Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/09/2007 Scarica PDF
La non adeguatezza delle operazioni di investimento
Paolo Fiorio, Avvocato in TorinoSOMMARIO: 1.
Premessa - 2. I doveri prodromici e strumentali alla suitability rule - 3. La
Know your customer rule - 4. L'ambito di applicazione dell'art. 29 Reg. Consob
- 5. Le fattispecie di non adeguatezza: la non adeguatezza per frequenza
(churring) -6. La non adeguatezza per dimensioni - 7. La non adeguatezza per
oggetto e tipologia - 8. L'obbligo di astenersi dall'effettuare operazioni non
adeguate - 9. La segnalazione di non adeguatezza - 10. Dovere di curare gli
interessi del cliente ed autorizzazione scritta - 11. La l. 262/2005 e
l'attuazione della Direttiva Mifid - 12. Gli obiettivi della Direttiva MIFID -
13. La suitability rule nelle Direttive 2004/39/CE e 2006/73/CE - 14.
Conclusioni: il recepimento della Direttiva ed i margini di discrezionalità del
legislatore nazionale
1. Premessa
Ogni operazione di investimento di natura finanziaria consiste nello scambio di
una prestazione certa, il trasferimento di una somma di denaro, con bene
futuro, rappresentato per lo più da una posizione contrattuale, dal valore
difficilmente conoscibile e soggetto ad un determinato livello di rischio[1].
Ogni attività finanziaria è quindi detenuta in funzione del rapporto tra il
rendimento che può offrire ed il rischio a cui espone l'investitore[2].
Partendo dalla considerazione per cui ogni investitore razionale è avverso al
rischio, si giunge ad affermare che tale soggetto a parità di rendimento
sceglierà l'investimento meno rischioso e a parità di rischio quello più
redditizio[3].
La scelta tra differenti opportunità di investimento è quindi essenzialmente un
problema di raccolta e di valutazione di informazioni, ovvero di ogni dato
sullo strumento finanziario, sul suo emittente o sull'economia nel suo
complesso che consentano una valutazione del rapporto tra rischio e
rendimento[4].
La difficoltà di raccogliere e comprendere tali informazioni può minare
l'efficienza dei mercati finanziari e condurre alla paralisi degli scambi[5].
In assenza delle informazioni necessarie gli investitori razionali, sono
portati ad allontanarsi dai mercati, e a evitare operazioni potenzialmente
dannose di cui sia difficile valutarne la rischiosità. Qualora l'investitore si
rivolga invece ai mercati finanziari in maniera inconsapevole, lo scambio tra
danaro e strumenti finanziari avviene a condizioni subottimali che, non
bilanciando adeguatamente rischio e rendimento, possono esporre i risparmiatori
a perdite inconsapevoli o a rendimenti inferiori al livello ottimale.
In considerazione del fatto che le informazioni finanziarie sono complesse e
costose, nei rapporti di intermediazione finanziaria le imprese di investimento
posseggono frammenti informativi diversi e superiori rispetto a quelli a
disposizione degli investitori[6]. In questa situazione la distribuzione
asimmetrica dell'informazione può ulteriormente disincentivare gli scambi o
determinare scambi inefficienti, causando il problema della selezione avversa
(adverse selection) o del rischio morale (moral hazard)[7]. La prima
situazione, che attiene al momento precedente la conclusione del contratto, si
verifica allorché una delle parti non fornisca all'altra informazioni rilevanti
di cui sia in possesso; la seconda, successiva alla conclusione dell'accordo, si
ha invece quando l'investitore non sia in grado di verificare l'attendibilità
delle informazioni fornitegli nel corso del rapporto e la correttezza
dell'operato dell'intermediario.
Per assicurare al sistema il livello di efficienza che lo stesso non riesce a
realizzare autonomamente sulla base delle semplici dinamiche concorrenziali, in
tutti i principali ordinamenti la prestazione dei servizi di investimento è
soggetta ad una disciplina dell'informazione diversa e più intensa rispetto a
quella prevista per la generalità dei rapporti contrattuali, la cui funzione è
principalmente da individuarsi nell'obiettivo di consentire un corretto
funzionamento del mercato[8].
Il problema dell'asimmetria informativa è affrontato nel nostro ordinamento
attraverso due principali strumenti[9]: la riserva delle attività di
investimento ad operatori professionali soggetti a vigilanza pubblica e la
previsione di una serie di regole che garantiscano la correttezza e la
completezza dell'informazione.
I doveri di informazione imposti all'intermediario rappresentano infatti la
chiave di volta della disciplina dei servizi di investimento e caratterizzano
tali rapporti come fiduciari. Per ottenere un seppur parziale riequilibrio tra
intermediario e risparmiatore i rapporti contrattuali tra tali soggetti si
allontanano dallo struttura antagonista che contrappone due controparti[10] e
si inseriscono nello schema dei rapporti di cooperazione e di collaborazione in
cui la parte geneticamente dotata del miglior bagaglio informativo deve agire
non solo secondo le clausole generali di diligenza, correttezza e trasparenza,
ma deve curare gli interessi del cliente disinformato e bisognoso di protezione[11].
Questi principi sono oggi esplicitati all'art. 21 t.u.f. che prevede che gli
intermediari devono ««comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza,
nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati»» (lett. a) e
««acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi
siano sempre adeguatamente informati»» (lett. b). Il carattere fiduciario del
rapporto intermediario-cliente[12] trova un'ulteriore importante specificazione
all'art. 29 Reg. Consob 11522/98 che disciplina i doveri di condotta in caso di
operazioni non adeguate, imponendo all'intermediario una valutazione tra
il rendimento ed il rischio degli investimenti, da un lato, e l'avversione al
rischio dell'investitore dall'altro (c.d. suitability rule)[13].
La suitability rule rappresenta il caposaldo degli strumenti di tutela
dell'investitore in quanto, da un lato, presuppone l'adempimento di altri
importanti doveri di comportamento imposti agli intermediari ad essa prodromici
e strumentali, dall'altro, sintetizza gli strumenti di tutela di carattere
sostanziale ed il formalismo negoziale che in maniera ambivalente connotano la
disciplina della prestazione dei servizi di investimento[14].
La centralità del dovere di valutare l'adeguatezza delle operazioni di
investimento trova conferma nel costante ricorso all'art. 29 Reg. Cosnob da
parte della orami alluvionale giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sulle
operazioni di negoziazione dei titoli emessi da soggetti coinvolti nei noti
scandali finanziari succedutisi negli ultimi anni.
L'emergere di un vasto e frastagliato panorama giurisprudenziale su materie che
in precedenza giungevano solo raramente nei tribunali, fa sorge la necessità di
ricostruire il regime giuridico della suitability rule, per confrontare la
disciplina oggi vigente con le nuove regole previste dalla Direttiva MIFID
2004/39/CE che saranno a breve recepite nel nostro ordinamento e che
preannunciano decisive ed importanti modifiche.
2. I doveri prodromici e strumentali alla suitability rule
Un corretto e puntuale adempimento dell'obbligo informativo previsto dall'art.
29 t.u.f. richiede necessariamente il rispetto dei doveri comportamentali e
procedurali ad esso prodromici[15]. Si tratta essenzialmente della Know your
merchandise rule sancita all'art. 26 lett. e) Reg. Consob[16] che richiede
all'intermediario di acquisire adeguate informazioni sugli strumenti finanziari
negoziati e sui servizi di investimento prestati e della Know your customer
rule prevista all'art. 28, primo comma lett. a) Reg. Consob[17] ove si prevede
l'obbligo dell'intermediario di acquisire informazioni sulle caratteristiche
soggettive e sulla propensione al rischio del cliente. Adempiuti tali preliminari
obblighi di carattere comportamentale, la segnalazione dell'inadeguatezza delle
operazioni richiede l'adozione di idonee procedure interne che consentano
all'operatore addetto alla negoziazione di effettuare una valutazione
comparativa tra il rischio dell'operazione di investimento e l'avversione al
rischio dell'investitore[18]. La mancanza di tali procedure può infatti rendere
estremamente complesso, se non addirittura impossibile, il compito dell'addetto
alla negoziazione titoli il quale in un periodo di tempo limitato deve
effettuare difficili valutazioni in ordine alla rischiosità di un determinato
strumento finanziario, alla propensione al rischio dell'investitore ed alla
adeguatezza dell'operazione[19]. Come affermato recentemente da diverse decisioni
delle Corti d'Appello, chiamate a pronunciarsi in ordine alla legittimità delle
sanzioni amministrative inflitte dall'Autorità di vigilanza per la negoziazione
delle obbligazioni emesse dalla Cirio e dalla Repubblica Argentina, l'assenza
di un adeguato apparato procedurale lascia alla discrezionalità del singolo
operatore l'adempimento di un dovere complesso che questi può difficilmente
assolvere se non adeguatamente supportato dalla struttura imprenditoriale
dell'intermediario[20].
3. La Know your customer rule
Tra i doveri strumentali all'applicazione della suitability rule merita qualche
più approfondita considerazione la c.d. Know your customer rule prevista
all'art. 28, primo comma, lett. a) del Reg. Consob 11522/98 che ha introdotto
un dovere dell'intermediario di assumere informazioni dal cliente richiedendo
pertanto una sua necessaria collaborazione. Tale disposizione prevede infatti
che ««prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in
materia di investimenti e dell'inizio della prestazione dei servizi di
investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari
autorizzati devono: a) chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza
in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione
finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione
al rischio»». Mentre l'intermediario deve necessariamente richiedere
all'investitore tali informazioni, il cliente può rifiutarsi di fornirle. In
tale situazione, l'art. 28 Reg. Consob, per assicurare contemporaneamente un
rifiuto più consapevole del cliente e anche per facilitare l'onere della prova
dell'intermediario, prevede che tale rifiuto debba risultare dal contratto di
negoziazione o da un'apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore.
La Consob[21] ha precisato che il dovere in oggetto deve essere rispettato
prima che siano prestati i servizi d'investimento, di norma, nell'ambito di un
incontro personale e diretto con l'investitore, anche se le informazioni sul
cliente non possono limitarsi a quelle acquisite nella fase di compilazione
della scheda; l'intermediario deve infatti mantenerle aggiornate, tenendo anche
conto dell'operatività cliente e di ogni altra notizia di cui può venire in
possesso nell'esercizio della propria attività.
Tale principio è stato poi ulteriormente rafforzato dall'Autorità di
vigilanza[22], al cui indirizzo si è conformata in maniera pressoché unanime la
giurisprudenza di merito[23], che ha affermato che il rifiuto di fornire le
informazioni previste all'art. 28 Reg. Consob[24] non esime l'intermediario dal
dovere di valutare l'adeguatezza delle operazioni di investimento. L'art. 29,
secondo comma, Reg. Consob prevede infatti che nella valutazione di adeguatezza
delle operazioni di investimento «« gli intermediari autorizzati tengono conto
delle informazioni di cui all'articolo 28 e di ogni altra informazione
disponibile in relazione ai servizi prestati»». Qualora il cliente rifiuti di
fornire le informazioni richieste, l'intermediario dovrà quindi valutare la sua
propensione al rischio sulla base delle pregresse decisioni di investimento e
di ogni altra informazione di cui sia in possesso, quali l'età, il livello di
scolarizzazione, la capacità patrimoniale[25].
Problema inverso si può invece porre in quelle situazioni in cui le
informazioni rese dall'investitore non rispondano alle decisioni di
investimento pregresse in quanto, ad esempio, l'elevata o la ridotta
propensione al rischio dichiarata all'intermediario all'inizio del rapporto
risulti contraria al comportamento tenuto nelle decisioni di investimento
assunte. Anche in questi casi pare che il generale dovere di curare gli
interessi del cliente richieda da parte dell'intermediario la revisione della
profilatura del cliente, in assenza della quale l'effettivo comportamento
tenuto dall'investitore dovrà prevalere sulle astratte dichiarazioni rese,
magari in tempi lontani[26]. In caso contrario potrebbero anche verificarsi
abusi da parte del cliente che, sebbene intenzionato ad assumersi rischi
particolari, potrebbe dichiarare una bassa propensione al rischio di modo da
poter agire contro l'intermediario nel caso in cui l'esito degli investimenti
sia negativo.
4. L'ambito di applicazione dell'art. 29 Reg. Consob
La suitability rule, pur richiedendo in maniera particolarmente intensa una
valutazione delle caratteristiche soggettive dell'investitore, trova oggi
applicazione con riferimento a tutti i servizi di investimento prestati nei
confronti di qualsiasi investitore che non sia un operatore qualificato[27].
La nozione di operatore qualificato rilevante è oggi fornita dall'art. 31 Reg.
Consob ove sono ricomprese tre categorie di soggetti: gli intermediari finanziari[28],
le persone giuridiche che abbiano attestato per iscritto di essere ««in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in
strumenti finanziari»»[29], nonché le persone fisiche ««che documentino il
possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i
soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso
società di intermediazione mobiliare»».
Quanto invece all'ambito oggettivo di applicazione dell'art. 29 Reg. Consob si
è correttamente rilevato come tale regola operi sia con riguardo ai servizi di
investimento nei quali sia ravvisabile una discrezionalità dell'intermediario,
come ad esempio nel caso di contratti di gestione di portafogli di
investimento, sia in quelle situazioni in cui l'operazione avvenga su
istruzione del cliente, ovvero quando vengano prestati i servizi di
negoziazione per conto terzi o in conto proprio, di ricezione e di trasmissioni
di ordini, di mediazione[30].
Tale interpretazione pare corretta sia in considerazione del tenore letterale e
della sedes materiae della norma in esame, sia in ragione della natura e delle
finalità sottostanti ai doveri di informazione imposti agli intermediari nella
prestazione dei servizi di investimento. L'art. 29 Reg. Consob, oltre ad essere
inserito tra le disposizioni di carattere generale applicabili a tutti i
servizi di investimento, al primo comma prevede che ««gli intermediari
autorizzati si astengono dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni
non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione»» e al terzo comma
fa riferimento al caso in cui sia invece l'intermediario a ricevere
dall'investitore una disposizione per effettuare un'operazione non adeguata.
Quindi, se da un lato devono essere sicuramente ricompresi i servizi di
investimento di carattere discrezionale quali i contratti di gestione di
portafogli di investimento, in quanto gli unici in cui l'intermediario può
effettuare (autonomamente) operazioni di investimento per gli investitori, il
riferimento alle disposizioni ricevute da un investitore elimina ogni dubbio
circa l'applicabilità della norma anche alle operazioni eseguite nell'ambito di
un servizio di negoziazione.
Queste conclusioni sono confermate dall'orientamento giurisprudenziale e
dottrinale che, sottolineando che i doveri di condotta imposti agli
intermediari sono diretti ad eliminare o quantomeno a correggere le asimmetrie
informative che colpiscono l'investitore non sofisticato, ha ritenuto che anche
nei servizi di investimento di natura non discrezionale l'intermediario ha il
dovere di curare gli interessi sostanziali del cliente[31] ed è tenuto a
fornire un servizio di consulenza di carattere incidentale[32]. Anche in tali
casi il ruolo della banca non è quindi assolto con la mera supina ricezione e
trasmissione degli ordini di investimento[33].
5. Le fattispecie di non adeguatezza: la non adeguatezza per frequenza
(churring)
Il primo comma dell'art. 29 Reg. Consob prevede quattro distinte cause di non
adeguatezza: gli intermediari devono infatti astenersi dal compiere operazioni
non adeguate per oggetto, tipologia, frequenza o dimensione.
Mentre la non adeguatezza per oggetto, tipologia o dimensione attiene
essenzialmente alla qualità delle operazioni, e quindi all'alterazione del
livello di rischio prescelto dall'investitore, quella per frequenza riguarda la
loro quantità. Si tratta del c.d. churring, ben noto alla giurisprudenza ed
alla dottrina statunitense[34], ovvero del comportamento dell'intermediario,
che, in maniera irragionevole, e non rispondente agli interessi del cliente,
effettua uno spropositato numero di operazioni alla finalità di moltiplicare le
proprie commissioni di negoziazione.
Quindi, se le prime tre ipotesi di non adeguatezza (oggetto, tipologia e
dimensione) rientrano a pieno titolo nei doveri di informazione sul rischio
degli investimenti che l'intermediario è tenuto a rispettare ai sensi dell'art.
21, lett. b) t.u.f., l'esecuzione di operazioni non adeguate per frequenza può
essere ricompresa tra i comportamenti in cui sia ravvisabile una violazione del
dovere di agire nell'esclusivo interesse dei clienti e di assicurare un loro
equo trattamento ai sensi dell'art. 21, lett. c) t.u.f.. Se infatti di regola
l'applicazione delle commissioni di negoziazione non può di per sé integrare
un'ipotesi di conflitto di interessi, in quanto elemento essenziale
dell'attività posta in essere dall'intermediario[35], l'esecuzione di
operazioni di compravendita eccessiva dello stesso titolo o di titoli simili
che si riveli del tutto irragionevole per l'investitore, rappresenta un abuso
dei poteri gestori dell'intermediario il quale fa prevalere il proprio
specifico interesse a lucrare un compenso non giustificato. Il divieto di
compiere operazioni con una frequenza eccessiva presenta però particolarità che
lo contraddistinguono sia rispetto ai doveri riconducibili nell'ambito della
suitability doctrine, sia rispetto alla disciplina dei conflitti di interessi.
Da un lato, è infatti irrilevante il livello di rischio della singola
operazione nel senso che un'operazione può essere non adeguata per frequenza
anche se di per sé non espone l'investitore ad un rischio superiore a quello da
questi prescelto. Dall'altro le caratteristiche soggettive dell'investitore
possono rilevare per determinare se un'operazione sia non adeguata per
frequenza in quanto se per un investitore con una propensione al rischio media
e con obiettivi di investimento non aggressivi può essere inadeguata una
frequente attività di trading su un solo strumento finanziario, per un
investitore con una strategia di investimento particolarmente aggressiva,
connotata da repentini mordi e fuggi, l'eccessiva frequenza delle operazioni
può essere giustificata e può rientrare nelle strategie di investimento
necessarie per ottenere il rendimento atteso.
Sebbene l'art. 29 Reg. Consob trovi applicazione per tutti i servizi di
investimento, pare corretto che la regola in esame sia principalmente destinata
ad operare nei contratti di gestione patrimoniale, anche se non è da escludere
che la stessa si applichi anche in quelle situazioni nelle quali il servizio di
investimento, formalmente non discrezionale, sia prestato dall'intermediario
nei confronti di un cliente privo di qualsivoglia autonomia decisionale.
6. La non adeguatezza per dimensioni
Le altre fattispecie di non adeguatezza delle operazioni attengono invece alla
rischiosità degli investimenti sotto le differenti prospettive della loro
tipologia, dimensione ed oggetto.
In linea generale si può affermare che nel valutare l'adeguatezza di
un'operazione l'intermediario deve effettuare una comparazione tra il rischio
dello strumento finanziario e la propensione al rischio del cliente.
L'operazione è inadeguata quanto espone l'investitore ad un rischio non
conforme a quello che è disponibile a sopportare, modificando di conseguenza la
composizione del proprio portafoglio di investimento. Entrambe tali valutazioni
comportano giudizi complessi, spesso connotati da margini di discrezionalità in
capo all'intermediario.
La non adeguatezza delle operazioni per dimensioni è strettamene collegata alla
regola di diversificazione del portafoglio di investimento. Un'operazione di
dimensioni eccessive espone infatti l'investitore ad un rischio irrazionale non
solo nel caso in cui questi presenti un'elevata avversione al rischio, ma anche
qualora abbia manifestato una propensione al rischio elevata[36]. L'investitore
aggressivo razionale, tra diverse opportunità di investimento, anche a parità
di rischio, deve infatti suddividere le proprie risorse finanziarie in modo da
ridurre il rischio specifico connesso all'insolvenza dell'emittente o alla
perdita di mercato, ripartendo di conseguenza l'investimento in una pluralità
di strumenti finanziari che presentino il medesimo livello di rischiosità.
Tuttavia, in assenza di precisi indici normativi che indichino il livello
dimensionale oltre il quale un'operazione possa ritenersi inadeguata, si sono
registrate in giurisprudenza decisioni contrastanti e raramente supportate da
solide basi economico-finanziarie. In alcuni casi limite sono state ritenute
non adeguate operazioni che hanno comportato investimenti in titoli emessi
dalla Repubblica Argentina o dalla Cirio per importi compresi tra il 30% ed il
60% del portafoglio degli investitori[37]. Se tuttavia si escludono i casi di
palese violazione del dovere di diversificazione, si registrano contrasti
giurisprudenziali con riferimento a quelle operazioni di dimensione inferiore
al 30% del portafoglio dell'investitore, in alcuni casi ritenute adeguate[38],
in altri non adeguate[39].
I risultati ai quali è giunta la giurisprudenza possono far sorgere qualche
perplessità. La letteratura economica ritiene che una diversificazione che
possa consentire una riduzione del 90% del rischio di perdita debba prevedere
la ripartizione delle risorse in misura sostanzialmente equivalente in almeno
20 emittenti[40]. Secondo tale indirizzo l'investitore razionale non dovrebbe
quindi concentrare su di un solo titolo più del 5% del proprio portafoglio.
Tale soglia è del resto conforme alla disciplina secondaria, che per i fondi
comuni di investimento aperti, ha imposto quale limite alla concentrazione dei
rischi in strumenti finanziari di uno stesso emittente proprio il 5% delle attività
complessive del fondo[41].
Se è pur vero che la segnalazione della non adeguatezza comporta una
valutazione che non può basarsi su criteri rigidi e predeterminati, richiedendo
invece un'analisi del singolo caso ispirata principalmente alla valutazione
delle caratteristiche dell'investitore e del suo portafoglio di
investimento[42], non si può di per sé affermare che un investimento al di
sotto della soglia del 30% del portafoglio costituisca sempre un'operazione
adeguata e rispettosa del dovere di diversificazione. Dai divieti di
concentrazione imposti ai fondi comuni aperti si può chiaramente desumere che
l'investimento in uno stesso strumento finanziario in misura inferiore al 5%
rispetti il dovere di diversificazione, potendosi però anche presumere che gli
investimenti superiori siano non adeguati per dimensione. Presunzione che potrà
tuttavia essere superata dall'intermediario in quelle situazioni in cui la
ristrettezza del portafoglio di investimento renda più difficile una
diversificazione in almeno 20 emittenti, in quanto suscettibile di incrementare
in maniera eccessiva i costi per le commissioni di negoziazione. Qualora si sia
invece in presenza di un portafoglio di maggiori dimensioni il parametro del
5%, seppur non in maniera automatica ed assoluta, pare poter rappresentare il
limite superato il quale l'operazione deve ritenersi non adeguata.
7. La non adeguatezza per oggetto e tipologia
Una terza fattispecie di non adeguatezza riguarda l'oggetto o la tipologia
dell'investimento, ovvero il livello di rischio dello strumento finanziario o
del contratto di gestione individuale. Pur in assenza di specifici indici
normativi in tal senso, pare che la valutazione di non adeguatezza per oggetto
possa assumere connotati differenti a seconda che si tratti di servizi di
investimento di carattere discrezionale, come la gestione di portafogli
individuali, o di servizi non discrezionali, quali la negoziazione, la
ricezione e trasmissione di ordini.
Proprio con riferimento al servizio di negoziazione sono oramai molto numerose
le sentenze di merito che hanno applicato l'art. 29 Reg. Consob e che hanno
vagliato la non adeguatezza per oggetto dell'acquisto di obbligazioni ad alto
rischio quali i titoli Cirio ed Argentina. In linea generale la giurisprudenza
ha fondato la valutazione dell'adeguatezza dell'operazione attraverso un
raffronto tra il livello di rischio del titolo negoziato e la propensione al
rischio dell'investitore risultante dal portafoglio di investimento[43], da
valutarsi anche in considerazione delle sue caratteristiche soggettive quali
l'età, il livello di scolarizzazione, la situazione finanziaria[44]. Tale
criterio che all'apparenza pare ormai generalmente recepito dalla
giurisprudenza nasconde tuttavia notevoli problemi applicativi connessi alla
valutazione, demandata in un primo tempo all'intermediario, e successivamente
al giudice, del livello di rischio del titolo e della propensione al rischio
dell'investitore. La giurisprudenza prevalente pare oggi ritenere che tale
comparazione debba essere effettuata misurando la media propensione al rischio
dell'investitore desumibile al momento dell'operazione contestata[45] con il
grado di rischio degli strumenti finanziari negoziati, con la conseguenza che
un'operazione ad alto rischio deve essere ritenuta non adeguata per gli
investitori con una propensione al rischio bassa o media ed adeguata per gli
investitori con un elevato profilo di rischio[46]. Ne consegue che la presenza
nel portafoglio dell'investitore di titoli con un maggiore livello di rischio
non fa venire meno l'obbligo di segnalare la non adeguatezza dell'operazione
qualora il rischio medio assunto dall'investitore sia decisamente inferiore ad
alcune operazioni speculativie eventualmente effettuate[47].
Quanto invece alla gestione di portafogli di investimento, la valutazione di
adeguatezza può riguardare tanto il servizio in sé prestato, e quindi la scelta
di una determinata tipologia di gestione, quanto le singole operazioni concluse
nell'ambito di un contratto di gestione nel suo complesso adeguato alle
finalità di investimento del cliente.
La valutazione di adeguatezza delle caratteristiche della gestione non si
discosta da quella che l'intermediario è chiamato ad effettuare in occasione
dell'attività di negoziazione e di trasmissione degli ordini di
investimento[48]. Potrà così essere ritenuta non adeguata la scelta di una
gestione ad alto rischio perché completamente azionaria qualora il cliente
abbia manifestato una propensione al rischio bassa, mentre il medesimo contratto
potrà essere ritenuto conforme alle esigenze di un cliente con un'elevata
propensione al rischio.
Per quanto attiene invece all'esecuzione del contratto di gestione di
portafogli di investimento, il divieto di eseguire operazioni inadeguate
presenta diversi punti di contatto con il dovere di rispettare le istruzioni di
investimento che il cliente può impartire ai sensi dell'art.. 24 t.u.f, primo
comma, lett. b) e le caratteristiche della gestione che il contratto deve
specificare ai sensi degli artt. 37 e ss. del Reg. Conosb 11522/98[49]. La
valutazione di adeguatezza di una determinata operazione presuppone infatti che
la stessa possa essere posta in essere dal gestore sulla base delle istruzioni
del cliente e delle caratteristiche della gestione. Qualora l'intermediario non
rispetti i limiti del mandato, non si pone un problema di valutazione
dell'adeguatezza dell'operazione, ma di semplice inadempimento per violazione
delle istruzioni ricevute. La valutazione di adeguatezza delle operazioni potrà
invece operare con riferimento a quelle operazioni che, pur rientrando
astrattamente nei limiti imposti dal contratto, siano non adeguate in concreto
in quanto non rispondenti alla bassa propensione al rischio dell'investitore.
Si pensi ad esempio al caso in cui il contratto di gestione consenta l'acquisto
di una determinata tipologia di strumenti finanziari, che si riveli però in
concreto inadeguata alla propensione al rischio dell'investitore. In tali
situazioni, in ragione del fatto che la cura degli interessi del cliente non si
limita ad una singola operazione di investimento, riguardando invece la
gestione complessiva del portafoglio, la valutazione di adeguatezza della
singola operazione richiede un giudizio complessivo di congruità del
portafoglio che non può limitarsi alla singola operazione atomisticamente
considerata[50].
8. L'obbligo di astenersi dall'effettuare operazioni non adeguate
I doveri di condotta degli intermediari in caso di operazioni non adeguate si
snodano in due distinti obblighi comportamentali: da un lato, l'intermediario
deve astenersi dal porre in essere operazioni non adeguate, dall'altro, deve
segnalare al cliente la non adeguatezza dell'operazione da questi autonomamente
richiesta.
Il dovere di astensione, sancito al primo comma dell'art. 29 (««Gli
intermediari autorizzati si astengono dall'effettuare con o per conto degli
investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o
dimensione»») si configura differentemente a seconda che l'intermediario possa
agire in maniera discrezionale o sia vincolato agli ordini del cliente.
In caso di contratti di gestione personalizzata di portafogli di investimento
il divieto di porre in essere operazioni non adeguate ha una portata quasi
assoluta.
Quando al cliente non sia consentito impartire alcuna disposizione al gestore
questi deve operare perseguendo al meglio gli interessi dell'investitore,
astenendosi dal porre in essere operazioni non adeguate. Ogni operazione non
adeguata effettuata dal gestore è quindi un atto illecito che lo espone a
responsabilità o che può determinare la nullità delle operazioni, a seconda del
rimedio ritenuto applicabile.
L'unico caso in cui viene meno il divieto assoluto di compiere operazioni non
adeguate è ravvisabile qualora il contratto attribuisca all'investitore la
facoltà di impartire istruzioni vincolanti[51]. In questo caso, venendo meno la
discrezionalità del gestore, la valutazione di adeguatezza si sposta dal
momento della scelta dell'investimento a quello dell'informazione; l'intermediario
può quindi eseguire l'operazione qualora abbia adeguatamente informato il
cliente della sua non adeguatezza.
Quando il servizio di investimento prestato non consenta al gestore di operare
in maniera del tutto discrezionale, vuoi perché il contratto di gestione
consente all'investitore di impartire disposizioni vincolanti, vuoi perché i
servizi prestati sono quelli di negoziazione e di trasmissione degli ordini di
investimento, il nostro ordinamento non vieta all'investitore di effettuare operazioni
irragionevoli o comunque non adeguate al proprio profilo di rischio. Tale
divieto sarebbe infatti contrario al generale principio di libertà contrattuale
che nel settore degli investimenti in strumenti finanziari consente anche al
più piccolo ed inesperto risparmiatore di mettere a repentaglio l'intero
proprio patrimonio in operazioni ad elevato rischio. Il dovere di condotta
dell'intermediario di fronte a scelte di investimento irragionevoli o
inadeguate è tuttavia soggetto ad una specifica disciplina che, come si è
detto, tende a salvaguardare gli interessi del cliente attraverso strumenti di
tutela sostanziale e formale.
Una lettura combinata del primo e del terzo comma dell'art. 29 Reg. Consob
portano a ritenere che in queste situazioni la cura dell'interesse del cliente
imponga all'intermediario di non consigliare, offrire o proporre nell'ambito
delle attività di consulenza illustrativa o incidentale connesse ad ogni
servizio di investimento, operazioni non adeguate. Mentre infatti il primo comma
della norma in oggetto prevede un obbligo di astensione che mal si attaglia ai
servizi di negoziazione in quanto l'intermediario non può autonomamente
eseguire operazioni per conto del cliente, il terzo comma, prevedendo che i
doveri di informazione operano quando questi riceva da un investitore
disposizioni relative ad un'operazione non adeguata, non lascia dubbi circa il
fatto che anche ogni attività propositiva dell'intermediario sia in questi casi
contraria allo spirito della norma che vuole chiaramente evitare la
sottoscrizione di un ordine non adeguato su proposta dell'intermediario.
9. La segnalazione di non adeguatezza
Il dovere di informare il cliente della non adeguatezza dell'operazione si
compone di due distinti obblighi comportamentali imposti all'intermediario,
l'uno da adempiersi oralmente, l'altro per iscritto o mediante la registrazione
dell'ordine telefonico.
L'art. 29, terzo comma, prevede infatti che qualora il cliente impartisca un
ordine per un'operazione non adeguata, l'intermediario lo informi ««di tale
circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua
esecuzione»». Tale dovere, pur avvicinandosi all'obbligo di informare il
cliente della rischiosità di ogni singola operazione di investimento previsto
all'art. 28 secondo comma Reg. Consob, presenta alcune importanti peculiarità.
Mentre l'informativa richiesta dall'art. 28, secondo comma deve essere resa ad
ogni investitore indipendentemente dalla sua propensione al rischio[52], la
segnalazione di non adeguatezza, come si è detto, presuppone una più marcata
comparazione tra la rischiosità dell'investimento e la propensione al rischio
del cliente, e si estrinseca sostanzialmente nel consiglio dell'intermediario
di non effettuare l'operazione non adeguata.
La segnalazione scritta è invece necessaria laddove nonostante l'opera
dissuasiva dell'intermediario, l'investitore insista per effettuare
l'operazione non adeguata. In questo caso ««gli intermediari possono eseguire
l'operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero,
nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro
supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze
ricevute»».
La previsione di particolari requisiti di forma per gli atti posti in essere da
categorie di soggetti deboli e bisognosi di protezione è indubbiamente
riconducibile alla tendenza neoformalista del legislatore[53], già emersa negli
anni ottanta e rafforzatasi notevolmente nei decenni successivi principalmente in
conseguenza del recepimento delle direttive comunitarie nel settore della
protezione dei consumatori e degli utenti[54]. Proprio con riferimento alla
disciplina dei servizi di investimento, l'obbligo di segnalare per iscritto la
non adeguatezza delle operazioni si inserisce nel solco di quelle disposizioni,
presenti sia nel t.u.f.[55], sia nel Reg. Consob 11522/98[56] con le quali il
legislatore ha imposto la forma vincolata quale strumento per veicolare le
informazioni a protezione dell'investitore.
Se l'imposizione della forma scritta prevista per il contratto quadro di
investimento o per il contratto di gestione di portafogli di investimento funge
principalmente da veicolo del contenuto contrattuale e risponde alla funzione
di assicurare la trasparenza[57] e la conoscibilità delle pattuizioni
contrattuali non predisposte dal cliente[58], nel caso che ci occupa essa pare
assumere funzioni e connotati ulteriori. La segnalazione per iscritto della non
adeguatezza delle operazioni di investimento è uno strumento rafforzativo dei
doveri fiduciari di informazione diretti a tutelare la consapevolezza del
consenso prestato dal contraente in caso di decisioni pericolose, ed ha indubbi
riflessi sulla certezza della prova tanto a vantaggio dell'investitore, quanto dell'intermediario[59].
Individuata la funzione della forma scritta della segnalazione di non
adeguatezza nell'obiettivo di tutelare il cliente in presenza di operazioni
particolarmente rischiose, pare corretto quell'orientamento giurisprudenziale
che, a prescindere dal problema più generale della forma richiesta per gli
ordini di investimento[60], ritiene che la segnalazione di non adeguatezza
debba necessariamente rivestire le forme previste dall'art. 29 Reg. Consob[61],
con la conseguenza che l'intermediario non può provare per testimoni
l'adempimento di tale obbligo informativo[62]. La stessa lettera dell'art. 29
Reg. Consob lascia infatti chiaramente intendere come in tali situazioni il
legislatore non si accontenti di una semplice informativa orale, preoccupandosi
invece di individuare ben specifiche formalità informative, quale strumento
essenziale per assicurare un'adeguata ponderazione delle decisioni di
investimento.
Altro problema postosi all'attenzione della giurisprudenza di merito riguarda invece
il contenuto dell'informazione scritta, ed in particolare se sia sufficiente la
segnalazione in oggetto, priva però delle ragioni per le quali l'operazione
appare non adeguata. L'art. 29, terzo comma, Reg. Consob prevede infatti che
l'intermediario informi il cliente non solo della non adeguatezza
dell'operazione ma anche ««delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla
sua esecuzione»». In tali situazioni, come si è ricordato, l'operazione può
essere conclusa solo a seguito di un ordine scritto o telefonico registrato su
nastro magnetico ««in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze
ricevute»». Mentre parte della giurisprudenza ha ritenuto che le ragioni per le
quali l'operazione sia non adeguata possano essere oggetto di informativa
orale, e possano quindi essere provate per testimoni[63], l'orientamento
prevalente[64] afferma invece che la segnalazione scritta o la registrazione
dell'ordine telefonico debbano essere completi di tutte le informazioni, e
quindi anche delle ragioni per cui l'operazione è inadeguata[65].
L'orientamento più rigoroso sembra del resto corretto sulla base di due
considerazioni: da un lato, la lettera della norma, prevedendo che l'ordine
scritto contenga le ««avvertenze ricevute»», pare far riferimento a tutte le
informazioni che l'intermediario deve fornire oralmente e quindi anche alle
ragioni per le quali l'operazione appare non adeguata; dall'altro la stessa
previsione della forma scritta quale strumento per veicolare le informazioni e
per mettere in allerta l'investitore dei rischi dell'operazione richiede che
tale strumento informativo, seppur sintetico, sia completo ed esauriente,
perché le ragioni per le quali l'operazione è inadeguata possono essere
determinanti nelle decisioni degli investitori. Basti pensare al caso di un
investimento adeguato per oggetto, ma non per dimensioni, relativamente al
quale l'investitore adeguatamente informato può decidere di ridurre
l'investimento, decisione questa non sufficiente laddove invece l'investimento
sia inadeguato per oggetto e quindi radicalmente inadatto all'investitore,
indipendentemente dal suo ammontare.
La segnalazione di non adeguatezza, pur non richiedendo formule sacramentali,
deve quindi esprimere in maniera riassuntiva il complesso delle informazioni
fornite all'investitore oralmente in maniera più ampia e dettagliata, ed in
particolare l'avvertimento per cui l'intermediario ha sconsigliato
l'operazione. Come correttamente rilevato dalla giurisprudenza non possono
ritenersi idonee quelle clausole eccessivamente generiche[66] o quelle
attraverso le quali venga attribuita al cliente e non all'intermediario la
valutazione di adeguatezza dell'operazione[67]. In casi simili la clausola può
essere dichiarata nulla e vessatoria in quanto, non riproducendo l'avvertenza
prevista dall'art. 29 t.u.f., può astrattamente comportare un'inversione
dell'onere probatorio, addossando al cliente la prova dell'informazione resa
prima della sottoscrizione dell'ordine che, ai sensi dell'art. 23 u.c. t.u.f.,
spetta all'intermediario.
10. Dovere di curare gli interessi del cliente ed autorizzazione scritta
E' infine necessario segnalare come la previsione di oneri formali per
l'adempimento dei doveri di informazione ha come naturale conseguenza il
ricorso da parte degli intermediari a moduli prestampati ed a clausole dal
tenore standardizzato che hanno posto all'attenzione della giurisprudenza e
della dottrina la necessità di individuare il punto di equilibrio tra la tutela
sostanziale degli interessi del cliente ed il rispetto delle "forme
informative"[68]. In alcuni casi giunti all'attenzione dei giudici di
merito è emerso che la segnalazione di non adeguatezza veniva spesso apposta in
conseguenza di procedure interne che non consideravano sempre le singole caratteristiche
dell'investitore e di prassi generalizzate spesso svuotate di contenuto[69].
La facoltà dell'investitore di autorizzare per iscritto l'esecuzione di
operazioni non adeguate pone infatti il problema se il rispetto delle formalità
previste sia di per sé sufficiente ad integrare un corretto adempimento dei
doveri di condotta dell'intermediario o se invece sia comunque necessario
verificare il rispetto del dovere sostanziale di curare gli interessi del
cliente. Parte della giurisprudenza[70] e della dottrina[71] hanno ritenuto
che, in presenza della segnalazione di non adeguatezza, l'investitore che non
disconosca la propria sottoscrizione, o non chieda l'annullamento dell'ordine
per errore o per dolo non possa provare per testimoni che l'intermediario non ha
sconsigliato oralmente l'operazione.
Questa interpretazione non pare tuttavia convincente in quanto presuppone che
il rispetto delle formalità previste dalla disciplina secondaria sia
sufficiente ed esaustivo degli obblighi di informazione. Sebbene in linea
generale la disciplina primaria sia ispirata al modello della cura
dell'interesse sostanziale del cliente[72] e quella secondaria si incentri,
invece, maggiormente sul piano dell'informazione e delle sue forme[73], l'art.
29 Reg Consob impone infatti una serie di obblighi ulteriori rispetto alla mera
autorizzazione scritta. Il procedimento formativo della volontà del cliente che
intenda effettuare un'operazione non adeguata si compone infatti di tre fasi:
il divieto di consigliare al cliente operazioni non adeguate, l'obbligo di
sconsigliare oralmente l'operazione illustrando le ragioni per le quali la
stessa sia inadeguata; la possibilità di effettuare l'operazione solo a seguito
di un'autorizzazione scritta. Mentre l'ultima tappa del procedimento formativo
della volontà è chiaramente ispirata ad una protezione del cliente sul piano
delle formalità informative, le prime due sono una chiara estrinsecazione del
dovere di curare gli interessi sostanziali del cliente.
Il rispetto del solo requisito dell'autorizzazione scritta non è quindi
sufficiente a far ritenere completato l'iter procedimentale necessario affinché
l'intermediario possa eseguire un'operazione non adeguata: è pertanto
ravvisabile una violazione sia dell'art. 29 Reg. Consob, sia dell'art. 21
t.u.f., senza dover ricorrere alla declaratoria di vessatorietà della
clausola[74] o alla sua impugnativa per dolo o errore, in quelle situazioni in
cui l'autorizzazione scritta del cliente sia preceduta da un'attività
propositiva dell'intermediario, o qualora lo stessa non sia stata preceduta da
un'esaustiva informazione orale[75].
La formalizzazione scritta dell'informazione non può tuttavia essere scevra di
conseguenze anche per l'investitore in considerazione del fatto che una delle
funzioni che essa persegue consiste proprio nel conferire maggiore certezza
alla prova del corretto adempimento dei doveri informativi dell'intermediario.
Certezza che può andare a vantaggio tanto dell'investitore qualora l'ordine non
rechi la segnalazione in oggetto, quanto dell'intermediario qualora sia
presente una specifica ed esaustiva autorizzazione al compimento
dell'operazione[76].
Pare quindi corretto ritenere che la sottoscrizione da parte dell'investitore
di un ordine contenente l'indicazione di non adeguatezza dell'operazione non
esoneri l'intermediario da responsabilità, potendo tutt'al più consentire una
deroga al principio dell'inversione dell'onere della prova previsto all'art. 23
u.c. t.u.f. che richiede che il soggetto abilitato provi di aver agito con la
specifica diligenza richiesta, e quindi di aver sconsigliato l'operazione non
adeguata[77]. Mentre l'intermediario potrà agevolmente sostenere di aver
adempiuto ai propri doveri informativi, producendo in giudizio l'ordine
completo dell'autorizzazione prevista dall'art. 29 Reg. Consob, l'investitore
potrà offrirsi di provare per testimoni che l'investimento è stato effettuato
su proposta dell'intermediario ed in assenza di un'idonea informativa orale e
,quindi, in violazione del dovere di curare gli interessi del cliente previsti
dagli art. 29 Reg. Consob e 21 t.u.f.
Tale soluzione pare infatti contemperare le diverse esigenze sottese alla
disciplina in oggetto, quali il dovere di autoresponsabilità e di
collaborazione dell'investitore nel momento in cui sottoscrive un ordine
contente l'indicazione completa ed esaustiva della non adeguatezza
dell'operazione e delle ragioni ad essa sottostanti[78], la certezza della
prova, e l'effettivo e concreto adempimento dei doveri di informare
l'investitore e di curare i suoi interessi sostanziali nelle operazioni di
investimento.
11. La l. 262/2005 e l'attuazione della Direttiva Mifid
All'indomani degli scandali finanziari, con la legge 28 dicembre 2005, n. 262,
"Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati
finanziari " il legislatore ha avvertito la necessità di rafforzare la
suitability rule, recependone alcuni aspetti della disciplina, in precedenza
contenuta esclusivamente nel Regolamento 11522/98, nel t.u.f.. L'art. 14, primo
comma, lett. a) ha modificato l'art. 21 del t.u.f[79], esplicitando i doveri
procedurali e comportamentali richiesti agli intermediari per segnalare la non
adeguatezza delle operazioni. La norma, da un lato, ha imposto agli
intermediari di classificare, sulla base di criteri generali definiti dalla
Consob, il grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni
patrimoniali, dall'altro ha specificato l'obbligo per l'intermediario di
rispettare il principio di adeguatezza, ribadendo il dovere di segnalare per
iscritto o telefonicamente, mediante registrazione del colloquio telefonico, la
non adeguatezza delle operazioni espressamente richieste dall'investitore. Tale
intervento si è quindi sostanzialmente limitato a ribadire e a chiarire
principi già presenti nell'ordinamento, ponendo particolare enfasi sul dovere
di adottare procedure interne per la classificazione dei prodotti, in passato
previste in maniera meno precisa, e per certi aspetti, forse eccessivamente
generica, dalla disciplina secondaria[80].
Tale norma ha tuttavia avuto vita breve e, prima ancora della sua attuazione da
parte della Consob, è stata abrogata dall'art. 10 della legge comunitaria 2007,
l. 6 febbraio 2007, n. 13, con la quale il Parlamento ha delegato il governo a
dare attuazione alla Direttiva 2004/39/CE che ridisegna il complessivo quadro
normativo in tema di mercati e intermediari finanziari.
Con particolare riferimento al tema in oggetto, v'è da segnalare che nel
recepimento della Direttiva il legislatore delegato dovrà individuare ««i
criteri generali di condotta che devono essere osservati dai soggetti abilitati
nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi
accessori, ispirati ai principi di cura dell'interesse del cliente, tenendo
conto dell'integrità del mercato e delle specificità di ciascuna categoria di
investitori, quali i clienti al dettaglio, i clienti professionali e le
controparti qualificate»» (art. 10, l. 13/2007 1° co. lett. f). Il decreto
legislativo dovrà inoltre attribuire alla CONSOB il potere di disciplinare con
regolamento, ««la valutazione dell'adeguatezza delle operazioni»» (art 10, 1°
comma lett. h n. 3) nonché ««gli obblighi di informazione, con particolare
riferimento al grado di rischiosità di ciascun tipo specifico di prodotti
finanziari e delle gestioni di portafogli di investimento offerti; a tale fine,
la CONSOB può avvalersi della collaborazione delle associazioni maggiormente
rappresentative dei soggetti abilitati e del Consiglio nazionale dei
consumatori e degli utenti previsto dall'articolo 136 del codice del consumo,
di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206»» (art 10, 1° comma
lett. h n. 2).
12. Gli obiettivi della Direttiva MIFID
Con l'attuazione della Direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli
strumenti finanziari (c.d. MIFID), l'intera disciplina dei doveri di
informazione imposti agli intermediari finanziari è destinata a mutare
sensibilmente rispetto a quanto in precedenza previsto dalla Direttiva
93/22/CE.
Mentre tale direttiva conteneva principi di carattere generale che lasciavano
inevitabilmente ampi margini di discrezionalità nel suo recepimento ed ha
conseguentemente comportato una regolamentazione frammentata e differente tra i
diversi Stati Membri, la nuova disciplina vuole creare un quadro normativo
comune, segnando un passaggio da un'armonizzazione minima, che imponeva agli
ordinamenti nazionali alcuni principi inderogabili consentendo però una maggior
tutela dell'investitore nella disciplina interna, ad un'armonizzazione massima
che lascia pochissimi spazi di autonomia e discrezionalità agli Stati
Membri[81]. L'obiettivo del legislatore comunitario è infatti di favorire la
concorrenza e l'innovazione dei mercati, attraverso un'accelerazione del
processo di integrazione e di armonizzazione dei diritti nazionali quale
presupposto per rendere pienamente operativo il mutuo riconoscimento delle
imprese di investimento[82], anche con riferimento alle regole di condotta
degli intermediari[83]. Una volta completato il recepimento della nuova
disciplina comunitaria, un'impresa di investimento autorizzata in uno degli
Stati Membri potrà operare su tutto il territorio comunitario rispettando le
regole del proprio Stato d'origine non solo per quanto attiene i requisiti per
ottenere l'autorizzazione all'esercizio dell'attività, ma anche per quanto
riguarda il suo esercizio, ed in particolare, i doveri di comportamento posti a
tutela degli investitori.
La scelta del legislatore comunitario è quindi andata verso la creazione di un
mercato integrato in cui l'operatività del principio di mutuo riconoscimento
trova le proprie basi in un elevato livello di armonizzazione, e non invece
nelle dinamiche concorrenziali tra gli ordinamenti nazionali[84]. La
concorrenza tra ordinamenti è quindi destinata ad operare nei più ristretti
spazi di discrezionalità lasciati agli Stati membri. Per raggiungere tale
livello di armonizzazione, come si è accennato, la nuova disciplina
comunitaria, seguendo la procedura Lamfalussy, ha predisposto un quadro
normativo completo e dettagliato che si articola in diversi livelli: la
Direttiva 2004/39/CE segna le scelte di politica legislativa di fondo ed
individua i principi quadro (livello 1); la Direttiva 2006/73/CE contiene le
misure di esecuzione per realizzare un livello di armonizzazione di dettaglio
(livello 2). L'attuazione ed il recepimento interno delle Direttive di primo e
secondo livello dovranno avvenire anche sotto la guida del Comitato delle
Autorità di Vigilanza che dovrà assicurare l'uniforme attuazione delle
direttive di primo e secondo livello.
13. La suitability rule nelle Direttive 2004/39/CE e 2006/73/CE
In tale contesto la Direttiva MIFID ha apportato significative modifiche alla
disciplina dei doveri di informazione degli intermediari di cui alla direttiva
93/22/CE anche con riferimento alla suitability rule[85]. In considerazione del
fatto che sia il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 30
agosto 2007, sia, più specificamente, la bozza del Regolamento attuativo
recentemente resa pubblica dalla Consob[86], riproducono pressoché
letteralmente le norme comunitarie, si procederà all'analisi della disciplina
contenuta nelle Direttive 2004/39/CE e 2006/73/CE che prefigurano in maniera
particolarmente precisa e dettagliata la futura disciplina interna.
L'art. 19 della Direttiva 2004/39/CE opera un'importante distinzione in ragione
del diverso livello di discrezionalità con il quale l'intermediario può operare
per conto del cliente, prevedendo obblighi di informazione via via più intensi
a seconda che si tratti del servizio di execution only (ricezione, trasmissione
ed esecuzione di ordini del cliente), degli altri servizi non discrezionali, o,
infine dei servizi di consulenza e gestione di portafogli di investimento.
Il minor livello di protezione dell'investitore è ravvisabile nel caso in cui
l'intermediario presti il servizio di execution only. L'art. 18, par. 6 della
Direttiva prevede che gli Stati Membri autorizzino le imprese di investimento
ad operare senza dover rispettare la Know your customer rule e la suitability
rule al ricorrere di quattro condizioni: il servizio di investimento deve
riguardare prodotti non complessi[87]; deve essere prestato ad iniziativa del
potenziale cliente; l'intermediario deve preventivamente informare il cliente
di non essere tenuto a valutare l'idoneità degli strumenti finanziari;
l'impresa di investimento deve rispettare gli obblighi previsti per le
operazioni in conflitto di interessi[88].
Il più elevato livello di protezione degli investitori è invece previsto per i
servizi di consulenza e di gestione di portafogli di investimento. L'art. 18,
par. 4 della Direttiva prevede infatti che: «l'impresa di investimento ottiene
le informazioni necessarie in merito alle conoscenze e esperienze del cliente o
potenziale cliente, in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di
prodotto o servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di
investimento per essere in grado di raccomandare i servizi di investimento e
gli strumenti finanziari adatti al cliente o al potenziale cliente»». L'art. 35
della Direttiva 2006/73/CE specifica che qualora l'impresa di investimento non
ottenga tali informazioni non raccomanda i servizi di investimento o gli
strumenti finanziari, non chiarendo tuttavia se sia unicamente vietata
qualsiasi attività propositiva, o se, invece, sia preclusa la prestazione del
servizio[89].
Ad un livello intermedio si pongono invece i servizi di investimento diversi
dall'exectuion only o dalla consulenza e dalla gestione di portafogli di
investimento. In tale caso l'impresa di investimento è tenuta a richiedere al
cliente o al potenziale cliente di fornire le informazioni necessarie per
determinare se il tipo di servizio o il prodotto è adatto al cliente. Tuttavia,
qualora il cliente o il potenziale cliente scelga di non fornire tali
informazioni, o qualora esse siano insufficienti, l'impresa di investimento,
previo avvertimento al cliente, è esonerata dalla valutazione di adeguatezza
del servizio o del prodotto prescelto[90].
I doveri di condotta e di informazione imposti agli intermediari, ed anche
l'obbligo di segnalare la non adeguatezza delle operazioni, sono inoltre
modulati in maniera differente a seconda che l'investitore sia un cliente al
dettaglio, un investitore professionale o una controparte qualificata[91].
Mentre per i clienti al dettaglio trovano completa applicazione i doveri di
comportamento previsti dalla direttiva e dalle misure di esecuzione, nei
rapporti tra controparti qualificate ed imprese di investimento l'art. 24[92]
della Direttiva MIFID prevede un'integrale disapplicazione degli obblighi di
informazione previsti dall'art. 19, 21 e 22 par. 1[93].
In una posizione intermedia tra i clienti al dettaglio e le controparti
qualificate si trovano invece i clienti (o investitori) professionali per i
quali è prevista una semplice graduazione degli obblighi di condotta. Se nei
rapporti con la clientela al dettaglio spetta di regola all'intermediario
l'onere di informare il cliente, dal 44° considerando della Direttiva
2006/73/CE[94] si evince una generale presunzione per cui i clienti
professionali, sono in grado di individuare autonomamente le informazioni
necessarie per assumere consapevoli scelte di investimento. In particolare gli
artt. 36, secondo par. e 37 della Direttiva di esecuzione, proprio con
riferimento alla valutazione di adeguatezza delle operazioni, prevedono che
quando il servizio sia prestato nei confronti di clienti professionali,
l'impresa di investimento ha il diritto di presumere che il livello di
conoscenze del cliente sia adeguato all'investimento prescelto[95].
Sebbene la Direttiva 2004/39/CE preveda, seppur nei limiti di cui si è detto,
il dovere di valutare se il servizio è ««adatto per il cliente»», a prescindere
dal livello di discrezionalità consentito all'impresa di investimento, la
direttiva 2006/73/CE ha apportato alcune significative distinzioni. In caso di
gestione di portafogli di investimento trova applicazione l'art. 35 rubricato
"Valutazione dell'adeguatezza". Gli Stati membri devono assicurare
che le specifiche operazioni raccomandate o realizzate corrispondano agli
obiettivi del cliente, siano di natura tale che il cliente sia in grado di
sopportare qualsiasi rischio connesso con l'investimento e di comprendere i rischi
inerenti la singola operazione o la gestione del portafoglio[96]. Per tutti gli
altri servizi di investimento trova invece applicazione l'art. 36, rubricato
"Valutazione dell'appropriatezza" che prevede che: ««Gli Stati membri
prescrivono alle imprese di investimento che, per valutare se un servizio di
investimento sia appropriato per un cliente, come previsto all'articolo 19,
paragrafo 5, della direttiva 2004/39/CE, verifichino se tale cliente abbia il
livello di esperienze e conoscenze necessario per comprendere i rischi che il
prodotto o servizio di investimento offerto o richiesto comporta»»[97].
La distinzione tra valutazione dell'adeguatezza e dell'appropriatezza delle
operazioni non presenta quindi solo differenze terminologiche. Mentre la prima
attiene alla corrispondenza tra gli obiettivi di investimento del cliente ed il
livello di rischio dello strumento finanziario, il giudizio di appropriatezza
richiede all'impresa di investimento di verificare se il cliente sia
sufficientemente esperto per comprendere i rischi che il prodotto o il servizio
comporta. Per i servizi di investimento di carattere non discrezionale
l'intermediario è quindi tenuto ad un dovere di consulenza illustrativa o
incidentale alquanto limitato, in quanto, qualora il cliente sia in grado di
comprendere i rischi degli investimenti, viene meno il dovere di segnalare che
il prodotto o il servizio non è adatto all'investitore.
Ad un primo raffronto tra le norme della MIFID e quelle oggi vigenti si deve
concludere che la nuova disciplina ha attenuato gli strumenti di tutela degli
investitori[98], cercando un nuovo bilanciamento tra le esigenze di rendere il
mercato efficiente e competitivo e di tutelare il contraente debole e
disinformato[99].
Le nuove regole paiono infatti fondarsi sul presupposto per cui i costi di
informazione imposti alle imprese di investimento sono giustificati solo per i
servizi più redditizi quali la consulenza e la gestione di portafogli. Per gli
altri servizi, ed in particolare, per quelli rientranti nel c.d. risparmio
amministrato, si assiste ad un generale abbattimento del livello di protezione
dell'investitore, con una sostanziale eliminazione del dovere di consulenza
incidentale o illustrativa, oggi esteso a tutti i servizi di investimento.
Dal complesso delle nuove regole si può infatti ritenere che nella visione del
legislatore europeo l'asimmetria informativa che impone particolari doveri
fiduciari (di informazione) in capo all'intermediario si riduce fino quasi a
scomparire non solo in considerazione della professionalità dell'investitore,
ma anche in ragione del livello di discrezionalità del servizio, quasi che il
risparmiatore inesperto fosse naturalmente orientato verso i servizi di
consulenza e di gestione di portafogli di investimento, per i quali viene
garantito un livello di informazione più intenso.
Tale presupposto non pare tuttavia coerente con il quadro d'insieme risultante
dal panorama giurisprudenziale emerso negli ultimi anni a seguito dei noti
scandali finanziari. Come sottolineato in diverse occasioni dalla
giurisprudenza nel servizio di negoziazione l'intermediario non si limita ad
una supina ricezione e trasmissione di ordini, fornendo invece una consulenza
illustrativa, necessaria per indirizzare le decisioni di investimento del
cliente. Le analisi sulla composizione dei portafogli finanziari delle famiglie
dimostrano inoltre che il peso del risparmio gestito sulle attività finanziarie
delle famiglie italiane, negli anni 2000-2004 è sceso dal 35,5 al 25,2%, contro
valori compresi tra il 40 ed il 60 % dei principali paesi
industrializzati[100]. Il piccolo e medio risparmiatore italiano si rivolge
quindi prevalentemente al servizio di negoziazione tipico del c.d
"risparmio amministrato" e solo occasionalmente accede al risparmio gestito.
La distinzione tra servizi discrezionali e servizi vincolati, e la previsione
per cui un elevato livello di tutela è necessario solo per i primi, pare quindi
privilegiare più le esigenze di riduzione dei costi di informazione imposti
alle imprese di investimento che il bisogno di protezione dell'investitore che
è comunque individuato come uno degli obiettivi principali della
Direttiva[101].
La Direttiva MiFID pone inoltre particolare attenzione al coinvolgimento in
prima persona della clientela alla quale è richiesto un elevato livello di
responsabilità ed un altrettanto intenso onere di collaborazione che si
riflette principalmente nel dovere, necessario affinché operi l'obbligo di
valutare l'adeguatezza - appropriatezza delle operazioni, di fornire le informazioni
sulla propria propensione al rischio e sulla propria situazione finanziaria.
Anche a questo proposito, tuttavia, recenti studi hanno sottolineato come i
risparmiatori italiani presentino un basso livello di cultura finanziaria.
L'Italia si posiziona infatti agli ultimi posti tra i paesi maggiormente
industrializzati nell'educazione economico finanziaria della popolazione[102]:
oltre il 70 % si sente inadeguato sulle decisioni finanziarie[103]; il 65% dei
giovani italiani tra gli 11 e i 25 anni si mostra poco o per nulla interessato
alla gestione del risparmio e più del 70% non ha alcuna competenza in
materia[104].
14. Conclusioni: il recepimento della Direttiva ed i margini di discrezionalità
del legislatore nazionale
Come si è in precedenza accennato, nel recepimento della Direttiva il
legislatore delegato e la Consob hanno ridotti margini di discrezionalità.
L'art. 4 della Direttiva 2006/73/CE prevede che ««Gli Stati membri possono
mantenere o imporre obblighi aggiuntivi a quelli previsti nella presente
direttiva solo nei casi eccezionali in cui tali obblighi siano obiettivamente
giustificati e proporzionati, vista la necessità di far fronte a rischi
specifici per la protezione degli investitori o l'integrità del mercato che non
siano adeguatamente trattati dalla presente direttiva e purchè una delle
seguenti condizioni sia soddisfatta: a) i rischi specifici cui gli obblighi
sono volti a far fronte sono di particolare importanza data la struttura del
mercato di tale Stato membro; b) gli obblighi sono volti a far fronte a rischi
o problemi che emergano o diventino evidenti dopo la data di applicazione della
presente direttiva e che non siano altrimenti regolamentati da altre misure
comunitarie o nell'ambito di esse»». Il legislatore italiano sembra non aver
escluso a priori la necessità di mantenere o introdurre norme aggiuntive in
quanto all'art. 6 co 2-quater t.u.f. ha previsto che: «««ai fini della notifica
alla Commissione europea, la Banca d'Italia e la Consob comunicano al Ministero
dell'economia e delle finanze le disposizioni regolamentari recanti eventuali
obblighi aggiuntivi ai sensi dell'articolo 4 della direttiva 2006/73/CE»».
La composizione dei portafogli delle famiglie italiane che solo in minoranza si
rivolgono al risparmio gestito e la scarsa educazione finanziaria dei piccoli
risparmiatori non ancora sufficientemente sostenuta da adeguate politiche
pubbliche, così come avviene nella maggioranza dei paesi industrializzati
[105], possono rappresentare rischi di particolare importanza per la fiducia
nei mercati tali da giustificare doveri di informazione supplementari rispetto
a quelli previsti nelle direttive comunitarie? Anche se la proposta di
regolamento della Consob non contiene alcun riferimento in tal senso, le
recenti vicende che hanno coinvolto diverse centinaia di migliaia di
risparmiatori, minando la fiducia nei mercati e negli intermediari, potevano
certamente rappresentare l'occasione per una più approfondita riflessione
sull'opportunità di regolare in maniera più severa i servizi di investimento di
carattere non discrezionale.
In ogni caso, indipendentemente dalla previsione di misure aggiuntive rispetto
a quelle previste a livello comunitario, permangono tre aspetti che
richiederebbero un opportuno chiarimento normativo.
Il primo riguarda la delimitazione dei confini tra il servizio di esecuzione di
ordini di investimento[106] ed il ««servizio di consulenza in materia di
investimenti»»[107], in quanto non è chiaro se nelle attività di consulenza,
che consistono nella prestazione di raccomandazioni personalizzate su una o più
operazioni di investimento, sia nel caso in cui queste siano richieste
dall'investitore, sia qualora vengano fornite ad iniziativa dell'intermediario,
possano essere ricomprese anche le attività di consulenza incidentale ed
illustrativa che prescindono da un vero e proprio mandato di consulenza.
Il secondo problema attiene invece al rapporto tra la clausola generale che
impone all'impresa di investimento di operare con diligenza, correttezza e
trasparenza e di curare gli interessi del cliente[108] e le previsioni che
consentono le segnalazioni di non adeguatezza, e non appropriatezza utilizzando
un formato standardizzato[109]. Come già emerso con riferimento alla disciplina
oggi vigente, si può infatti riproporre il problema del rapporto tra il
rispetto delle regole che prescrivono determinati obblighi informativi,
specificandone le formalità richieste, e dei principi di ordine generale che
prescrivono all'intermediario di curare gli interessi del cliente.
Il terzo problema, riguarda infine la questione, di esclusiva competenza
nazionale[110], dei rimedi concessi all'investitore in caso di violazione dei
doveri di comportamento da parte dell'intermediario che ha recentemente visto
contrapporsi in dottrina ed in giurisprudenza le tesi della nullità virtuale
per violazione di norme imperative e della responsabilità contrattuale[111].
Anche se tale questione meritava forse una presa di posizione sul piano delle
scelte di politica legislativa, la legge delega non ha affrontato il problema
dei rimedi civilistici in caso di violazione dei doveri di informazione, che a
breve dovrà essere risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione[112].
[1] Cfr. COSTI, Informazione e contratto nel mercato finanziario, in Riv trim.
dir proc. civ. 1993, 719 ss.
[2] Sul tema, in termini generali v. ONADO, Mercati e intermediari finanziari.
Economia e regolamentazione, Bologna, 2000, 164
[3] ONADO, op. cit., 167
[4] Cfr. ZENO ZENCOVICH, Profili di uno statuto dell'informazione economia e
finanziaria, in Tratt. Dir. comm. diretto da Gaglagno, vol 43°, a cura di
Galgano e Visintini, Mercato finanziario e tutela del risparmio, Padova, 2006,
161.
[5] Cfr. ONADO, op. cit., 206 ss.
[6] In generale sul problema dell'asimmetria informativa v. AKERLOF, The market
for ««Lemmons»»: Quality, Uncertaninty and the Market Mechanism, in 84 Q. J.
Ecnom. (1970), 488; con specifico riferimento ai mercati finanziari ed ai
rapporti intermediary investitori cfr. cfr. SARTORI, Le regole di condotta
degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004, 165;
LANGEVOORT, Selling hope, selling risk: some lessons for law from behavioral
economics about stockbrokers and sophisticated cusotmers, 84 Cal. L. Rev.
(1996), 669; PACCES, Financial Intermediation in the Securities Markets Law and
Economics of Conduct of Business Regulation, 20 Int'l Rev. L. & Econ.
(2000) 479.
[7] Per una chiara esposizione del problema si rinvia nuovamente a ONADO, op.
cit., 211 ss.
[8] Cfr. COSTI, op. cit., 721.
[9] Sul punto cfr. PERRONE, Gli obblighi di informazione nella prestazione dei
servizi di investimento, in Banca Borsa, 2006, 359 ss.
[10] Anche chi (MONATERI, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista
del contratto, in Riv.dir.civ., 2003, I, 417) per la generalità dei contratti
sottolinea l'antagonismo delle parti rispetto ai doveri di collaborazione e di
cooperazione, rileva come il modello generale sia affiancato dal caso peculiare
del contratto tra impresa e consumatore che segue logiche divergenti da quelli
seguite nella costruzione del contratto in generale.
[11] cfr. MAFFEIS, Forme informative e cura sostanziale dell'interesse del
cliente, in Riv. dir. privato, 2005,587 ss.
[12] Per un'ampia ricostruzione dei servizi di investimento come rapporti
fiduciari, riconducibili al modello economico dell'agency, cfr. SARTORI, Le
regole di condotta, cit., 118 ss.
[13] Cfr. art. 29 Reg. Consob 11522/1998««1.Gli intermediari autorizzati si
astengono dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non
adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al
comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui
all'articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai
servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un
investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano
di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua
esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dare corso all'operazione,
gli intermediari autorizzati possono eseguire l'operazione stessa solo sulla
base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici,
registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia
fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute»».
[14] Sul rapporto fra strumenti di tutela sostanziale dei clienti e doveri di
informazione cfr. MAFFEIS, Forme informative, cit.,, 575 ss.
[15] In tal senso cfr. SARTORI, Il mercato delle regole e la questione dei bond
argentini, in Giur. it., 2005, 55 ss; Id., Le regole di condotta, cit., 207;
ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati
mobiliari, Milano, 1993, 341.
[16] Cfr. art. 26 Reg. Consob 11522/1998: ««1. Gli intermediari autorizzati,
nell'interesse degli investitori e dell'integrità del mercato mobiliare: (...)
e) acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché
dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi
stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire»».
[17] Cfr. art. 28 Reg. Consob 11522/1998««Prima della stipulazione del
contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell'inizio
della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi
collegati, gli intermediari autorizzati devono(31): a) chiedere all'investitore
notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti
finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento,
nonché circa la sua propensione al rischio. L'eventuale rifiuto di fornire le
notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo
30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore...»»
[18] L'obbligo dell'intermediario di dotarsi di adeguate procedure interne è
previsto all'art. 21, lett. d) t.u.f. (Nella prestazione dei servizi di
investimento e accessori, i soggetti abilitati devono (...) d) disporre di
risorse e di procedure anche di controllo interno, idonee ad assicurare
l'efficiente svolgimento dei servizi»») e all'art. 56 Reg. Consob (««1. Ai fini
del presente regolamento, per procedura si intende l'insieme delle disposizioni
interne e degli strumenti adottati per la prestazione dei servizi. 2. Gli
intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio e le SICAV si
dotano di procedure idonee a: a) assicurare l'ordinata e corretta prestazione
dei servizi; b) ricostruire le modalità, i tempi e le caratteristiche dei
comportamenti posti in essere nella prestazione dei servizi; c) assicurare una
adeguata vigilanza interna sulle attività svolte dal personale addetto e dai
promotori finanziari.»»). Sul contenuto delle procedure in oggetto cfr. App.
Torino, Sanpaolo Imi / Consob, 18 gennaio 2005, in Bollettino Consob gennaio
2006, , p. 28 e ss; Id., 8 gennaio 2006 Emilio Botin Sanz e altri / Consob, in
Bollettino Consob, febbraio 2006, 56 e ss; Id., 18.1.2006, Luigi Arcuti, Rainer
Masera, Enrico Salza / Consob, in Bollettino Consob, febbraio 2006, p. 44 e ss.
In tali decisioni la Corte d'Appello torinese ha ritenuto che le procedure in
oggetto dovessero consentire una selezione dei titoli da negoziare con la
clientela, l'acquisizione da parte degli investitori di informazioni adeguate
sui titoli negoziati nonché la valutazione della non adeguatezza delle
operazioni. Nello stesso senso v. anche App. Milano 18 dicembre 2006, inedita.
[19] Sul punto cfr. RABITTI BEDOGNI, Relazione al convegno Assiom, Mercati
finanziari, tutela del risparmio e ruolo degli operatori, tenutosi a Monastier
di Treviso il 22 ottobre 2005, reperibile sul sito www.consob.it
la quale sottolinea come la valutazione di adeguatezza delle operazioni di
investimento non possa essere lasciata alla discrezionalità dell'intermediario,
richiedendo invece procedure interne idonee ad una corretta valutazione del
profilo soggettivo del cliente e di quello oggettivo dell'operazione.
[20] In tal senso cfr. App. Torino, 18 gennaio 2006, cit.,: ««l'adozione di
procedure adeguate ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi non
costituisce per le banche (a differenza degli ordinari imprenditori
commerciali) un discrezionale problema di organizzazione aziendale volto a
perseguire, nell'interesse della società amministrata, competitività economica
e profitti, ma costituisce una tassativa prescrizione di legge rivolta
anzitutto a tutelare gli investitori, i clienti ed il mercato. L'efficienza e
l'adeguatezza delle procedure interne in oggetto non rappresentano cioè un
obiettivo perseguibile dagli amministratori, se e nei limiti in cui essi
ritengano di dotare l'impresa di particolare competitività, ma costituiscono un
dovere legale ineludibile nell'interesse di soggetti esterni, ed un risultato
il cui raggiungimento corrisponde ad un tassativo obbligo giuridico»».
[21] Cfr. Comunicazione Consob n. DI/98087230 del 6-11-1998
[22] Cfr. Comunicazione Consob DI/ 30396 del 21 aprile 2000: ««Gli intermediari
non sono esonerati dall'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione
disposta dal cliente anche nel caso in cui l'investitore abbia rifiutato di
fornire le informazioni sulla propria situazione finanziaria, obiettivi di
investimento e propensione al rischio; nel caso, la valutazione andrà condotta,
in ossequio ai principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza,
tenendo conto di tutte le notizie di cui l'intermediario sia in possesso (es.:
età, professione, presumibile propensione al rischio del cliente alla luce
anche della pregressa ed abituale operatività; situazione del mercato).»».
Nello stesso senso v. anche Comunicazione Consob n. 95007939 del 25 settembre
1995.
[23] Tra le più recenti decisioni cfr. Trib. Genova, 22 giugno 2006, in www.ilcaso.it;
Trib Lecce, 12 giugno 2006, in www.ilcaso.it; Trib Cagliari, 2 gennaio 2006, in www.ilcaso.it;
Trib Padova 17 maggio 2006, in www.ilcaso.it; Trib. Catania 5 maggio 2006, , in www.ilcaso
it.
[24] E' interessante notare la frequenza con la quale si sono avvalsi di tale
facoltà sia gli investitori sia gli intermediari. Nel giudizio di opposizione
alle sanzioni amministrative irrogate dalla Cosnob e dal Ministero
dell'Economia ad un importante istituto bancario, la Corte d'Appello di Torino,
(decr) 18 gennaio 2006, cit ha accertato che su 2932 posizioni analizzate solo
in undici casi, pari allo 0, 38% del totale, la banca aveva rilevato la
situazione finanziaria del cliente mediante l'apposita scheda.
[25] Mentre l'orientamento prevalente ritiene che in caso di rifiuto del
cliente di fornire le informazioni, la sua propensione al rischio debba essere
valutata sulla base delle pregresse operazioni di investimento, in alcune
occasioni la giurisprudenza ha affermato che l'intermediario deve presumere una
propensione al rischio minima (cfr. Trib. Milano 15 marzo 2006, in www.ilcaso.it;
Trib. Mantova, 12 novembre 2004, in Giur. it., 2005, 754; Trib. Treviso, 26
novembre 2004, inedita). Tale indirizzo pare tuttavia corretto solo qualora
l'intermediario non disponga di alcun dato per misurare la propensione al
rischio del cliente, come ad esempio nel caso in cui le operazioni di
investimento siano disposte da un cliente nuovo senza una pregressa
operatività, mentre non pare accettabile laddove la storicità degli
investimenti del cliente consenta di formulare un giudizio attendibile sulla sua
effettiva propensione al rischio.
[26] In tal senso cfr. Trib Venezia, 8 giugno 2006, in Foro it., 2005, I, 2549
il quale ha ritenuto che i principi enunciati dalla Consob debbano valere anche
nel caso contrario ««se infatti un investitore ha manifestato nella
dichiarazione alla propria banca un'alta propensione al rischio ma di fatto,
nel corso dello svolgimento del rapporto, dimostra di indirizzarsi ad
investimenti aventi il solo obiettivo di conservare il capitale (ad esempio
titoli di debito pubblico), l'istituto di credito, indipendentemente dalla
dichiarazione, lo deve inquadrare nella più bassa categoria di rischio»»; così
anche Trib Milano, 16 febbraio 2006 in www.ilcaso.it.
[27] Sul punto cfr art. 31, primo comma Reg. Consob: ««A eccezione di quanto
previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra le
parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si
applicano le disposizioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, fatta
eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37,
fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5,
lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere b) e c), 44, 45, 47,
comma 1, 60, 61 e 62»».
[28] Ai sensi dell'art. 31 Reg. Consob intendiamo per "intermediari
finanziari" ««gli intermediari autorizzati, le società di gestione del
risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i
soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio
Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli
enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le
società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari (...)le
fondazioni bancarie»»
[29] Con particolare riferimento ai contratti derivati stipulati dalle imprese
ed in particolare da società di capitali si è posto il problema se tali
soggetti, in presenza della dichiarazione sulla competenza e sull'esperienza
della società di cui all'art. 31 Reg. Consob, potessero essere considerati come
operatori qualificati, con la conseguente disapplicazione dei doveri di
informazione previsti agli artt. 27, 28 e 29 Reg. Consob, indipendentemente da
una concreta valutazione della loro competenza ed esperienza.
Parte della dottrina (BOCHICCHIO, Operatività in strumenti derivati con
investitore professionale: i limiti apportati dalla normativa di settore e
dall'oggetto sociale dell'investitore, in Dir. banca e mercato finanziario,
2005,.249 ss ) e della giurisprudenza (Cfr. Trib. Rimini, 25 marzo 2005, in www.ilcaso.it;
Trib. Milano 6 aprile 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Mantova, 12 luglio 2004, in www.ilcaso.it)
hanno ritenuto che la dichiarazione con la quale il legale rappresentante di
una società attesti la propria conoscenza e la propria esperienza in materia
finanziaria si riveli esaustiva ed efficace con la conseguente disapplicazione
degli artt. 27, 28 e 29 Reg. Consob.
Altro preferibile orientamento giurisprudenziale (cfr. Trib. Mantova 9 giugno
2005, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 3 aprile 2004, in
Banca e Borsa, 2005, II, 36, con nota di CHIONNA, L'accertamento della natura
di ««operatore qualificato»» del mercato finanziario rispetto ad una società e
in Giur. comm., 2004, II, 530, con nota di RIMINI, Contratti di swap e
operatori qualificati; Trib. Torino, 25 gennaio 2000, in Giur. it, 2001,
548;Trib. Milano 21 febbraio 1995, in Banca Borsa, 1996, II, 442, con nota di
PERRONE e in Giur. Comm., 1996, II, 79, con nota di SQUILLACE, La legge 2
gennaio 1991, n. 1 e i contratti di swap) e dottrinale (ANNUNZIATA, La
disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2003, 116; SARTORI, Le regole di
condotta degli intermediari finanziari, cit., 168; ID., Gli swap, i clienti
corporate e la nozione di operatore qualificato, Relazione al Convegno Synergia
Formazione Strumenti finanziari derivati e prodotti strutturati: tecniche
negoziali, rischi e contenzioso, Milano, 19-20 maggio 2005, in www.dirittobancario.it
e in www ilcaso.it; CHIONNA, op. cit., 39 ss; GABRIELLI - LENER, Mercati,
strumenti finanziari e contratti di investimento, in AA.VV. I contratti del
mercato finanziario, a cura di Gabrielli e Lener, t. I, Milano, 45-49) ha
invece sostenuto che la mera dichiarazione scritta del legale rappresentante
della società non sia di per sé elemento sufficiente ad attribuire la qualifica
di operatore qualificato, essendo invece necessario riscontrare se nel caso
specifico quel determinato soggetto presentasse effettivamente i requisiti di
competenza e professionalità a cui fa riferimento l'art. 31 Reg. Consob.
[30] Cfr. SARTORI, Le regole di condotta, cit., 207; COSTI ENRIQUES, Il mercato
mobiliare, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova,
2004, 335.
[31] Cfr. MAFFEIS, Il dovere di consulenza al cliente nei servizi di
investimento e l'estensione del modello al credito ai consumatori, in
Contratti, 2005, 5 ss: Id., Forme informative, cit., 587 il quale rileva che
nella prestazione dei servizi di investimento non si è in presenza di una causa
vendendi ma di una causa mandati con la conseguenza che la banca è tenuta ad
informare il cliente nell'ottica della cooperazione, dovendo sempre perseguire
i suoi interessi.
[32] Così COSTI - ENRIQUES, op. cit., 328; ANNUNZIATA, La disciplina del
mercato mobiliare, Torino, 2004, 110 nello stesso senso cfr. anche PARACAMPO,
Gli obblighi di adeguatezza nella prestazione dei servizi di investimento, in
Banca Borsa, 2007, 105. Per una distinzione tra l'attività di consulenza
incidentale, microconsulenza o consulenza illustrativa a cui l'intermediario è
tenuto anche in occasione della prestazione del servizio di negoziazione, ed il
servizio vero e proprio servizio di investimento di consulenza, cfr. PARRELLA,
Contratti di consulenza finanziaria, in I contratti del mercato finanziario, a
cura di Gabrielli Lener, Torino, 2004, II, 862 ss.
[33] Sul punto, con riferimento ai doveri di informazione previsti all'art. 28,
secondo comma Reg. Consob, cfr. App. Torino, 18 gennaio 2006, cit., 58,: ««E'
appena il caso di ricordare che tale obbligo di informazione non è limitato ai
clienti titolari di gestione patrimoniale perché, a norma dell'art. 28 del
Regolamento l'obbligo di informazione del cliente riguarda anche il servizio di
investimenti e, in particolare, l'intermediario non può "effettuare"
operazioni "se non dopo aver fornito all'investitore informazioni...»»;
Trib. Venezia, 22 novembre 2004, in Contratti, 2005, 5 ss e in Giur. it., 2005,
754, con nota di FIORIO, Gli obblighi di comportamento degli intermediari al
vaglio della giurisprudenza di merito ove si legge che «« attraverso l'attività
informativa circa l'adeguatezza dell'operazione l'istituto bancario non ha
circoscritto il suo compito ad una supina mera ricezione degli ordini ma si è
impegnato a prestare una diversa e ulteriore attività che si sostanzia in
quella che si può definire un'attività di consulenza»»; Trib. Torino, 7
novembre 2005, in Giur. it., 2006, 521, con nota di COTTINO, Una giurisprudenza
in bilico: i casi Cirio Parmalat, bonds argentini; Trib. Firenze, 18 febbraio
2005, in Giur. it., 2005, 2097: ««Del tutto irrilevante è la circostanza
evidenziata dall'istituto di credito negli atti difensivi e anche sugli ordini
sottoscritti dagli attori secondo cui l'acquisto delle obbligazioni argentine
sarebbe stata richiesta espressamente dal cliente. Gli obblighi sanciti dal
legislatore a carico dell'istituto bancario fanno sì che il suo compito non è
circoscritto a quello di una supina mera ricezione degli ordini, ma a
un'attività molto diversa ed ulteriore che si sostanzia in quella che si può
definire una consulenza»».
In dottrina cfr. NEGRO, Regole di condotta degli intermediari finanziari: gli
obblighi di informazione, in Giur. comm., 2005, II, 495, il quale, pur
affermando che l'obbligo di informazione dell'intermediario non può variare a
seconda del fatto che l'operazione sia stata richiesta dall'investitore o
proposta dall'intermediario, precisa che nel caso in cui sia il cliente a
richiedere un'operazione di investimento in uno strumento finanziario non
adeguatamente conosciuto dall'intermediario questi, non sia tenuto ad
acquisirne un'adeguata conoscenza, potendo legittimare il proprio operato
mediante la segnalazione di non adeguatezza dell'operazione.
[34] Sul punto cfr. SARTORI, Le regole di condotta, cit., 299 ss il quale
rileva che le Corti statunitensi hanno individuato tre elementi necessari per
l'individuazione delle ipotesi di churring: (i) gli obiettivi di investimento e
le caratteristiche personali e finanziarie dell'investitore; (ii) il potere di
controllo dell'intermediario sulle scelte di investimento del cliente; (iii) il
dolo o la colpa grave che spesso vengono tuttavia accertati in via presuntiva
qualora l'investitore abbia provato la sussistenza degli altri due elementi.
[35] In argomento si può ricordare che la Consob (cfr. Com. Consob n.
97006042/1997) e la giurisprudenza prevalente (cfr. Trib. Lecce, 12 giugno
2006, in Danno e resp. 2007, 567; Trib. Monza, 16 dicembre 2004, in www.ilcaso.it;
Trib. Mantova, 5 aprile 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 9 marzo 2005, contra
v. Trib. Ferrara, 25 febbraio 2005, in Contratti, 2006, 12, con nota di
POLIANI, Obblighi di informazione ed acquisto di obbligazioni parmalat)
escludono che la semplice esecuzione di operazioni in contropartita diretta
possa integrare di per sé un'ipotesi di conflitto di interessi.
[36] In senso contrario cfr. Trib. Trani, 21 luglio 2005, in Banca Borsa, 2007,
II, 86 che ha ritenuto adeguata un'operazione di investimento del 50% della
complessiva disponibilità finanziaria degli investitori che al momento
dell'apertura del rapporto avevano dichiarato la volontà di ottenere alti
rendimenti, effettuando operazioni ad alto rischio.
[37] Cfr. Trib. Mantova 18 marzo 2004, in Giur.it., 2004, relativo ad un
operazione ritenuta non adeguata perché pari al 50% del portafoglio di
investimento; Trib. Venezia, 16 febbraio 2006, in www.ilcaso.it ove è stata
ritenuta non adeguata un'operazione di investimento in titoli emessi dalla
Repubblica Argentina per importo pari al 40% del portafoglio dell'investitore;
Trib. Cuneo, 4 agosto 2006, inedita, ove l'operazione dichiarata come non
adeguata riguardava un investimento in titoli obbligazionari speculativi per un
terzo del portafoglio; Trib Trani 31 gennaio 2006, in www.ilcaso.it,
caso in cui il Tribunale ha ritenuto non adeguata un'operazione in titoli Cirio
che ha comportato l'investimento del 73% del portafoglio. In senso contrario
cfr. Trib. Trani, 21 luglio 2005, cit., che ha ritenuto adeguata un'operazione
di investimento del 50% della complessiva disponibilità finanziaria degli
investitori
[38] Cfr. Trib. Vasto, 9 novembre 2006, in www.ilcaso.it che ha
ritenuto adeguato l'investimento in titoli argentini pari al 15% del
portafoglio; Trib Mantova 11 aprile 2006, in www.ilcaso.it,
relativamente ad un investimento in obbligazioni Cirio per un ammontare
inferiore al 25% del portafoglio; Trib. Genova, 3 novembre 2006, in www.ilcaso.it
che ha ritenuto adeguata un'operazione in titoli argentini di 20.000 a fronte di un portafoglio complessivo di £. 330.000; Trib Alba, 19 agosto 2005, in Giur. it., 2006, 307, con nota di
DESANA secondo cui un'operazione che ha comportato l'investimento del 18% del
portafoglio in titoli Cirio è per dimensioni contenuta.
[39] Trib Palermo 17 febbraio 2006, in www.ilcaso.it per un
investimento in titoli argentini pari al 20% del portafoglio complessivo
dell'investitore.
[40] Cfr. BREALY MYERS SANDRI, Principi di finanza aziendale, Milano, 2003, 155
ss,; J. LORIE, The Stock Market: Theories and Evidence, Boston, 1985, 85;
MAKILEL, A Random Walk Down Wall Street, 1996, 235; Sull'argomento, con
specifico riguardo all'obbligo di diversificazione conseguente alla suitability
rule nell'ordinamento statunitense, cfr. BOOTH, The suitability rule, Investor
Diversification and Using Spread to Mesure Risk, 54 Bus Law., 1599 (1998-
1999)secondo il quale un portafoglio distribuito su 20 titoli permette una
diversificazione al 95%, mentre su 100 al 99%.
[41] Cfr. il Regolamento recante disposizioni per le società di gestione del
risparmio adottato dalla Banca d'Italia in data 20 settembre 1999, che all'art.
3 prevede che: «Il fondo aperto non può essere investito in strumenti
finanziari di uno stesso emittente o in parti di uno stesso OICR per un valore
superiore al 5 per cento del totale delle attività»». Identico limite è
previsto nell'ordinamento statunitense anche per i mutual funds che vogliano
essere classificati come diversificati, cfr. 15 U.S.C. § 80 a-5(b)(1) (1994).
[42] Così DOLMETTA MINNECI, voce ««Borsa (Contratti di)»», in Enc. Dir., V
Aggiornamento, Milano, 2001, 173
[43] Sul punto cfr. GOBBO e SALODINI, I servizi di investimento nella
giurisprudenza più recente, in Giur. comm., 2006, II, 19 ss, ove un'ampia
rassegna giurisprudenziale. Si veda in particolare Trib. Roma, 31 marzo 2005,
in Foro it., 2005, I, 2538, con nota di PERRONE, Prestiti obbligazionari,
default e tutela successiva degli investitori:la mappa dei primi verdetti, ove
il Tribunale accogliendo la domanda dell''investitore afferma: ««i titoli per
cui è causa non possono affatto ritenersi equivalenti a quelli presenti nel
portafoglio della Gonzales sol che si consideri che le obbligazioni Cirio Del
Monte N.V. erano prive di rating (cfr.estratto conto titoli in atti)»»; analogo
approccio è seguito anche da Trib. Venezia, 8 giugno 2005, in Foro it., 2005,
I, 2538 il quale, respingendo la domanda di un investitore in titoli Cirio,
rileva che questi, prima dell'operazione contestata dell'importo di 26.000, aveva acquistato per importi ben più consistenti
azioni, fondi azionari ed obbligazioni di paesi emergenti. Nello stesso senso
cfr. Trib. Genova, 15 marzo 2005, in Foro it., 2005, I, 2539 ove si afferma che
la valutazione di adeguatezza ««è funzionale alla realizzazione del
miglior risultato possibile per il cliente; una valutazione che non va fatta in
senso assoluto ma (...) in relazione al livello di rischio prescelto di per sé
da ciascun investitore»». In dottrina v. DELLACASA, Collocamento di prodotti
finanziari e regole di informazione: la scelta del rimedio applicabile, in
Contratti, 2005, 1245.
[44] Cfr., in particolare Trib. Mantova, 12 novembre 2004, cit.; Id., 5 aprile
2005, in www.ilcaso.it; Trib Napoli, 22 marzo 2005, in www.dirittobancario.it
che ha ritenuto non adeguata un'operazione in covered warrant disposta da un
investitore che, pur avendo dichiarato di avere esperienza nelle operazioni
relativa a contratti derivati, non era particolarmente esperto in quanto, oltre
ad avere conseguito sola la maturità classica, era particolarmente giovane,
circostanza questa che ha portato il Tribunale ad escludere che si trattasse di
un investitore sofisticato.
[45] In considerazione del fatto che la valutazione di adeguatezza richiede un
giudizio ex ante devono ritenersi di regola irrilevanti le modifiche della
propensione al rischio dell'investitore successive alle operazioni contestate,
che possono essere però considerate con riguardo alla sussistenza del nesso di
causalità tra l'inadempimento ed il danno.
[46] Tra le sentenza che hanno ritenuto non adeguate operazioni di investimento
in titoli Ciro o Argentina cfr. Trib Torino, 7 novembre 2005, cit ««Sono
inadeguate le operazioni di investimento in obbligazioni prive di rating e ad
alto rischio per gli investitori che presentino una propensione al rischio
bassa, media o medio-alta (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto che i
titoli emessi dalla Cirio fossero da considerare ad alto rischio in quanto
l'intermediario convenuto in giudizio aveva assegnato all'emittente un rating
interno altamente speculativo)»»; Trib. Marsala, 12 luglio 2006, in www.ilcaso.it
che ha ritenuto non adeguato l'acquisto di un titolo obbligazionario della
Cirio per 67.000 da parte di un investitore con un portafoglio ammontante
complessivamente ad 614.000, composto per il 55% in
titoli obbligazionari bancari, per il 31% in fondi mobiliari bilanciati e per
il 3% in fondi azionari; Trib Padova, 17 maggio 2006, in www.ilcaso.it
che giudicato non adeguata un operazione di acquisto di 26.000 obbligazioni
Cirio Del Monte mediante l'utilizzo del denaro ricavato dalla vendita di azioni
della banca intermediaria rispetto ad un portafoglio che, prima di tale
operazione, era composto anche da 10.000 Bond Argentina, 550 azioni Autostrade
e 525 azioni Enel, ritenuto dal Tribunale orientato verso impieghi di tutta
tranquillità; Trib. Milano, 15 marzo 2006, in www.ilcaso.it che ha
ritenuto non adeguata un'operazione di investimento in titoli della Provincia
di Buenos Aires per oltre 150.000 da parte di un investitore il cui
portafoglio era composto, oltre che da una modestissima componente azionaria
rappresentata da numero 10 azioni e - Biscom S.p.A., da quote di fondi della
stessa Banca e da titoli obbligazionari; Trib. Venezia, 16 febbraio 2006, in www.ilcaso.it
che ha ritenuto non adeguato l'acquisto di titoli argentini per 42.600,00 da parte di un investitore il cui portafoglio era composto da
obbligazioni BEI per 60.784,93 e azioni ENEL per 2.323,50; Trib Palermo, 17 febbraio 2006, in www.ilcaso.it che ha
ritenuto non adeguato un investimento in obbligazioni della Repubblica
Argentina per 12.000 da parte di un investitore il cui portafoglio era composto da 38.424,19 investiti in Titoli dello Stato italiano da 10.700,00 in quote di Fondi Comuni; Trib Trani 31 gennaio 2006, in www.ilcaso.it
che ha valutato non adeguata per tipologia ed oggetto un'operazione in titoli
Cirio in quanto si era trattato della prima operazione "corporate"
sottoscritta da investitori con una bassa scolarizzazione: la moglie casalinga
con licenza elementare, il marito e operaio metalmeccanico anch'egli con la
sola licenza elementare.
Tra le sentenze che hanno invece ritenuto adeguate le operazioni di
investimento nei titoli Cirio o Argentina cfr. Trib. Milano 25 luglio 2005, in
Danno e resp., 2005, 1227, con nota di DELLACASA che ha ritenuto adeguato
l'acquisto di titoli emessi dalla Repubblica Argentina da parte di un
investitore che in precedenza aveva effettuato investimenti in obbligazioni
emesse da altri Stati emergenti o da imprese di stati emergenti e in azioni
tecnologiche e quotate sul nuovo mercato; Trib. Monza, 16 dicembre 2004, in www.ilcaso.it
che ha ritenuto adeguato l'investimento in titoli Cirio ed Argentina da parte
di un investitore con una propensione al rischio medio alta desumibile dai
pregressi investimenti in titoli azionari ed in obbligazioni societarie; Trib.
Vicenza, 23 maggio 2005, n. 12304/05 Scarpari c. Banca Intesa, citata da GOBBO
SALODINI, op. cit., 20 che ha escluso la non adeguatezza dell'operazione
disposta da un investitore con un portafoglio di oltre 10 miliardi di lire.
[47] In tal senso cfr. Trib Napoli, 12 marzo 2005, in www.dircomm.it
che ha ritenuto non adeguata un'operazione di investimento in titoli argentini
disposta da un investitore che, secondo il Tribunale, non presentava un'elevata
propensione al rischio in quanto, accanto ad un limitato quantitativo di azioni
del nuovo mercato e di fondi azionari, la maggiore parte del portafoglio era
investita in BTP.
[48] Una delle rare decisioni sull'argomento ci risulta essere. Trib. Manotva,
8 febbraio 2007, in www.ilcaso.it, ove il Tribunale ha ritenuto non
adeguato per tipologia un contratto di gestione di portafogli di investimento
in strumenti finanziari derivati collegati a materie prime, valute, indici
azionari e titoli obbligazionari con un valore massimo di leva finanziaria pari
a 10 in considerazione del fatto che lo stesso contratto prevedeva un ammontare
minimo dell'investimento di 100.000 euro non rispettato dall'intermediario che
aveva stipulato diversi contratti di gestione per importi inferiori. Il
Tribunale ha ritenuto inadeguata per tipologia la conclusione del contratto di
gestione proprio in considerazione del fatto che la previsione di un importo
minimo di investimento doveva far ritenere il contratto adeguato solo per gli
investitori particolarmente esperti e propensi ad un elevato rischio.
[49] L'art. 37 Reg. Consob prevede che: ««In aggiunta a quanto stabilito
dall'articolo 30, il contratto con gli investitori deve: a) indicare le
caratteristiche della gestione; b) individuare espressamente le operazioni che
l'intermediario non può compiere senza la preventiva autorizzazione
dell'investitore; ove non siano previste restrizioni indicare espressamente
tale circostanza; c) con riguardo agli strumenti finanziari derivati, indicare
se detti strumenti possono essere utilizzati per finalità diverse da quella di
copertura dei rischi connessi alle posizioni detenute in gestione; ...»».
L'art. 38 specifica poi che ««Per caratteristiche della gestione si intendono:
a) le categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere investito il
patrimonio gestito e gli eventuali limiti; b) la tipologia delle operazioni che
l'intermediario può effettuare sui suddetti strumenti finanziari; c) la misura
massima della leva finanziaria che l'intermediario può utilizzare; d) il parametro
oggettivo di riferimento al quale confrontare il rendimento della gestione»».
[50] Sul punto cfr. GAETA, Responsabilità oggettiva degli intermediari e
validità dei contratti di investimento, in Contratti, 2005, 594 secondo la
quale l'intermediario deve costruire il portafoglio del cliente individuando la
combinazione di strumenti finanziari che in rapporto alla propensione al
rischio dell'investitore minimizzino le perdite e ottimizzino il rendimento.
[51] Sulla discrezionalità dell'intermediario nel servizio di gestione di
portafogli di investimento cfr. GAETA, La gestione individuale dei portafogli
di investimento - La discrezionalità del gestore e l'autorizzazione del
cliente, in Giur. it., 2001, 2332
[52] Sul punto, nel senso che i doveri di informazione previsti dall'art. 21
t.u.f. e 28, 2° co. Reg. Consob, debbano essere adempiuti, nei confronti di
tutti gli investitori indipendentemente dalla loro propensione al rischio cfr
App. Milano, 19 dicembre 2006, in Danno e resp., 2007, 562: per cui i doveri
informativi ««ancorché diversamente calibrati a seconda della tipologia del
cliente, (..) non vengono meno giacché l'esigenza di conoscere le
caratteristiche dell'investimento offerto sono proprie, ovviamente, di
qualsiasi investitore, anche di quello più disposto ad affrontare rischi.»»;
nello stesso senso cfr. Trib Foggia, 21 aprile 2006, in www.ilcaso.it;
Trib. Firenze, 21 febbraio 2006, in www.ilcaso.it; Trib.
Cagliari, 2 gennaio 2006, in www.ilcaso.it; Trib. Treviso, 26 novembre 2004,
inedita; Trib. Treviso, 10 ottobre 2005, inedita. Tale interpretazione pare
corretta in quanto gli artt. 21 t.u.f. e 28 Reg. Consob non diversificano la
situazione dell'investitore a seconda della sua esperienza e propensione al
rischio, anche se si deve riconoscere che le caratteristiche soggettive
assumono grande importanza nella valutazione del nesso di causalità tra
l'inadempimento ed il danno subito dall'investitore. Contra, in dottrina, cfr.
NEGRO, op. cit., 495 il quale ritiene che il dovere di informare il cliente
debba essere differentemente modulato a seconda delle caratteristiche
dell'investitore.
[53] L'espressione neoformalismo negoziale si deve a IRTI, Studi sul formalismo
negoziale, Padova, 1997; ID., Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo
giuridico, Milano 1985. Sul tema di recente cfr. MORELATO, Nuovi requisiti di
forma nel contratto. Trasparenza contrattuale e neoformalismo, Padova, 2006.
[54] Sul punto v. MORELATO, op. cit., 31 ss,
[55] Cfr. art. 23 per la forma dei contratti relativi ai servizi di
investimento, art. 24 per il contratto di gestione di portafogli di
investimento, art. 30, settimo comma, quanto all'indicazione della facoltà di
recesso.
[56] Cfr. art. 27 per la segnalazione del conflitto di interessi, art. 28,
primo comma lett. a) per il rifiuto del cliente a fornire le informazioni sulla
propria situazione finanziaria, propensione al rischio; art. 28 3° co. per le
perdite in warrant e strumenti derviati; 28, 4° co. per le perdite subite
nell'ambito di una gestione patrimoniale.
[57] Sul punto cfr. DI MAJO, La correttezza nell'attività di intermediazione
mobiliare, in Banca Borsa, 1993, I, 296; MAZZAMUTO, Il problema della forma nei
contratti di intermediazione mobiliare, in Contr. Impr., 1994, 45; DE NOVA,
Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim. dir proc.
civ., 1993, 710.
[58] E' significativo al proposito che la forma scritta del contratto di
investimento sia richiesta non solo per la manifestazione del consenso delle
parti, ma anche per il contenuto minimo del contratto previsto dall'art. 30
Reg. Consob.
[59] Sul rapporto tra formalismo negoziale ed onere probatorio, cfr. LENER,
Forma contrattuale e tutela del contraente "non qualificato" nel
mercato finanziario, Milano, 1996, 15 e ss.
[60] L'art. 23 t.u.f. dell'art. prevedendo l'obbligo della forma scritta per
««i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento»», non
chiarisce se essa riguardi solo i contratti quadro con i quali viene regolato
il rapporto di mandato intercorrente tra il cliente e la banca per la
trasmissione degli ordini di borsa, o se, invece, la norma si riferisca anche
agli atti esecutivi del mandato, quali sono i singoli ordini di borsa. Per la
prima soluzione cfr. Trib. Venezia 22 novembre 2004, in Giur. It., 2005, 754;
Trib. Genova, 2 agosto 2005, in Danno e Resp. 2005, 1225; Trib., Milano 25
luglio 2005, ibidem; Trib. Venezia 8 giugno 2005, ibidem; Trib. Venezia 11
luglio 2005, ibidem; in dottrina cfr. GALGANO, I contratti di investimento e
gli ordini dell'investitore all'intermediario, in Contratto e impresa, 2005,
894 ; ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e
risarcimento (ovvero l'ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contratto e
impresa., 2005, 898. Per la seconda soluzione si è espressa, seppur a livello
di obietr dictum la Cassazione (Cass 18 marzo 2003, n. 3956. in Rep. Foro it.,
2003, ««Intermediazione finanziaria»», n. 85; Cass., 29 settembre 2005, n.
19024, in Foro it., 2006, I, 1105), altra parte della giurisprudenza di merito
(Trib. Milano 7 ottobre 2004, in Giur. It., 2005, 754; Trib. Torino, 25 maggio
2005, in Giur. It., 2005, 1857; Trib. Bari 27 marzo 2006, in Corriere del
Merito, 2006, 1000; Trib. Genova, 26. giugno 06, in www.ilcaso.it)
e parte della dottrina (MORELATO, op. cit., 56; FIORIO, Gli obblighi di
comportamento degli intermediari, cit., 765; SANZO, Evoluzione normativa in
materia di forma degli ordini di borsa: le diverse fasi di un progressivo
rigore a tutela dei ««consumatori»» e della trasparenza del mercato mobiliare,
in Giur. it., 1998, 302 e ss.).
[61] Cfr. Trib. Venezia 16 febbraio 2006, in www.ilcaso.it: «« Posto che
la prescrizione della forma quale elemento costitutivo di un contratto risponde
normalmente ad un'esigenza di responsabilizzazione del consenso, di mettere in
guardia colui che compie un atto di particolare importanza in ordine alle
conseguenze dello stesso, che esigono, proprio per questo, una maggiore
ponderazione - non a caso è prevista la forma scritta per gli atti di
trasferimento di diritti reali immobiliari - e' indubitabile che, nella stessa
prospettiva, l'art. 29, nel caso di operazione non adeguata, abbia voluto, con
particolare rigore, imporre una particolare forma in relazione all'esigenza di
maggior tutela del risparmiatore»»; nello stesso senso cfr. Trib Biella, 28
ottobre 2005, in Società, 2006, 1126.
[62] Cfr. Trib. Bologna, 18 dicembre 2006, in www.ilcaso.it
[63] Cfr. Trib. Mantova, 18 marzo 2004, cit., secondo cui l'art. 29 Reg. Consob
prescrive agli intermediari l'obbligo di informare dell'inadeguatezza
dell'operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua
esecuzione, senza imporre una specifica forma, in osservanza al principio di
libertà delle forme sancito all'art. 1350 c.c.. Tale interpretazione è stata
confermata in appello da App. Brescia, 10 gennaio 2007, in www.ilcaso.it
ove la Corte ha affermato che l'art. 29 Reg. Consob, da leggersi unitamente
all'art. 28, non prescrive necessariamente che le ragioni della non adeguatezza
debbano essere segnalate per iscritto, essendo richiesta la forma scritta solo
per l'avvertimento che l'operazione è inadeguata.
[64] Cfr. Trib Torino, 7 novembre 2005, cit.,; Trib. Catania, 23 gennaio 2007,
in www.ilcaso.it;
Trib. Genova, 3 novembre 2006, in www.ilcaso.it; Trib.
Genova, 26 giugno2006, in www.ilcaso it; Trib. Genova, 15 marzo 2005, in
Danno e Resp., 2005, 609; Trib. Milano, 20 marzo 2006, in www.ilcaso.it;
Trib Palermo, 17 febbraio 2006, in www.ilcaso.it; Trib.
Bologna, 31 maggio 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Bologna, 18 dicembre 2006,
in www.ilcaso.it;
Trib. Lecce, 12 giugno 2006, in Danno e resp., 2007, 567
[65] In tal senso cfr. PARACAMPO, op. cit., 111: MAFFEIS, Forme informative,
cit., 597; DELLACASA, op. cit., 1245.
[66] Cfr. Cass., 1° dicembre 2000 n. 15380, in Contratti, 2001, 543; Cass.,
Cass., 12 febbraio 1982, n. 851, in Rep. Foro it., 1982, voce «« Contratto in
genere»», n. 270 secondo cui le clausole generiche ed indeterminate sono
clausole di stile e come tali inefficaci. Sul punto cfr. Trib. Mantova, 12
novembre 2004, in Giur.it., 2005, 754 che ha ritenuto che l'indicazione
prestampata sull'ordine d'acquisto secondo cui gli attori avevano ricevuto
««adeguate informazioni in merito ai rischi connessi allo strumento finanziario
in oggetto»» sia una mera clausola di stile, inefficace ai sensi dell'art.
1469bis n. 19 c.c., ed inidonea ad esonerare l'intermediario dall'onere di
fornire la prova circa il contenuto delle informazioni rese al cliente. Nello
stesso senso cfr. Trib Firenze, 18 febbraio 2005, cit.
[67] Cfr. Trib. Palermo, 17 gennaio 2005, in Giur. It, 2005, 2096 che ha
ritenuto inidonea la dichiarazione con la quale l'investitore attestava la
conformità dell'operazione ai propri obiettivi di investimento. Sul punto cfr.
PARACAMPO, op. cit., 110 la quale osserva come siffatte clausole comportano
un'inversione dell'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione,
impropriamente, ribaltato ed addossato sul cliente, il quale è invece il
destinatario dell'informazione.
[68] L'espressione si deve a MAFFEIS, Forme informative, cit., 575
[69] Cfr. App. Milano, 18.12.2006, p. 83: ««Quanto a Comit, la procedura
esistente si limitava a segnalare indiscriminatamente l'inadeguatezza
dell'operazione, indipendentemente dal profilo del cliente, ogni volta che
avesse riguardato titoli esteri, senza informative specifiche, nonostante
l'eterogeneità dei titoli, sulle loro caratteristiche peculiari: le circolari
richiamate dall'opponente, vagliate dalla Commissione, fornivano invero solo
richiami generici alla disciplina di settore, senza orientare secondo concreti
criteri il giudizio dell'operatore della filiale e senza vincolarlo ad una
valutazione del profilo del cliente nei termini sopra precisati»». Per
considerazioni analoghe cfr. App. Torino, 18 gennaio 2006, cit. Nella
motivazione del decreto con il quale la Corte d'Appello torinese ha confermato
le sanzione amministrative irrogate dalla Consob e dal Ministero dell'Economia
ad un'importante istituto di credito si legge che: ««le procedure aziendali
prevedevano, per il caso di mancato rilascio di informazioni, un giudizio di
inadeguatezza dell'investimento e, dall'altro, i sistemi informatici
proponevano invece per default una indicazione di "operazione non
adeguata"»»
[70] Cfr. Trib Venezia 5 maggio 2006, in www.ilcaso.it che non ha
ammesso la prova testimoniale dell'investitore diretta a dimostrare che la
segnalazione di non adeguatezza presente sull'ordine non era stata preceduta da
un equivalente informativa orale. Il Tribunale ha ritenuto la prova contraria
al contenuto dell'ordine, inammissibile ai sensi dell'art. 2722 c.c. poiché
diretta a provare patti aggiunti contrari stipulati contemporaneamente,
osservando che l'investitore avrebbe dovuto impugnare per dolo o per errore la
sottoscrizione.
[71] Cfr. LENER, Forma contrattuale, cit., 188, il quale, con riferimento
all'autorizzazione delle operazioni in conflitto di interesse rileva che una
volta rispettata la forma contrattuale ogni conseguenza negativa delle
operazioni di investimento scelte dal cliente finisce per essere irrilevante
per l'ordinamento. Su posizioni simili parrebbe anche orientato INZITARI,
Responsabilità della banca nell'esercizio del credito: abuso nella concessione
di credito e rottura del credito, in Banca borsa., 2001, I, 296 secondo cui la responsabilità
conseguente alla suitability rule può essere rimossa sulla base di una
unilaterale dichiarazione di accettazione del rischio da parte
dell'investitore, ai sensi dell'art. 29, comma 3 del regolamento". Nello
stesso senso cfr. anche CHINÈ, Collocamento di strumenti finanziari, obblighi
di informazione e responsabilità della banca intermediaria, in Corr. merito,
2005, 51.
[72] L'art. 21 t.u.f. impone infatti agli intermediari di operare in modo che i
clienti siano sempre adeguatamente informati e di agire nell'interesse
esclusivo dei clienti, anche a prescindere dalla formale autorizzazione al
compimento di operazioni non adeguate; sul punto cfr. MAFFEIS, Forme
informative, cit., 583 ss; LOBUONO, La responsabilità degli intermediari
finanziari, Napoli, 1999, 201; ANNUNZIATA, op. cit., 335, il quale sottolinea
il rischio di risolvere negli strumenti formali il rispetto dei profili
sostanziali.
[72] MAFFEIS, Forme informative, cit., 591.
[73] Cfr. MAFFEIS, Forme informative, cit., 590 ss., il quale sottolinea che in
considerazione dei principi generali in tema di gerarchia delle fonti, che
impongono la prevalenza della legge sui regolamenti delle Autorità di
vigilanza, non si può ritenere che il Reg. Consob deroghi i principi generali
previsti dal t.u.f.
[74] In questo senso cfr. MAFFEIS, Forme informative, cit 597. L'argomentazione
non pare tuttavia convincente, per lo meno in quei casi in cui la segnalazione
di non adeguatezza sia completa ed esauriente, in quanto con essa
l'intermediario adempie al dovere imposto dall'art. 29 Reg. Consob, non
potendosi pertanto ritenere che la sottoscrizione dell'avvertimento determini
uno squilibrio contrattuale a svantaggio dell'investitore.
[75] In tal senso cfr. Trib. Alba, 19 agosto 2005, cit secondo cui la dicitura
operazione non adeguata non corrispondente alle informazioni rese
dall'intermediario al momento della conclusione dell'operazione è priva di
alcun valore.
[76] Sul punto cfr. LENER, Forma contrattuale, cit., 15 ss secondo il quale il
formalismo contrattuale non comporta solo costi per le imprese ma ««anche
benefici evidenti, se non altro in termini di riduzione della conflittualità»».
Nello stesso senso con riferimento alla fattispecie di conflitto di interessi,
cfr. ENRIQUES, Lo svolgimento dell'attività di intermediazione da parte delle
banche, profili privatistici, in Banca Borsa, 1996, I, 662.
[77] Sul tema v. TOPINI, L'onere della prova nei giudizi di responsabilità per
danni cagionati nello svolgimento dei servizi di investimento, in Giur. Comm.,
1999, I, 701 e ss,
[78] Sull'obbligo di collaborazione del risparmiatore cfr. Cass., 7 settembre
2001, n. 11495, in Contratti, 2002, con nota di GIRINO, Contratti di swap:
forma, autonomia, nullità e responsabilità; in argomento v. anche PALMIERI,
Responsabilità dell'interemdiario finanziario per violazione degli obblighi di
informazione e protezione dell'investitore non professionale, in Giur. comm.,
2006, II, 521
[79] Cfr. art. 14, primo comma, lett. a) l. 262/2005: ««Al testo unico di cui
al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni,
sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 21, comma 1, lettera
a), è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I soggetti abilitati
classificano, sulla base di criteri generali minimi definiti con regolamento
dalla CONSOB, che a tale fine può avvalersi della collaborazione delle
associazioni maggiormente rappresentative dei soggetti abilitati e del
Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, di cui alla legge 30 luglio
1998, n. 281, il grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni
di portafogli d'investimento e rispettano il principio dell'adeguatezza fra le
operazioni consigliate agli investitori, o effettuate per conto di essi, e il
profilo di ciascun cliente, determinato sulla base della sua esperienza in
materia di investimenti in prodotti finanziari, della sua situazione
finanziaria, dei suoi obiettivi d'investimento e della sua propensione al
rischio, salve le diverse disposizioni espressamente impartite dall'investitore
medesimo in forma scritta, ovvero anche mediante comunicazione telefonica o con
l'uso di strumenti telematici, purché siano adottate procedure che assicurino
l'accertamento della provenienza e la conservazione della documentazione dell'ordine»».
[80] Sul punto cfr. supra § 2.
[81] Sul punto cfr. VELLA, Le sfide della Mifid, in www.lavoce.info.
I limiti entro i quali possono operare gli ordinamenti nazionali sono
esplicitati al settimo considerando della Direttiva 2006/73/CE: «« Per
assicurare l'applicazione uniforme delle varie disposizioni della direttiva
2004/39/CE, è necessario stabilire una serie di requisiti armonizzati in
materia di organizzazione e di esercizio dell'attività delle imprese di
investimento. Di conseguenza gli Stati membri e le autorità competenti non
devono aggiungere regole vincolanti supplementari all'atto del recepimento e
dell'applicazione delle disposizioni contenute nella presente direttiva, salvo
qualora quest'ultima lo preveda espressamente»».
[82] Cfr. ORTINO, Il mutuo riconoscimento e l'integrazione comunitaria dei
mercati e dei servizi finanziari, in Banca, impresa, società, 2006, 216.
[83] Cfr. ENRIQUES, L'intermediario in conflitto di interessi nella nuova
disciplina comunitaria dei servizi di investimento, in Giur. comm., 2005, I,
844.
[84] Sul punto cfr. COSTI, La direttiva 2004/39/CE (c.d Mifid)) e l'ordinamento
italiano, in Scambi su merci e derivati su commodities. Quali prospettive, a
cura di Lamandini e Motti, Milano, 2006, 30 ss.
[85] Sul punto cfr. SANGIOVANNI, Operazione inadeguata dell'intermediario
finanziario fra nullità del contratto e risarcimento del danno alla luce della
direttiva MIFID, in Contratti, 2007, 249 ss; FRUMENTO, La valutazione di
adeguatezza e di appropriatezza delle operazioni di investimento nella
Direttiva Mifid, in Contratti, 2007, 583.
[86] Cfr. Il nuovo regolamento intermediari, documento di consultazione, in www.consob.it,
di seguito citato come "bozza del Nuovo Regolamento Intermediari"
[87] Cfr. art. 19, par. 6 Direttiva 2004/39/CE: ««i suddetti servizi sono
connessi ad azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato, o in
un mercato equivalente di un paese terzo, strumenti del mercato monetario,
obbligazioni o altri titoli di credito (escluse le obbligazioni o titoli di
credito che incorporano uno strumento derivato), OICVM ed altri strumenti
finanziari non complessi. Un mercato di paese terzo è considerato equivalente a
un mercato regolamentato se rispetta requisiti equivalenti a quelli fissati al
Titolo III. La Commissione pubblica un elenco dei mercati da considerare
equivalenti. L'elenco è aggiornato periodicamente»».
Tuttavia anche strumenti finanziari non espressamente considerati come prodotti
non complessi dall'art. 19, par. 6 della Direttiva 2004/39/CE possono essere
considerati tali qualora sussistano i requisiti previsti dall'art. 39 della
Direttiva 2006/73/CE: ««Uno strumento finanziario che non sia menzionato
all'articolo 19, paragrafo 6, primo trattino, della direttiva 2004/39/CE è
considerato non complesso se soddisfa i seguenti criteri: a) non deve rientrare
nell'ambito di applicazione dell'articolo 4, paragrafo 1, punto 18), lettera
c), né dell'allegato I, sezione C, punti da 4) a 10), della direttiva
2004/39/CE; b) devono esistere frequenti opportunità di cedere, riscattare o
realizzare altrimenti tale strumento a prezzi che siano pubblicamente
disponibili per i partecipanti al mercato e che siano i prezzi di mercato o i
prezzi messi a disposizione, o convalidati, da sistemi di valutazione
indipendenti dall'emittente; c) non deve implicare alcuna passività effettiva o
potenziale per il cliente che vada oltre il costo di acquisizione dello strumento;
d) devono essere pubblicamente disponibili informazioni sufficientemente
complete e di agevole comprensione sulle sue caratteristiche, in modo tale che
il cliente al dettaglio medio possa prendere una decisione informata in merito
alla realizzazione o meno di un'operazione su tale strumento»».
[88] La disciplina comunitaria è letteralmente trasposta nella bozza del Nuovo
Regolamento Intermediari, all'art. 43
[89] In tal senso cfr. ROSATI, Il sistema di intermediazione mobiliare italiano
e la Mifid, intervento al convegno annuale Assoreti, tenutsi il 19 maggio 2007
a Forte dei Marmi, Le autorità di regolazione del mercato e le reti di
promotori finanziari problemi e prospettive alla luce del quadro comunitario,
in www.consob.it.
Per un vero e proprio dovere di astensione cfr. art. 39, co. 6 della bozza del
Nuovo Regolamento Intermediari: ««Quando gli intermediari che forniscono il
servizio di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli
non ottengono le informazioni di cui al presente articolo si astengono dal
prestare ii menzionati servizi»».
[90] Cfr. l'art. 42, co. 4 della bozza del Regolamento Intermediari
[91] Sulle diverse categorie di investitori previste dalla Direttiva cfr. BRUNO
- ROZZI, Il destino dell'operatore qualificato alla luce della MIFID, in Le
società, 2007, 277 ss.
[92] Cfr. art. 24, 1° par.: ««Gli Stati Membri assicurano che le imprese di
investimento autorizzate ad eseguire ordini per conto dei clienti e/o a
negoziaziare per conto proprio e/o a ricevere e trasmettere ordini possano
determinare o concludere operazioni con controparti qualificate senza essere
obbligate a conformarsi agli obblighi previsti agli articoli 19, 21, 22,
paragrafo 1 rispetto a tali operazioni o a qualsiasi servizio accessorio ad
esse direttamente connesso»».
[93] Ovvero le disposizioni che disciplinano le comunicazioni di marketing, le
informazioni sulle caratteristiche dei servizi e degli strumenti finanziari, la
c.d.know your customer rule, la suitability rule e la best execution rule.).
[94] Cfr. 40° considerando: ««Occorre prevedere dei requisiti per garantire che
le informazioni fornite ai clienti siano appropriate e proporzionate tenuto
conto dello status del cliente (cliente al dettaglio o professionale).
L'obiettivo della direttiva 2004/39/CE è assicurare un giusto equilibrio tra la
tutela degli investitori e gli obblighi di comunicazione che si applicano alle
imprese di investimento. A tal fine è opportuno che la presente direttiva
contenga obblighi specifici di informazione per i clienti professionali meno
rigorosi di quelli che si applicano ai clienti al dettaglio. I clienti
professionali, salvo talune eccezioni, devono poter individuare autonomamente
le informazioni di cui necessitano per prendere la loro decisione con
cognizione di causa e chiedere all'impresa di investimento di fornirgliele»».
[95] Cfr., art. 36, secondo par.: ««Quando l'impresa di investimento fornisce
un servizio di investimento ad un cliente professionale ha il diritto di
presumere che, per quanto riguarda i prodotti, le operazioni e i servizi per i
quali tale cliente è classificato nella categoria dei clienti professionali,
egli abbia il livello necessario di esperienze e di conoscenze ai fini del
paragrafo 1, lettera c). Quando tale servizio di investimento consiste nella
prestazione di consulenza in materia di investimenti ad un cliente
professionale di cui all'allegato II, parte I, della direttiva 2004/39/CE,
l'impresa di investimento ha il diritto di presumere, ai fini del paragrafo 1,
lettera b), che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare
qualsiasi rischio di investimento connesso compatibile con gli obiettivi di
investimento di tale cliente»». Nello stesso senso cfr. art. 40, co. 3 della
bozza del Nuovo Regolamento Intermediari.
Cfr. anche art. 37: «« A tal fine l'impresa di investimento ha il diritto di
presumere che un cliente professionale abbia il livello di esperienze e
conoscenze necessario per comprendere i rischi connessi a quei determinati
servizi di investimento od operazioni o a quei tipi di operazioni o prodotti
per i quali il cliente è classificato come cliente professionale»».
[96] Cfr. art. 40, co. 1 della bozza del Nuovo Regolamento Intermediari
[97] Cfr. art. 42, co. 1 della bozza del Nuovo Regolamento Intermediari.
[98] In tal senso v. DE MARI SPADA, Intermediari e promotori finanziari,
Bologna, 2005, 139; COSTI, La direttiva 2004/39/CE (c.d Mifid), cit.,, 27:
««...l'impressione è che l'obbligo di informarsi imposto dalla direttiva sia
meno stringente di quello oggi imposto da Consob»». In particolare, da un
confronto tra la disciplina oggi vigente e quella prevista nella direttiva
MIFID, le principali differenze riguardano: (i) l'ambito soggettivo di
applicazione delle nuove regole, destinate ai soli investitori al dettaglio,
come definiti nella Direttiva MIFID; (ii) l'ambito oggettivo di applicazione
delle regole, modulate in maniera differente a seconda che i servizi di
investimento abbiano natura discrezionale o vincolata: qualora il servizio
consista nella ricezione, trasmissione ed esecuzioni di ordini si assiste ad
una sostanziale disapplicazione della regola, qualora invece riguardi altri
servizi diversi dalla gestione di portafogli e dal servizio di consulenza,
l'intermediario può limitarsi ad una valutazione dell'appropriatezza del
prodotto e del servizio; (iii) un notevole alleggerimento della Know your
customer rule che contrariamente a quanto oggi previsto, in caso di rifiuto di
fornire le informazioni richieste, esonera 'intermediario dal dovere di
valutare la propensione al rischio ed il profilo dell'investitore sulla base
della sua pregressa operatività; (iv) la previsione per cui in ogni caso la
segnalazione di non adeguatezza o di non appropriatezza può essere fornita
mediante formato standardizzato.
[99] In argomento cfr. PERRONE, Gli obblighi di informazione nella prestazione
dei servizi di investimento, in Banca Borsa, 2006, I, 359. Tale obiettivo è
esplicato al 44° considerando della Direttiva 2006/73/CE: ««L'obiettivo della
Direttiva 2004/39/CE è assicurare un giusto equilibrio tra la tutela degli
investitori e gli obblighi di comunicazione che si applicano alle imprese di
investimento»».
[100] Cfr. GENTILE LINCIANO SICILIANO, Le scelte di portafoglio delle famiglie
italiane e la diffusione del risparmio gestito, in Banca, impr. Società, 2006,
425 e in particolare 442 i quali rilevano che sulla base dell'Indagine sui
bilanci delle famiglie della Banca d'Italia emerge che ««fra il 2000 e il 2004
la quota delle famiglie che possiedono fondi comuni o gestioni individuali
scende dal 14,6 al 10,2%, mentre la quota delle famiglie che detengono
un'assicurazione vita o una pensione integrativa scende dal 30 al 20% circa;
complessivamente la percentuale di famiglie che detiene un qualsiasi tipo di
prodotto del risparmio gestito scende invece dal 35,5 al 25,2%»».
[101] Cfr. il 31° considerando della Direttiva 2004/39/CE: uno degli obiettivi
della presente direttiva è proteggere gli investitori»». Nello stesso senso v.
anche il 5° considerando della Direttiva 2006/73/CE secondo cui le regole per
la prestazione dei servizi di investimento devono mirare ad assicurare un
livello elevato di tutela degli investitori, applicato in modo uniforme
attraverso l'introduzione di standar e requisiti chiari che disciplinano la
relazione tra l'impresa di investimento e la sua clientela»»
[102] Cfr. AMBROSETTI THE EUROPEAN HOUSE - PATTI CHIARI, L'educazione
finanziaria in Italia. Riflessioni e proposte per migliorare la cultura
finanziaria del paese,. Documento preparato per il Workshop Ambrosetti - The
European House, "Lo scenario dei mercati finanziari, del loro governo e
della finanza" Villa d'Este, Cernobbio, 31 marzo 2007, reperibile in www.helpconsumatori.it.
Il benchmark dell'alfabetizzazione finanziaria della popolazione italiana, su
una scala da 1 a 10, viene stimato in 3,46 a fronte del miglior livello
raggiunto dall'Australia (7,04) e comunque inferiore nell'ordine a quello
realizzato oltre che dall'Australia, dal Giappone, Stati Uniti Nuova Zelanda,
Germania, Regno Unito, Francia.
[103] Cfr. AMBROSETTI THE EUROPEAN HOUSE - PATTI CHIARI, L'educazione
finanziaria in Italia, cit.
[104] Assoreti - GfK Eurisko, "I bisogni informativi e la cultura
finanziaria sul mondo delle reti e dei promotori finanziari", dicembre
2006.
[105] Cfr AMBROSETTI THE EUROPEAN HOUSE - PATTI CHIARI, L'educazione
finanziaria in Italia, cit.
[106] Cfr. art. 4, par. 1, n. 5) che definisce il servizio di esecuzione di
ordini per conto dei clienti come la ««contrattazione ai fini della conclusione
di operazioni riguardanti uno o più strumenti finanziari per conto dei
clienti»». Lo schema di decreto delegato all'art. 1 co. quater t.u.f. specifica
che il servizio di trasmissione e ricezione di ordini comprende ««la ricezione
e la trasmissione di ordini nonché l'attività consistente nel mettere in
contatto due o più investitori, rendendo così possibile la conclusione di
un'operazione fra loro (mediazione)»».
[107] Cfr. art. 4, par. 1, n. 4) che definisce il servizio di consulenza in
materia di investimenti come la ««prestazione di raccomandazioni personalizzate
ad un cliente, dietro sua richiesta, o per iniziativa dell'impresa di
investimento, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti
finanziari»». Tale definizione è trasposta testualmente nello schema di decreto
delegato all'art. 1 co. 5 quinquies.
[108] Cfr. art. 10, par 1: ««Gli Stati membri prescrivono che le imprese di
investimento, quando prestano servizi di investimento e/o, se del caso, servizi
accessori ai clienti, agiscano in modo onesto, equo e professionale, per
servire al meglio gli interessi dei loro clienti e che esse rispettino in
particolare i principi di cui ai paragrafi da 2 a 8»».
[109] Cfr. art. 19, par. 5, Direttiva 2004/39/CE ove si prevede che
l'avvertimento di non adeguatezza, «« può essere fornita utilizzando un formato
standardizzato»». L'art. 42, co. 3 della bozza del Nuovo Regolamento
Intermediari consente che l'informazione circa la non appropriatezza
dell'investimento possa essere fornita ««utilizzando un formato
standardizzato»».
[110] Cfr. ORTINO, op. cit., 218.
[111] Alla tesi della nullità virtuale, affacciatasi nel panorama
giurisprudenziale a partire da Trib. Mantova 18 marzo 2004, cit., e seguita da
numerosi precedenti di merito, altra parte della giurisprudenza di merito ed
infine di legittimità (cfr. Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno e
Resp., 2006, I, 25) ha optato per il rimedio risarcitorio; sul punto cfr.
COTTINO, Una giurisprudenza in bilico: i casi Cirio Parmalat, bonds argentini,
cit; Sangiovanni, op. cit., 245, ove ampi riferimenti giurisprudenziali.
[112] Cfr. Cass., 16 febbraio 2008, n. 3683, in Cor. giur., 2007, 631, con nota
di MARICONDA, che ha rimesso alle Sezioni Unite il contrasto giurisprudenziale
concernente la questione se la violazione degli obblighi gravanti sulle parti
nel corso delle trattative contrattuali,ed in specie la violazione degli
specifici obblighi di informazione che la legge pone a carico degli
intermediari finanziari nei confronti dei propri clienti, determini la nullità
dei successivi contratti per violazione di norma imperativa ai sensi
dell'art.1418 comma 1 c.c.
Scarica Articolo PDF