Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 975 - pubb. 27/09/2007

Approvazione di bilanci successivi in corso di causa e preclusioni

Tribunale Pavia, 20 Febbraio 2007. Est. Marcella Frangipani.


Nuovo processo societario – Notifica degli atti a mezzo fax – Nullità.

Rimessione in termini – Applicabilità al processo societario – Termine ultimo per la proposizione dell’istanza.

Impugnazione del bilancio d’esercizio – Presclusione di cui all’art. 2434 bis, I comma, c.c. – Approvazione dei bilanci successivi in corso di giudizio – Irrilevanza.



E’ nulla e non esistente la notifica degli atti processuali effettuata a mezzo fax ai sensi dell’art. 17 del d. lgs. n. 5/2003 senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario e senza l’attestazione di ricevimento sull’originale. La nullità dell’istanza di fissazione dell’udienza notificata a mezzo fax potrà tuttavia essere sanata qualora la parte che l’abbia eccepita non neghi di averla ricevuta ed abbia altresì lamentato la difformità del contenuto dell’atto dall’originale depositato in cancelleria. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

L’art. 184 bis c.p.c. codifica un principio generale dell’ordinamento processuale che deve ritenersi implicitamente richiamato dall’art. 1 del d. lgs. n. 5/2003, mancando ogni ragione che induca a ritenerne l’incompatibilità con il processo societario. Nell’ambito di tale processo, la rimessione in termini potrà pertanto essere richiesta fino a quando il collegio non abbia trattenuto la causa per la decisione. (Nel caso di specie è stata ritenuta ammissibile la produzione di documenti con la comparsa conclusionale perché di formazione successiva alla chiusura della fase istruttoria). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Ai fini dell’applicazione dell’art. 2434 bis c.c. che, al primo comma, esclude la proponibilità delle azioni di impugnazione del bilancio di un esercizio allorché sia già stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo, si deve avere riguardo al momento della proposizione dell’azione non potendo assumere rilievo l’approvazione dei bilanci successivi in corso di giudizio. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Udienza di discussione della causa

Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento

Delibere assembleari, vizi e impugnazioni

Massimario, art. 184bis c.p.c.

Massimario, art. 2434bis c.c.




SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (di seguito, per brevità, “Consob”) chiamava in giudizio P. I. S.p.A. (di seguito, per brevità, “P.I.”) con atto di citazione notificato il 5 dicembre 2005, chiedendo che fosse dichiarata la nullità della delibera di approvazione del bilancio di esercizio della convenuta (già “N. S.p.A.”) al 31 dicembre 2004 o comunque annullata la delibera medesima per violazione delle norme legislative sulla redazione del bilancio; l’attrice domandava altresì che fosse accertata la non conformità alla legge del bilancio consolidato del gruppo P. I. al 31 dicembre 2004.

A fondamento delle proprie domande l’attrice sosteneva che non erano stati prudenzialmente valutati alcuni crediti, né erano stati correttamente esposti gli oneri derivanti da un contratto di locazione stipulato dalla società.

La convenuta si costituiva in giudizio eccependo in via preliminare la decadenza dell’attrice rispetto all’azione proposta, a causa del decorso del termine semestrale previsto dall’art. 157 del D. L. vo n. 58/1998 al momento della notifica dell’atto di citazione. Nel merito la convenuta sosteneva che il nuovo consiglio di amministrazione, insediatosi dopo l’approvazione del bilancio dell’esercizio 2004, aveva condiviso le osservazioni della Consob e le aveva recepite nella relazione semestrale al 30 giugno 2005 redatta già prima dell’inizio del presente giudizio.

In data 28 febbraio 2006 parte attrice depositava istanza di fissazione di udienza; il Presidente del Tribunale designava il Collegio e il Giudice relatore, con provvedimento depositato il 4 aprile 2006; con decreto depositato il 17 maggio 2006 il Giudice relatore fissava l’udienza collegiale del 13 giugno 2006 invitando le parti a essere personalmente presenti per tentare la conciliazione.

All’udienza collegiale del 13 giugno 2006 erano personalmente presenti procuratori speciali di entrambe le parti ma il tentativo di conciliazione dava esito negativo; la discussione della causa veniva differita all’udienza del 29 settembre 2006 ma subiva ulteriori differimenti per impedimenti sia dei procuratori delle parti sia del Collegio. Nelle more, parte convenuta depositava istanza per l’acquisizione al giudizio, anche ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., del provvedimento in data 23 ottobre 2006 con il quale Borsa Italiana S.p.A. aveva revocato la quotazione delle azioni ordinarie della convenuta, sostenendo che il venir meno della quotazione delle azioni determinasse il difetto di legittimazione o la carenza di interesse in capo all’attrice.

All’udienza del 20 febbraio 2007 i procuratori delle parti esponevano le proprie argomentazioni; il Tribunale riservava la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve in primo luogo essere esaminata l’eccezione di parte convenuta relativa all’irregolarità della notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza.

Tale istanza risulta trasmessa dai procuratori della Consob direttamente ai procuratori di P.I. a mezzo fax senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario e senza attestazione di ricevimento sull’originale: parte convenuta sostiene che la notifica sarebbe inesistente (o, in via subordinata, nulla) perché avvenuta in violazione delle forme previste dall’art. 17 del D. L. vo n. 5/2003 (di seguito anche definito “legge sul processo societario”) e ne fa derivare l’inammissibilità della stessa istanza di fissazione dell’udienza ai sensi di quanto previsto dal V comma dell’art. 8 del medesimo D. L. vo.

Ritiene il Tribunale che la notifica di cui si tratta non sia ritualmente avvenuta poiché non è stata effettuata attraverso l’ufficiale giudiziario, ma che tuttavia la nullità della notifica non abbia conseguenze sullo svolgimento del processo poiché parte convenuta ha dato atto di aver ricevuto integralmente e tempestivamente l’istanza di fissazione dell’udienza e pertanto la notifica, seppure irregolare, ha raggiunto lo scopo cui era destinata.

In merito al tema che ci occupa si rinvengono pronunce difformi di alcune corti di merito, mentre non consta che vi siano precedenti della giurisprudenza di legittimità.

Reputa questo Collegio di condividere l’orientamento espresso dal Tribunale di Milano, IV sez. civ., con sentenza in data 15 marzo 2006, che esamina dettagliatamente il quadro normativo giungendo alla conclusione che qui si preferisce; alla medesima conclusione è pervenuto anche il Tribunale di Mantova (sent. 27 ottobre 2005) e il Tribunale di Monza con pronuncia (sent. 20 gennaio 2006) successiva a quella, invocata da parte convenuta (sent. 30.12.2004), che aveva invece affermato l’inesistenza della notifica avvenuta senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario. Conformemente a quanto rilevato dal Tribunale ambrosiano, va osservato quanto segue. L’art. 2 del D. L.vo n. 5/2003 prevede che nell’atto di citazione sia indicato il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica “presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento”; parallelamente l’art. 4 del medesimo D. L. vo prescrive che nella comparsa di risposta “il convenuto deve indicare il numero di fax o l’indizzo di posta elettronica presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento”. L’art. 17 dello stesso D. L. vo autorizza la notificazione e la comunicazione alle parti costituite, oltre che a norma degli artt. 136 e segg. c.p.c., anche a mezzo di fax o di posta elettronica o “con scambio diretto tra i difensori attestato da sottoscrizione per ricevuta sull’originale, apposta anche da parte di collaboratore o addetto allo studio del difensore”. Deve anche essere richiamata la clausola generale prevista dall’art. 1 della legge sul processo societario che richiama, salva la compatibilità, le norme del codice di procedura civile. L’art. 137 c.p.c. stabilisce che, fatta salve diverse disposizioni legislative, le notifiche devono essere eseguite dall’ufficiale giudiziario. A prescindere dunque dai casi di espressa previsione legislativa, peraltro limitati a ben poche ipotesi (art. 7 L. n. 664/1986 per le notifiche da parte dell’Avvocatura dello Stato, L. n. 183/1993 in tema di trasmissione di atti tra difensori muniti di un’unica procura alle liti, L. 53/1994 con riguardo alla possibilità di notifiche a mezzo posta direttamente eseguite dall’avvocato espressamente autorizzato dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza), le notifiche non possono che avvenire attraverso l’ufficiale giudiziario.

Nel caso che ci occupa è indubbio che si verta al di fuori delle predette fattispecie particolari, in cui è concessa la notifica senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario, tuttavia non per questo è possibile giungere alla conclusione che la notifica sia inesistente.

Infatti tale categoria di invalidità deve essere riservata a quell’atto privo degli elementi essenziali suoi propri, tanto da risultare abnorme rispetto al tipo normativo previsto e da non essere suscettibile di sanatoria.

Che le ipotesi di inesistenza della notifica debbano essere necessariamente circoscritte, in tema di notificazioni, a casi di abnormità, si ricava anche dalla lettura dell’art. 160 c.p.c., che colpisce con la meno grave sanzione della nullità (espressamente prevista come sanabile attraverso il richiamo compiuto dall’art. 160 c.p.c. agli artt. 156 e 157 c.p.c.) l’inosservanza delle “disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia” o addirittura la situazione in cui vi sia “incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta” la notifica o sulla data della stessa.

Per esempio la Suprema Corte ha ravvisato una situazione di inesistenza della notifica allorchè l’atto è stato consegnato a un avvocato privo della rappresentanza processuale del destinatario dell’atto stesso (Cass. n. 12002/1998) mentre ha ritenuto nulla (e sanabile) la notifica svolta dagli avvocati ai sensi della citata L. n. 53/1994, ma in assenza dei requisiti previsti dalla legge stessa (Cass. n. 15081/2004). 

Reputa dunque questo Collegio che il caso che ci occupa debba essere qualificato quale situazione di nullità e non di inesistenza della notifica, che è avvenuta attraverso un mezzo di trasmissione (il fax) espressamente previsto dall’ordinamento ma senza il rispetto della procedura richiesta.

In considerazione poi del fatto che parte convenuta, pur sostenendo l’inesistenza della notifica, non ha contestato di aver ricevuto, nella data di trasmissione del fax, l’intera istanza di fissazione dell’udienza né ha lamentato che il contenuto della stessa sia difforme rispetto all’originale depositato, è indubbio che la nullità debba intendersi sanata in virtù del principio di conservazione degli atti di cui all’art. 156, III comma c.p.c., poiché è evidente che la notifica ha raggiunto lo scopo cui era destinata.

2. Sempre sul piano processuale deve essere esaminata la richiesta di parte convenuta di poter ritenere ritualmente acquisiti al giudizio i documenti depositati dalla stessa parte unitamente alla comparsa conclusionale nonché nelle more tra le diverse udienze fissate per la discussione della causa.

Pur in assenza di una norma, nel rito societario, di contenuto analogo all’art. 184 bis c.p.c., ritiene il Collegio che le parti possano essere rimesse in termini rispetto a decadenze maturatesi per cause non imputabili alle parti medesime; invero il citato art. 184 bis codifica un principio generale dell’ordinamento processuale e deve senza dubbio ritenersi implicitamente richiamato dal IV comma dell’art. 1 D. L. vo n. 5/2003, mancando ogni ragione che induca a ritenere l’incompatibilità dello stesso art. 184 bis rispetto alla regolamentazione del processo societario. Si pone semmai il problema di determinare il momento ultimo nel quale è possibile richiedere la rimessione in termini, posto che l’art. 184 bis pertiene esclusivamente alla fase istruttoria (tenendo conto della sedes materiae della norma nonché della circostanza che è previsto che l’istanza di rimessione sia proposta al “giudice istruttore”). Tenendo conto dell’iter processuale previsto dall’art. 16 della legge sul processo societario, pare corretto ritenere che fino al momento in cui la causa non sia trattenuta dal Collegio per la decisione, ai sensi del V comma di tale norma, sia possibile alle parti richiedere la rimessione in termini. Infatti l’udienza di discussione della causa avanti al Collegio fissata con il decreto del Giudice relatore può concludersi con l’ammissione di mezzi istruttori e in tal caso si apre la fase di assunzione delle prove costituende ed è quindi necessaria la fissazione di un’ulteriore udienza di discussione; anche qualora, come nel caso che ci occupa, le parti non abbiano avanzato istanze probatorie, tenendo anche conto dell’astratto potere ufficioso di disporre mezzi istruttori, non può escludersi l’applicabilità dell’art. 184 bis c.p.c. fino a che non avvenga la discussione che rimette la causa al Tribunale per la decisione. Ne deriva che i bilanci, di esercizio e consolidato, relativi all’anno 2005, approvati da P.I. con delibera assembleare del 28 aprile 2006, correttamente sono stati depositati dalla convenuta unitamente alla comparsa conclusionale, che costituisce il primo atto successivo all’assemblea predetta. Ugualmente deve essere ammessa la produzione, avvenuta con apposita istanza di parte convenuta anche ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., depositata il 24 gennaio 2007, del provvedimento in data 23 ottobre 2006 con il quale Borsa Italiana S.p.A. ha revocato la quotazione delle azioni ordinarie della convenuta, dovendo al riguardo rigettarsi l’eccezione di tardività di parte attrice proprio perché il documento in esame è di formazione successiva allo spirare del termine utile per le produzioni documentali e la parte l’ha depositato al primo momento utile rispetto alla formazione del documento stesso (considerando che l’udienza del 15 dicembre è stata rinviata per ragioni d’ufficio attinenti la composizione del Collegio e che il deposito, comunicato alla controparte, è avvenuto addirittura prima dell’udienza fissata per la discussione).

3. Deve a questo punto essere valutata l’eccezione, svolta da parte convenuta, di decadenza dell’attrice rispetto al termine semestrale previsto dal citato art. 157 T.U.F..

E’ incontroverso in causa, e risulta altresì dal doc. 2 di parte attrice, che il bilancio di esercizio qui impugnato è stato depositato presso l’ufficio del registro delle imprese in data 19 aprile 2005 mentre il bilancio consolidato è stato depositato il giorno successivo. L’atto di citazione è stato notificato il 5 dicembre 2005. Poiché il termine per l’impugnativa è di natura processuale, deve tenersi conto della sospensione feriale dei termini, con slittamento della scadenza di quarantasei giorni. E’ pur vero che in qualche pronuncia, invocata da parte convenuta, è stato indicato dalla giurisprudenza il periodo di sospensione feriale in quarantacinque giorni, tuttavia in tali sentenze non risultava determinante stabilire se il periodo fosse di quarantacinque o di quarantasei giorni; in molte altre decisioni della Suprema Corte è invece stato calcolato in quarantasei giorni il tempo della sospensione (v. Cass. n. 13383/2005; Cass. n. 4059/2005; Cass. n. 7746/2004; Cass. n.3773/2001) e non v’è dubbio che tale indicazione debba essere seguita poiché il periodo, stabilito dall’art. 1 della L. n. 742/1969, dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno consta necessariamente di quarantasei giorni. Considerando che il 4 dicembre 2005 cadeva di domenica, ai sensi dell’art. 155, IV comma, c.p.c., il termine semestrale, comprensivo della sospensione, risulta rispettato.

4. L’ultima questione preliminare concerne l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse e di legittimazione ad agire in capo all’attrice.

Tale eccezione è stata proposta con riguardo a due diversi profili. Fin dalla comparsa di costituzione, infatti, P.I. ha affermato che erano in corso di approvazione i nuovi bilanci della società e del gruppo relativi all’anno 2005, peraltro in linea con i rilievi avanzati in questo giudizio da Consob relativamente ai bilanci 2004, e ha sostenuto che, anche ai sensi dell’art. 2434 bis c.c., l’approvazione di tali bilanci avrebbe fatto venir meno l’interesse ad agire rispetto alle domande proposte da Consob e avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere; con la comparsa conclusionale l’eccezione è stata ribadita e rafforzata dal deposito, cui si è fatto precedentemente cenno, dei bilanci approvati nelle more. Sotto un diverso profilo, con la citata istanza ex art. 184 bis c.p.c. nonché in sede di discussione orale, parte convenuta ha sostenuto che il venir meno della quotazione in borsa delle azioni di P.I.  comporterebbe il venir meno della legittimazione e dell’interesse ad agire di Consob.

Con riguardo al primo dei due profili deve essere richiamato il contenuto dell’art. 2434 bis c.c. che, al primo comma, esclude la proponibilità delle azioni di impugnazione del bilancio di un esercizio allorchè sia già stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo. Pur dovendo tenersi conto della ratio ispiratrice della norma in questione, e in generale di tutta la riforma introdotta dal legislatore delegato, volta a rafforzare la stabilità delle decisioni assembleari, non trova riscontro normativo alcuno, anzi risulta contrastante con la disciplina positiva, la tesi di parte convenuta secondo cui avrebbe rilievo ai sensi della disposizione in esame anche l’approvazione in corso di giudizio di bilanci relativi a esercizi successivi a quello del bilancio oggetto di impugnazione. Invero non solo il comma primo fa riferimento esclusivamente al momento di proposizione delle azioni e non al momento della decisione giudiziale, ma l’irrilevanza delle deliberazioni assembleari di approvazione dei bilanci successivi in corso di causa si ricava altresì, a contrario, dall’esame dell’art. 2379 ter c.c., dal quale si evince che, allorchè il legislatore ha voluto riferirsi al momento della pronuncia e non a quello della domanda, l’ha fatto espressamente. Ancorchè qualche autore, in una prospettiva de iure condendo, abbia avanzato l’idea (peraltro opinabile, per le ragioni che saranno più avanti espresse) che potesse essere più opportuna anche in tema di impugnazione delle delibere di approvazione di bilancio una norma analoga a quella, sopra richiamata, dettata in tema di impugnazioni delle delibere sulle operazioni sul capitale, de iure condito l’interpretazione dell’art. 2434 bis c.c. che qui si segue risulta l’unica consentita dall’applicazione delle norme di esegesi legislativa, come peraltro affermato dalla dottrina assolutamente maggioritaria.

Come si è accennato, ritiene questo Collegio che la scelta del legislatore di consentire la pronuncia di invalidazione di un bilancio nonostante nelle more del giudizio sia intervenuta l’approvazione di uno o più bilanci successivi non meriti censure, ben potendo permanere l’interesse dell’attore a tale pronuncia. Lo sbarramento sancito dal I comma dell’art. 2434 bis c.c. pone un limite temporale opportuno, che rafforza la stabilità delle deliberazioni impedendo iniziative tardive: è stato correttamente posto in luce dalla dottrina che con la norma in esame il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di carenza di interesse di colui che non si attivi tempestivamente per l’impugnazione; viceversa la durata del processo non può ripercuotersi negativamente in capo a colui che abbia proposto l’impugnazione tempestivamente e dunque il fatto che nelle more del processo stesso siano stati approvati i bilanci degli anni successivi non può avere di per sé effetti impeditivi del giudizio: in tal caso dovrà il giudice, caso per caso, verificare in concreto la sussistenza dell’interesse ad agire che, certo, deve permanere al momento della pronuncia, essendo condizione dell’azione, ma che non può essere escluso a priori, in assenza di diversa previsione legislativa, per il solo fatto che alla delibera impugnata ne siano seguite altre per gli esercizi seguenti.

Nel caso che ci occupa l’interesse ad agire di Consob deve ritenersi tutt’ora sussistente, in ragione delle finalità specifiche che il legislatore ha voluto perseguire assegnando a Consob stessa la legittimazione ad agire per l’impugnazione delle delibere di cui si tratta; tale interesse non può ritenersi venuto meno né con riguardo al fatto che è stato approvato il bilancio relativo all’anno 2005, né con riguardo all’avvenuto delisting delle azioni della convenuta.

Invero è incontroverso che l’art. 157 T.U.F. prevede la possibilità di impugnativa da parte di Consob a tutela dell’interesse, perseguito istituzionalmente dall’attrice, a che i risparmiatori che investono o intendono investire in strumenti finanziari possano avere una corretta informazione. Rispetto alle due funzioni tipiche del bilancio, ossia quella gestionale e quella informativa, Consob garantisce che quest’ultima sia effettivamente assolta, nell’interesse non solo dei soci ma anche dei terzi che operano sul mercato (al riguardo corre l’obbligo di citare S.U. Cass. n. 27/2000, che ha evidenziato l’illiceità del bilancio che con consenta di “desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole invece siano fornite con riguardo alle singole poste di cui è richiesta l’iscrizione”). Per esempio attraverso la domanda proposta nel presente giudizio l’attrice tutela l’aspettativa di coloro che erano titolari delle azioni al momento dell’approvazione della delibera impugnata, così come di coloro che tali azioni hanno acquistato nelle more, a sapere la reale situazione della società, anche al fine di conoscere il reale valore dei titoli posseduti, con conseguente possibilità, per nulla astratta, di azioni risarcitorie qualora l’approvazione di un bilancio non veritiero abbia indotto compravendite di titoli per un prezzo non rispondente al valore reale.

In considerazione di tutte le considerazioni che precedono, ritiene quindi il Collegio che sussista, anche al momento della presente decisione, l’interesse, concreto e attuale, dell’attrice rispetto alla pronuncia richiesta.

5. Venendo dunque al merito delle domande dell’attrice, la fondatezza delle medesime emerge non solo dall’esame dei bilanci oggetto di giudizio e delle relazioni degli amministratori, ma altresì dalle stesse osservazioni svolte dalla convenuta nella comparsa di costituzione e risposta. Infatti, come si è accennato, a seguito della variazione dei componenti del consiglio di amministrazione intervenuta appena dopo l’approvazione del bilancio di esercizio 2004, già con la relazione semestrale al 30 giugno 2005 sono state integralmente recepite le indicazioni di Consob, poiché i nuovi amministratori ne hanno ritenuta la fondatezza. E’ opportuno osservare che, come risulta dalla comparsa conclusionale della convenuta e dai bilanci depositati con la stessa vi furono, nel corso del 2005 e del 2006, importanti sviluppi di alcune situazioni rilevanti con riferimento alle poste di bilancio che qui interessano; tali circostanze sopravvenute hanno portato il nuovo consiglio di amministrazione a valutazioni delle poste stesse nei bilanci al 31 dicembre 2005, di esercizio e consolidato, parzialmente diverse da quelle prospettate nella predetta relazione semestrale; tuttavia delle cicostanze medesime non può tenersi conto nella presente decisione poiché la valutazione sulla rispondenza alla legge dei bilanci oggetto di impugnazione non può che avvenire secondo il criterio della c.d. “prognosi postuma”, ossia tenendo conto di tutti e soli gli elementi conoscitivi esistenti al momento di approvazione del bilancio e non invece dei fatti avvenuti, o conosciuti dagli amministratori, successivamente. Questi ultimi non valgono quindi a inficiare le affermazioni lato sensu confessorie contenute nella relazione semestrale al 30 giugno 2005, allorchè i nuovi amministratori hanno condiviso le censure della Consob. Tali censure meritano di essere condivise per i motivi che di seguito vengono esposti con riferimento a ognuna delle poste di bilancio non ritenute, dall’attrice, correttamente indicate e a quelle ritenute illegittimamente omesse.

5.1. Nel bilancio di esercizio 2004 di N. S.p.A. è stato iscritto al conto economico, alla voce “proventi straordinari - vari” un importo di 4.995 migliaia di euro “quale differenza per il rilascio del fondo svalutazione crediti India di 5.165 migliaia di euro ed il debito di 170 migliaia di euro verso il Fallimento E.R.C. per la transazione in via di definizione”.

Parte attrice, senza essere in ciò smentita dalla convenuta, ha rilevato come il credito di N. S.p.A. verso E.R.C. s.r.l. derivasse da un finanziamento erogato il 17 maggio 2000 dalla prima alla seconda, propria partecipata, per 5.165 migliaia di euro; E.R.C. si era impegnata a garantire il proprio credito attraverso la consegna, entro tre mesi dal finanziamento, a titolo di pegno, di certificati azionari della società indiana Applicomp, debitrice di E.R.C. per il medesimo importo; la consegna dei certificati azionari non era tuttavia avvenuta per problemi insorti con Applicomp; il 14 maggio 2002 era altresì intervenuto il fallimento di E.R.C., nel quale N. si era insinuata al passivo per il complessivo importo di 13.400 migliaia di euro, comprendente anche la somma predetta, erogata a titolo di finanziamento. Nei bilanci N. relativi agli esercizi 2001, 2002 e 2003 il credito in questione era stato indicato quale credito verso Applicomp e nel secondo bilancio 2002, redatto a seguito di impugnativa della stessa Consob, esso era stato completamente svalutato. La svalutazione integrale era stata mantenuta nel bilancio di esercizio 2003 mentre nel bilancio oggetto di questo giudizio è stata operata l’appostazione sopra richiamata, motivata, come si è visto, da una prospettiva di transazione con il Fallimento E.R.C.. A quest’ultimo riguardo, tuttavia, parte attrice ha correttamente messo in luce come al momento di redazione e di approvazione del bilancio 2004 la prima proposta transattiva, da parte di N., di acquisto dei crediti vantati da E.R.C. verso Aplicomp per un corrispettivo di 170 migliaia di euro non era stata ritenuta adeguata dal curatore fallimentare di E.R.C., mentre una seconda proposta, per un corrispettivo di 250 migliaia di euro, doveva ancora essere sottoposta al comitato dei creditori e al Tribunale fallimentare.

Le circostanze sin qui esposte non solo devono ritenersi processualmente incontroverse ma risultano altresì essere state correttamente valutate dal nuovo consiglio di amministrazione della convenuta, che sin dalla citata relazione semestrale ha riclassificato il credito di cui si tratta come credito verso il Fallimento E.R.C. e l’ha contestualmente svalutato integralmente quale credito chirografario nei confronti di un fallimento.

Correttamente quindi Consob ha rilevato come alla data di redazione del bilancio gli amministratori non avessero alcuna certezza della positiva conclusione della proposta transattiva avanzata nei confronti del Fallimento E.R.C.; ha altresì, condivisibilmente, osservato che nel bilancio impugnato manca qualunque elemento di valutazione sulla esigibilità del credito verso Applicomp che sarebbe stato acquisito in caso di conclusione della suddetta transazione.

Deve quindi, senza ombra di dubbio, concludersi nel senso che il bilancio di esercizio 2004, relativamente alla voce in esame, non risulta redatto nel rispetto dei criteri di correttezza e di prudenza previsti dagli artt. 2423 c.c., 2423 bis, comma I, n. 1, c.c. e 2426, comma I n. 8, c.c.; conseguentemente deve essere accolta la censura dell’attrice rispetto alla voce medesima.

5.2. Alla voce C II 5) dell’attivo circolante il bilancio di esercizio 2004 riporta un credito, per soli interessi e rivalutazione, di 1.507 migliaia di euro nei confronti del Comune di Roma, per il quale è stata ritenuta prudente una svalutazione del 25 % in considerazione dei tempi lunghi per l’incasso; è stata altresì indicata una plusvalenza di 1.994 migliaia di euro con riferimento alla cessione del credito capitale alle Assicurazioni Generali.

La ricostruzione storica della vicenda relativa al credito verso il Comune di Roma è stata dettagliatamente esposta da parte attrice senza che, anche in questo caso, vi siano state contestazioni da parte della convenuta.

E’ stato rilevato, in sintesi, che la Immobiliare Cometa s.r.l. aveva ceduto un proprio credito verso il Comune di Roma, pari a circa 100 miliardi di lire, partitamente a diversi soggetti; la cessione a favore di N. S.p.A. era avvenuta, pro soluto, con atto 28 maggio 1998, fino alla concorrenza di 8 miliardi di lire. N. aveva poi ceduto pro solvendo, nel giugno 2004, alle Assicurazioni Generali il credito per la sola parte capitale, nell’ambito di un accordo transattivo riguardante il fatto che alcune banche avevano escusso la garanzia fideiussoria che il predetto istituto di assicurazione aveva prestato a favore di N.. Peraltro l’atto di precetto con il quale N. aveva intimato al Comune di Roma il pagamento degli interessi e della rivalutazione maturati, pari a 1.466 migliaia di euro, era stato opposto dal debitore, il quale aveva sostenuto che altri soggetti avevano già pignorato presso il Tesoriere del Comune importi fino alla concorrenza integrale del proprio debito e che nulla era più dovuto.

Tenendo dunque conto delle ragioni esposte dal Comune di Roma nell’atto di opposizione al precetto, non può che convenirsi con l’attrice laddove sostiene che il bilancio in esame avrebbe dovuto, in conformità ai princìpi legislativi sulla redazione del bilancio (artt. 2423 c.c., 2423 bis, comma I, n. 1, c.c. e 2424 bis, comma III c.c.) prevedere un fondo rischi per l’ipotesi in cui le Assicurazioni Generali avessero agito in via di regresso con riguardo al credito acquisito pro solvendo, nonché prevedere una maggiore svalutazione del credito per accessori verso il Comune di Roma.

Del resto il fondo rischi è stato effettivamente previsto nella relazione semestrale più volte citata, per l’intero importo del credito ceduto, e con ciò la convenuta ha confermato la fondatezza delle censure in esame con riferimento al bilancio di esercizio 2004 mentre, come si è accennato, non sono rilevanti le pronunce intervenute nel corso del 2005 con riguardo alla sussistenza del credito di cui si tratta e all’opposizione al precetto proposta dal Comune di Roma richiamate dalla convenuta nella propria comparsa conclusionale, poiché esse sono successive all’approvazione dei bilanci oggetto di questo giudizio. Nella relazione semestrale è stato altresì interamente svalutato il credito per accessori nei confronti del Comune di Roma.

Da tutte le considerazioni che precedono deriva che anche con riguardo alle appostazioni di cui si tratta il bilancio di esercizio 2004 risulta contrario alla legge.

5.3. Sempre alla voce C II 5) dell’attivo circolante è stato iscritto un credito verso PIM (PFAFF Industries Machinen) per un importo di 413 migliaia di euro, con svalutazione al 50 %; la svalutazione è stata indicata come prudente, essendo peraltro stato precisato che “non vi sono elementi che lascino presagire che tale credito non sia interamente recuperabile”.

La Consob ha evidenziato che il presunto credito deriverebbe dalla restituzione di pagamenti  effettuati da N. nell’ambito di un’operazione, non andata a buon fine, per l’acquisizione di un ramo d’azienda della predetta PIM, società tedesca in fallimento, ma ha altresì osservato come mancasse qualunque documentazione a sostegno della recuperabilità, almeno parziale, del credito, tale cioè da rendere corretta la svalutazione nella misura del 50 %. Parte convenuta non solo non ha dimostrato che si potesse prevedere di ottenere il pagamento del credito ma anzi ha confermato, nella relazione semestrale, come vi fosse “una carenza della documentazione probatoria del credito che rende dubbia la recuperabilità dello stesso”, tanto che la medesima relazione ha previsto la svalutazione integrale del credito medesimo.

Anche con riferimento all’appostazione in esame, dunque, la domanda dell’attrice deve essere accolta.

5.4. Infine risulta corretta la censura di Consob con riguardo alla mancata previsione, nel bilancio di esercizio 2005, di un apposito fondo relativo agli oneri gravanti sulla società convenuta dalla stipulazione di un contratto di locazione di un immobile sito in Busto Garolfo.

Al riguardo sono state dall’attrice poste in evidenza le peculiarità del predetto contratto di locazione, tali da comportare gravosi oneri per N. S.p.A. con scarsissima possibilità per quest’ultima di trarre un reddito dall’immobile condotto in locazione. Invero l’immobile era stato locato da Archè S.p.A. alla convenuta con contratto 20 dicembre 2000 per la durata di dodici anni e con esclusione della facoltà di recesso anticipato da parte della conduttrice; era inoltre contrattualmente prevista la possibilità di sublocazione con esclusivo riferimento alle società controllanti, controllate o collegate alla conduttrice stessa. Effettivamente l’immobile era stato sublocato, negli esercizi precedenti al 2004, alla controllata Rimoldi N., ma a seguito del fallimento di quest’ultima il contratto di sublocazione si era risolto.

Secondo l’attrice l’appostazione di un fondo per gli oneri derivanti dal contratto in esame sarebbe stata imposta dai princìpi di prudenza in considerazione di diversi elementi: i cennati vincoli contenuti nelle pattuizioni contrattuali, la circostanza che l’immobile non fosse in possesso della convenuta, poichè occupato da diversi soggetti in merito ai quali non era chiaro il titolo dell’occupazione, la complessità dei rapporti con Archè S.p.A. (precedentemente partecipata da N. S.p.A.) anche a causa della cessione da parte della medesima Archè a Bipielle Leasing S.p.A. dei crediti relativi ai canoni, nonché a causa dell’esistenza di un diritto di prelazione, ceduto da N. S.p.A. a Rimoldi N., relativo all’acquisto dell’immobile.

Il consiglio di amministrazione della convenuta insediatosi dopo quello che ha portato all’approvazione del bilancio oggetto di impugnazione ha recepito integralmente le valutazioni di Consob ora in esame prevedendo, nella relazione semestrale, il fondo rischi di cui tratta. Anche in questo caso non rileva invece la circostanza, evidenziata da parte convenuta nella propria comparsa conclusionale, che nel corso dell’anno 2006 sia stato possibile addivenire alla risoluzione anticipata senza penali o indennizzi del contratto con Archè, poiché si tratta di evento successivo rispetto alla redazione del bilancio 2004, né prudenzialmente prevedibile in tale momento.

Anche con riferimento alla censura in esame la domanda di Consob risulta dunque fondata.

6. Tutte le valutazioni sin qui esposte inducono a ritenere nulla la delibera di approvazione del bilancio di esercizio 2004 di N. S.p.A., ora P.I. S.p.A., che non risulta rispondente alla reale situazione della società con riguardo alle diverse poste esaminate.

7. Alla nullità della delibera suddetta consegue altresì la valutazione di non conformità alla legge del bilancio consolidato del gruppo P.I. relativo al medesimo anno 2004, che risente di tutte le erronee appostazioni e delle omissioni di appostazioni relative a N. S.p.A.

8. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, devono essere poste a carico di parte convenuta secondo il criterio della soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI

il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando nella causa promossa da Commissione Nazionale per le Società e la Borsa nei confronti di P. I. S.p.A., così decide:

1)           dichiara la nullità della delibera adottata dall’assemblea ordinaria di P. I. S.p.A. (già N. S.p.A.) in data 22 marzo 2005, di approvazione del bilancio di esercizio al 31.12.2004, non essendo tale bilancio conforme agli artt. 2423 c.c. 2423 bis, comma I, n. 1, c.c. e 2424 bis, comma III c.c., 2426, comma I, n. 8, c.c. a causa della valutazione non prudente dei crediti nei confronti di E.R.C., del Comune di Roma (per interessi e rivalutazione) e di PIM, nonché a causa della mancata appostazione di un fondo rischi con riguardo al credito nei confronti del Comune di Roma (per la parte capitale) e per gli oneri derivanti dal contratto di locazione con Archè S.p.A.;

2)           dichiara la non conformità alla legge del bilancio consolidato del gruppo P. I. al 31 dicembre 2004 a causa della violazione delle norme indicate al capo 1) che precede nonché dell’art. 29 del D. L. vo n. 127/1991;

3)           condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite, che liquida in € 1.669,00 per diritti, € 8.180,00 per onorari, € 1.755,13 per spese, oltre rimborso spese generali come per legge.

Pavia, così deciso nella camera di consiglio del 20 febbraio 2007.


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