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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/06/2016 Scarica PDF

Amministrazione di sostegno: la gestione del patrimonio amministrato e la responsabilità civile dell'amministratore

Mauro Pietro Bernardi, Giudice


Sommario: 1. Generalità - 2. Le misure provvisorie - 3. La gestione del patrimonio - 4. Il beneficiario e l’impresa - 5. La responsabilità civile dell’amministratore di sostegno


     

1. Generalità

L’amministrazione di sostegno[1] è regolata dal codice civile con un corpo autonomo di norme nonché mediante il rinvio alla disciplina sulla tutela dei minori, peraltro  limitato a singole disposizioni (e, comunque, nei limiti della compatibilità: v. art. 411 co. I c.c.)[2] mentre non sono immediatamente applicabili all’istituto in esame quelle concernenti l’interdetto o l’inabilitato[3], salva la possibilità di estendere, con specifico provvedimento giudiziale, effetti, limitazioni e decadenze previste per costoro ai sensi dell’art. 411 IV co. c.c., avuto riguardo all’interesse del beneficiario e a quello tutelato da tali norme[4].

Orbene se la positiva caratteristica della misura di protezione in esame è stata rinvenuta nel fatto di essere flessibile, in quanto modulata sui concreti bisogni del beneficiario, tale articolata disciplina può comportare notevoli incertezze applicative nella soluzione delle singole questioni, tanto più ove difettino dettagliate statuizioni circa i poteri conferiti all’amministratore di sostegno (l’estensione dei quali peraltro non è sempre immediatamente e/o compiutamente preventivabile) ed in considerazione del fatto che l’art. 409 co. I c.c., secondo cui il beneficiario conserva la capacità d’agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o la assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno, sancisce una regola generale di capacità[5].

All’amministratore di sostegno possono essere conferiti poteri di rappresentanza ovvero di mera assistenza (v. art. 405 c.c.) modulati secondo le capacità della persona e le esigenze del caso concreto e, solo nella prima ipotesi, si porrà un problema di gestione del patrimonio dell’amministrato in quanto, nella seconda, l’amministratore dovrà intervenire solo in relazione ai singoli atti per i quali è richiesta l’assistenza. 

L’amministratore di sostegno, dietro autorizzazione del Giudice Tutelare, può essere autorizzato a farsi coadiuvare nella amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate (v. art. 379 c.c. richiamato dall’art. 411 c.c.):  deve invece escludersi che egli possa conferire ad altri, spogliandosi del proprio ufficio, un mandato generale relativo all'intera gestione, in quanto il mandato generale importerebbe la sostituzione radicale a sé di un’altra persona, ciò che non può ritenersi legittimo data la particolare natura e delicatezza della funzione, potendo egli invece attribuire a terzi mandati relativi al compimento di singoli atti secondo un criterio di opportunità e di convenienza e sempre sotto la propria responsabilità[6].

Quanto alla linea di discrimine fra l’istituto in esame e quello (residuale) dell’interdizione[7], la stessa va rinvenuta avendo riguardo alla maggiore capacità della amministrazione di sostegno di adeguarsi alle esigenze del beneficiario, secondo una valutazione che deve essere compiuta dal giudice in base a tutte le circostanze del caso concreto, alla luce di un criterio che assicuri la massima tutela all’interessato, col suo minor sacrificio[8].  

La necessità di disporre la più grave misura dell’interdizione ricorre pertanto ove  risulti particolarmente complessa la gestione del patrimonio del  beneficiario[9] purchè egli non sia in grado di provvedervi (eventualmente anche ricorrendo all’ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore)[10] e tale ipotesi può sussistere ove egli sia titolare di un patrimonio particolarmente cospicuo e diversificato ovvero sia titolare di una impresa[11]. 

Occorre poi sottolineare che l’amministratore di sostegno è tenuto a perseguire il soddisfacimento dei  bisogni e degli interessi del beneficiario (temperato secondo un criterio di adeguatezza sociale) interloquendo sia con lui che con il Giudice Tutelare: tale finalità positivamente indicata dal legislatore (v. artt. 1 della legge 9-1-2004 n. 6  e 410 c.c.) deve “illuminare” l’amministratore di sostegno nella gestione del patrimonio, nel senso che egli dovrà ispirarsi a criteri gestionali tendenzialmente conservativi e cioè diretti a mantenere il patrimonio dal quale trarre le risorse destinate a soddisfare i bisogni dell’amministrato e a fronteggiare gli obblighi di cui egli sia destinatario.

Così ove il beneficiario prima dell’applicazione della misura di protezione concorresse in tutto o in parte al mantenimento dei familiari, il sostegno economico da parte sua dovrà proseguire anche in corso di procedura: la questione presenta profili di innegabile delicatezza (si pensi all’ipotesi in cui con l’interessato convivano figli maggiorenni ma non economicamente indipendenti ovvero a quella in cui il coniuge o il convivente non svolgessero attività lavorativa) sicché l’amministratore di sostegno dovrà  verificare le capacità economiche di tutti i componenti del nucleo familiare e il concreto apporto economico dato in precedenza allo stesso dal beneficiario, modulando una ripartizione del reddito[12] che garantisca il mantenimento di adeguate risorse in capo all’interessato e che, tendenzialmente, non faccia venire meno ai familiari il sostegno economico in precedenza loro assicurato.   

In generale deve ritenersi che le dismissioni di cespiti rilevanti del patrimonio (come nel caso di immobili) saranno consentite ove ricorra un’ipotesi di necessità(ad es. per acquisire la liquidità necessaria onde fare fronte al mantenimento del beneficiario) ovvero di utilità evidente[13] e, pertanto, il ricorso presentato dall’amministratore di sostegno dovrà dare conto della esistenza di tali presupposti.

Ne deriva una ben diversa impostazione rispetto al tradizionale istituto codicistico della interdizione (ispirato in realtà alla tutela del patrimonio ma a vantaggio dei familiari o dei futuri eredi); il principio delineato rende inoltre evidente la diversità fra tale tipologia di gestione e quella concernente ad es. i beni fallimentari (analoghe considerazioni possono valere per il curatore dell’eredità giacente) nel senso che, mentre nella liquidazione fallimentare il curatore dovrà provvedere celermente a liquidare i beni del fallito (tanto che, in caso di eccessivi ritardi, è configurabile una violazione del principio della ragionevole durata del processo), nella amministrazione di sostegno il quadro di riferimento è completamente diverso.

Ne deriva che strumenti di gestione del patrimonio che nell’ambito fallimentare sono senza dubbio straordinari e temporanei in vista della liquidazione (si pensi alla locazione di immobili o all’affitto di azienda), tali non sono nell’ambito dell’istituto in esame: la locazione di immobili, l’affitto agrario o di azienda non potranno pertanto considerarsi eccezionali mentre, per contro, si dovrà valutare con cautela l’ipotesi della vendita di immobili.

Così mentre la vendita in sede fallimentare dovrà avvenire il prima possibile e al prezzo più conveniente, nell’ambito della amministrazione di sostegno si dovranno effettuare valutazioni di tipo diverso come  verrà poi specificato. 

Quanto al criterio cui l’amministratore deve attenersi nella gestione del patrimonio, il legislatore ha stabilito che sia quello della diligenza del buon padre di famiglia (v. art. 382 c.c. richiamato dall’art. 411 c.c.).

 

2. Le misure provvisorie

Merita segnalare che è prevista la possibilità di adottare, in caso di necessità e sul  presupposto che la procedura di amministrazione di sostegno sia stata aperta,  misure urgenti per la conservazione della amministrazione e del patrimonio della persona interessata e ciò anche d’ufficio (occorrerà peraltro che siffatte esigenze siano adeguatamente evidenziate nel ricorso: v. art. 405 co. IV c.c.)[14].

La norma non contiene ulteriori indicazioni ma fra tali misure possono comprendersi quelle previste dagli artt. 361 e segg. c.c. (non richiamati dall’art. 411 c.c.) in materia di tutela dei minori che riguardano la apposizione di sigilli e l’inventario.

Va ricordato che non è richiesta la redazione dell’inventario (né, se effettuata, occorre  disporla secondo le forme previste dagli artt. 769 e segg. c.p.c.) ma si tratta di misura che può essere imposta già con il decreto di apertura della procedura ed è senz’altro opportuno ricorrervi nel caso di cospicui patrimoni, specie mobiliari, ovvero allorquando sia in atto una situazione di conflittualità fra i familiari del beneficiario[15].

Altra misura può consistere nella nomina di un amministratore provvisorio con immediato conferimento di poteri gestori (si rammenti che l’amministratore di sostegno assume le funzioni solo con il giuramento: v. artt. 411 co. I c.c. e 349 c.c.), ovvero, nel caso in cui il beneficiario sia titolare di impresa e non si riveli più in grado di gestirla, nella nomina di un institore ai sensi dell’art. 2203 c.c.; potrà anche essere valutata l’ipotesi di un esercizio provvisorio dell’impresa[16].

Ulteriore cautela può consistere nella imposizione del divieto (ovvero nella limitazione del potere) di effettuare prelievi sul conto bancario o postale da parte del soggetto sottoposto alla misura di protezione nonché nella revoca della eventuale delega a operare sul conto in precedenza conferita a terzi.

 

3. La gestione del patrimonio dell’amministrato

Un primo problema da affrontare può essere quello della ricostruzione della consistenza del patrimonio del beneficiario, rilevandosi che l’amministratore di sostegno potrà senz’altro consultare banche dati pubbliche (eseguendo visure sui registri immobiliari e delle imprese) nonché richiedere informazioni agli istituti bancari (v. art. 119 del d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385).

Deve inoltre ritenersi possibile formulare istanza al Giudice Tutelare volta ad ottenere l’autorizzazione ad avvalersi di organi specializzati per svolgere indagini in proposito (ad es. tramite la Guardia di Finanza) e ciò in virtù della disposizione di cui all’art. 344 co. II c.c.: sebbene tale norma non sia espressamente richiamata dalle disposizioni di cui agli artt. 404 e segg. c.c., l’organo che sovrintende alla applicazione della misura in esame è il Giudice Tutelare per cui debbono ritenersi applicabili le disposizioni che ne regolano le funzioni e, quindi, l’art. 344 c.c. e gli artt. 43 e segg. delle disposizione di attuazione del codice civile[17].

Sempre su un piano generale va notato che l'art. 411 c.c. rende applicabile all'amministrazione di sostegno l'art. 380 c.c., ai sensi del quale il tutore deve tenere regolare contabilità della sua amministrazione e rendere conto al Giudice Tutelare della sua attività (compresa anche quella posta in essere dall’eventuale curatore speciale).

L’amministratore di sostegno deve depositare la relazione riguardante l’attività svolta e le condizioni di  vita personale e sociale del beneficiario secondo la periodicità (di regola ogni anno decorrente dalla data di prestazione del giuramento) stabilita dal Giudice Tutelare (v. art. 405 V co. n. 6 c.c.)[18].

A completamento di tale disciplina è posto l'art. 44 disp. att. c.c., in base al quale il Giudice Tutelare può convocare, in qualunque tempo, l'amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie e di dare istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del beneficiario: il rendiconto annuale permette al Giudice Tutelare di effettuare un controllo sulle risultanze della gestione, può servire onde imprimere un determinato indirizzo all'amministrazione patrimoniale e fornisce, inoltre, gli elementi conoscitivi necessari per l'adozione di misure cautelari e di provvedimenti a carico dell’amministratore di sostegno. Ai sensi dell'art. 380 c.c. il Giudice Tutelare potrà far sottoporre il conto annuale all'esame di uno dei soggetti individuati in base all'art. 408 c.c. per eventuali loro osservazioni.

La relazione deve essere corredata dei documenti di spesa più significativi[19] ed è opportuno che venga allegata copia dell’estratto del conto bancario o postale di pertinenza del beneficiario; l’atto in questione va predisposto anche quando l’amministratore di sostegno cessi per qualunque ragione dall’ufficio (ad es. esonero per dimissioni).

La mancata approvazione del rendiconto va segnalata alla Procura della Repubblica per le opportune iniziative compreso l’avvio del procedimento di revoca dell’amministratore di sostegno (v. art. 412 c.c.) che non può essere avviato d’ufficio.

In forza del rinvio operato dall'art. 411 c.c. trova applicazione il disposto di cui all'art. 385 c.c. e da ciò consegue che l’amministratore di sostegno dovrà procedere subito alla consegna dei beni (si ritiene applicabile la consegna o il rilascio forzati: v. artt. 2930 c.c. e 605 e segg. c.p.c.) e presentare, nel termine di due mesi, il conto finale al Giudice Tutelare, che può concedere una proroga.

Il Giudice Tutelare approva il conto se non ravvisa irregolarità o lacune: in tale ipotesi il conto non può essere approvato; nel caso in cui il conto non sia stato presentato o sia impugnata la decisione del Giudice Tutelare, provvede l'autorità giudiziaria (in sede contenziosa: v. art. 45 III co. disp. att. c.c.) nel contraddittorio degli interessati fra i quali va annoverato l’erede[20] [21].

E’ stato prospettato il quesito se l’amministratore di sostegno (cessando dalle sue funzioni a seguito della morte del beneficiario) possa sostenere le spese funerarieinserendo quindi la relativa posta nel rendiconto: a tale interrogativo si ritiene di fornire risposta positiva posto che dall’ordinamento si trae il principio per cui sussiste l’obbligo di continuare la gestione intrapresa finché l’erede dell’interessato non possa utilmente intervenire, tanto desumendosi sia dall’art. 2028 c.c. sia dall’art. 1728 co. I c.c., apparendo peraltro opportuno che l’amministratore di sostegno interpelli previamente i parenti prossimi del beneficiario onde verificare la possibilità di un loro intervento.

Gli atti gestori possono essere distinti in varie categorie: atti che l’amministratore di sostegno può compiere da solo, quelli per i quali occorre l’autorizzazione da parte del Giudice Tutelare (sono quelli di cui agli artt. 374 e 375 c.c.) ed infine quelli che il beneficiario può compiere da solo (fra questi vi sono quelli necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana: v. art. 409 II co. c.c.) ovvero con l’assistenza dell’amministratore di sostegno[22].

Per quanto concerne le azioni giudiziarie si deve avere riguardo alla disciplina di cui agli artt. 374 e 375 c.c. (espressamente richiamati dall’art. 411 c.c.): è quindi necessaria l’autorizzazione da parte del Giudice Tutelare per quanto concerne la promozionedi giudizi (in particolare le divisioni) mentre non è richiesta per i procedimenti cautelari e, secondo la giurisprudenza[23], neppure per le domande di risarcimento danni derivanti da fatto illecito: anche per tale categoria di atti si ritiene debba ricorrere il requisito della necessità o utilità evidente e una valutazione di probabile fondatezza[24]. 

Merita particolare menzione, fra gli atti di amministrazione, l’atto di querela (considerato atto personalissimo). In materia si registrano orientamenti contrastanti poiché, secondo un primo, l’amministratore di sostegno non è dotato di un potere generale di rappresentanza dell’amministrato, derivando da ciò che il potere di presentare querela non è attribuito né è attribuibile all’amministratore di sostegno sicché ciò che l’amministratore può e deve fare è sollecitare la nomina di un curatore speciale (v. art. 121 c.p.)[25]. In senso opposto è stata invece ritenuta valida la querela proposta dall’amministratore di sostegno ove tale facoltà sia stata prevista nel decreto emesso dal Giudice Tutelare e ciò in quanto l’amministratore di sostegno rappresenta il beneficiario nei limiti segnati dal decreto, non apparendo necessaria la nomina di un curatore stante la mancanza di conflitto tra le persone interessate[26]: tale seconda interpretazione sembra  preferibile ove all’amministratore siano stati conferiti poteri gestori concernenti la materia in relazione alla quale si è verificato il fatto che  giustifica la proposizione della querela (si pensi a comportamenti integranti una truffa o una appropriazione indebita a danno del patrimonio del beneficiario); più problematica appare la questione ove l’evento lesivo incida su diritti personalissimi (si pensi all’ipotesi di fatti di reato incidenti sul diritto alla salute o alla integrità anche morale del beneficiario).

Qualora il potere di proporre querela non sia stato previsto nel decreto di apertura della procedura, l’amministratore di sostegno dovrà presentare ricorso onde ottenere l’integrazione dei poteri ai sensi dell’art. 407 IV co. c.c.: in considerazione delle attuali incertezze giurisprudenziali sul punto, può essere opportuno cautelarsi e chiedere al G.I.P. tramite il P.M. la nomina di un curatore speciale.

Quanto alla costituzione di parte civile, prevale l’orientamento secondo cui  essa  non costituisce atto eccedente l’ordinaria amministrazione in quanto diretta a incrementare il patrimonio[27].

Manca una norma che stabilisca i criteri secondo cui debba essere amministrato il patrimoniodel beneficiario[28]: l’art. 411 c.c. non richiama infatti le disposizioni di cui agli artt. 372 e 373 c.c. ma non sembrano sussistere ragioni ostative alla loro applicazione in via analogica.

Quanto alla vendita (in particolare di immobili), si dovrà previamente valutare se sia necessaria la dismissione del cespite e se non sia possibile adeguatamente gestire in altro modo l’immobile (tramite la locazione o l’affitto di fondi agrari) ed inoltre   verificare se ciò risponda a un reale interesse del beneficiario: così si dovrà sempre appurare se il cespite sia abitato dal beneficiario posto che, fino a quando è possibile consentire che il beneficiario continui a vivere nella sua abitazione con la adeguata assistenza, si impiegheranno le risorse a tal fine e non si provvederà alla vendita  utilizzando il ricavato per inserire il beneficiario in una struttura assistenziale (sempreché, ovviamente, non si riesca più a sostenere il costo della stessa ovvero non sia più possibile garantire adeguatamente l’assistenza alla persona).

L’amministratore dovrà quindi rappresentare al Giudice Tutelare l’opportunità dell’operazione di dismissione tenendo conto di tali parametri (necessità o manifesta convenienza della vendita/impossibilità di diversa gestione del cespite/funzionalità della vendita in senso ampio agli interessi del beneficiario).

Quanto alla effettuazione delle vendite è senz’altro possibile fare riferimento alla disciplina di cui all’art. 376 c.c. (richiamato dall’art. 411 c.c.) apparendo in generale consigliabile, ove si tratti di alienare immobili, fare precedere la cessione oltre che dalla stima di un tecnico (preferibilmente giurata, in considerazione delle responsabilità che con tale atto il professionista si assume) anche da adeguate forme di pubblicità; può inoltre rivelarsi utile ricorrere alla figura della invitatio ad offerendum onde sondare le concrete condizioni di mercato.

Con riguardo agli strumenti finanziari, si dovranno preferire, in linea di massima, operazioni in prodotti che garantiscano il mantenimento del capitale mentre è opportuno che, nel decreto di apertura della procedura o successivamente, si preveda la possibilità per l’amministratore di sostegno di  rinnovare i titoli in scadenza.

Potrebbe anche verificarsi che il patrimonio dell’interessato sia già investito in tutto o in parte in strumenti finanziari di tipo rischioso: in tal caso si potranno impiegare le utilità ricavate nell’acquisto di strumenti che “garantiscano” la conservazione del capitale e valutare l’ipotesi di una graduale modifica della tipologia di investimenti.

Non di rado vengono presentate istanze finalizzate a ottenere l’autorizzazione all’acquisto di auto intestate al beneficiario onde usufruire di benefici fiscali: in tal caso, verificato l’effettivo vantaggio che ne potrà derivare al beneficiario, occorrerà effettuare una attenta valutazione comparativa delle esigenze del beneficiario rispetto a quelle del soggetto (di regola un familiare) che poi utilizza il veicolo, potendosi valutare l’ipotesi quantomeno di un concorso nella spesa. 

Modalità particolari di gestione del patrimonio del beneficiario possono consistere nella costituzione di un trust[29] ovvero anche nella stipula di negozi con vincolo di destinazione -di beni immobili ovvero di beni mobili iscritti in pubblici registri- alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità (v. art. 2645 ter c.c.)[30]-[31].

Debbono inoltre ritenersi applicabili all’istituto in esame (ai sensi dell’art. 411 III co. c.c.) alcune norme concernenti i rapporti patrimoniali in materia di famiglia (estese anche alle unioni civili in virtù di quanto previsto dall’art. 1 c. 13 della legge 20-5-2016 n. 76; per le convivenze di fatto vedi l’art. 1 co. 53 della predetta legge): a tal fine vengono in considerazione a) l’art. 183 c.c. secondo cui, qualora uno dei coniugi non possa amministrare, l’altro potrà chiedere al giudice di escluderlo dall’amministrazione dei beni della comunione laddove la esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto; b) l’art. 193 c.c. il quale prevede la possibilità di ottenere la separazione giudiziale dei beni nei casi  di interdizione o inabilitazione di uno dei coniugi ed infine c); l’art. 168 c.c. che, richiamando la disciplina sulla comunione legale, prevede l’esclusione del coniuge dall’amministrazione del fondo patrimoniale ove ricorra la fattispecie di cui all’art. 183 c.c.[32].

 

4. Il beneficiario e l’impresa

Una disamina particolare merita il tema concernente i rapporti fra il beneficiario e l’impresa[33] evidenziandosi che, in caso di imprenditore commerciale divenuto incapace, l'esercizio d'impresa non è vietato ma sono previste varie cautele.

In primo luogo deve rilevarsi che dall’ordinamento si ricava il principio secondo cui il soggetto incapace può unicamente “continuare l’impresa” e non invece iniziarla ex novo,in quanto ciò non garantirebbe una oculata gestione del suo patrimonio esponendo l’interessato anche al rischio di insolvenza (si vedano in particolare gli artt. 320 V c.c. e 371 c.c., quanto al minore, nonché gli artt. 424 e 425 c.c. dettati, rispettivamente, per l’interdetto e l’inabilitato[34]) e la medesima regola è prevista per l’incapace che sia socio di s.n.c. o socio accomandatario di s.a.s. (v. art. 208 disp. att. c.c.)[35]-[36].

Deve ritenersi che la autorizzazione giudiziale sia necessaria anche per la continuazione della piccola impresa (art. 2083 c.c.) atteso che, se è pur vero che il piccolo imprenditore non fallisce (art. 2221 c.c.), la norma non prevede alcuna limitazione in relazione alla tipologia di impresa e, inoltre, l'esercizio della stessa da parte di un imprenditore disabile, non sarebbe compatibile con un regime autorizzatorio riguardante ogni singolo atto gestorio. 

La disciplina sopra richiamata riguarda l’ipotesi di una impresa commerciale, quale componente del patrimonio dell’incapace ovvero a lui pervenuta per successione o donazione mentre non è regolata la fattispecie concernente l’autorizzazione all'esercizio dell'impresa agricola: in proposito si ritiene che alla azienda agricola siano applicabili le regole comuni relative al compimento degli atti giuridici da parte degli incapaci e ciò anche in considerazione dei minori rischi che lo svolgimento dell’attività agricola comporta rispetto a quella commerciale, non essendo l’imprenditore agricolo assoggettabile a fallimento[37].

Nel caso di amministrazione di sostegno difetta una disciplina normativa posto che  l'art. 411 co. I c.c. non richiama l'art. 371 co. I n. 3 c.c., dettato in tema di tutela del minore: orbene se in difetto di una esplicita disposizione non può ritenersi in astratto  precluso che il beneficiario possa intraprendere ex novo l’esercizio di una impresa commerciale, deve tuttavia rilevarsi che ciò costituirebbe un investimento particolarmente rischioso sicché è dubbio che lo stesso possa considerarsi di utilità evidente.

Alla fattispecie deve ritenersi applicabile l'art. 411 co. III c.c. secondo cui il Giudice Tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l'amministratore di sostegno o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previste da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato si estendano al beneficiario sicché vengono in considerazione le norme di cui agli artt. 371 c.c. e 208 disp. att. c.c. ovvero 425 c.c. (dettata in materia di inabilitazione) laddove l'applicazione dell'una o dell'altra previsione normativa dipenderà dalla tipologia di disabilità che affligge il beneficiario e dalla sua capacità di provvedere in tutto o in parte nella continuazione della gestione d'impresa e, quindi, in modo autonomo, come prevede la disciplina dell'inabilitazione (salva la nomina di un institore) ovvero tramite l’amministratore di sostegno.

L'autorizzazione alla continuazione dell'esercizio d'impresa (ovvero la sua mancata limitazione) presuppone una favorevole valutazione con riguardo alla (perdurante) capacità gestionale dell'imprenditore divenuto disabile, fatte salve eventuali e specifiche restrizioni disposte con il decreto di apertura della procedura o successivamente (così sarà possibile subordinare ad autorizzazione il compimento di determinati atti come ad es. la dismissione del patrimonio immobiliare ovvero la prestazione di garanzie); il Giudice Tutelare, prima di provvedere, dovrà previamente acquisire informazioni sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’impresa, verificando anche la possibilità di autorizzare l’esercizio provvisorio dell’impresa in attesa della acquisizione di tutta la documentazione ritenuta necessaria per la decisione; va inoltre evidenziato, che ove il beneficiario fosse già titolare di impresa e il decreto di apertura della procedura non disponga alcunché al riguardo, egli potrà continuarne l’esercizio, stante la previsione di generale capacità sancita dall’art. 409 co. I c.c..

Per quanto concerne il pericolo derivante dal ritardo nell'assunzione di importanti atti gestori, sarà possibile, come già accennato, subordinare l’autorizzazione alla continuazione d'impresa alla previa nomina dell'institore (quale preposto all'esercizio dell'impresa, a una sede secondaria o ad un ramo particolare: art. 2203 c.c.) come espressamente previsto dall’art. 425 c.c..

Non può andare sottaciuto come potrebbe rivelarsi particolarmente problematico l'esercizio di impresa commerciale da parte dell'amministratore di sostegno e ciò a causa dei rischi e delle difficoltà connessi a siffatta attività: si può allora ipotizzare la nomina di un institore ovvero il ricorso all’affittodell’azienda; in alternativa può disporsi la liquidazione o l'alienazione dell'azienda, sempre previa autorizzazione del Giudice Tutelare, come previsto dall'art. 371 co. I n. 3 c.c..

Merita di essere segnalato il provvedimento con cui l’amministratore di sostegno è stato autorizzato a porre in essere, nell'interesse del beneficiario, gli atti e le operazioni tesi non già alla dismissione della sua partecipazione nella compagine societaria, bensì “al mero affievolimento della sua posizione all'interno della società in accomandita semplice, da socio accomandatario al socio accomandante”[38]; più in generale, al fine di tutelare il beneficiario, potrà valutarsi l’ipotesi della trasformazione dell’impresa sociale e cioè da società in nome collettivo a società in accomandita semplice con il beneficiario quale accomandante.

Per quanto concerne l’esercizio dell’impresa agricola dovrà trovare applicazione la disciplina concernente il compimento degli atti di straordinaria autorizzazione, con la precisazione che l’autorizzazione verrà data con riguardo alla intera gestione e non in relazione a ogni atto di governo: anche in tale ipotesi con il decreto di apertura della procedura o successivamente sarà possibile prevedere la necessità di specifica autorizzazione di singoli atti di impresa in considerazione della loro particolare incidenza economica.

In ordine alla partecipazione a società di capitali, il legislatore non ha previsto alcun limite per la partecipazione di soggetti incapaci alle stesse poiché, stante la responsabilità limitata dei soci, il rischio è limitato alla parte di ricchezza investita in essa: anche il beneficiario della amministrazione di sostegno potrà dunque acquisire la partecipazione a società di capitali preesistenti o di nuova costituzione, risultando necessarie le ordinarie autorizzazioni per il compimento dell’atto tramite il quale si diventa soci [39].

Dovrà tuttavia essere attentamente valutata l’eventualità di autorizzare il beneficiario alla partecipazione quale socio unico di società per azioni o di società a responsabilità limitata stante la possibilità, nei casi tassativi previsti dalla legge, di assumere responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (cfr. artt. 2325 e 2362 c.c. per le società per azioni e l’art. 2462 c.c. per le società a responsabilità limitata).

Nel caso in cui il beneficiario sia socio di società, deve rilevarsi che, debitamente autorizzato, potrà essere l’amministratore di sostegno ad esercitare i poteri inerenti a tale qualità e, per le società semplici, sarà possibile anche introdurre una modifica statutaria che stabilisca l’esclusione convenzionale della responsabilità dell’interessato per le obbligazioni sociali in applicazione del disposto di cui all’art. 2267 II co. c.c..

Ove poi il beneficiario sia amministratore di società la situazione si presenta in modo più articolato.

Ricordato che le incapacità previste per gli interdetti e gli inabilitati non sono immediatamente applicabili al beneficiario della misura in esame, salva la loro estensione mediante decreto del Giudice Tutelare ai sensi dell’art. 411 co. IV c.c.,  vengono in considerazione la norma di cui all’art. 2286 c.c. (in tema di società semplice, applicabile in virtù dei richiami contenuti negli artt. 2293 e 2315 c.c., alle società in nome collettivo e a quelle in accomandita semplice) che prevede  l’esclusione del socio interdetto o inabilitato nonché quella di analogo contenuto prevista dall’art. 2382 c.c. per le società per azioni, applicabile in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2454 c.c., alle società in accomandita per azioni ed a quelle cooperative per effetto dell’art. 2519 c.c..

Per le società a responsabilità limitata manca sia una norma specifica sia un richiamo alla disciplina stabilita per le società di persone ovvero per quelle per azioni: in proposito deve ritenersi che debba trovare applicazione in via analogica la disposizione di cui all’art. 2382 c.c. ovvero quella di cui all’art. 1722 n. 4 c.c.[40]  secondo cui il mandato si estingue nel caso di interdizione/inabilitazione del mandante o del mandatario.

L’esclusione dalla amministrazione della società potrà pertanto essere disposta, ex art. 411 co. III c.c., sia su richiesta del beneficiario o dell’amministratore di sostegno che d’ufficio.

 

5. La responsabilità civile dell’amministratore di sostegno

Per stabilire in quali ipotesi l’amministratore di sostegno possa incorrere in responsabilità civile occorre individuare a quali doveri egli sia tenuto (responsabilità che sorge nel momento in cui l’amministratore ha assunto l’incarico).

Innanzitutto la fonte dei doveri va ricercata nella legge e poi nel decreto di apertura della procedura di amministrazione di sostegno in quanto esso indica i compiti che, in concreto, l’amministratore viene chiamato a svolgere (che possono essere di rappresentanza ma anche solo di assistenza) e, in proposito, va nuovamente rammentato che l’amministratore di sostegno deve 1) tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario (v. art. 410 c.c.); 2) informare il beneficiario degli atti che intende compiere e anche il Giudice Tutelare in caso di dissenso con il beneficiario; 3) porre in essere (impiegando la diligenza del buon padre di famiglia) gli atti finalizzati all’esercizio delle sue funzioni chiedendo l’autorizzazione giudiziale, ove necessaria; 4) vigilare sull’attività delle persone di cui è stato autorizzato ad avvalersi sotto la sua personale responsabilità (v. artt. 379 e 411 c.c. e art. 1228 c.c.); 5) presentare periodicamente una relazione sull’attività svolta. L’amministratore di sostegno, inoltre, non può 6) rendersi acquirente di beni o diritti dell'incapace (v. artt. 411 e 378 c.c.) nè 7) compiere atti eccedenti l’incarico ovvero richiedenti una preventiva autorizzazione ovvero in conflitto di interessi.

In considerazione dello specifico richiamo contenuto nell'art. 411 co. I c.c. all'art. 378 c.c., non devono sussistere conflitti di interesse tra amministratore di sostegno e beneficiario ciò che può verificarsi quando tali soggetti siano titolari di diritti in comproprietà o detengano partecipazioni in società (specie se di persone) da liquidare ovvero allorché fra loro esistano rapporti di debito/credito. Ilconflitto può sussistere sia quando gli interessi sono contrapposti[41] sia quando gli stessi sono analoghi ma vi è divergenza in ordine al momento in cui compiere l’atto come quando uno dei comproprietari abbia urgenza di vendere e sia disposto a trattare a un prezzo inferiore rispetto a quello stimato e l'altro intenda invece attendere una più propizia condizione di mercato.

Verificata l’esistenza del conflitto, al beneficiario va nominato un curatore speciale che dovrà poi intervenire a porre in essere l’atto di cui si tratta; l’interesse deve essere valutato in senso ampio e in ogni caso occorre tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario (v. art. 410 c.c.).

In proposito occorre precisare che non si configura un conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato quando il compimento dell'atto, pur avendovi i due soggetti un interesse proprio e distinto, realizza un vantaggio comune di entrambi senza danno reciproco[42]: è necessario pertanto verificare se il conflitto sussista in concreto (e non in astratto) tenendo conto di tutti gli elementi della fattispecie[43].

Diverse sono le conseguenze previste dall’ordinamento in caso di violazione dei doveri.

Una prima conseguenza attiene al mantenimento della funzione nel senso che, in virtù dello specifico richiamo contenuto nell’art. 411 c.c., trova applicazione la disposizione di cui all’art. 384 c.c. che prevede sia la rimozione dalle funzioni che la sospensione (rimedio cautelare)[44]: tale norma prevede che si possa procedere alla rimozione nei casi di negligenza (ad es. mancata predisposizione del rendiconto), abuso dei suoi poteri, inettitudine ovvero se sia divenuto immeritevole dell’ufficio per atti anche estranei alla procedura ovvero se divenuto insolvente.

Va poi ricordato che l’art. 410 co. II c.c. prevede la possibilità da parte del beneficiario, del P.M. (e degli altri soggetti legittimati a proporre il ricorso per apertura di amministrazione di sostegno) di ricorrere al Giudice Tutelare non solo in caso di commissione di atti dannosi da parte del amministrazione di sostegno ma anche nell’ipotesi di contrasto: il Giudice Tutelare dovrà assumere gli “opportuni provvedimenti” fra i quali deve ritenersi compresa anche la eventuale rimozione dell’amministratore di sostegno dall’incarico (e, quindi, sebbene non vi sia una responsabilità da parte dell’amministratore ma sussista un insanabile contrasto con il beneficiario). 

Merita ricordare che anche la condanna in sede penale per determinati reati comporta l’incapacità ad assumere la funzione di amministratore di sostegno (v. artt. 600 septies co. I n. 2 c.p.; 609 nonies co. I n. 2 c.p.).

Altra conseguenza attiene alla validità degli atti atteso che, secondo quanto previsto dall’art. 412 c.c., gli atti compiuti dall'amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge o in eccesso rispetto all'oggetto dell'incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell'amministratore di sostegno, del Pubblico Ministero, del beneficiario o dei suoi eredi o aventi causa.

La violazione dei doveri comporta dunque l’assunzione di una responsabilità civile regolata dalla norma di cui all’art. 382 c.c. (espressamente richiamata dall’art. 411 c.c.) secondo cui l’amministratore di sostegno deve amministrare il patrimonio con la diligenza del buon padre di famiglia, formulazione che richiama il criterio generale di comportamento previsto dall’art. 1176 c.c. e, pertanto, l'amministratore incorrerà in responsabilità per il danno cagionato nel caso in cui abbia agito non adempiendo ai propri poteri-doveri o esercitandoli in modo non conforme all'interesse del beneficiario. Si ritiene che, stante l'applicabilità della regola generale in tema di obbligazioni (v. artt. 1176 e 1218 c.c.) l'amministratore di sostegno risponda anche per colpa lieve sicché, per andare esente da responsabilità, egli dovrà provare che il proprio comportamento inadempiente è dovuto a cause a lui non imputabili[45].

In conformità della previsione di cui all’art. 1176 co. II c.c., la diligenza va valutata con riferimento alla idoneità professionale dell’amministratore di sostegno.

Ci può essere responsabilità che non implichi danno risarcibile (si pensi alla mera omissione o irregolare tenuta della contabilità, non accompagnata da un pregiudizio economico): in tal caso il rimedio sarà solo quello della rimozione dell’amministratore di sostegno dall’incarico. 

Una responsabilità può sorgere anche nel caso di amministrazione di assistenza (mancata prestazione dell’assenso al compimento di un atto vantaggioso per il beneficiario).

E’ piuttosto controversa l’applicabilità del disposto di cui all’art. 1710 c.c. secondo cui la responsabilità per colpa valutata con minor rigore nel caso in cui il mandato sia gratuito (v. 379 c.c.) ciò che non implica un impegno minore ma un temperamento del giudizio in favore del mandatario nella valutazione della responsabilità per colpa.

Quanto alla responsabilità extracontrattuale è configurabile una responsabilità dell’amministratore di sostegno ai sensi dell’art. 2047 c.c. (per danni cagionati a terzi dal beneficiario) ma per l’integrazione della fattispecie occorre verificare se il beneficiario fosse o meno incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto illecito (si ricordi che il beneficiario non è di per sé incapace: v. art. 409 co. I c.c.) ed inoltre se l’amministratore di sostegno possa considerarsi sorvegliante laddove per tale si intende “il soggetto tenuto per legge, per attività professionale o per contratto tenuto alla sorveglianza dell’incapace” e, quindi, quel soggetto che versa in una situazione di così stretto rapporto con l’incapace che ne deriva a suo carico un compito di vigilanza: a tal fine occorre avere riguardo al contenuto del decreto giacché, solo se siano stati espressamente conferiti compiti di cura della persona, potrà sussistere la responsabilità in questione[46].

Appare invece difficilmente ipotizzabile una responsabilità ai sensi dell’art. 2048 c.c. che fa riferimento al tutore (figura non assimilabile a quella dell’amministratore di sostegno) e che presuppone inoltre la coabitazione del sorvegliante e del soggetto tutelato.



* Il presente scritto costituisce la rielaborazione dell’intervento al convegno “La gestione del patrimonio amministrato e la responsabilità civile dell’amministratore” tenutosi a Mantova il 29 aprile 2016 anche alla luce delle novità normative contenute nella legge 20 maggio 2016 n. 76 concernente la regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze.

[1] Per una aggiornata  raccolta di giurisprudenza si consulti Amministrazione di Sostegno – Rassegna di Giurisprudenza di Legittimità e Merito 2009-2014 a cura di Giuseppe Buffone in www.ilcaso.it.

[2] Non può peraltro ritenersi esclusa una estensione in via analogica delle disposizioni non richiamate.

[3] Per l’affermazione secondo cui la persona beneficiaria non è considerata dal legislatore incapace di intendere e di volere vedasi  Cass. pen. 23 settembre 2013 n. 39217.

[4] La non automatica applicabilità delle disposizioni concernenti gli incapaci (e cioè minori, interdetti e inabilitati) ha notevoli risvolti pratici: così ad esempio, nel caso in cui beneficiario divenga erede, non è necessario accettare con beneficio di inventario come invece stabilito per i primi dagli artt. 471 c.c. e 472 c.c. e occorrerà quindi valutare caso per caso l’opportunità di ricorrere a tale forma di accettazione. 

[5] La regola opposta è invece prevista per l’interdetto e l’inabilitato (v. art. 427 c.c.).

[6] L’affermazione del principio, con riguardo al tutore, trovasi affermata in Cass. 14 giugno 1966 n. 1540. Per una diversa disciplina allorquando l’incarico di amministratore di sostegno venga conferito ad uno dei soggetti di cui al titolo II, libro I del codice civile, vedasi quanto disposto nell’art. 408 u.c. c.c..

[7] Pur essendo state avviate iniziative volte a eliminare l’istituto della interdizione, il legislatore di recente ha confermato la permanente operatività nell’ordinamento dell’istituto dell’interdizione come si desume dal testo dell’art. 1 commi 4,15,57,58 della legge 20 maggio 2016 n. 76 in tema di regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze.

[8] Cfr. Cass. 12 giugno 2006 n. 13584; Cass. 22 aprile 2009 n. 9628; Cass. 22 aprile 2009 n. 9628; Cass. 1 marzo 2010 n. 4866; cfr. anche Corte Cost. 18 febbraio 2010 n. 51. Sulla finalità della legge istitutiva dell’istituto si veda l’art. 1 della legge 9 gennaio 2004 n. 6.

[9] In tal senso vedasi  Cass. 26 luglio 2013 n. 18171. L’altra ipotesi in cui deve ritenersi vada disposta  tale misura ricorre allorquando l’interessato sia affetto da infermità di gravità tale da incidere sui fondamentali diritti personalissimiovvero quando il soggetto sia pericoloso per sé o per gli altri.

[10] Al Giudice Tutelare spetta quindi il compito di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali (v. Cass. 11 settembre 2015 n. 17962).

[11] Secondo Cass. 11 settembre 2015 n. 17962 non si può impedire all'incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore.

[12] Si rammenta che, aperta la procedura di amministrazione di sostegno, deve disporsi la separazione di eventuali depositi bancari o postali cointestati fra il beneficiario e altri soggetti onde pienamente garantire l’autonomia della gestione del patrimonio.

[13] Il criterio della necessità o utilità evidente si trova positivamente stabilito nell’art. 320 c.c. relativo al minore in potestate nonché, sempre in materia familiare, nell’art. 169 c.c. in materia di fondo patrimoniale.

[14] Va segnalato anche l’art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 2011 n. 74 ai sensi del quale in circostanze eccezionali il capo dell'ufficio consolare adotta, su istruzione del Ministero degli Affari Esteri o di iniziativa propria nei casi di emergenza, tutte le misure necessarie per la difesa degli interessi nazionali e per la protezione di quelli dei cittadini, norma che sembra potergli consentire l’adozione delle misure provvisorie contemplate dall’art. 404 IV co. c.c.. Analoga disciplina è prevista dall’art. 360 c.c..

[15] Nel caso di accettazione, da parte dell’amministratore di sostegno, di eredità di terzi con beneficio d’inventario, trova applicazione la disciplina in materia successoria: la competenza spetta al giudice unico o al tribunale in composizione collegiale ma in tal caso si dovrà avere riguardo all’interesse dei creditori dell’eredità beneficiata.

[16] All’esercizio provvisorio dell’impresa fanno riferimento l’art. 320 co. V c.c. con riguardo al minore in potestate e l’art. 371 u.co. c.c. concernente il minore sottoposto a tutela.

[17] Si veda anche l’art. 155 sexies disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 492 bis c.p.c., posto che la norma fa riferimento anche ai procedimenti  relativi alla gestione di patrimoni altrui.

[18] Merita evidenziare che, secondo alcune pronunce di merito, l’omessa presentazione del rendiconto integrerebbe la fattispecie criminosa di cui all’art. 328 c.p.

[19] Presso il Tribunale di Mantova si richiede l’allegazione della documentazione delle singole spese di valore superiore a € 200,00 mentre non si ritiene necessaria la produzione di quella concernente il vitto o il vestiario.

[20] Vedasi in proposito Cass. 19 luglio 2000 n. 9470.

[21] Deve ritenersi che gli obblighi inerenti alle funzioni siano strettamente personali e, pertanto, in caso di decesso dell’amministratore di sostegno i suoi eredi avranno l’obbligo non di predisporre il rendiconto bensì di collaborare con il nuovo amministratore di sostegno e di consegnargli i beni e i documenti concernenti l’amministrazione mentre il nuovo amministratore dovrà redigere una relazione di inizio gestione.

[22] Il reclamo avverso il compimento degli atti gestori va proposto nelle forme di cui all’art. 739 c.p.c. e non secondo quelle di cui all’art. 720 bis c.p.c..

[23] Si vedano al riguardo, in tema di tutela dei minori,  Cass. 9 giugno 1983 n. 3977 e Cass. 13 gennaio 1981 n. 294. 

[24] L’amministratore di sostegno è inoltre legittimato a proporre azione di annullamento degli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l'amministrazione di sostegno (v. art. 412 c.c.).

[25] In tal senso vedasi Cass. pen. 17 giugno 2011 n. 30867; Cass. pen. 15 gennaio 2015 n. 14071.

[26] Vedasi in proposito Cass. pen.  8 maggio 2012 n. 32338.

[27] (v. Cass. pen. 30 aprile 2014 n. 18266; Cass. 10 luglio 2007 n. 40719; Cass. 22 maggio 1968 n. 1051).

[28] Al momento dell’apertura della procedura di amministrazione di sostegno va immediatamente disposta la separazione del conto bancario o postale di cui il beneficiario sia cointestatario con altri soggetti onde consentire una autonoma gestione del suo patrimonio. 

[29] Il trust (istituto mediante il quale un soggetto -c.d. settlor- trasferisce uno o più beni a un altro -c.d. trustee- affinché lo utilizzi a vantaggio di un terzo beneficiario -c.d. beneficiary- o per il perseguimento di uno scopo, in tal modo realizzandosi un patrimonio separato rispetto agli altri beni del trustee; può anche essere prevista la nomina di un guardiano -c.d. protector- che vigila sul comportamento del trustee) è riconosciuto dalla convenzione dell’Aja del 17-1985 ratificata dall’Italia con legge 16 ottobre 1989 n. 364 entrata in vigore il 1 gennaio 1992. Sull’ammissibilità del trust, a certe condizioni, nel nostro ordinamento si vedano, ex multis, Cass. 22 dicembre 2015 n. 25800; Cass. 18 dicembre 2015 n. 25478; Cass. 20 febbraio 2015 n. 3456. Vanno inoltre segnalati diversi provvedimenti di merito che hanno autorizzato la costituzione del trust nell’ambito della amministrazione di sostegno, potendo esso efficacemente servire a tutelare soggetti deboli anche dopo la scomparsa della famiglia di origine (tramite la sua istituzione non possono tuttavia essere violati i diritti dei legittimari): si vedano in proposito Trib. Genova 14 marzo 2006 in www.avvocatidifamiglia.net; Trib. Rimini 21 aprile 2009, in Famiglia e Diritto, 2009, 817; Trib. Bologna 11 maggio 2009 in www.trusts.it; Trib. Milano 20 gennaio 2011 in www.trusts.it; Trib. Bologna 12 giugno 2013 in Trusts e attività fiduciarie, 2014, 44.

[30] Per l’ammissibilità di un contratto atipico di vitalizio assistenziale in base al quale una parte si obbliga a prestare assistenza all’altra sino alla sua morte in cambio del trasferimento della proprietà di un bene (generalmente immobile) si è di recente espresso Trib. Torino 27 novembre 2015 in www.ilcaso.it.: il decreto prevedeva l’attribuzione della nuda proprietà dell’immobile in favore della persona che prestava assistenza al beneficiario e la costituzione in capo a costui  dell’usufrutto.

[31] Merita evidenziare la approvazione, nel mese di maggio 2016, da parte del Senato della Repubblica del d.d.l. 2232-292 A intitolato “Disposizioni in materia di assistenza in favore di persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” che, oltre a occuparsi del trust e dei negozi di cui all’art. 2645 ter c.c., disciplina il contratto di affidamento fiduciario finalizzato a permettere la cura e l’assistenza del disabile, anche in previsione che gli venga  a mancare un quadro familiare di riferimento, mediante separazione del patrimonio affidato da quello del soggetto che ne è proprietario,  e ciò per effetto del programma alla cui attuazione è destinato il patrimonio affidato.

[32] Il beneficiario che amministri male il patrimonio del figlio potrà essere rimosso dalla amministrazione in virtù della norma generale di cui all’art. 334 c.c.. 

[33] Con riguardo al beneficiario va segnalata la questione della sua sottoposizione a fallimento nel caso di insolvenza dell’impresa di cui egli sia titolare: in proposito va osservato che, secondo una diffusa opinione, l’incapace assume la qualifica di imprenditore solo se autorizzato alla continuazione dell’impresa da parte del Giudice Tutelare  (v. artt. 320 e 371 c.c.; cfr. Cass. 15 maggio 1984 n. 2936; Cass. 9 Febbraio 1965 n. 210) da ciò conseguendo che deve trattarsi di impresa di cui il beneficiario sia già titolare ovvero che gli sia pervenuta per successione ereditaria o per donazione mentre, stante l’esigenza di garantire una attenta gestione del suo patrimonio, non sembra che possa essere autorizzata l’esercizio ex novo di un’impresa. Si pone peraltro il problema di una insolvenza venuta in essere prima che il soggetto venga sottoposto alla misura dell’amministrazione di sostegno (ciò ovviamente nel presupposto che egli venga estromesso dalla gestione): in proposito la soluzione preferibile sembra quella della ammissibilità della dichiarazione di fallimento alle condizioni  stabilite dall’art. 10 l.f. posto che le obbligazioni da cui l’insolvenza deriva erano sorte in un momento in cui l’interessato poteva legittimamente contrarle e che egli rivestiva la qualifica di imprenditore commerciale.

In dottrina si ritiene generalmente che l’incapace dichiarato fallito ne subisca le conseguenze sotto il profilo patrimoniale mentre le incapacità derivanti dalla soggezione al fallimento riguarderebbero unicamente colui che agisce per suo nome e conto.

[34] Fa eccezione alla regola la disciplina normativa dettata per la condizione del minore emancipato ma tale disciplina trova spiegazione nella circostanza che, in tale fattispecie, è presupposta la piena maturità psichica di tale soggetto (v. art. 397 c.c.).

[35] L’art. 2294 c.c. prevede che l’incapace possa partecipare alle società di persone purché debitamente autorizzato.

[36] Il genitore autorizzato dal tribunale alla continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale del minore, ai sensi dell'art. 320 quarto comma c.c., può compiere, senza necessità di una specifica autorizzazione del giudice tutelare, anche gli atti che non rientrino fra quelli cosiddetti di straordinaria amministrazione, purché si tratti di atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, ovvero che si ricolleghino direttamente a tale esercizio, restando pertanto escluso che l'autorizzazione si estenda ad altri atti privi di un qualsiasi collegamento, quantomeno funzionale, con il raggiungimento di quel fine (cfr. Cass. 5 giugno 2007 n. 13154; Cass. 27 maggio 1997 n. 2178; Cass. 10 luglio 1968 n. 2413; v. anche Cass. 27 maggio 1977 n. 2178 concernente la costituzione in pegno di titoli finalizzata a ottenere un fido da parte di un istituto di credito).

[37] Secondo un orientamento dottrinale troverebbero applicazione le regole concernenti l’impresa commerciale ove l’attività agricola venga svolta in forma societaria.

[38] V. Trib. Novara 5 dicembre 2012 in Diritto di Famiglia e delle Persone, I, 2014,182.

[39] Se la quota di partecipazione è compresa nell’asse ereditario, sarà sufficiente l’accettazione dell’eredità -eventualmente con beneficio d’inventario- per acquistare la qualifica di socio.

[40] Non è condivisibile il contrario orientamento espresso da Cass. 8 agosto 2013 n. 18904 (che ammette la possibilità che le cause di ineleggibilità e decadenza possano trovare disciplina solo per espressa previsione statutaria) atteso che dall’intero sistema normativo si ricava il principio per cui il soggetto interdetto non può gestire una società né sembra sussistere plausibile ragione per cui tale regola debba trovare eccezione nel solo caso di società a responsabilità limitata.

[41] Per effetto del richiamo contenuto nell’art. 411 c.c. all’art. 378 c.c. l’amministratore di sostegno non può rendersi acquirente di beni del beneficiario.

[42] Per l’affermazione di tale principio in relazione all’art. 320 c.c. si vedano Cass. 28 febbraio 1992 n. 2489; Cass. 12 aprile 1988 n. 2869; Cass. 17 maggio 1985 n. 3020; con riferimento all’art. 1394 c.c. cfr. Cass. 15 ottobre 2012 n. 17640; Cass. 17 ottobre 2008 n. 25361; Cass. 30 maggio 2008 n. 14481; Cass. 8 novembre 2007 n. 23300; in tema di condominio v. Cass. 16 maggio 2011 n. 10754; Cass. 18 maggio 2001 n. 6853; Cass. 5 dicembre 2001 n. 15360).

[43] In tal senso v. Trib. Mantova ord. 28 novembre 2013 inedita: nel caso di specie si trattava di autorizzare la vendita di un immobile del beneficiario di cui l’amministratore di sostegno era comproprietario per la quota di un dodicesimo.

[44] E’ inammissibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi dalla corte d’appello in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione dell’amministratore di sostegno attesa la loro natura meramente ordinatoria (in tal senso vedasi Cass. ord. 25 ottobre 2012 n. 18320; Cass. ord. 23 giugno 2011 n. 13747; Cass. ord. 10 maggio 2011 n. 10187).

[45] Si rammenta che l’amministratore di sostegno è considerato pubblico ufficiale e quindi risponde di peculato se si appropria di denaro o beni del beneficiario: cfr. Cass. pen. 3 dicembre 2014 n. 50574.

[46] Anche in ciò l’istituto in esame si differenzia dalla tutela: l’art. 357 c.c. dispone infatti che il tutore ha la cura della persona del minore laddove la misura di protezione di cui agli artt. 404 e segg. c.c. non ha un contenuto predeterminato e tale potere non necessariamente viene conferito. Per l’affermazione secondo cui l’amministratore di sostegno non è garante se non gli è stata espressamente affidata una posizione di garanzia che non è di per sé connessa con tale carica e, quindi, non risponde di abbandono di incapace ai sensi dell’art. 591 c.p. si veda Cass. pen. 19 ottobre 2015 n. 1415).


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