: ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.”).
La necessità che l’amministratore non delegato possa disporre delle informazioni, che può chiedere anche agli organi delegati, è finalizzata non solo alla valutazione dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile ed al generale andamento della società, ma altresì a poter esprimere formalmente il proprio dissenso in modo da andare esente da colpa.
Anche a volere richiamare con riferimento all’obbligo di agire informati i principi in materia di obbligazioni che prevedono come limite all’imputabilità dell’inadempimento l’inesigibilità della prestazione che ne è oggetto, si rileva come tale ipotesi si possa verificare non in presenza di una mera difficultas praestandi (e quindi in una mera difficoltà di accedere all’informazione), ma solo in presenza di un’impossibilità totale di adempiere al proprio obbligo informativo. Tale impossibilità richiede non solo il compimento di operazioni rischiose o imprudenti da parte dell’amministratore delegato, ma anche una condotta di quest’ultimo volta ad aggirare o ad impedire che l’amministratore non delegato ne venga a conoscenza. In altre parole, non è sufficiente che l’amministratore delegato non comunichi il compimento di una determinata operazione affinché gli altri amministratori siano esenti da responsabilità, ma è necessario che il primo ponga in essere condotte tali da impedire che i secondi possano venirne comunque a conoscenza.
Nella specie, tuttavia, gli amministratori non sono stati tenuti all’oscuro del compimento delle operazioni, ma non hanno adeguatamente esercitato gli obblighi informativi che avrebbero consentito loro di rilevare prima del loro compimento (anche mediante l’espressione del proprio dissenso ai sensi dell’art. 2392, II comma, c.c.) i caratteri di imprudenza, che di fatto hanno condotto alla dispersione di un’ingente quantità delle risorse patrimoniali della società fallita.
Gli amministratori della Sasch s.p.a. erano infatti presenti all’assemblea del 23 luglio 2007 durante la quale è stato dato mandato all’amministratore delegato di procedere all’acquisto dei marchi tramite la società lussemburghese SHS Europe. Gli stessi amministratori, nel c.d.a. del 19 settembre 2008, hanno ratificato l’operato dell’amministratore delegato, deliberando anche in ordine ad ulteriori finanziamenti nei confronti della società lussemburghese.
Gli amministratori non delegati hanno poi conferito, in data 17/11/2009, il mandato all’amministratore delegato della società fallita di procedere alla vendita dell’immobile di proprietà della TXY, anche in tale caso senza chiedere le dovute informazioni (ad esempio perché una terza società potesse spendere l’equivalente di € 5.500.000,00 per un immobile soggetto ad una procedura d’esproprio o perché tale vendita avvenisse in assenza delle opportune garanzie).
Anche con riferimento all’esposizione debitoria verso la Russia si rileva come gli amministratori, anche non delegati, non abbiano verificato né chiesto adeguate informazioni sulla presenza di un’esposizione così elevata nei confronti del cliente russo.
Del resto gli impiegati (come risulta dalle dichiarazioni di Laura F. e Laura Cesaretti) ed i collaboratori (anche di grado particolarmente elevato, come P. C.) della Sasch si erano posti degli interrogativi sul mancato pagamento delle merci da parte dei clienti russi. Non è pertanto giustificabile come mai gli amministratori non abbiano fatto le opportune verifiche o non abbiano chiesto informazioni sul perché venisse spedita in Russia una quantità così ingente di merce, senza che la stessa fosse pagata.
Con riferimento ai finanziamenti concessi alle società controllate in perdita anche dopo che si era verificata per la Sasch s.p.a. la situazione di erosione del capitale sociale descritta dall’art. 2447 c.c. si rileva, in primo luogo, come la constatazione di tale situazione fosse un preciso dovere di tutti gli amministratori. Non è infatti delegabile l’adempimento di cui all’art. 2423 c.c. relativo alla redazione del bilancio (art. 2381, IV comma, c.c.). Gli stessi avrebbero pertanto ben dovuto accertare la corretta redazione dei bilanci (che hanno firmato) per verificare l’esatta situazione patrimoniale della società.
Una diversa soluzione ermeneutica delle norme che definiscono i doveri e la responsabilità degli amministratori, distinguendo tra le responsabilità degli amministratori in base al conferimento o meno di una delega da parte del consiglio d’amministrazione, finirebbe per avallare delle pratiche nelle quali il metodo collegiale all’interno dell’organo amministrativo sia puramente di facciata, giustificando delle prassi nelle quali i componenti dell’organo collegiale si limitano ad avallare acriticamente l’operato dell’amministratore delegato nel quale sono, di fatto, concentrati tutti i poteri decisionali.
Dato atto della responsabilità di tutti i componenti dell’organo amministrativo in ordine alle condotte di mala gestio contestate dalla curatela occorre pervenire alla quantificazione dei danni in ordine ai quali ciascuno degli amministratori è responsabile, rispondendo in via solidale con gli altri per i singoli eventi di danno che ha contribuito a cagionare.
A. R., E. R., G. G., Claudia C., G. G. e G. L. hanno fatto parte del c.d.a. di Sasch s.p.a. fino alla sua messa in liquidazione.
Alla luce delle considerazioni già fatte deve ritenersi sussistere nei loro confronti il fumus circa la loro responsabilità sia per il danno conseguente all’operazione relativa all’acquisto del marchio (€ 6.281.000,00), sia per il danno conseguente al mancato pagamento dei crediti del cliente russo, al quale veniva mandata la merce, in assenza di opportune garanzie (€ 23.628.689,00), sia per il danno conseguente all’erogazione di finanziamenti alle società controllate e collegate, dopo il 31/12/2008 (pari ad € 3.393.130,00 fino al 31/12/2009 e ad € 397.000,00 per finanziamenti erogati nel 2010, per un totale di € 3.790.130,00). Infine, per i motivi già indicati devono essere ritenuti responsabili anche per i danni conseguenti all’operazione di vendita dell’immobile cinese (pari ad € 4.757.869,00).
La somma di tali voci di danno è complessivamente pari ad € 38.457.688,00.
Deve pertanto essere confermato il sequestro conservativo nei confronti di A. R., E. R., G. G., Claudia C., G. G. e G. L. per la minor somma di € 38.457.688,00, alla quale deve aggiungersi quella relativa al danno conseguente all’operazione di affitto d’azienda alla Via M. s.r.l., che sarà esaminata nel paragrafo dedicato alla fase del concordato preventivo.
R. C. è stato amministratore delegato di Sasch s.p.a. fino al giorno 31 maggio 2009.
Deve considerarsi senza dubbio uno dei protagonisti principali dell’operazione relativa all’acquisto dei marchi SASCH ed SHS. Nel verbale del 23 luglio 2007 è infatti lui a spiegare ai soci le motivazioni di tale acquisto e ad ottenere la delega per procedere a tale operazione. Deve essere pertanto chiamato a rispondere di tale operazione imprudente per l’intero ammontare, pari ad € 6.281.000,00.
Anche con riferimento all’esposizione nei confronti dei clienti russi deve rispondere l’intera esposizione nei confronti di questi ultimi. Egli ha infatti gestito in prima persona i rapporti commerciali con il partner russo, recandosi personalmente più volte a Mosca, come risulta dalle dichiarazioni dell’informatore C.. Deve pertanto ritenersi che egli ha concorso ha cagionare l’intero danno costituito dal mancato pagamento dei crediti nei confronti del cliente russo, pressoché interamente svalutati al momento della presentazione del concordato preventivo.
La scelta di continuare a mandare merce in Russi, pur in assenza di pagamenti, deve essere infatti considerata il frutto di una strategia imprenditoriale riconducibile a lui in prima persona. È pertanto provato il fumus della sua responsabilità per il danno di € 23.628.689,00.
Con riferimento all’operazione di vendita dell’immobile della società cinese si rileva come lo stesso R. C., abbia mantenuto la posizione di amministratore della TXY, anche dopo la cessazione della carica di amministratore della Sasch s.p.a., come risulta dall’autorizzazione alla vendita (all. 38 parte ricorrente), sottoscritta dallo stesso C., in data 25/11/2009. Sussiste pertanto il fumus della sua responsabilità in ordine al compimento di tale operazione realizzata, in assenza delle opportune garanzie circa il pagamento del prezzo, con un danno quantificato in € 4.757.869,00.
In totale il sequestro conservativo deve pertanto essere confermato nei suoi confronti per la minor somma di € 34.667.558,00.
B. T. ha fatto parte del c.d.a. di Sasch s.p.a. fino al 30 aprile 2009.
È stato provato il fumus della sua responsabilità in ordine all’operazione di acquisto del marchio (essendo stato presente all’assemblea ordinaria del 23 luglio 2007 ed al c.d.a. del 19 settembre 2008). È pur vero che sembrerebbe dalle dichiarazioni degli informatori che la sua presenza in seno al c.d.a. di Sasch s.p.a. potesse essere formale. Ciò non può determinare, per i motivi già rilevati, l’esenzione di responsabilità in ordine alle operazioni alle quali risulta aver preso parte. Un’appartenenza meramente formale all’organo amministrativo di una società non può infatti costituire una forma di esonero della responsabilità. L’accettazione dell’incarico di amministratore della Sasch s.p.a. ha comportato infatti l’assunzione di precisi doveri stabiliti dalle norme già richiamate di cui agli artt. 2392 e 2381 c.c.
Sussiste pertanto il fumus della sua responsabilità in ordine al danno cagionato al patrimonio sociale della Sasch in seguito all’operazione di acquisto del marchio. Deve essere pertanto confermato il sequestro conservativo nei suoi confronti per la minor somma di € 6.281.000,00.
M. P., sebbene non amministratore della Sasch, deve essere ritenuto responsabile per l’episodio relativo alla vendita dell’immobile di TXY. Sul punto la Curatela ha infatti eseguito una specifica allegazione (anche in punto di quantificazione del danno). In particolare, M. P. risultava nel c.d.a. della società cinese e risulta aver firmato in veste di director l’autorizzazione al trasferimento dell’immobile (doc. 38 parte ricorrente). È pertanto provato il fumus della sua responsabilità, per aver concorso con gli amministratori di Sasch al compimento dell’operazione di vendita dell’immobile cinese, in assenza delle garanzie sufficienti. Deve pertanto essere confermato nei suoi confronti il sequestro conservativo per la somma di € 4.757.869,00.
M. P. aveva un ruolo operativo importante all’interno di Sasch, trovandosi inserito all’interno di tutti i meccanismi nevralgici di gestione dell’azienda.
In tale veste sussiste il fumus della sua responsabilità in ordine a fatti di grave responsabilità (come il c.d. conto merci a disporre).
Sul punto l’informatore R. ha dichiarato che: “le movimentazioni sul conto a disporre secondo le modalità che ho descritto, mi venivano indicate da M. P., che era il mio referente in ufficio.”
Anche con riferimento alle stime contabili di bilancio in ordine al valore delle società partecipate (in perdita) il B. ha dichiarato che, a fronte delle sue perplessità ad iscrivere tali partecipazioni al costo di acquisto, nonostante il perdurare delle perdite il P. gli ha sempre ordinato di richiamarsi alle note integrative degli anni precedenti (sul punto si rimanda al paragrafo relativo ai bilanci della Sasch).
Tuttavia, si rileva come le dichiarazioni degli informatori abbiano supportato l’an dell’uso distorto del c.d. conto merci a disporre, ma che con riferimento alla quantificazione del danno conseguente all’uso di tale pratica, non si è pervenuti ad un’esatta quantificazione. Sul punto il c.t.u. ha osservato che: “Dal verbale della Guardia di Finanza allegato alla relazione ex art. 33 l.f. del fallimento Via Veneto 09 S.r.l. è possibile avere una indicazione di massima dei volumi di tali operazioni (qualora quanto rilevato dalla GdF trovasse conferma definitiva nei fatti); si veda in proposito la tabella riportata a pag. 11. Se tali circostanze fossero provate, si ritiene che gli atti indicati siano contrari ai principi di corretta amministrazione sia sotto il profilo civile che fiscale e conseguentemente le sanzioni tributarie conseguenti e l’aggravio del passivo per debiti bancari rimasti insoluti su anticipazioni di fatture per merci a disporre oltre ai relativi interessi costituirebbero ulteriori danni nei confronti della società e dei creditori sociali. Non è possibile una quantificazione in questa sede di tali danni.”
Pur essendo configurabile il fumus della responsabilità del P. per aver concorso con gli amministratori della Sasch s.p.a. a condotte contrarie ai principi di corretta amministrazione sia sotto il profilo civile che fiscale, con particolare riferimento all’uso del conto “merci a disporre”, non può essere, tuttavia, quantificata alcuna forma di risarcimento del danno a tale titolo. Ciò vale anche per gli altri amministratori di Sasch s.p.a.
C) LA FASE DEL CONCORDATO PREVENTIVO
La Curatela nel ricorso introduttivo del presente procedimento ha contestato sia la condotta tenuta dagli amministratori della Sasch s.p.a. nell’operazione di affitto dell’azienda alla new-co. Via M. s.r.l. sia la condotta tenuta dai liquidatori della Sasch s.p.a. durante la fase del concordato preventivo.
Occorre partire dalla sequenza cronologica dei fatti accaduti nel periodo di diciotto mesi che va dal maggio 2010 all’ottobre 2011, quando è stato dichiarato il fallimento della Sasch s.p.a.
Nel consiglio di Sasch S.p.A. del 27 maggio 2010, a seguito dell’informativa resa dal Sig. G. C. e dal dr. T., il Presidente del Collegio sindacale sollecita l’organo amministrativo, “in considerazione dello stato finanziario e patrimoniale della società”, circa l’opportunità di ricorrere ad un piano di risanamento ex art. 67 l. fall.
Dal verbale del c.d.a. di Sasch s.p.a. del 7 settembre 2010 risulta che il Consigliere delegato informa che KPMG “sta completando l’elaborazione del piano di ristrutturazione ex art. 182 bis l.f. che sarà verosimilmente disponibile entro la fine del corrente mese di settembre”
In data 22 ottobre 2010 si tiene la riunione del c.d.a. di Sasch s.p.a. per l’approvazione del piano per la richiesta di concordato preventivo.
In data 15/12/2010 il c.d.a. di Sasch s.p.a. delibera, in esecuzione di quanto autorizzato dall’assemblea dei soci, la concessione in affitto dell’azienda alla società Via M. S.r.l. L’obiettivo dichiarato del contratto di affitto d’azienda è “la conservazione dell’avviamento aziendale, del marchio e nell’interesse dei creditori sociali”.
Via M. Srl è una società costituita in data 26 novembre 2010 con capitale sociale di € 20.000,00 ripartito tra i soci come segue:
- C. G. € 8.000,00
- M. F. € 8.000,00
- G. G. € 2.000,00
- G. G. € 2.000,00
Il consiglio d’amministrazione è stato composto, fino al 23/5/2011, da G. C., Michele T., F. M.e Rossana C..
In data 21 dicembre 2010 la Sasch s.p.a. ha concesso in affitto la propria azienda alla Via M. s.r.l., che poteva altresì prelevare merci dal magazzino della Sasch in base ad un contratto estimatorio. Anche le altre società del gruppo che svolgevano attività distributiva (Go-Real Estate s.r.l. in liquidazione, Viale Libia s.r.l. in liquidazione, Sator s.r.l. unipersonale in liquidazione, Gerard s.r.l. unipersonale in liquidazione, Fin-Com s.r.l. in liquidazione, Corsitalia 2010 s.r.l. in liquidazione, Aero Studio s.r.l. unipersonale in liquidazione) hanno concesso in affitto a Via M. s.r.l. i propri rami aziendali, con la contestuale stipulazione di contratti estimatori.
Il 24 dicembre 2010 Sasch s.p.a. ha depositato il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, al quale è stata ammessa dal Tribunale di Prato, con decreto del 25/2/2011 (secondo Cass. n. 21860/2010, il Tribunale in sede di ammissione alla procedura non è tenuto ad accertare la fattibilità del piano, neppure attraverso un controllo della regolarità e completezza dei dati aziendali esposti o attraverso la verifica dell’iter logico con il quale il professionista attentatore giunge ad affermare la fattibilità del piano).
In data 29 dicembre 2010 l’assemblea dei soci ha preso atto della riduzione del capitale sociale sotto il minimo legale e la società è stata posta in liquidazione e sono stati nominati liquidatori, G. C. e G. G..
Il 10 maggio 2011 è stata costituita la società Sasch International Holding (SIH) con soci il dr. T. (1%) e la Consultrust, a sua volta partecipata per il 70% da IMTI (Istituto Medio Termine Investimenti) e per il 30% da G. C..
Il 19 maggio 2011 i soci di Via M. Srl (G. C., F. M., G. G. e G. G.) hanno ceduto le proprie quote di partecipazione al capitale sociale di Via M. Srl alla SHI Srl.
I Commissari giudiziali, sono venuti a conoscenza di questi due ultimi episodi solo nel settembre del 2011. A questo punto hanno chiesto la revoca del provvedimento di ammissione alla procedura ex art. 173 l. fall., motivando tale richiesta sulla base di atti in frode e di illegittime omissioni perpetrate dai liquidatori in carica.
In particolare, la Curatela ha contestato agli amministratori della Sasch s.p.a.:
1. di aver deliberato l’operazione di affitto dell’azienda in conflitto di interessi ex art. 2391 c.c.: i consiglierei di amministrazione di Sasch s.p.a. G. C., A. R. (zio di G. C.), G. G., E. R. (madre di G. C.) G. L. (moglie di G. G.) si trovavano in conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2391 c.c., senza che tale conflitto fosse esplicitato;
2. di aver affittato l’azienda ad un soggetto inaffidabile (non era stato versato per intero neppure il capitale minimo di € 20.000,00);
3. di non aver effettuato alcuna verifica circa la solidità della società affittuaria;
4. di non aver richiesto alcuna garanzia di adempimento alla società affittuaria;
5. di aver presentato il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con un piano infattibile ed aver conseguentemente ritardato la dichiarazione di fallimento. L’attivo concordatario si fondava infatti per € 16.700.000,00 sull’offerta d’acquisto dell’azienda e del marchio Sasch da parte di Via M. s.r.l., che aveva condizionato la proposta non solo all’omologazione del concordato preventivo, ma soprattutto al reperimento delle risorse messe a disposizione di un imprecisato partner.
La Curatela ha poi contestato ai liquidatori della Sasch s.p.a. la mancata comunicazione delle seguenti circostanze rilevanti:
1. il cambio di proprietà nel capitale di via M. s.r.l. e la perdita conseguente di controllo da parte delle famiglie C. e G.;
2. la costituzione di una nuova società Sasch Holding International s.r.l. che usava illecitamente il nome Sasch in violazione dell’art. 2569 c.c. e dell’art. 22 Cod. Propr. Industriale;
3. la presenza di contrasti tra la società in concordato e Via M.;
4. l’ammontare di un debito consistente da parte di Via M., con il conseguente danno per la massa dei creditori di Sasch;
5. il peggioramento della situazione economica di Via M. e Sasch International Holding;
6. l’insuccesso del piano di concordato preventivo.
La Curatela contesta ai liquidatori di aver determinato la formazione di un credito inesigibile pari ad € 629.572,09 nei confronti di Via M. s.r.l. e di aver aggravato il passivo fallimentare.
Nell’operazione dell’affitto di azienda a Via M. e nelle successive vicende che hanno portato dapprima alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, poi alla perdita del controllo su Via M. s.r.l. da parte delle famiglie C. e G., fino alla dichiarazione di fallimento della Sasch s.p.a., avvenuta in data 24 ottobre 2011, occorre tenere ben distinte le condotte tenute dagli amministratori e dai liquidatori di Sasch e le connesse responsabilità per i danni.
Via M. S.r.l rappresenta il c.d. “veicolo” che nella proposta di concordato preventivo di Sasch S.p.A (e delle altre società distributive del gruppo) avrebbe dovuto gestire l’azienda ed il marchio al fine di conservarne il relativo valore, tutelando altresì i posti di lavoro ed i creditori sociali.
La fattibilità della proposta di concordato (nella quale veniva attribuito all’azienda ed al marchio Sasch un valore complessivo di € 16.700.000), si fondava sulla possibilità per Via M. S.r.l. di esercitare il diritto d’acquisto dell’azienda di Sasch e del relativo marchio (nonché delle aziende delle altre società distributive del gruppo), che, intanto, aveva avuto in affitto.
Il contratto di affitto d’azienda prevedeva che l’affittuaria, entro 15 giorni dalla data dell’adunanza dei creditori, individuasse un partner finanziario in grado di fornire la provvista di denaro necessaria per esercitare il diritto d’acquisto dell’azienda stessa.
Come osservato dal c.t.u., la proposta di Concordato preventivo era quindi priva di certezze in merito alla effettiva possibilità di individuazione di un partner in grado di sostenere finanziariamente l’operazione di acquisto delle aziende e del marchio. Non c’era quindi alcuna garanzia in merito alla effettiva possibilità di realizzo del valore delle aziende locate. Inoltre, non erano previsti né prevedibili i tempi di esecuzione della proposta non essendo noti i termini di pagamento entro i quali sarebbe potuta avvenire la cessione d’azienda. L’unica certezza era la possibilità del venir meno delle condizioni concordatarie a quindici giorni dalla data dell’udienza dei creditori ex art. 174 l. fall., circostanza che, qualora si fosse verificata, avrebbe determinato il venir meno dei presupposti per la fattibilità del concordato e la conseguente e probabilmente non evitabile, dichiarazione di fallimento.
Inoltre, il c.t.u. rileva che: “Le famiglie C./G. con la proposta di concordato così formulata e la costituzione del “veicolo “ Via Monte Verdi S.r.l. assumono un ruolo, si passi il termine, di “Garanti” che la liquidazione di Sasch S.p.A (e delle altre società distributive del Gruppo) attraverso la procedura di concordato preventivo avvenisse in modo trasparente. E’ altrettanto pacifico, si ritiene, che Via M. S.r.l. con l’affitto delle aziende commerciali assumesse il ruolo di gestore ponte con il dovere, riconosciuto dagli amministratori di Sasch S.p.A., di conservare il valore delle aziende e tutelare le ragioni dei creditori e che, unica “garanzia” fosse la possibilità che le aziende ben amministrate nella fase “ponte” tornassero nella disponibilità del concordato qualora non si fosse avverata la condizione prevista per far scattare il diritto di acquisto delle medesime da parte di Via M. S.r.l.”
In sostanza il concordato preventivo è stato collegato alla proposta di acquisto dell’azienda e del marchio della società fallita, da cui ricavare la somma di circa € 16.700.000,00. La fattibilità di tale piano si incentrava essenzialmente su due punti: una nuova struttura societaria che gestisca il passaggio e la conservazione dell’azienda (Via M. s.r.l., la cui compagine sociale era incentrata sui membri della famiglia C. e G.) ed il reperimento di un partner finanziario, che immettesse le liquidità necessarie a consentire l’acquisto dell’azienda da parte della società neo-costituita.
Tale operazione presenta tuttavia un duplice elemento di debolezza.
Il primo è costituito dal fatto che gli amministratori di Sasch hanno messo nella disponibilità di una società neo-costituita il complesso aziendale, cioè l’unico elemento rimasto dell’attivo patrimoniale a garanzia dei creditori (tutte le altre poste dell’attivo, come già rilevato più volte, sono state pressoché interamente svalutate al momento della presentazione del concordato preventivo), senza alcuna garanzia.
Il secondo è costituito dalla estrema debolezza del piano concordatario, caratterizzato dalla totale incertezza circa l’individuazione di un nuovo soggetto che potesse affiancare le famiglie C. e G. nell’esperienza imprenditoriale della Sasch.
Tuttavia, la situazione, di per sé estremamente fragile, ha assunto connotati di irreversibilità con la perdita del controllo di Via M. s.r.l., da parte delle famiglie C. e G..
In data 10 maggio 2011 è stata costituita la società Sasch International Holding (SIH) con soci il dr. T. (1%) e la Consultrust (a sua volta partecipata per il 70% da IMTI (Istituto Medio Termine Investimenti) e per il 30% da G. C..
Nella memoria Integrativa alla Istanza di Fallimento in Proprio” (all. 16 parte ricorrente) si legge: “La logica che ha ispirato la partecipazione alla quota di minoranza della società da parte di G. C., liquidatore delle società del gruppo SASCH in concordato preventivo, è stata quella di mantenere un controllo sulle vicende e sulle decisioni che la governance di maggioranza della SIH Srl avrebbe indotto sulla M. Srl e quindi sulla gestione e sul futuro delle aziende Sasch da questa gestite in linea con l’accordo del 28 aprile 2011 che impegnava il socio di maggioranza ad immettere le risorse finanziarie necessarie al rilancio del gruppo ….”.
La costituzione della SIH s.r.l. non è stata comunicata ai commissari, così come la successiva perdita di controllo di Via M. s.r.l., avvenuta in data 19 maggio 2011, quando i soci di Via M. Srl (G. C., F. M., G. G. e G. G.) hanno ceduto le proprie quote di partecipazione al capitale sociale di Via M. Srl alla SHI Srl.
Gli effetti della perdita del controllo di Via M. sono stati immediati: il 23 maggio 2011 l’assemblea di Via M. delibera la nomina del dr. A. Compagna, quale amministratore unico (con conferimento di procura al dr. Michele T.), con sostituzione del precedente amministratore.
Anche in tale caso la perdita del controllo di Via M. da parte del nucleo societario storico di Sasch è avvenuta in favore di un soggetto, I.M.T.I, che non forniva alcuna garanzia in ordine al conferimento dei mezzi finanziari necessari per consentire l’acquisto delle aziende del gruppo, in modo che si avverasse la condizione prevista nel concordato.
L’operazione di affitto dell’azienda Sasch e delle aziende riferibili alle altre società distributive ha comportato un danno conseguente sia ai crediti maturati da Sasch nei confronti di Via M. (pari ad € 728.082,62 secondo il calcolo del c.t.u.) che al minor valore del marchio (pari ad € 468.922,00 secondo quanto calcolato dal c.t.u.).
Tuttavia, si rileva come tale danno è eziologicamente riconducibile in primo luogo all’operato degli amministratori della società fallita ed ai soci ed amministratori di Via M. s.r.l.
I soci della Sasch s.p.a. hanno deliberato l’operazione di affitto dell’azienda in data 15 dicembre 2010, in esecuzione di quanto stabilito dall’assemblea dei soci. In esecuzione del deliberato del c.d.a. è stato poi A. R., in rappresentanza della società fallita a stipulare, in data 21/12/2010, il contratto d’affitto d’azienda con Via M. s.r.l.
Similmente anche la domanda di concordato preventivo è stata presentata dagli amministratori della Sasch s.p.a. (e non dai liquidatori) in data 24 dicembre 2010.
Solo successivamente, in data 29/12/2010 è stato preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo stabilito e la società è stata messa in liquidazione con la nomina dei due liquidatori, G. C. e G. G..
Dalle osservazioni, pienamente condivisibili del c.t.u., si rileva un’imprudenza prima da parte degli amministratori della Sasch per aver affittato il complesso aziendale (ciò che, di fatto, restava dell’attivo patrimoniale di Sasch s.p.a.) in mano ad una società neo-costituita che non ha dato alcuna garanzia di adempimento delle proprie obbligazioni.
A seguito della presentazione di un concordato preventivo di dubbia fattibilità è stata commessa un’ultima leggerezza, da parte dei soci di Via M. s.r.l., che di fatto hanno ceduto il controllo ad un soggetto estraneo (I.M.T.I.). Di fatto, è proseguita l’agonia della società fino alla dichiarazione di fallimento.
La condotta dei liquidatori contestata da parte della curatela è consistita nel non aver reso edotto tempestivamente quest’ultima circa il cambiamento della compagine societaria di Via M., nonché dei dissidi che si erano creati con quest’ultima.
Indubbiamente, è da rilevare una scorrettezza nel comportamento dei liquidatori di Sasch s.p.a., che ben avrebbero dovuto informare i Commissari giudiziali.
A tal fine si rileva che, in base all’art. 173 l. fall.: “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, o esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori.”
Il concetto di atto in frode, costituisce una formula di chiusura all’elencazione contenuta nella parte iniziale della norma. Per quanto possa essere generale il suo significato, il sintagma “atti di frode” evoca comunque una sottrazione di elementi del residuo attivo patrimoniale o comunque un artificio volto a presentare ai creditori la proposta in modo più vantaggioso di quello che è.
Nella specie si rileva come la disgregazione dei residui valori aziendali della società fallita e la diminuzione del marchio non sia eziologicamente riconducibile alla condotta tenuta dai liquidatori nei mesi che vanno da maggio a settembre 2010, quanto al fatto di aver messo ciò che restava della Sasch in mano ad una società Via M., che non dava garanzie né circa l’adempimento del contratto d’affitto (cosa che gli amministratori di Sasch avrebbero ben dovuto chiedere, non potendo a tal fine rilevare l’omogeneità delle compagine societarie delle due società, dal momento che l’operazione dell’affitto d’azienda poteva bene danneggiare – come poi è stato – i creditori di Sasch), e di aver dato il pieno controllo di Via M. ad un nuovo soggetto prima ancora che desse le garanzie di reperimento delle finanze necessarie per consentire l’adempimento della condizione posta al piano che ha accompagnato il concordato preventivo.
Il danno conseguente ai debiti maturati da Via M. s.r.l. nei confronti di Sasch è, riconducibile alla stipulazione di un contratto d’affitto d’azienda con cui veniva messo nella disponibilità della prima ciò che rimaneva dell’azienda della Sasch, in assenza delle necessarie garanzie di pagamento. Non a caso il c.t.u. fa un paragone, condivisibile, con i casi dei crediti maturati dalla Sasch nei confronti dei clienti russi e nel danno conseguente alla vendita dell’immobile cinese in assenza di garanzie. Tale danno è tuttavia riconducibile alla condotta imprudente di chi ha stipulato quel contratto senza chiedere le necessarie garanzie, cioè degli amministratori di Sasch s.p.a. e non già dei liquidatori che sono intervenuti successivamente.
Lo stesso vale anche per la diminuzione del valore del marchio Sasch.
Alla luce di quanto esposto si ritiene pertanto sussistente il fumus della responsabilità degli amministratori di Sasch s.p.a. in ordine ai danni cagionati in relazione all’operazione di affitto di azienda a Via M. s.r.l.,
Tale operazione, in assenza delle opportune garanzie (che, stante le pregresse esperienze con il cliente russo e in relazione alla vendita dell’immobile cinese avrebbero ben dovuto essere richieste) ha cagionato un danno economico che può essere provvisoriamente quantificato secondo la stima eseguita dal c.t.u. in € 728.082,62 per i crediti maturati da Sasch nei confronti di Via M. ed in € 468.922,00 per il minor valore del marchio, per un ammontare complessivo di € 1.197.004,62.
Nei confronti degli amministratori di Sasch (A. R., G. C., G. G., G. L., Claudia C. ed E. R.) che hanno deliberato l’operazione di affitto dell’azienda a Via M. s.r.l. deve essere quindi autorizzato il sequestro anche per tale ulteriore somma. In totale deve essere pertanto autorizzato il sequestro nei loro confronti per la somma di € 39.654.692,62.
Diversamente, con riferimento al liquidatore G. G. si è già rilevato come non possa essere configurabile alcun nesso eziologico tra la mancata informazione ai commissari giudiziali in merito alla creazione di S.I.H. nel maggio 2011 ed alla perdita del controllo di Via M. s.r.l. da parte delle famiglie C. e G. ed il danno conseguente ai debiti maturati da quest’ultima società nei confronti di Sasch, oltre che nel minor valore del marchio. Piuttosto la condotta, pur censurabile del liquidatore, può aver cagionato un danno per il ritardo nella dichiarazione di fallimento della Sasch s.p.a. di circa sei mesi (cioè dal maggio del 2011 fino alla data del 24 ottobre 2011).
In mancanza di prova da parte della ricorrente circa l’ammontare del danno conseguente alle ritardate informazioni al Curatore (danno attualmente non provato in punto di fumus, dal momento che il passivo fallimentare alla data del 9 luglio 2012 è inferiore al passivo concordatario), deve essere revocato il sequestro emesso nei confronti di G. G. in data 9 febbraio 2012.
Un’ultima notazione in punto di nesso eziologico riguarda la totale irresponsabilità dei Commissari giudiziali in ordine alle vicende che hanno caratterizzato il periodo del concordato preventivo. In primo luogo i danni dell’operazione “Via M. s.r.l.” sono riconducibili esclusivamente ha chi ha deciso e deliberato tale operazione. In secondo luogo durante la procedura di concordato preventivo non avviene lo spossessamento del debitore che continua ad amministrare i suoi beni in prima persona. In terzo luogo dagli atti di causa è emerso un comportamento palesemente omissivo ed assai poco collaborativo da parte di coloro che si erano impegnati a garantire il passaggio del complesso aziendale nell’ambito di una nuova struttura societaria, anche nell’interesse dei creditori sociali e della salvaguardia dei posti di lavoro dei dipendenti.
D) LA RESPONSABILITA’ DEI SINDACI
La Curatela ha rilevato come nel caso della Sasch s.p.a. i sindaci fossero tenuti sia al controllo di legalità sostanziale ex art. 2403 c.c., che a quello contabile ex art. 2409 bis c.c., secondo l’opzione dell’assemblea straordinaria del 28/9/2004.
In particolare, la Curatela ha contestato al collegio sindacale una pluralità di omissioni:
1. la mancata rilevazione delle illegittime operazioni contabili e di bilancio, con particolare riferimento alla mancata svalutazione di rilevanti voci dell’attivo patrimoniale (magazzino, partecipazioni e crediti);
2. la mancata rilevazione della integrale perdita del capitale sociale e la mancata adozione delle conseguenti e prescritte iniziative;
3. la mancanza di rilievi in merito alla partecipazione nelle controllate estere: i membri del collegio sindacale non solo sono rimasti inerti, ma partecipando a tutte le adunanze del c.d.a. hanno espresso sempre parere favorevole alle erogazioni fatte a tali società, pur a fronte di motivazioni generiche o stereotipate degli amministratori;
4. la mancanza di rilievi in merito alla fornitura di merci ai clienti russi: i sindaci hanno fatto un primo, timido rilievo solo in data 1/3/2010, quando il collegio ha chiesto spiegazioni al consigliere delegato riguardo la natura dei crediti verso le società russe e notizie sulla loro esigibilità;
5. la mancanza di rilievi in ordine alla contrarietà ai principi di corretta amministrazione della concessione in affitto dell’azienda alla Via M. s.r.l., oltretutto deliberata in conflitto di interessi ex art. 2391 c.c.;
6. la mancanza di rilievi in ordine alla contrarietà ai principi di corretta amministrazione della presentazione di un concordato preventivo con un piano infattibile;
7. la mancanza di rilievi in ordine alla contrarietà ai principi di corretta amministrazione del ricorso al credito in un contesto di decozione e delle operazioni infragruppo in danno di Sasch s.p.a.
Il parametro normativo di riferimento dell’attività dei sindaci è costituito dall’art. 2403 c.c., in base al quale: “Il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Esercita inoltre il controllo contabile nel caso previsto dall’articolo 2409 bis, terzo comma.”
Nella specie, come già rilevato, il collegio sindacale della Sasch ha esercitato sia il controllo sull’amministrazione che quello contabile, in virtù di un’espressa opzione fatta dalla società fallita ai sensi dell’art. 2409 bis c.c.
In merito al controllo contabile sono fondate le censure della Curatela: nel paragrafo relativo ai bilanci della Sasch s.p.a., è stato rilevato come le principali voci dell’attivo patrimoniale siano state oggetto di un’errata valutazione.
Con riferimento alla valutazione del magazzino non risulta (anche dall’ascolto degli informatori) la presenza del collegio sindacale alle operazioni di inventariazione, né risulta che siano state chieste opportune informazioni circa la congruità del metodo di rilevazione delle rimanenze da parte della società fallita. Similmente è evidente la violazione da parte degli amministratori delle norme civilistiche e dei principi contabili che hanno presieduto alle stime dei crediti e delle partecipazioni nelle società controllate. Sul punto si rimanda a quanto già motivato nel paragrafo dedicato ai bilanci della Sasch s.p.a. La condotta omissiva contestata dalla Curatela in ordine alla mancata rilevazione delle violazioni dei criteri che presiedono alla redazione dei bilanci da parte dei sindaci, che hanno dato sempre parere favorevole all’approvazione degli stessi, attestando che tali bilanci erano redatti con chiarezza e rappresentavano in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale della società Sasch s.p.a., è evidente. Basti pensare alle compensazioni tra le partite (debiti verso le banche per anticipi e crediti) effettuata fino al 2009, nell’assenza più totale di alcun rilievo dell’organo sindacale.
Tanto più che la compensazione tra partite e l’errata classificazione di alcune di esse hanno determinato l’alterazione del rapporto tra attività e passività correnti, dando luogo ad una parvenza di disponibilità liquide e di un equilibrio finanziario della Sasch s.p.a., già compromesso nel 2008 (con un rapporto corrente pari al 69,88%, secondo la riclassificazione operata dal c.t.u.).
È poi di tutta evidenza la violazione del principio di prudenza con la mancata iscrizione di fondi di accantonamento per i rischi, sulla quale si rimanda a quanto già motivato.
Il collegio ha pertanto omesso di segnalare le violazioni delle norme relative alla redazione dei bilanci, nonché di opporsi alla loro approvazione da parte dell’assemblea. Inoltre, la delibera assembleare di approvazione di un bilancio redatto in violazione delle norme di ordine pubblico che ne disciplinano la redazione è affetta da nullità. Anche in relazione a tale aspetto occorre segnalare come i sindaci potessero impugnare tali delibere, cosa che non è stata fatta.
Un ulteriore comportamento omissivo del collegio sindacale di particolare gravità è stato tenuto al momento del verificarsi della situazione descritta dall’art. 2447 c.c. Il collegio sindacale avrebbe infatti dovuto chiedere al c.d.a. della Sasch s.p.a. l’immediata convocazione dell’assemblea e provvedere direttamente in caso di inerzia dell’organo amministrativo. Tanto più che, in caso di inerzia dell’assemblea nel prendere i provvedimenti di cui all’art. 2447 c.c., il collegio, ai sensi dell’art. 2485, II comma, c.c. e 2487 c.c., deve rivolgersi al Tribunale per l’accertamento dell’integrale perdita del capitale sociale e la nomina dei liquidatori.
Con riferimento al controllo sull’amministrazione la legge impone in primo luogo al collegio sindacale il compito il dovere di controllare l’osservanza della legge e dello statuto non solo da parte dell’organo amministrativo, ma di tutti gli organi sociali.
Il controllo sul rispetto dei principi di corretta amministrazione assume una portata particolarmente ampia, esteso a qualsiasi aspetto dell’attività di amministrazione e di gestione, pur nel venir meno dell’espresso riferimento alla “vigilanza” sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, che caratterizzava la precedente formulazione dell’art. 2403 c.c.
Circa l’intensità del controllo sindacale sull’attività amministrativa, la diatriba tra controllo di mera legalità e controllo di merito (con un sindacato, invero, esteso anche a valutazioni di opportunità), è superata dall’opinione che qualifica il controllo dei sindaci come controllo di legalità sostanziale, che non scende al merito delle scelte gestionali, ma ha per oggetto fatti ed omissioni conseguenti alla violazione dei doveri incombenti agli amministratori.
I sindaci devono quindi controllare gli aspetti di legittimità delle scelte poste in essere dagli amministratori e verificare altresì la correttezza del procedimento decisionale degli stessi. Più precisamente, secondo un condivisibile orientamento, devono verificare che gli amministratori non compiano operazioni estranee all’oggetto sociale, in conflitto di interessi con la società, manifestamente imprudenti o azzardate o che possano compromettere l’integrità del patrimonio sociale.
Nella specie risulta che il controllo sull’amministrazione non è stato adeguato.
La concessione di finanziamenti alle società estere in perdita costituisce sicuramente un atto di grave imprudenza dal momento in cui è stata compromessa l’integrità del patrimonio sociale (2008), di cui i sindaci avrebbero ben dovuto rendersi conto. Sul punto si rimanda a quanto già rilevato nel paragrafo relativo alla condotta degli amministratori di Sasch, rilevando come l’organo di controllo avrebbe ben dovuto opporsi alla concessione di ulteriori finanziamenti dopo la data del 31/12/2008 (sottolineando, ancora una volta, come la perdita del patrimonio sociale possa essere anticipata alla luce di quanto osservato dal c.t.u.).
Il collegio sindacale ha inoltre assistito ad ulteriori operazioni di manifesta imprudenza da parte degli amministratori, come l’invio di un ammontare particolarmente elevato di merci al cliente russo, in assenza di apposite garanzie.
È evidente come i saldi elevati imponessero un atteggiamento maggiormente accorto, che avrebbe dovuto essere ben rilevato dall’organo preposto al controllo sull’amministrazione. Del resto, che i saldi verso i clienti russi fossero elevati era circostanza nota agli impiegati, che avevano chiesto spiegazioni ai loro superiori. Non è dato capire e non è giustificabile pertanto la condotta dei sindaci che solo nel marzo 2010, quando la situazione era ormai irrecuperabile, chiedono spiegazioni in ordine alla solvibilità del cliente russo. La condotta omissiva dei sindaci a fronte del comportamento manifestamente imprudente degli amministratori della Sasch è contraria alla diligenza (di carattere professionale) che avrebbe dovuto essere propria dell’organo di controllo di una struttura societaria di dimensioni imponenti quale era la Sasch s.p.a.
Anche l’operazione relativa all’acquisto del marchio Sasch, sebbene idonea a compromettere l’integrità del patrimonio sociale, è stata realizzata in assenza di qualsiasi rilievo da parte dell’organo sindacale. Su tale operazione, tuttavia, la Curatela non ha articolato specifiche allegazioni, con la conseguenza che il Giudice non può, stante il principio di cui all’art. 112 c.p.c., procedere d’ufficio nell’ulteriore esame della condotta tenuta dai sindaci della Sasch s.p.a. in tale occasione.
Diversamente, per la vendita dell’immobile della società TXY la Curatela ha rilevato l’omessa contestazione da parte dei sindaci in ordine all’assenza di garanzie adeguate per il pagamento del prezzo da parte dell’acquirente. In tale caso il collegio sindacale ha pertanto violato il dovere di diligenza che avrebbe dovuto tenere nel controllo sull’operato degli amministratori in relazione ad un’operazione imprudente (per i particolari della quale si rimanda a quanto già detto nel paragrafo relativo alle condotte di mala gestio degli amministratori) che ha determinato un danno così rilevante per la Sasch s.p.a. Non è stata fatta invece alcuna segnalazione da parte dei sindaci circa i rischi connessi ad un’operazione immobiliare così importante fatta in un paese straniero, in assenza di garanzie e di un’appropriata consulenza legale.
Anche in relazione all’operazione di affitto dell’azienda a Via M. s.r.l. si rileva, ancora una volta, un omesso intervento dell’organo sindacale non solo in merito all’assenza di garanzie da parte dell’affittuario (pur a seguito delle vicende relative alla mancata riscossione dei crediti nei confronti dei clienti russi ed alla vendita dell’immobile di proprietà della società cinese TXY), ma anche al fatto che il c.d.a. di Sasch s.p.a. ha deliberato tale operazione in presenza di un conflitto di interessi di due amministratori (G. C. e G. G.), che non si sono astenuti. Inoltre, tale delibera è stata adottata con il voto favorevole di soggetti legati da rapporto di parentela o di coniugio con gli amministratori titolari dell’interesse in conflitto. In tale occasione i sindaci avrebbero pertanto dovuto segnalare non solo la contrarietà ai principi di corretta amministrazione dell’operazione con la quale il complesso aziendale (unico residuo dell’attivo patrimoniale a garanzia dei creditori) veniva messo nella mani di un soggetto societario privo di affidabilità, ma avrebbero dovuto segnalare altresì la presenza di un conflitto di interessi di alcuni amministratori ed eventualmente impugnare la delibera ai sensi dell’art. 2391, III comma, c.c.
Sui particolari dell’operazione di Via M. s.r.l. si rimanda a quanto già rilevato nel paragrafo relativo alla fase del concordato preventivo.
La responsabilità dei sindaci deve essere valutata alla luce dell’art. 2407 c.c., in base al quale: “I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico: sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis e 2395.”
Nella specie non risulta che i sindaci abbiano adempiuto ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dal loro incarico.
Con riferimento al controllo contabile si rileva che, in base all’art. 2409 bis, II comma, c.c.: “Lo statuto delle società che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato può prevedere che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale. In tale caso il collegio sindacale è costituito da revisori legali iscritti nell’apposito registro.”
Tale norma, in caso di affidamento del controllo contabile ai sindaci, richiede che questi siano iscritti nell’apposito registro dei revisori. Ciò implica che i sindaci devono avere dei requisiti di professionalità elevata.
Inoltre, l’art. 2407 c.c., così come l’art. 2392 c.c. per gli amministratori, impone di adempiere ai doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, che nella specie è costituito dal controllo sull’amministrazione di una società di vaste dimensioni, con la conseguenza che il parametro di valutazione dell’operato dei sindaci non può che essere superiore alla diligenza dell’uomo medio.
È da ritenere poi che il corretto esercizio dei doveri inerenti al controllo amministrativo e contabile con la diligenza e la professionalità richieste dalla natura dell’incarico avrebbero potuto evitare i danni cagionati dalle condotte di mala gestio degli amministratori. Con riferimento alla redazione dei bilanci avrebbero dovuto segnalare la violazione della normativa appositamente dettata, opponendosi alla loro approvazione e, se del caso, impugnando le delibere.
Di particolare gravità è poi il comportamento omissivo tenuto dal collegio sindacale a seguito della perdita del patrimonio della società, in presenza di una normativa specifica che imponeva un controllo di natura sostitutiva, con la convocazione dell’assemblea per l’adozione delle decisioni contemplate dall’art. 2447 c.c. o il ricorso al Tribunale per far accertare la verificazione di una causa di scioglimento.
Gli stessi sono pertanto da ritenere responsabili in solido con gli amministratori per i danni conseguenti all’erogazione di finanziamenti alle società controllate dopo il 31/12/2008.
Il corretto controllo sull’amministrazione da parte dei sindaci avrebbe probabilmente evitato anche il maturare di un’esposizione di dimensioni notevoli nei confronti del cliente russo. Come già rilevato era un fatto segnalato già dagli impiegati ai loro superiori. L’intervento dei sindaci avrebbe pertanto potuto dissuadere gli amministratori dal persistere in una politica commerciale quanto meno altamente imprudente nei confronti della Russia.
Ugualmente è a dirsi per la vendita dell’immobile della società TXY deliberato alla fine del 2009, quando da più di un anno si era ormai verificata la perdita del capitale sociale. Anche in tale caso un controllo più attento da parte dell’organo sindacale avrebbe ben potuto condurre l’organo amministrativo a prendere maggiori cautele nel compiere un’operazione immobiliare di vasta portata in un paese straniero.
La vicenda relativa all’affitto dell’azienda a Via M. s.r.l. segnala poi non solo l’omessa rilevazione di un conflitto di interessi, ma altresì un comportamento positivo (espressione di un parere favorevole) in relazione ad una delibera del c.d.a., la cui attuazione, come già rilevato, ha comportato la definitiva disgregazione di un complesso aziendale che avrebbe invece dovuto essere rigenerato.
In ragione di quanto esposto deve ritenersi il fumus della responsabilità dei sindaci in ordine ai seguenti danni
- € 3.790.130,00 per i finanziamenti erogati alle società in perdita dopo il 31/12/2008 (rimandando per la quantificazione di tale importo al paragrafo sulle condotte di mala gestio da parte degli amministratori);
- € 4.757.869,00 per i danni relativi all’operazione di vendita dell’immobile cinese (rimandando per la quantificazione di tale importo al paragrafo sulle condotte di mala gestio da parte degli amministratori);
- € 23.628.689,00 per la cessione di merci al cliente russo, in assenza di apposite garanzie (rimandando per la quantificazione di tale importo al paragrafo sulle condotte di mala gestio da parte degli amministratori);
- € 1.197.004,62 per l’operazione di Via M. s.r.l. (si rimanda al paragrafo relativo alla fase del concordato preventivo per la motivazione circa la quantificazione di tale importo).
In ragione del carattere solidale della responsabilità dei sindaci con gli amministratori della Sasch (art. 2407, II comma, c.c.), deve essere confermato nei confronti di A. V., F. V. e L. P. il sequestro per la minor somma di € 33.373.692,62.
E) LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI DELLA CONTROLLANTE GO-FIN s.p.a.
La curatela fallimentare ha denunziato il compimento da parte della controllante Go-fin s.p.a. di atti contrari ai principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria nella misura in cui ha concesso garanzie per la Sasch s.p.a. nei confronti delle banche, come risulta dalla nota integrativa al bilancio del 2009 (dove si legge che, a fronte di un debito verso il sistema bancario di € 56.552.031,00 la Go-Fin s.p.a. ha garantito ben € 40.000.000,00), ha espresso il proprio voto favorevole nell’assemblea del 23 luglio 2007 (consentendo all’organo di autorizzare l’acquisto dei marchi Sasch e SHS), ha espresso il proprio voto favorevole nell’assemblea del 30 luglio 2009 (consentendo l’acquisto di rami aziendali in perdita) e, infine, ha ritirato un finanziamento ad essa erogato pari ad € 1.593.637,00.
Il parametro di riferimento normativo della responsabilità della società controllante è costituito dall’art. 2497 c.c., in base al quale: “Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.
Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento.
Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario.”
La norma prevede una forma di responsabilità inquadrata, secondo l’opinione maggioritaria, nello schema di cui all’art. 2043 c.c. ed imperniata sui seguenti elementi:
1. l’aver esercitato un’attività di direzione e controllo;
2. in funzione esclusivamente dell’interesse imprenditoriale proprio o di un soggetto terzo;
3. in violazione di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale;
4. cagionando ai soci o ai creditori delle società controllate un danno individuato, quanto ai primi nel pregiudizio alla redditività o al valore della partecipazione sociale e, quanto ai secondi, nella lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale.
È responsabile ai sensi del I comma dell’art. 2497 c.c. la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento. In base al secondo comma della norma richiamata risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
La Curatela ha ritenuto che gli amministratori di Go-fin abbiano concorso in solido alla causazione del danno procurato, in particolare, ai creditori per aver continuato a concedere garanzie in favore di Sasch s.p.a., quando ormai era irrimediabilmente compromessa l’integrità del suo patrimonio.
Con riferimento al requisito dell’attività di direzione e controllo l’art. 2497 sexies c.c. stabilisce una presunzione, sebbene iuris tantum: “Ai fini di quanto previsto nel presente capo, si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359 c.c.”. Nella specie Go-Fin s.p.a. deteneva il 95% del capitale sociale della società fallita. Go-Fin s.p.a. era infatti una delle due holding a capo del gruppo di cui Sasch s.p.a. gestiva il settore della distribuzione. Tale gruppo era caratterizzato da una significativa omogeneità della compagine sociale.
Il capitale sociale di Go-Fin s.p.a. era per il 40% di R. C., per il 20% di G. G., per il 20% di G. G., e per il 20% di Gommatex.
A sua volta R. C. è stato fino al 30 maggio 2009 amministratore delegato di Sasch s.p.a. e fino al 3 marzo 2010 Presidente del c.d.a. della controllante Go-Fin s.p.a., mentre G. G. e G. G. hanno fatto parte dei consigli di amministrazione rispettivamente di Go-fin s.p.a. e di Sasch s.p.a. Si trattava quindi di un gruppo imprenditoriale saldamente in mano, sia in termini di proprietà che di management, alle famiglie C. e G..
Al controllo esercitato ex art. 2359 c.c. da Go-fin s.p.a. su Sasch s.p.a., in virtù della detenzione del 95% del capitale sociale, si aggiungeva quindi l’omogeneità sia nella proprietà che nella composizione dei consigli d’amministrazione delle due società.
Ne consegue che la politica svolta da Go-Fin s.p.a. nei confronti di Sasch s.p.a. non potesse che essere fatta nell’interesse della holding principale e con essa dei detentori del suo pacchetto azionario, che tramite la controllante arrivavano a gestire il cuore dell’attività di distribuzione del gruppo, effettuata attraverso Sasch s.p.a.
La presenza di un’attività di direzione e controllo da parte di Go-fin s.p.a. risulta poi confermata anche dalle indicazioni contenute nella visura camerale, dove l’oggetto sociale viene indicato nello “svolgimento in via prevalente di: a) attività di assunzione di partecipazione, non nei confronti del pubblico. La società, nell’ambito di predetta attività ha altresì a oggetto, sempre non nei confronti del pubblico, l’esercizio delle attività di coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario delle società partecipate e/o comunque appartenenti al gruppo.” Già dal tenore letterale dell’oggetto indicato nella visura si evince come Go-fin s.p.a. non fosse una mera holding di partecipazione, ma una vera e propria holding capogruppo, avente per oggetto l’attività di coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario delle società partecipate.
Ulteriori elementi di natura documentale dai quali si può desumere la presenza di attività di direzione e controllo di Go-fin sono costituiti dal fatto che la visura presso l’Ufficio del Registro delle Imprese di Sasch S.p.A riporta che la medesima è soggetta ad attività di direzione e coordinamento della capogruppo Go Fin S.p.A. e nella prima pagina dei bilanci di Sasch S.p.a. è riportata l’annotazione “Società soggetta a direzione e coordinamento di Go-Fin Spa”. Nelle note integrative e nei bilanci è dichiarato il rapporto di direzione e coordinamento di Gofin e sono riportati i dati di sintesi del bilancio della controllate nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2497 bis del c.c.
Ci sono inoltre verbali del collegio sindacale di Sasch s.p.a., i quali riconoscono la sussistenza dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Go Fin Spa (4.1.2006, 5.4.2006, 2.10.2006, 2.1.2007, 2.4.2007, 2.7.2007, 1.10.2007, 28.12.2007). Tale particolare assume particolare rilievo, anche in considerazione del fatto che i sindaci della società controllata Sasch s.p.a. rivestivano la stessa carica anche in seno alla controllante Go-fin s.p.a.
Inoltre, nel verbale del c.d.a di Go-fin, del 23 ottobre 2008, si legge che il Presidente “espone ai presenti di aver preso visione delle situazioni economiche al 30 settembre nonché dei relativi budget previsionali di fine anno delle società controllate e consociate del gruppo. L’attuale fase congiunturale dei mercati, nazionale ed internazionale, conferma la delicata situazione che le aziende sono chiamata ad affrontare nei prossimi mesi e nell’anno a venire ed è importante quindi razionalizzare al meglio la gestione operativa attraverso una attenta analisi dei costi rivolta ad una corretta programmazione delle iniziative future nei vari settori in cui operano le nostre società: lavorazione c/terzi – produzione e distribuzione di articoli di abbigliamento.” Il c.d.a di Go-fin delibera infine di: “dare mandato al Presidente sig. R. C., al fine di indirizzare le direzioni delle varie società ad effettuare tutti quei correttivi come riportato nella attenta analisi esposta all’assemblea e necessari per affrontare gli anni futuri.”
Successivamente, nel C.d.A. del 4 novembre 2008 di Sasch s.p.a., il Presidente A. R. “informa” i consiglieri ed i sindaci “delle disposizioni ricevute dalla direzione della holding GO – FIN SpA in relazione alla particolare situazione che i mercati si trovano ad affrontare ed alle criticità degli scenari futuri”. Segue la verbalizzazione delle azioni (di carattere organizzativo e logistico) suggerite da Go-Fin Spa.
Dalla lettura dei due verbali è evidente come Go-fin impartisse le direttive alle proprie società controllate, tra le quali Sasch s.p.a.
C’erano anche figure con ruoli dirigenziali sul gruppo (e su Sasch S.p.A.), che erano dipendenti di Go Fin SpA secondo le dichiarazioni rilasciate dagli informatori: il dr. Mora (v. dichiarazioni dell’informatore Cancemi all’udienza del 28/5/2012: “il dr.Mora era direttore del personale di tutto il gruppo”), il Dr. Serravalle (direttore finanziario di tutto il gruppo, come dichiarato dalla stessa Cancemi). I dipendenti di Go Fin erano: Serravalle, Mora, Cancemi, B. (che si occupava della redazione dei bilanci, tra i quali quello di Sasch), mentre Fiorenza V. lavorava con un contratto a progetto per GoFin “si occupava delle questioni legali per l’estero”.
Il Curatore Fallimentare di Go-fin, dr. Fabio Moscardi, conferma che: “il gruppo era capeggiato da due società: Go-fin e Gommatex, i cui amministratori sostanzialmente coincidevano, nel senso che le persone fisiche operative (G. e G. G. e R. C., G. C.) erano in grado di prendere le singole decisioni. Go-fin si avvaleva anche dei dipendenti qualificati, come il dr. T. ed altri, che si occupavano di settori specifici, ma importanti: partecipazioni estere, finanza. Se la domanda era che la Go-fin era una finanziaria con delle partecipazioni in pancia e non decideva niente la risposta è no. La Go-fin non era una finanziaria non operativa, aveva un’organizzazione con dei dipendenti qualificati … la realtà era complessa: ho già detto che il gruppo era controllato da due società: Gommatex e Go-fin. Go-fin possedeva alcune partecipazioni alcune maggioritarie altre minoritarie, mentre Gommatex aveva il 20% di Go-fin e varie altre partecipazioni nelle società del gruppo. Era tutto molto ramificato. Nei vari c.d.a. gli amministratori operativi erano in buona parte gli stessi e certamente la mia sensazione è che gli amministratori operativi bene o male si consultassero e fossero informati delle decisioni principali da prendere. Nelle varie società si svolgevano i c.d.a., dove si prendevano delle decisioni. Certamente tutto non avveniva in Go-fin, anche perché c’erano delle società dove Go-fin non aveva partecipazioni di controllo. Consultando i libri dei c.d.a. delle varie società ci sono operazioni decise nell’ambito dei c.d.a. di Go-fin e di Gommatex. Non tutte le operazioni effettuate da Go-fin evidentemente sono passate dal c.d.a. La finanza di gruppo veniva gestita tramite la Gommatex finanziaria che era il crocevia finanziario del gruppo all’interno della quale passavano le operazioni sui contratti di conto corrente. C’era un dirigente, il dr. Serravalle che si occupava della finanza del Gruppo. Ritengo che tutto questo avvenisse su impulso degli amministratori operativi, che erano gli amministratori delle varie società tra le quali la Go-fin. Il Serravalle credo fosse dipendente Go-fin, poi passato a Gommatex. Certamente si occupava della problematica della finanza per tutte le società del gruppo.”
Inoltre dall’esame dei bilanci è possibile rilevare che Go Fin ha costantemente prestato, negli anni dal 2006 al 2009, garanzie di varia natura (fideiussioni, lettere di patronage, a favore di terzi (tra i quali istituti di credito, proprietari di negozi etc.) a favore di Sasch S.p.A.
La concessione di garanzie nei confronti della controllata Sasch è avvenuta anche al momento in cui si è verificata la situazione di cui all’art. 2447 c.c., da ricondurre, come già rilevato, al 31 dicembre 2008. L’aver continuato a prestare garanzie anche in presenza di una situazione in cui era compromessa l’integrità del patrimonio sociale, può sicuramente aver concorso in prima battuta a determinare la prosecuzione dell’attività della società in presenza di una causa di scioglimento e, in seconda battuta, ed aver arrecato un danno ai creditori.
La difesa di alcuni resistenti sostiene l’assenza dell’attività di direzione e controllo da parte di Go-fin nei confronti di Sasch s.p.a.
Tale assunto parte dalla considerazione corretta che la presunzione di cui all’art. 2497 sexies c.c. circa l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di chi eserciti il controllo ex art. 2359 c.c. è iuris tantum, ma contrasta non solo con le risultanze istruttorie appena ricordate, ma anche con un principio fondamentale che si ricollega al c.d. sistema di pubblicità delle imprese: il principio di affidamento.
L’importanza del sistema di pubblicità nell’ambito dell’attività di direzione e coordinamento dei gruppi d’impresa è ritenuta importante al punto che l’art. 2497 bis c.c. dedica un’apposita norma, in base alla quale: “La società deve indicare la società o l’ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di cui al comma successivo.
È istituita presso il registro delle imprese apposita sezione nella quale sono indicate le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette.
Gli amministratori che omettono l’indicazione di cui al comma primo ovvero l’iscrizione di cui al comma secondo, o le mantengono quando la soggezione è cessata, sono responsabili dei danni che la mancata conoscenza di tali fatti abbia recato ai soci o ai terzi.
La società deve esporre in apposita sezione della nota integrativa, un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della società o dell’ente che esercita su di essa l’attività di direzione e coordinamento.
Parimenti gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con chi esercita l’attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati.”
Tale norma ha lo scopo di rendere conoscibile ai terzi la presenza di un’attività di direzione e coordinamento, ponendo dei precisi obblighi informativi agli amministratori della società controllata, come l’indicazione nella corrispondenza e negli atti della società o dell’ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta e l’iscrizione di tale indicazione anche in apposita sezione del registro delle imprese. Ulteriori contenuti informativi devono essere poi inseriti nella nota integrativa al bilancio d’esercizio, nonché nella relazione sulla gestione da parte degli amministratori.
È da rilevare come il legislatore preveda una precisa responsabilità degli amministratori per i danni cagionati non solo in caso di omessa indicazione della società o dell’ente che esercita l’attività di direzione e controllo, ma anche nell’ipotesi in cui tale iscrizione venga mantenuta laddove tale attività di direzione e controllo sia cessata.
Se è vero che le informazioni di cui all’art. 2497 bis c.c. sono fornite dagli amministratori della società controllata, mentre nessuna dichiarazione viene fatta dagli amministratori della società che esercita l’attività di direzione o coordinamento, è pur vero che nella specie sussistono dei documenti proveniente dalla stessa Go-fin (indicazione dell’oggetto sociale nell’atto costitutivo, verbale del c.d.a del 23 ottobre 2008, garanzie prestate nei confronti di Sasch s.p.a.) dove di fatto viene dichiarata l’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento nei confronti delle società controllate. Quest’ultima, del resto, è dichiarata dagli stessi sindaci di Sasch s.p.a., che sono altresì sindaci della controllante Go-fin s.p.a.
Nell’ipotesi in cui la stessa società controllante abbia tenuto un comportamento volto a confermare di fronte ai terzi le risultanze del sistema informativo predisposto dall’art. 2497 bis c.c. la prova contraria in ordine alla presunzione dell’attività di direzione e coordinamento nei confronti dei soggetti che esercitano il controllo di cui all’art. 2359 c.c. non può riguardare il solo fatto oggettivo dell’assenza di un’attività di direzione e coordinamento, ma anche il fatto soggettivo della conoscenza della mancanza di tale requisito in capo ai soggetti danneggiati ai sensi dell’art. 2497 c.c.
Non è pertanto sufficiente provare solamente l’assenza di tale attività di direzione e coordinamento, ma anche l’effettiva conoscenza di quest’ultima da parte di coloro che hanno fatto affidamento su quanto risultava iscritto nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2497 bis c.c. e sul comportamento tenuto dalla società controllante.
Non potrebbe essere quindi opposta alla Curatela ricorrente, che nella specie esercita l’attività che sarebbe altrimenti spettata ai creditori di Sasch, l’assenza di un’attività di direzione e coordinamento, che si ritiene essere, oltretutto, smentita dalle risultanze istruttorie.
Dato atto dell’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento da parte di Go-fin nei confronti di Sasch occorre fare una precisazione in ordine ai danni per i quali la società controllante e coloro che hanno preso parte al fatto lesivo sono chiamanti a rispondere.
L’art. 2497 c.c. menziona due tipologie di danno: quello cagionato ai soci della controllata per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione, nonché quello cagionato ai creditori per la lesione all’integrità del patrimonio sociale. Nella specie viene in rilievo solo tale ultima tipologia di danno, dato che, ai sensi dell’art. 2497 u.c. c.c., il curatore esercita l’azione spettante ai creditori.
Come già rilevato, si tratta di una forma di responsabilità extracontrattuale.
Non può essere condiviso, a seguito dell’istruttoria espletata, il criterio in base al quale si deve addebitare agli amministratori di Go-fin l’intero danno imputabile agli amministratori di Sasch s.p.a.
A differenza degli amministratori di Sasch, che hanno degli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (al punto da essere responsabili delle condotte di mala gestio che abbiano comportato la diminuzione degli elementi componenti l’attivo patrimoniale sociale della società di Sasch specificamente allegate dalla Curatela), gli amministratori di Go-fin non hanno un obbligo generale di conservazione del patrimonio sociale della controllata nei confronti dei suoi creditori, dilatato al punto da rispondere delle condotte depauperative del patrimonio sociale poste in essere dagli amministratori della società controllata, in assenza di uno specifico apporto concorsuale alle violazioni perpetrate da questi ultimi.
Gli amministratori della società controllante rispondono in solido con la stessa, in via aquiliana, per la lesione all’integrità del patrimonio della società controllata conseguente a condotte che costituiscono violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento alle quali abbiano preso parte o – sempre in via extracontrattuale - per aver concorso con gli amministratori della società controllata al depauperamento del suo patrimonio sociale. In entrambi i casi, considerato che lo schema di riferimento è quello aquiliano, non si può comunque prescindere da un contributo materiale e soggettivo (quanto meno colposo), senza che gli amministratori della società controllante possano rispondere per il solo fatto di appartenere al consiglio d’amministrazione di quest’ultima.
Tanto più che nell’ipotesi di cui all’art. 2497, II comma, c.c. è previsto che i soggetti diversi dalla società controllante concorrano in solido con quest’ultima per aver preso parte al fatto lesivo. Secondo la corretta interpretazione di tale norma è pertanto necessario che venga dimostrato il nesso di causalità tra i loro comportamenti colposi ed il danno cagionato ai creditori.
Alla luce di quanto esposto occorre prendere in esame le singole condotte contestate dalla Curatela agli amministratori di Go-fin per verificare se ed in quale misura le stesse abbiano cagionato ai creditori un danno all’integrità patrimoniale della società fallita.
Con riferimento alle garanzie concesse per la Sasch s.p.a., a seguito del verificarsi della situazione descritta dall’art. 2447 c.c., dalla documentazione in atti emerge che tali garanzie sono tre: la prima è una lettera di patronage in favore di Unicredit per la somma di € 11.000.000,00, prestata il 12/11/2008 (all. 68), la seconda è una garanzia rilasciata in data 31 maggio 2009 in favore di U.G.F. Banca per il valore di € 3.100.000,00 (all. 69), la terza è una garanzia (all. 70) in favore del Teatro Tenda s.r.l. e costituisce la rinnovazione di un contratto la cui durata originaria era dal 2001 al 2021.
Tali garanzie risultano firmate da R. C., mentre dai verbali del c.d.a. di Go-fin (prodotti da R. C.) non risulta alcuna deliberazione sul punto, tale da far ritenere che gli altri amministratori di Go-fin abbiano preso parte, così come richiesto dall’art. 2497, II comma, c.c. al fatto lesivo consistito nella concessione di garanzie per Sasch s.p.a., una volta che si era verificata la situazione di cui all’art. 2447 c.c.
Il danno non può essere, tuttavia, identificato con l’ammontare delle garanzie concesse da Go-fin nei confronti di Sasch dopo che si è verificata l’erosione del capitale sociale.
Nella specie la violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale contestata agli amministratori di Go-fin è consistita nell’erogazione di garanzie in favore dei creditori della Sasch s.p.a., anche successivamente alla compromissione dell’integrità patrimoniale di quest’ultima. È pertanto evidente che il danno non può che consistere nella maggiore esposizione debitoria nei confronti dei soggetti nei confronti dei quali sono state concesse le garanzie. Sul punto, tuttavia, la Curatela aveva l’onere di dimostrare la maggiore insinuazione al passivo (comprensiva degli interessi passivi) da parte di Unicredit e di U.G.F. Banca, conseguente al rilascio delle garanzie prestate in loro favore in data 12 novembre 2008 e 31 maggio 2009.
Il c.t.u. osserva che: “Go Fin Spa ha rilasciato importanti garanzie (fidejussioni e lettere di patronage), a favore di banche e Teatro Tenda S.r.l. in epoca prossima o posteriore alla data in cui si è verificato la perdita del capitale sociale. E’ verosimile ma al momento non provato dalla documentazione in atti che tali garanzie abbiano consentito a Sasch S.p.A di godere di credito bancario che le ha permesso di proseguire al propria attività pur in presenza di una causa di scioglimento. Si ritiene che tale circostanza sia meritevole di adeguato approfondimento al fine di individuare l’eventuale aggravamento del debito della Sasch S.p.A. nei confronti di Unicredit Corporate Banking Spa, di UGF Banca Spa e di Teatro Tenda Srl. Nel caso in cui tali indagini dovessero confermare un incremento dell’esposizione nei confronti dei soggetti indicati, alla data della dichiarazione di fallimento, rispetto la data di rilascio delle garanzie, tale incremento potrà essere considerato quale conseguenza dannosa (danno) di atti commessi in violazione dei principi di legge a tutela della integrità patrimoniale della società. Di tale responsabilità potrà essere investita Go Fin S.p.A in qualità di soggetto esercente attività di direzione e coordinamento ed i relativi amministratori potranno essere chiamati, quali soggetti coobbligati, al risarcimento del danno.”
Non è pertanto possibile, allo stato, liquidare alcuna forma di danno per la concessione delle garanzie da parte della Go-fin s.p.a. per la propria controllata a seguito della perdita del capitale sociale di quest’ultima.
Alla luce di quanto esposto, pur essendo stato provato dalla Curatela il fumus in ordine alla responsabilità della Go-fin per la concessione delle garanzie in favore dei creditori di Sasch, anche dopo che quest’ultima era venuta a trovarsi nella condizione di cui all’art. 2447 c.c., non risulta provato l’ammontare del danno.
Non possono pertanto soccorrere criteri equitativi di liquidazione del danno, che possono essere usati solo laddove non sia possibile determinare l’esatto ammontare del danno.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che: “In tema di azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare contro gli ex amministratori e sindaci della società fallita, compete a chi agisce dare la prova dell'esistenza del danno, del suo ammontare e del fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto, potendosi configurare un'inversione dell'onere della prova solo quando l'assoluta mancanza ovvero l'irregolare tenuta delle scritture contabili rendano impossibile al curatore fornire la prova del predetto nesso di causalità; in questo caso, infatti, la citata condotta, integrando la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, è di per sé idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio. (Nell'affermare detto principio, la S.C. ha escluso la responsabilità degli organi societari perché, nella specie, i libri sociali non potevano dirsi totalmente assenti e la documentazione, benché incompleta e idonea a determinare l'inattendibilità dei bilanci e dei conti profitti e perdite, non era tale da precludere al curatore la possibilità di provare il nesso di causalità tra il comportamento omissivo degli amministratori ed il citato pregiudizio).” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7606 del 04/04/2011).
Un’ulteriore contestazione riguarda la restituzione di un finanziamento di € 1.593.637,00 a suo tempo erogato dalla società controllante alla Sasch s.p.a. La Curatela rileva che la restituzione di tale somma alla Go-Fin integri la violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale.
Sul punto è condivisibile il parere del c.t.u. circa il fatto che nella specie non si abbia la restituzione di un finanziamento in violazione dell’art. 2497 quinquies c.c., quanto il pagamento a Go Fin S.p.A. delle somme necessarie per il versamento delle imposte di Sasch S.p.A. (obbligo gravante su Go Fin) sulla base di un meccanismo contrattuale simile alla delegazione di pagamento. Tale atto non può pertanto considerarsi come violazione dei principi di corretta amministrazione nell’ambito dell’attività di direzione svolta dalla controllante Go-fin S.p.A.
Non è pertanto configurabile alcuna responsabilità nei confronti degli amministratori di Go-fin per tale operazione.
Resta da verificare la responsabilità degli amministratori di Go-fin in ordine all’operazione relativa all’acquisto del marchio Sasch.
La delibera di acquisto (per il tramite della controllata lussemburghese SHS Europe) dei marchi Sasch e SHS è stata assunta dall’Assemblea di Sasch, alla presenza dell’intero consiglio di amministrazione, nonché dell’intero Collegio Sindacale, a seguito di informativa resa dal Sig. R. C. in merito ai possibili contenziosi con le società Ma. BV e Tambern Limited.
È da rilevare come, a seguito della delibera di aumento di capitale di SHS Europe SA, il controllo su tale società passa da Sasch a Go-fin. Tale passaggio, secondo quanto osservato il c.t.u. può ragionevolmente rientrare nell’attività di direzione e coordinamento di Go Fin S.p.A su Sasch S.p.A (“diversamente non si vedono, al momento, ragioni economicamente valide per cui Sasch S.p.A (socio di maggioranza assoluta di SHS Europe SA) avrebbe dovuto deliberare un aumento di capitale della controllata, finanziata per l’acquisto dei marchi, che avrebbe spostato il controllo in capo a Go Fin S.p.A. tanto più se si considera che la partecipazione in Klips acquistata da SHS Europe SA sarebbe stata svalutata nel volgere di pochi mesi”). La partecipazione in SHS Europe SA viene interamente svalutata nella proposta di concordato preventivo (“svalutazione espressiva del fatto che alla partecipata ed ai marchi di cui la stessa sarebbe dovuta essere proprietaria viene riconosciuto un valore pari a 0 dagli stessi amministratori di Sasch – diversamente non si comprenderebbe perché attribuire valore pari a 0 alla partecipazione e non limitarsi ad una sua svalutazione proporzionale al, probabilmente, diminuito valore dei marchi”, v. rel. c.t.u.).
Il c.t.u. conclude nel senso che: “Pertanto si ritiene di poter rispondere a quest’ultima parte del quesito riferendo che l’operazione di l’acquisto dei marchi Sasch e SHS ed il successivo cambio di controllo in SHS Europe SA rientrano, a parere del sottoscritto e sulla base delle informazioni disponibili, tra gli atti compiuti in forza di attività di direzione e coordinamento di Go Fin S.p.A.
I finanziamenti che si sono resi necessari per realizzare l’operazione di cui sopra, erogati interamente da Sasch S.p.A., rappresentano la principale componente di finanza reale dell’intera operazione ( risulta che i finanziamenti di Sasch S.p.A a SHS Europe SA siano effettivamente stati erogati, secondo quanto riferisce il Curatore).”
Del resto che l’acquisizione del marchio Sasch sia il frutto dell’attività di direzione e coordinamento della società controllante risulta anche dal fatto che il 23 luglio 2007 R. C. (proprietario del 40% del capitale di Go-fin, a sua volta proprietaria al 95% del capitale di Sasch) si è presentato all’assemblea dei soci di Sasch come azionista (2% del capitale sociale) e come rappresentante di Go-fin. Poi come amministratore delegato di Sasch ha illustrato l’operazione di acquisto del marchio e riceve mandato dall’assemblea per procedere all’acquisto dei marchi SASCH e SHS.
G. G., amministratore delegato di Go-fin, era presente a tale assemblea in proprio, quale azionista di Sasch (1%), e quale legale rappresentante di Gommatex s.p.a., cioè l’altra holding del Gruppo. L’altro azionista di Sasch presente era G. G. (1%). La delibera di conferire a C. il mandato per l’acquisto dei marchi per una somma non inferiore ad € 8.000.000,00 è stata adottata all’unanimità.
Alla luce di quanto esposto e delle condivisibili considerazioni del c.t.u. (con particolare riferimento al fatto che Go-fin successivamente acquisisce il controllo pressoché totalitario di SHS) si ritiene che sussista la responsabilità della Go-fin in ordine all’operazione di acquisto del marchio da parte della controllata.
Con riferimento alla responsabilità degli amministratori il parametro di riferimento, già richiamato, è costituito dall’art. 2497, II comma, c.c., secondo il quale rispondano in solido con la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento coloro che hanno preso parte al fatto lesivo. È pertanto richiesto un apporto materiale che deve essere provato (essendo probabilmente sufficiente deliberare una direttiva che costituisca violazione dei principi di corretta amministrazione societaria ed imprenditoriale), nonché un coefficiente di imputazione soggettiva quanto meno colposo (che può essere ricavato dal fatto che la violazione dei doveri di corretta amministrazione societaria costituisce un comportamento quanto meno colposo). Come già rilevato, la responsabilità ex art. 2497, II comma, c.c. non può essere ancorata alla mera appartenenza all’organo amministrativo della società controllante, ma richiede un quid pluris di natura oggettiva (che possa portare ad affermare che quel soggetto ha preso parte al fatto lesivo) e soggettiva (che porti ad affermare che tale condotta è connotato da un coefficiente soggettivo quanto meno colposo), in mancanza del quale la responsabilità ex art. 2497 c.c. verrebbe, di fatto, portata ben al di là della responsabilità oggettiva, nella misura in cui prescinde dall’accertamento di un qualsiasi contributo di natura materiale alla causazione del danno.
Alla luce di quanto esposto occorre verificare se e come i singoli componenti abbiano preso parte al fatto lesivo costituito dall’improvvido esborso di quasi € 6.300.000,00 nell’operazione relativa ai marchi.
Il Giudice rileva come la Curatela abbia correttamente individuato quale violazione dei doveri di corretta gestione imprenditoriale e societaria da parte della controllante sia consistita nel fatto di aver votato nell’assemblea di Sasch l’operazione di acquisto del marchio in data 23 luglio 2007. A tal fine non ci sono particolari problemi ad individuare la responsabilità di R. C. e di G. G..
Mentre il primo ha infatti votato in rappresentante di Go-fin ed è, di fatto, il soggetto al centro di tutta l’operazione, il secondo era comunque presente a tale assemblea, dove ha deliberato in proprio e quale legale rappresentante della capogruppo Gommatex, a sottolineare che l’operazione di acquisto del marchio era riferibile all’intero gruppo.
La Curatela non ha invece provato, tuttavia, come gli altri amministratori abbiano preso parte alla manifestazione di voto da parte di R. C. per Go-fin.
È infatti necessario che il soggetto, che è chiamato a rispondere per aver preso parte al fatto lesivo (identificato nella violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento) abbia concorso alla formazione della direttiva impartita alla società controllata o abbia materialmente partecipato alla sua esecuzione.
C. M. è entrato a far parte del c.d.a. di Go-fin in data 8 giugno 2009, circa due anni dopo la delibera del 23 luglio 2007, quando ormai erano state impegnate ingenti risorse della società fallita nell’acquisto del marchio. Non ci sono elementi di ordine materiale che possano portare a concludere che abbia preso parte al fatto lesivo.
Anche per R. C. e P. B., che pure facevano parte del c.d.a. di Go-fin all’epoca dei fatti, non sussistono elementi di prova tali da supportare il fumus circa la loro partecipazione al fatto lesivo costituito dalla lesione all’integrità del patrimonio sociale di Sasch, per effetto dell’incauta operazione di acquisto del marchio.
A tal fine si rileva come l’unico elemento documentale sia costituito da un verbale del 13 gennaio 2009 del c.d.a. di Go-fin, avente per ordine del giorno la comunicazione in merito ai marchi SHS e SASCH acquistati dalla società SHS EUROPE S.A. – Luxenburg. In tale occasione R. C. ha comunicato che per valutare il buon esito dell’operazione M. P., Fiorenza V. e A. V. si erano recati in Lussemburgo presso la sede della SHS per effettuare gli opportuni controlli. M. P. e A. V. hanno fornito i dettagli dell’operazione, mentre R. C. ricorda nuovamente la valenza dell’operazione. Il c.d.a., con il parere favorevole del Collegio sindacale, ha preso atto di quanto esposto dal Presidente del c.d.a, R. C., in merito all’acquisto dei marchi SASCH ed SHS, effettuata dalla SHS EUROPE S.A., condividendo il buon esito dell’operazione e dando per rato e valido il buon esito della trattativa tra le due società.
Manca, tuttavia, un verbale o altro documento di Go-fin, dal quale risulti che gli amministratori abbiano dato mandato al C. di deliberare per l’acquisizione del marchio o comunque abbiano partecipato a deliberare tale acquisto. Nella specie risulta invece un verbale del c.d.a. di Go-fin, posteriore di circa un anno e mezzo (13 gennaio 2009) rispetto alla delibera del 23 luglio 2007, con il quale Sasch s.p.a. ha deliberato l’operazione di acquisizione dei marchi.
La posizione degli amministratori di Go-fin (che rispondono in via extracontrattuale) è infatti diversa da quella degli amministratori di Sasch (che rispondono in via contrattuale), dal momento che le risorse per l’acquisto dei marchi erano della società controllata e non della controllante e che quest’ultima risponde per abuso nell’attività di direzione e coordinamento, in ordine al quale gli amministratori e chiunque altro può rispondere in via solidale solo qualora sia provato che vi abbia preso parte.
Nella specie non vi sono elementi per poter affermare che R. C., P. B. e C. M. abbiano preso parte all’attività di direzione con la quale la società controllante ha determinato l’acquisizione del marchio da parte della controllata, ma tali elementi sono ricavabili solamente nei confronti di R. C. e G. G..
Deve pertanto essere revocato il sequestro disposto nei confronti di R. C., C. M. e G. G., quale erede di P. B., mentre deve essere autorizzato il sequestro conservativo nei confronti di G. G. per la minor somma di € 6.281.000,000.
Non si prende poi in considerazione la posizione di R. C. ed E. R., i quanto gli stessi sono già stati considerati responsabili di tale danno, in qualità di amministratori di Sasch s.p.a. Uguale conclusione riguarda anche G. C., che entra nel c.d.a. di Go-fin nel 2009.
M. P. nel verbale del 13 gennaio 2009 risulta invece aver preso parte all’esecuzione dell’operazione di acquisto del marchio, essendosi recato in Lussemburgo per controllare il buon esito dell’operazione. Inoltre, lo stesso risulta aver comunicato agli altri amministratori i dettagli dell’operazione. La sua posizione non può essere pertanto assimilata a quella degli altri amministratori di Go-fin, nei confronti dei quali viene revocato il sequestro conservativo, dal momento che questi ultimi, alla luce delle attuali risultanze istruttorie, risultano essere venuti a conoscenza dell’operazione dell’acquisto del marchio non solo dopo la sua deliberazione da parte della società controllata, ma altresì dopo che la stessa era stata eseguita. Con riferimento alla posizione del P., risulta invece agli atti il fumus della sua responsabilità per aver preso parte all’operazione con la quale sono state impegnate ingenti risorse della società fallita.
È da rilevare come la sua responsabilità possa risultare non solo per aver preso parte a tale operazione, ai sensi dell’art. 2497, II comma, c.c., ma - stante il ruolo operativo assunto in Sasch s.p.a. - anche per aver concorso con gli amministratori della società controllata, già ritenuti responsabili sulla base delle argomentazioni alle quali si rimanda.
Deve pertanto essere autorizzato nei confronti di M. P. il sequestro conservativo anche per l’ulteriore somma di € 6.281.000,00. In totale il sequestro conservativo deve essere autorizzato nei suoi confronti per la somma complessiva di € 11.038.869,00.
III. IL PERICULUM IN MORA
Con riferimento al requisito del periculum in mora si conferma la valutazione già fatta nel decreto 9 febbraio 2012. In particolare, si rileva come l’elevato ammontare dei danni cagionato da coloro nei confronti dei quali è confermato il sequestro è ancora tale – nonostante la riduzione degli importi per i quali è concesso – da essere comunque notevolmente sproporzionato rispetto ai beni dei quali sono titolari i resistenti.
Si rileva poi come sia risultato che alcuni degli stessi resistenti abbiano operato atti di dismissione del proprio patrimonio, con la conseguenza che il sequestro si rivela come misura necessaria ad assicurare la fruttuosità pratica dell’azione di responsabilità in ordine alla quale sussiste il fumus relativo alla sua probabile fondatezza.
Da un punto di vista soggettivo rileva poi anche la condotta tenuta dai resistenti negli ultimi anni di vita della società fallita e la particolare imprudenza delle operazioni che hanno cagionato l’erosione del patrimonio sociale della Sasch s.p.a.
IV. IL SEQUESTRO EX ART. 2905, II comma, c.c.
Con atto del 5 marzo 2012 è stato concesso il sequestro conservativo ex art. 2905, II comma, c.c. nei confronti di Miriam S., a cautela di una futura azione revocatoria avente per oggetto l’atto di donazione con il quale, in data 8 febbraio 2012 (il giorno precedente all’emanazione del decreto di sequestro conservativo del 9 febbraio 2012), G. G. ha donato alla moglie Miriam S., con atto rogato dal Notaio Lops, alcuni strumenti finanziari, per un ammontare complessivo di € 1.070.000,00.
L’istruttoria espletata ha confermato, il fumus della responsabilità di G. G. in ordine all’azione di cui art. 2497, II comma, c.c., ancorché l’unico profilo di danno riconducibile allo stesso riguardi l’operazione di finanziamento della società lussemburghese per l’acquisto del marchio Sasch.
Con riferimento al carattere litigioso del credito oggetto della futura azione revocatoria, in quanto trattasi di credito di natura risarcitoria che richiede il positivo esperimento dell’azione ex art. 2497 c.c., nei confronti degli amministratori di Go.fin s.p.a., tra i quali anche G. G., non ci sono particolari problemi, dal momento che la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 11-10-2005, n. 19755) ha precisato che: “La sussistenza del credito non rappresenta un «presupposto indefettibile» della pronuncia sull’azione revocatoria, atteso che questa può essere utilmente esperita e accolta anche a tutela di un credito eventuale perché litigioso, ovvero indipendentemente da quello che sarà l’esito del distinto giudizio pendente sull’accertamento del credito di cui s’invoca la tutela; non si ravvisa, infatti, la possibilità di un conflitto pratico di giudicati, posto che, qualora la domanda del creditore sia rigettata, la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria fondata sul credito litigioso si rivelerà di nessuna utilità, ma non si porrà in contrasto, in quanto erogata a tutela di un credito eventuale, con la decisione negativa sull’esistenza del credito.”
Anche con riferimento al requisito della conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori è sufficiente la consapevolezza che l’atto dispositivo determinando una diminuzione del patrimonio del debitore possa pregiudicare la garanzia dei creditori.
Sul punto, sempre la giurisprudenza di legittimità, ha chiarito che: “In tema di revocatoria ordinaria, ai fini della configurabilità del consilium fraudis per gli atti di disposizione a titolo gratuito compiuti dal debitore successivamente al sorgere del credito, non è necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso (e non anche del terzo beneficiario), del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni (nella specie la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata con cui era stato correttamente ritenuto integrato il suddetto elemento soggettivo in un caso di donazione avente per oggetto la quota dell’unico immobile residuo ancora nel patrimonio del disponente, stipulata a favore del figlio dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna del debitore, che ne aveva accertato l’obbligo di pagamento di rilevanti somme a favore del creditore).” (Cass. civ., sez. III, 22-08-2007, n. 17867).
Inoltre: “In tema di azione revocatoria ordinaria non è richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso; tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell’atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, rilevandone la logicità e l’adeguatezza della relativa motivazione, con la quale, per un verso, era stato correttamente affermato che gravava sul debitore l’onere della prova della propria possibilità di garantire idoneamente il credito della banca che aveva agito in revocatoria per la declaratoria dell’inefficacia di una cessione di una quota parziale della nuda proprietà di un immobile effettuata dallo stesso debitore al coniuge e, per altro verso, aveva congruamente esposto, a riprova del consilium fraudis, una situazione paradigmatica di intesa tra i contraenti diretta a vanificare la garanzia del credito del terzo).” (Cass. civ., sez. III, 29-03-2007, n. 7767).
Con riferimento al periculum in mora si conferma la valutazione circa il rischio concreto che la disponibilità dei beni in capo alla S. possa consentire atti di disposizione tali da vanificare il positivo esperimento dell’azione revocatoria, di cui, alla luce della cognizione sommaria propria del giudizio cautelare, sussiste il fumus.
Il presupposto dell’azione revocatoria non è infatti ancorato necessariamente ad un danno concreto e attuale, ma che è sufficiente l’esistenza di un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, che determini una modifica in peius delle condizioni patrimoniali del debitore. In particolare è stato precisato che: “In tema di azione revocatoria, condizione essenziale della tutela in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità non è necessario che sussista già un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità.” (Cass. civ., sez. III, 17-07-2007, n. 15880).
Con riferimento al periculum in mora, deve rilevarsi come in sede di esecuzione del sequestro disposto con il decreto 9 febbraio 2012 il G. sia stato rilevato (in base alla dichiarazione di terzo ex art. 547 c.p.c.), che lo stesso, al momento del sequestro aveva depositi per € 875.000,00 e titoli per un valore di circa € 170.000,00. È singolare che lo stesso si sia spogliato di titoli per un ammontare pari ad € 1.070.000,00, cioè dell’esatta metà del suo patrimonio, proprio dell’imminenza della concessione di un decreto di sequestro, che, sebbene emanato inaudita altera parte, è pur sempre stato preceduto dalle dichiarazioni di fallimento della Go.fin s.p.a. e della Sasch s.p.a.
È pertanto evidente che le parti dell’atto di donazione dell’8 febbraio 2012 potessero ben avere il sospetto di un presumibile provvedimento cautelare che avrebbe potuto interessare anche gli amministratori delle società del gruppo Sasch, tra le quali, in primis, la controllante Go.fin s.p.a.
Un ulteriore elemento di periculum è costituito dal fatto che nella specie, trattandosi di titoli costituiti da CCT e BCC, i creditori non possono essere tutelati dalla trascrizione della domanda giudiziale di revocatoria, dal momento che la donazione da revocare non ha ad oggetto beni soggetti al regime della trascrizione. Ne consegue che l’unico strumento a tutela dei creditori è costituito proprio dal sequestro conservativo ex art. 2905, II comma, c.c.
La facilità con cui l’attuale titolare dei beni dell’atto oggetto di donazione può procedere alla loro alienazione, unitamente alle circostanze temporali nelle quali è stato compiuto tale atto, determinano l’opportunità di autorizzare il sequestro conservativo inaudita altera parte.
Alla luce di quanto esposto deve essere quindi accolta la richiesta della Curatela di emanare il provvedimento di sequestro ex art. 2905, II comma, c.c. dei beni oggetto dell’atto di notazione, a rogito del Notaio Lops, del giorno 8 febbraio 2012.
V. LE SPESE
Considerato che il provvedimento di sequestro ex art. 671 c.p.c. ha funzione conservativa e non anticipatoria, devono essere rimesse al merito le spese processuali in merito alle posizioni dei resistenti nei confronti dei quali viene confermato il sequestro.
La Curatela deve invece essere condannata a pagare le spese processuali sostenute dai resistenti nei confronti dei quali il sequestro viene revocato.
Nella specie deve essere applicato il decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 (pubblicato nella G.U. del 22 agosto 2012), entrato in vigore in data 23 agosto 2012, nonostante l’attività difensiva dei legali sia stata svolta antecedentemente all’entrata in vigore della nuova norma.
Tale soluzione è fondata su argomentazioni di tipo letterale e teleologico.
In primo luogo l’art. 41 stabilisce come disposizione transitoria: "Le disposizione di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore." Il tenore letterale della norma fa riferimento al momento in cui viene effettuata la liquidazione e non a quello in cui è svolta la singola attività.
In secondo luogo non c'è continuità, ma bensì rottura tra il nuovo sistema (basato su una liquidazione per fasi, v. art. 11) e quello precedente (fondato sulla distinzione tra diritti ed onorari), non è pertanto possibile applicare nell'ambito di una stessa liquidazione un criterio fino ad una certa data e poi un criterio diametralmente opposto.
Con riferimento al procedimento cautelare l’art. 7 del regolamento 1 agosto 2012 stabilisce che: “Fermo quanto specificatamente disposto dalla tabella A – Avvocati, nei procedimenti cautelari ovvero speciali ovvero non contenziosi anche quando in camera di consiglio o davanti al giudice tutelare, il compenso viene liquidato per analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti, ferme le regole e i criteri generali di cui agli articoli 1 e 4.”
Le spese della presente fase vengono pertanto calcolate applicando lo scaglione più alto, applicando € 5.400,00 per la fase di studio e la fase introduttiva, € 5.400,00 per la fase istruttoria ed € 3.375,00 per la fase decisoria, per un totale di € 14.175,00, che deve essere liquidato in favore di ciascuno dei resistenti nei confronti dei quali viene revocato il sequestro.
Le spese di c.t.u. vengono poste a provvisorio carico solidale di tutte le parti, ad eccezione di G. G., R. C., G. G. e C. M..
Si dispone infine che la c.t.u. venga trasmessa unitamente a copia del presente provvedimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato.
P.Q.M.
in parziale modifica e revoca del decreto emesso in data 9 febbraio 2012,
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 39.654.692,62 nei confronti di A. R.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 34.667.558,00 nei confronti di R. C.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 39.654.692,62 nei confronti di G. G.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 39.654.692,62 nei confronti di G. C.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 39.654.692,62 nei confronti di C. C.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 39.654.692,62 nei confronti di E. R.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 39.654.692,62 nei confronti di G. L.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 6.281.000,00 nei confronti di B. T.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 11.038.869,00 nei confronti di M. P.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 33.373.692,62 nei confronti di A. V.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 33.373.692,62 nei confronti di F. V.;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 33.373.692,62 nei confronti di L. P.;
revoca il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari autorizzato nei confronti di G. G. in data 9 febbraio 2012;
conferma il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari per la minor somma di € 6.281.000,000 nei confronti di G. G.;
revoca il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari autorizzato nei confronti di G. G. con decreto emesso il 9 febbraio 2012;
revoca il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari autorizzato nei confronti di C. M. con decreto emesso il 9 febbraio 2012;
revoca il sequestro conservativo di beni immobili, mobili, crediti, titoli di credito, partecipazioni sociali, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari autorizzato nei confronti di R. C. con decreto emesso il 9 febbraio 2012;
conferma il decreto di sequestro ex art. 2905, II comma, c.c. emesso nei confronti di M. S. in data 5 marzo 2012;
ordina alle Agenzie del Territorio competenti di procedere alla cancellazione delle trascrizioni relative ai sequestri eseguiti nei confronti di G. G., G. G., R. C., C. M., in attuazione del decreto 9 febbraio 2012;
condanna la Curatela del Fallimento Sasch s.p.a. a pagare a C. M., R. C., G. G., G. G. le spese del presente procedimento che si liquidano per ciascuno di essi in € 14.175,00, oltre accessori di legge;
spese al merito per gli altri resistenti;
spese di c.t.u. a provvisorio carico solidale di tutte le parti, ad eccezione di G. G., R. C., G. G. e C. M.;
dispone la trasmissione di copia del presente provvedimento, nonché della c.t.u. del dr. B. (con i relativi allegati), alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato.
Si comunichi.
Prato, 14 settembre 2012.
Il Giudice
dott. RAFFAELLA BROGI