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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/09/2022
La questione della liceità del mutuo solutorio: l'attuale contrasto nella giurisprudenza di legittimità in un percorso evolutivo dalla fine degli anni 90
Luca Mongiello, Avvocato in BolognaSommario: 1. Introduzione: l’attuale contrasto sulla legittimità del mutuo solutorio nella giurisprudenza della Suprema Corte dopo oltre 25 anni di contrapposizioni 2. Gli orientamenti giurisprudenziali meno recenti: il mutuo solutorio quale contratto simulato e la nullità per motivo illecito comune alle parti3. Il superamento del mutuo solutorio quale contratto simulato o nullo per motivo illecito comune ad entrambe le parti: la qualificazione di “procedimento negoziale indiretto” e le pronunce Cassazione Civile 29 febbraio 2016, n. 3955 e 22 febbraio 2021 n. 4694 4. Il mutuo solutorio quale mera dilazione di pagamento del debito preesistente o pactum de non petendo5. La liceità del mutuo solutorio: la continuità con l’orientamento giurisprudenziale del procedimento negoziale indiretto e le argomentazioni di Cassazione Civile 25 luglio 2022, n. 23149. 6. Brevi riflessioni conclusive.
1. Introduzione: l’attuale contrasto sulla legittimità del mutuo solutorio nella giurisprudenza della Suprema Corte dopo oltre 25 anni di contrapposizioni
In data 25 luglio 2022 è stata pubblicata la sentenza Cassazione Civile Sez. 3, n. 23149 nella quale la Suprema Corte ha affermato con dovizia di argomentazioni che il contratto di mutuo solutorio è da considerarsi ex se legittimo[1].
Nella pratica la stipulazione di tale tipologia di contratto rientra tra le operazioni finalizzate alla garanzia dei crediti pregressi. Infatti, si addiviene alla conclusione di un mutuo avente natura solutoria quando una banca o un istituto di credito concedono ad un proprio debitore un prestito garantito con il quale quest’ultimo provvede all’estinzione della precedente esposizione debitoria.[2]
La decisione suscita interesse dal momento che in merito alla questione della liceità del mutuo solutorio il supremo consesso indica esplicitamente la sussistenza di due orientamenti giurisprudenziali al suo interno diametralmente opposti; l’uno, infatti, afferma che tale contratto non è nullo ed è da considerarsi legittimo mentre l’altro prevede che tale figura negoziale non è un contratto autonomo ma una dilazione di pagamento o pactum de non petendo ad tempus.[3]
In realtà, non è la prima volta che si verifica una contrapposizione tra pronunce di legittimità in relazione a tale figura contrattuale; contrapposizioni sono emerse sin dalla prima metà degli anni 90.
2. Gli orientamenti giurisprudenziali meno recenti: il mutuo solutorio quale contratto simulato e la nullità per motivo illecito comune alle parti
La Corte di Cassazione si è pronunciata in riferimento soprattutto a fattispecie in cui esercenti attività di impresa gravati da debiti nei confronti di banche e istituti di credito concludevano con i medesimi contratti di mutuo ipotecario e la somma concessa veniva utilizzata per il ripianamento delle posizioni debitorie preesistenti. Quando gli stessi venivano dichiarati falliti sorgevano contrasti in merito all’ammissibilità al passivo dell’importo mutuato e l’applicabilità dell’azione revocatoria alla garanzia.
Un primo indirizzo, formatosi tra la prima metà degli anni 90 e il primo decennio del terzo millennio, aveva affermato che in caso di accertamento in sede processuale che le parti non avevano voluto concludere un mutuo ma garantire debiti preesistenti attraverso lo stesso, il contratto era da considerarsi parzialmente simulato e inefficace tra le parti.[4]
Un secondo indirizzo, contemporaneo a quello sopra menzionato, aveva ritenuto che il mutuo solutorio era da ritenersi nullo per motivo illecito comune ad entrambe le parti perché finalizzato a sostituire il preesistente debito di natura chirografaria con uno assistito da garanzia e violare così la par condicio creditorum.
Secondo entrambi gli indirizzi il ravvisare nella fattispecie un fenomeno simulatorio o un motivo illecito comune ad entrambe le parti comporta la conseguenza dell’assoggettabilità della garanzia all’azione revocatoria e dell’inammissibilità al passivo della somma mutuata.
Tuttavia, tali orientamenti non tenevano conto di due questioni spinose. In primo luogo, non veniva ammesso al passivo un credito comunque esistente tra la banca e il debitore fallito: infatti, dall’inefficacia del contratto tra le parti o dalla dichiarazione di nullità consegue in ogni caso che il debitore deve restituire la somma mutuata al mutuante. A ciò si aggiunga che la declaratoria di inefficacia per simulazione risulta impossibile nel momento in cui viene processualmente accertato che nel caso concreto le parti avevano effettivamente voluto concludere un contratto di mutuo e ridefinire attraverso il medesimo i propri rapporti economici e giuridici. L’operazione, pertanto, in tale ipotesi sarebbe da considerarsi perfettamente lecita e non potrebbe essere sanzionata; in caso di dichiarazione di fallimento, il credito potrebbe essere ammesso al passivo e alle garanzie non sarebbe applicabile l’azione revocatoria.
Tali indirizzi giurisprudenziali e le problematiche sopracitate vennero superati dalla Suprema Corte qualificando il mutuo solutorio come “procedimento negoziale indiretto”.
3. Il superamento del mutuo solutorio quale contratto simulato o illecito per motivo comune ad entrambe le parti: la qualificazione di “procedimento negoziale indiretto” e le pronunce Cassazione Civile 29 febbraio 2016, n. 3955 e 22 febbraio 2021 n. 4694
Gli orientamenti summenzionati e le difficoltà che ne discendevano vennero superate dalla Suprema Corte qualificando il mutuo solutorio come “procedimento negoziale indiretto”. I due provvedimenti che ne hanno segnato il definitivo superamento sono le pronunce Cassazione Civile 29 febbraio 2016, n. 3955 e 22 febbraio 2021 n. 4694.[5]
Secondo tali pronunce la stipulazione di un contratto di mutuo solutorio garantito non integra necessariamente né che le parti abbiano voluto porre in essere una simulazione finalizzata alla dissimulazione di una garanzia per il debito già esistente né che le stesse abbiano deciso di sostituire il precedente debito chirografario con uno accompagnato da garanzia. Può, invece, configurarsi un procedimento negoziale indiretto nel cui ambito l’importo concesso a mutuo viene effettivamente erogato ed utilizzato per l’estinzione del precedente debito chirografario.
Questa soluzione interpretativa va oltre i problemi emersi con i precedenti orientamenti giurisprudenziali. Resta ferma, infatti, l’applicabilità dell’azione revocatoria alla garanzia perché la banca creditrice impiega il contratto di mutuo per la ristrutturazione di un passivo diverso e, finanche, a tutta l’operazione in quanto finalizzata al pagamento con mezzi anormali della precedente obbligazione; inoltre, dal momento che la somma concessa a mutuo non viene utilizzata per la sostituzione di un debito chirografario con uno garantito ma viene effettivamente concessa e consegnata per ripianare la precedente esposizione debitoria, l’importo prestato risulta essere ammissibile al passivo fallimentare seppur in chirografo e non in privilegio.
Con la qualificazione del mutuo solutorio come procedimento negoziale indiretto la Suprema Corte dichiarava definitivamente superati i precedenti orientamenti giurisprudenziali.[6] Ciononostante in seno alla medesima si è formata l’attuale contrapposizione tra l’indirizzo che sancisce la liceità del contratto di mutuo solutorio e quello che afferma la sua natura di pactum de non petendo ad tempus.
4. Il mutuo solutorio quale mera dilazione di pagamento del debito preesistente o pactum de non petendo ad tempus
Dopo aver dichiarato superato il contrasto giurisprudenziale esaminato poc’anzi, è sorto in seno alla giurisprudenza di legittimità una nuova contrapposizione in merito alla legittimità del contratto di mutuo solutorio e in questo contesto si inserisce la sentenza Cassazione Civile 25 luglio 2022, n. 23149. Un recente orientamento, infatti, afferma che il mutuo solutorio è una mera dilazione del pagamento di un debito preesistente o pactum de non petendo ad tempus e non un contratto autonomo.
Le decisioni della Suprema Corte in tal senso giungono a tale conclusione partendo dall’analisi della struttura contrattuale del mutuo. La stipulazione del contratto di mutuo prevede che vi sia la consegna della somma di denaro mutuata dal mutuante al mutuatario. L’utilizzo di una somma concessa da una banca o un istituto di credito già creditori per il ripianamento di un’esposizione debitoria pregressa nei confronti dei medesimi comporterebbe la mancata consegna del denaro al mutuatario. Dal momento che l’importo oggi viene accreditato sul conto corrente l’operazione si ridurrebbe ad avere esclusivamente natura contabile e non ci sarebbe né un effettivo trasferimento della somma al debitore né tale somma entrerebbe nella sua disponibilità; la posizione debitoria continua, pertanto, ad esistere e con la stessa viene a concretizzarsi un pactum de non petendo ad tempus dal momento che l’unico effetto conseguito dalle parti è quello del differimento della prestazione dovuta.[7] Nella sostanza il contratto di mutuo solutorio sarebbe da considerarsi invalido per difetto di causa.[8]
Le conseguenze di tali conclusioni sono quelle per cui lo stesso non costituisce un titolo idoneo ad essere posto da solo a fondamento della domanda di ammissione al passivo per la restituzione della somma mutuata in caso di dichiarazione di fallimento e non può essere utilizzato per procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore. In ordine alla prima delle indicate conseguenze la modifica convenzionale della scadenza dell’obbligazione non ne comporta la nascita di una nuova mentre, in ordine alla seconda, non è possibile procedere all’esecuzione forzata dal momento che il titolo dal quale scaturisce il credito è il contratto precedentemente concluso e non il mutuo solutorio.
5. La liceità del mutuo solutorio: la continuità con l’orientamento giurisprudenziale del procedimento negoziale indiretto e le argomentazioni di Cassazione Civile 25 luglio 2022, n. 23149
Come anticipato all’inizio del contributo la sentenza Cassazione Civile 25 luglio 2022, n. 23149 suscita interesse. Questo perché non solo in essa è stata sancita la legittimità ex se del mutuo solutorio ma anche per il fatto che la questione è stata affrontata in un’ottica differente rispetto al passato e la Suprema Corte con dovizia di argomentazioni dichiara di voler prendere le distanze dall’orientamento che qualifica tale tipologia di mutuo come pactum de non petendo ad tempus.
Una banca aveva concesso ad un proprio correntista, già suo debitore, un mutuo ipotecario e la somma concessa era stata contestualmente imputata a ripianamento della precedente esposizione debitoria. Il mutuatario non aveva tuttavia restituito la somma alla creditrice la quale, aveva ceduto il credito ad una terza società che aveva iniziato l’esecuzione forzata nei confronti degli eredi del debitore che nelle more era deceduto.
Alle doglianze dei ricorrenti che affermavano la nullità del contratto di mutuo solutorio la Suprema Corte, ponendosi in continuità con l’orientamento di Cassazione Civile 29 febbraio 2016, n. 3955 e 22 febbraio 2021 n. 4694, risponde che tale contratto ex se non deve essere considerato nullo. In particolare:
- il contratto di mutuo solutorio non è contrario a norme di legge ed è conforme all’ordine pubblico pagare i propri debiti;[9]
- esistono fattispecie tipiche in cui si prevede l’erogazione di mutui e finanziamenti per l’estinzione di posizioni debitorie nei confronti dello Stato, ragion per cui non è possibile dichiarare la nullità di una operazione consentita dalla legge.[10] Inoltre, il ricorso al credito per la ristrutturazione dei debiti è previsto dalla normativa vigente che a mezzo del diritto fallimentare;[11]
- il ripianamento delle passività costituisce una possibile modalità di impiego di una somma concessa a mutuo;[12]
- il contratto di mutuo solutorio è da considerarsi nullo o revocabile esclusivamente quando nasconde un atto in frode ai creditori o un mezzo anomalo di pagamento. La violazione di una norma imperativa non dà necessariamente luogo a nullità del contratto.[13]
Subito dopo il Supremo Consesso specifica le motivazioni per cui prende le distanze dall’orientamento che qualifica il mutuo quale “pactum de non petendo ad tempus:
- la conclusione di un contratto di mutuo comporta l’obbligo per il mutuante di consegnare la cosa mutuata giuridicamente e non fisicamente, ragion per cui è sufficiente l’accredito sul conto corrente.[14] Peraltro, la consegna della somma di denaro all’acquirente poteva avvenire esclusivamente attraverso quest’ultima modalità in ottemperanza a quanto previsto dalla disciplina normativa sul limite di utilizzo del contante;[15]
- non è condivisibile dedurre che con la conclusione del contratto di mutuo solutorio non vi è spostamento di denaro; l’utilizzo di denaro ricevuto a mutuo per l’estinzione di un debito nei confronti del mutuante comporta un depauperamento del patrimonio del mutuatario;
- non è possibile ridurre il mutuo solutorio ad una partita contabile dal momento che la moneta elettronica riduce ogni spostamento di denaro ad un’annotazione contabile;[16]
- la tesi del pactum de non petendo ad tempus non è sostenibile quando il mutuo concesso al debitore ai fini dell’estinzione fosse soggetto a regole differenti rispetto ad interessi, accessori e mortifica la libertà negoziale delle parti.
È evidente che la giurisprudenza della Suprema Corte, pur ponendosi in continuità con l’orientamento che qualifica il mutuo solutorio come procedimento negoziale indiretto, si è evoluta rispetto allo stesso. Infatti, mentre nelle precedenti sentenze non era stato affermato che il contratto di mutuo solutorio fosse lecito ex se e che nei confronti dello stesso avrebbe dovuto essere azionato il rimedio dell’azione revocatoria. Con la decisione in commento, a prescindere dalle ulteriori argomentazioni poste a sostegno, emerge che rientra nella libertà negoziale delle parti concludere contratti di mutuo solutorio quali mezzi di ristrutturazione atipici.
6. Brevi riflessioni conclusive
Cassazione Civile 25 luglio 2022, n. 23149 si inserisce in un percorso evolutivo posto in essere a partire dagli 90 fino ad oggi. Dall’affermazione dell’inefficacia o la nullità del mutuo solutorio, rispettivamente, per simulazione o motivo illecito comune ad entrambe le parti si è giunti oggi ad affermare nella pronuncia in commento che la sua conclusione rientra nella libertà negoziale delle parti. La presenza dell’attuale contrasto giurisprudenziale fa pensare che tale percorso proseguirà. Tuttavia, anche oggi la conclusione di tali contratti non è da considerare tra le operazioni ordinarie: infatti, il debitore che stipula un mutuo solutorio nella maggior parte dei casi si trova in uno stato di bisogno e può sempre domandare la rescissione del contratto. Resta, inoltre, ferma l’applicabilità dell’azione revocatoria in caso di dichiarazione di fallimento.
[1] Per una panoramica sulle problematiche conseguenti alla conclusione del contratto di mutuo solutorio si veda S. PAGLIANTINI, Il mutuo fondiario solutorio e l’ambaradan delle categorie civilistiche, in Il Corriere Giuridico n. 7, 1 luglio 2016, pag. 952.
[2] Solitamente banche ed istituti di credito provvedono a stipulare mutui solutori con i propri debitori per garantire posizioni debitorie pregresse non sufficientemente garantite. La concessione della somma viene accompagnata da forme di garanzie quali, ad esempio, l’ipoteca sui beni immobili di proprietà del debitore. Sul punto cfr. Cass. 25 luglio 2018, n. 19746, con nota di A. PISAPIA, Mutuo fondiario, estinzione di un precedente debito e revoca della garanzia ipotecaria, in I Contratti, 1 maggio 2019, pag. 297; C.M. TARDIVO, Il credito fondiario nella nuova legge bancaria, in Quaderni di banca, borsa e titoli di credito, Giuffrè, 2006, pag. 110.
[3] In merito a tale contrasto giurisprudenziale si veda C. COLOMBO, Mutuo o pactum de non petendo ad tempus? Oscillazioni della Suprema Corte sulla natura giuridica delle operazioni di ripianamento di pregresse esposizioni debitorie mediante la concessione di nuovo credito, in Il Corriere Giuridico n. 11, 1 novembre 2021, p. 1330.
[4] Cfr. Cass. 22 marzo 1994, n. 2742, 19 novembre 1997, n. 11495, 20 marzo 2003, n. 4069, 7 marzo 2007, n. 5265. Cfr. R. CAFARO, P. PAGLIARO, Il contratto di mutuo, 2008, Giuffrè, pagg. 15-16.
[5] La qualificazione del mutuo solutorio come “procedimento negoziale indiretto” era già stata posta a fondamento di alcune decisioni di merito. Tuttavia, a differenza delle conclusioni di Cass. Civ. 29 febbraio 2016, n. 3955 e 22 febbraio 2021 n. 4694 viene affermato che il mutuo solutorio viene concluso per la sostituzione di un precedente credito chirografario con uno munito di privilegio. Si vedano, in particolare, le sentenze del Tribunale di Nola del 18 giugno 2008 e del Tribunale di bari del 18 febbraio 2008 nelle quali i giudici avevano affermato che nel caso di un mutuo fondiario indirizzato a realizzare l’estinzione di un pregresso rapporto obbligatorio chirografario intercorrente tra la banca mutuante e il soggetto mutuatario, la fattispecie non integra quella del negozio simulato, quanto un vero e proprio procedimento indiretto, realmente voluto dalle parti al fine di garantire il mutuante, attraverso la sostituzione di un precedente credito chirografario con un credito munito di causa di prelazione, dal rischio della dichiarazione di fallimento del mutuatario.
[6] Si riporta quanto affermato in Cass. Civ. 22 febbraio 2021, n. 4694 nella parte in cui vengono dichiarati espressamente superati gli orientamenti giurisprudenziali che avevano delineato il mutuo solutorio quale fattispecie simulatoria o novativa: “Risulta pertanto superato il precedente indirizzo che, ravvisando nella fattispecie in esame un fenomeno simulatorio (caratterizzato dalla circostanza che le somme erogate non erano destinate a procurare un’effettiva disponibilità al mutuatario) o un accordo negoziale contraddistinto da un motivo illecito comune (consistente nello intento di ledere la par condicio creditorum), perveniva alla duplice conclusione della revocabilità della garanzia, in quanto costituita per un debito preesistente e, in caso di fallimento, dell’impossibilità di ammettere al passivo il credito della banca [..]: si è infatti osservato che l’ammissione al passivo della somma mutuata risulta incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché in tal caso la revoca dell’intera operazione comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che all’inefficacia del contratto conseguirebbe pur sempre la necessità della restituzione, sia pur in moneta fallimentare [..]”.
[7] Cfr. Cass. Civ. 5 agosto 2019 n. 20896 e 5 gennaio 2021 n. 1517.
[8] Per un approfondimento sul punto si veda E. BACCIARDI, Mutuo solutorio e causa concreta del contratto in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 4, 1 luglio 2020, pag. 294.
[9] L’art. 2740 c.c. prevede che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Pertanto, il creditore, qualora il debitore non adempia alle proprie obbligazioni, potrà ricorrere all’estrema soluzione dell’esecuzione forzata sul patrimonio del debitore. La facoltà concessa dall’ordinamento al creditore di procedere ad iniziative di natura esecutiva sul patrimonio debitore comporta la conseguenza per cui il pagamento dei propri debiti è principio di ordine pubblico finalizzato alla garanzia del vincolo discendente dall’obbligazione e alla tutela del credito e dell’economia. Cfr. sul punto V. ROPPO, La responsabilità patrimoniale del debitore in P. RESCIGNO, Trattato di diritto privato, Utet, 1997, pagg. 485 ss. e 508 ss.
[10] Si vedano l’art. 2 L. 8 agosto 1977, n. 546 sulla ricostruzione delle zone della Regione Friuli – Venezia Giulia e della Regione Veneto, l’art. 43 D.L. 18 novembre 1966, n. 976, convertito dalla L. 23 dicembre 1966, n. 1142, in materia di interventi e provvidenze per la ricostruzione e per la ripresa economica nei territori colpiti da alluvioni e mareggiate dell’autunno 1966 e l’art. 16 R.D.L 15 aprile 1926, n. 765 in materia di tutela e sviluppo dei luoghi di cura, di soggiorno o di turismo.
[11] Cfr. sul punto Cass. Civ. 22 febbraio 2021, n. 4694 nella quale si legge: “(..) premesso infatti che il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo degli artt. 182bis e 182quater della legge fall. consente di rinegoziare i finanziamenti bancari nei riguardi dei debiti scaduti (..)”.
[12] Cfr. Cass. Civ. 30 novembre 2021 n. 4694.
[13] Cfr. Cass. Civ. 30 novembre 2021 n. 4694, 31 ottobre 2014 n. 23158, 11 ottobre 2013 n. 23158, 4 ottobre 2010 n. 20756.
[14] Tale principio è pacifico nella giurisprudenza di legittimità. Da ultimo è stato anche ribadito nella giurisprudenza di merito in Trib. Milano 17 febbraio 2021 n. 1419.
[15] Nel nostro ordinamento da anni vengono emanati provvedimenti che pongono limiti di importi per l’utilizzo del denaro contante nelle transazioni economiche, ragion per cui la consegna del denaro deve avvenire necessariamente in moneta elettronica quando viene concluso, come nel caso di specie, un contratto di mutuo per un importo superiore. Da ultimo il D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, ha imposto per l’anno 2022 il limite all’utilizzo del contante entro la somma di € 2.000,00.
[16] Cfr. Cass. Civ. del 3.12.2021 n. 38331.