Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/08/2024 Scarica PDF
Appalto con bonus fiscali tra sopravvenienze e rimedi civilistici
Giuseppe Vertucci, Professore a contratto di diritto privato nell’Università degli Studi di TorinoSommario: 1. I bonus fiscali del Decreto Rilancio e la successiva decretazione d’urgenza. - 1.1 segue: Il mercato dei crediti d’imposta ed il fenomeno dei c.d. «crediti incagliati». - 2. Un possibile inquadramento del rapporto tra committente ed impresa esecutrice dei lavori in regime di bonus fiscali. - 3. La mancata esecuzione delle opere appaltate: i rimedi a disposizione del committente. - 4. I rimedi a disposizione dell’impresa appaltatrice inadempiente a causa dei c.d. «crediti incagliati». - 4.1 segue: Il rimedio risolutorio ex art. 1467 c.c. - 4.2 segue: Il rimedio risolutorio ex art. 1463 c.c. - 4.3 segue: I rimedi manutentivi - 5. La posizione dei subappaltatori e dei fornitori dell’impresa appaltatrice inadempiente a causa dei c.d. «crediti incagliati». - 6. L’incidenza della sopravvenienza normativa sul contratto di transazione. - 7. Brevi riflessioni conclusive.
1. I
bonus fiscali del Decreto rilancio e la successiva decretazione d’urgenza
Il legislatore
della ripartenza a maggio del 2020 ha introdotto una misura, denominata superbonus
110%, al dichiarato fine di aiutare la ripresa economica dell’Italia nella fase
post pandemica, attraverso cui sono stati incentivati interventi di manutenzione
edilizia straordinaria, con particolare riferimento all’efficientamento energetico
ed antisismico degli immobili esistenti sul territorio nazionale[1]. Senza pretesa
di esaustività, in questa sede si ripercorreranno sinteticamente i provvedimenti
normativi principali e più significativi ai fini della trattazione del tema inerente
ai possibili rimedi di diritto civile esperibili dall’impresa esecutrice dei lavori
per reagire al fenomeno dei c.d. «crediti incagliati». Il d.l.
n. 34/2020, convertito nella l. n. 77/2020[2],
muoveva dalla necessità di aiutare la ripresa economica dell’Italia dopo la pandemia
e per tale ragione è stato denominato Decreto Rilancio; tra le misure approntate,
è stato previsto l’incentivo fiscale del superbonus 110% delle spese sostenute
tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021 (termine finale successivamente prorogato) per specifici interventi volti ad incrementare
l’efficienza energetica degli edifici (ecobonus), la riduzione del rischio
sismico (sismabonus) e per interventi ad essi connessi relativi all’installazione
di impianti fotovoltaici e colonnine per la ricarica di veicoli elettrici. Al fine
di promuovere ancor più l’incentivo fiscale e, per tale via, assicurare la massima
spinta possibile alla fase della ripartenza post pandemica, l’art. 121 del
Decreto Rilancio ha previsto per il committente dei lavori ricadenti nell’agevolazione
fiscale, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione fiscale, due possibilità
alternative: (i) l’opzione per un credito d’imposta mediante sconto in fattura,
di importo pari alla detrazione spettante, con facoltà di successiva cessione del
credito ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari
finanziari (art. 121, co. 1, lett. a) del Decreto Rilancio); (ii) oppure, l’opzione
per la cessione del credito di imposta, di importo pari alla detrazione spettante,
con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito
e gli altri intermediari finanziari nonché compresa l’impresa appaltatrice (art.
121, co. 1, lett. b) del Decreto Rilancio). Lo sconto
in fattura e la cessione del credito di imposta presentavano un indubbio vantaggio,
sia per il committente sia per l’impresa appaltatrice. Per il primo, lo sconto in
fattura non esponeva ad un anticipo in denaro del corrispettivo di appalto, rendendo
i lavori non solo eseguibili gratuitamente ma addirittura senza previo esborso di
denaro; la cessione, invece, apriva ad un mercato del trasferimento del credito
di imposta che consentiva di monetizzarlo per (ri)avere liquidità o di cederlo ad
intermediari finanziari, a banche ed anche all’impresa appaltatrice. Per l’impresa
appaltatrice detti incentivi presentavano un duplice vantaggio, ovverosia quello
di una maggior competitività con la possibilità di acquisire un maggior numero di
commesse (e quindi di conseguire un maggior utile d’impresa) rispetto al passato
e quello di poter ottenere pronta liquidità nel mercato delle cessioni dei crediti
di imposta anche al fine di ulteriormente finanziare i piani industriali proprio
nel settore incentivato. Tra le finalità
del legislatore della ripartenza post pandemica vi erano senz’altro quella
di favorire la ristrutturazione, l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza
di tutto il patrimonio edilizio, nonché la ripresa dell’economia del comparto edilizio
che da molti anni registrava una situazione di stallo con conseguenti criticità
pure per i livelli occupazionali in tale settore. La pressocché
assenza di vacatio legis del Decreto Rilancio e della sua legge di conversione
dimostra l’urgenza avvertita dal legislatore della ripartenza di arginare una crisi
dilagante acuita oltremodo dalla tragica esperienza pandemica. Sennonché,
del tutto inaspettatamente e repentinamente, tale assetto normativo è stato profondamente
modificato dal d.l. n. 4/2022, denominato Decreto Sostegni-ter,[3]
convertito nella l. n. 25/2022, che , al fine di contrastare alcune frodi originatesi
all’indomani dell’entrata a regime degli incentivi fiscali, ha modificato il Decreto
Rilancio[4],
inibendo, in particolare, ai cessionari dei crediti di cui agli artt. 121 e 122
cit. di cedere a loro volta i medesimi crediti, allo scopo di scongiurare una catena
di cessioni che – come riscontrato nell’esperienza applicativa dall’Amministrazione
finanziaria – mirava a dissimulare l’origine effettiva dei crediti, invero esistenti,
con l’intento di monetizzarli e di distrarre la successiva provvista finanziaria
ottenuta. Alla luce
della novella, da gennaio 2022 è stato consentito esclusivamente: (i) in caso di
opzione per lo sconto in fattura ex art. 121, co. 1, lettera a), del Decreto Rilancio, all’impresa
di cedere il credito, ma il cessionario non ha più potuto a sua volta cederlo; (ii)
in caso di cessione del credito ex art. 121, co. 1, lettera b), del Decreto Rilancio,
nonché ai sensi del co. 1 dell’art. 122 del decreto medesimo, da parte del beneficiario
originario, è stato previsto il divieto di successive cessioni da parte del primo
cessionario. La situazione,
già fortemente critica ed inaspettata, è ulteriormente peggiorata in conseguenza
dell’adozione del d.l. n. 11/2023[5],
convertito nella l. n. 38/2023, che dal 17 febbraio 2023, allo scopo di adottare
misure per la tutela della finanza pubblica nel settore delle agevolazioni fiscali
ed economiche in materia edilizia, ha posto due ulteriori divieti: (i) il divieto
alle pubbliche amministrazioni di acquistare i crediti di imposta derivanti dall’esercizio
delle opzioni per la cessione del credito e dello sconto in fattura; (ii) il divieto
di optare, in luogo della fruizione diretta della detrazione, per lo sconto in fattura
e per la cessione del credito di imposta. Le norme in esame – pur riconoscendo una
serie di condizioni in presenza delle quali, ad alcuni interventi già in corso,
non si è applicato il divieto – hanno decretato il tramonto dei predetti bonus
fiscali (e non solo delle cessioni successive). La stretta
definitiva agli incentivi suddetti è stata attuata, sempre al proclamato fine di
prevedere ulteriori e più incisive misure per la tutela della finanza pubblica nel
settore delle agevolazioni fiscali in materia edilizia e di efficienza energetica,
con l’adozione del d.l. n. 39/2024[6],
cosiddetto Decreto Cessioni o Salva Spese o Decreto Superbonus 2024, convertito
nella l. n. 67/2024, che ha eliminato ulteriori facoltà legate allo sconto in fattura
e alla cessione del credito ed ha limitato finanche l’utilizzo diretto dell’agevolazione
fiscale da parte del titolare[7].
1.1 segue:
Il mercato dei crediti d’imposta ed il fenomeno dei c.d. «crediti incagliati» Nell’ottica
della massima incentivazione degli interventi indicati (riqualificazione energetica
degli edifici e loro adeguamento antisismico), il legislatore della ripartenza,
come visto, ha aggiunto, all’utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante
al committente (ipotesi ordinaria), due modalità di fruizione del beneficio fiscale,
richiedenti l’accordo delle parti, ed innescanti un sistema di circolazione del
credito d’imposta e, pertanto, un mercato delle cessioni. La prima
opzione è stata lo sconto in fattura, ovverosia la previsione di un contributo –
sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto per i lavori, di ammontare massimo
pari al corrispettivo medesimo – anticipato dalle imprese che hanno effettuato gli
interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta,di
importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione ai
sensi del co. 1, lett. a) del Decreto Rilancio. Oppure, in alternativa, la seconda
opzione è stata la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti,
comprese le imprese appaltatrici, gli istituti di credito e gli altri intermediari
finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini più volte modificati
del co. 1, lett. b) del Decreto Rilancio, o di essere portato in compensazione con
debiti erariali. Senza pretesa
di completezza, si crede di poter osservare che, dal punto di vista civilistico,
gli strumenti fiscali previsti dal legislatore della ripartenza siano riconducibili
a due schemi. Più semplice appare qualificare la cessione del credito di imposta,
dal momento che il diritto alla detrazione (verso lo Stato), una volta trasformato
per legge in credito di imposta suscettibile di vicende circolatorie, diviene un
bene giuridico a sé stante soggetto alla normativa impostata dagli artt. 1260 e
ss. c.c. ed eterodeterminata in parte dalla normativa dei bonus fiscali.
Più complesso, invece, si presenta il tentativo di qualificazione dello sconto in
fattura: in tale fattispecie il diritto alla detrazione viene trasferito sulla base
della volontà delle parti in quanto tale trasferimento è consentito dalla legge;
tale trasferimento in capo all’impresa e il pagamento da parte di questa delle somme
necessarie ad eseguire i lavori determina l’insorgenza in capo all’impresa del credito
di imposta corrispondente; si tratta, pertanto, di una fattispecie a formazione
progressiva che, grazie all’attività sostitutiva dell’impresa che paga i lavori
(in luogo del committente), genera una sostituzione del soggetto che beneficia della
detrazione fiscale (l’impresa in luogo del committente) sotto forma di credito di
imposta, destinato a circolare secondo quanto sopra detto. Il mercato
dei crediti d’imposta è stato però bruscamente ed inaspettatamente interrotto a
partire dall’entrata in vigore del Decreto Sostegni-ter che, eliminando la possibilità
della ulteriore cessione, ha provocato come conseguenza immediata il fatto che gli
istituti bancari e gli altri intermediari finanziari hanno cessato all’improvviso
di rendersi cessionari dei crediti fiscali contribuendo a creare il fenomeno dei
c.d. «crediti incagliati». L’esperienza
applicativa della cessione tra soggetti privati ha conosciuto la prassi dell’acquisto
dei crediti di imposta ad un prezzo inferiore rispetto al loro valore nominale;
il delta differenziale ha avuto la funzione di remunerare la monetizzazione immediata
del vantaggio fiscale che, altrimenti, secondo la logica dell’utilizzo diretto,
avrebbe comportato l’attesa pluriennale per la detrazione da parte del beneficiario;
un medesimo fenomeno ha riguardato le ulteriori cessioni. In altri termini, il credito
d’imposta – quale bene giuridico autonomo e come tale suscettibile di vicende circolatorie
– è stato negoziato nel suo mercato dedicato normalmente a titolo oneroso e sulla
scorta di tale carattere si sono giustificati i trasferimenti ad un valore inferiore
rispetto a quello nominale (il delta differenziale ha costituito, appunto, il corrispettivo
della cessione). Il fenomeno dei c.d. «crediti incagliati» è stato, altresì, acuito dall’aumento dei tassi di interesse attivi, nonché
probabilmente dalla saturazione della capacità di acquisto dei crediti di imposta
da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari, fattori, questi, che
hanno determinato via via l’aumento dei corrispettivi di cessione nel momento in
cui tali soggetti rivestivano la qualità di cessionario, innescandosi, di conseguenza,
una rilevante inflazione nel mercato delle cessioni (aumento dei corrispettivi delle
cessioni che, intanto, aveva già eroso l’utile di impresa). Tale situazione
ha, pertanto, originato una imponente ed incolpevole crisi di liquidità per le imprese
appaltatrici, che si sono all’improvviso ritrovate titolari di crediti fiscali per
importi talvolta esorbitanti in luogo della liquidità che sarebbe loro derivata
dalla monetizzazione degli stessi sul mercato delle cessioni; in assenza di liquidità
esse da un lato non sono riuscite a completare i lavori appaltati o li hanno completati
in ritardo e dall’altro lato non hanno avuto la possibilità di investire in altri
progetti imprenditoriali[8]. 2. Un
possibile inquadramento del rapporto tra committente ed impresa esecutrice dei lavori
in regime di bonus fiscali Prima di
addentraci nel delicato tema delle conseguenze derivanti dalla mancata esecuzione
dei lavori assunti in regime di bonus fiscali ex Decreto Rilancio, pare utile
soffermarsi sulla natura del rapporto contrattuale intercorrente tra il committente
interessato a fruire dell’agevolazione fiscale e l’impresa interessata ad eseguire
i lavori con lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta. Invero,
nulla quaestio con riguardo all’ipotesi dell’utilizzo diretto dell’agevolazione
fiscale da parte del committente dal momento che, essendo in questo caso il corrispettivo
pagato in denaro, non vi è dubbio che ricorre la fattispecie del contratto di appalto
di cui all’art 1655 c.c. Nell’ipotesi
in cui il committente, invece, opti, in luogo della detrazione diretta dell’agevolazione
fiscale, per lo sconto in fattura oppure per la cessione del credito di imposta,
occorre procedere ad un distinguo: il primo caso, almeno di primo acchito, sembrerebbe
allontanarsi dalla fattispecie dell’appalto dal momento che il corrispettivo viene
pagato, anziché in denaro, mediante una successione nel credito di imposta a favore
dell’impresa appaltatrice; nel secondo caso, invece, si resta nella fattispecie
del contratto di appalto atteso che il corrispettivo viene comunque pagato in denaro
e la cessione del credito di imposta maturato sarà vicenda circolatoria successiva
che permetterà al committente di trasferire, attraverso distinto e autonomo contratto
di cessione, anche all’impresa appaltatrice, il credito medesimo e quindi di monetizzarlo. Analizzando,
allora, l’ipotesi dello sconto in fattura, la natura di contratto di appalto del
rapporto negoziale in parola non pare mutare al punto da integrare l’ipotesi del
contratto misto che, come tale, dovrebbe presentare una causa mista ovvero la compresenza
di due o più cause di contratti tipici: nell’ipotesi in esame, oltre agli elementi
sinallagmatici del contratto d’appalto, infatti, non si rintracciano altri e diversi
elementi appartenenti a diversi contratti nominati. È ben vero
che il contratto di appalto, ex latere committente, da oneroso parrebbe divenire
gratuito in conseguenza dell’opzione dello sconto in fattura (e, quindi, della successione
a favore dell’impresa appaltatrice nel credito di imposta), ma la gratuità del contratto
è solo apparente in quanto il corrispettivo non viene pagato in denaro, bensì con
l’agevolazione fiscale (e, pertanto, mediante l’attribuzione al committente di un
credito d’imposta da parte dello Stato, che rinuncia ad esercitare la pretesa fiscale);
di contro, poi, ex latere impresa appaltatrice, neppure si pone il dubbio
circa la gratuità della fattispecie. Si può concludere, pertanto, che il contratto
anche nell’ipotesi dello sconto in fattura conserva carattere oneroso (la gratuità
dell’opera per il committente derivante dal concesso beneficio fiscale, quindi,
non deve essere confusa con la gratuità del contratto); e tale carattere depone
certamente per la sua riconducibilità all’art. 1655 c.c. Concentrando
l’attenzione, ancora, sulla anomalia della prestazione del committente che paga
non in denaro, secondo lo schema tipico, bensì con la successione nel credito di
imposta a seguito della scelta dello sconto in fattura, la tipicità, a ben vedere,
non viene scalfita tenuto conto che la disciplina del tipo prevalente si deve applicare,
non solo al caso dei contratti misti (ipotesi che abbiamo escluso), ma anche a quei
contratti che, pur non essendo tali, presentino prestazioni aventi un contenuto
anomalo o anfibiologico rispetto alla fattispecie legale tipica[9]. Orbene,
pare potersi affermare che l’appalto con bonus fiscale sia riconducibile
a due distinte ipotesi: nel caso di utilizzo diretto del credito d’imposta da parte
del committente, ricorre certamente la fattispecie dell’appalto, dal momento che
il corrispettivo viene pagato in denaro, e alla stessa conclusione deve pervenirsi
per l’opzione della cessione del credito di imposta atteso che anche in tale ipotesi
il corrispettivo viene pagato in denaro ed il credito di imposta potrà essere oggetto
di successiva cessione; nel caso, invece, della scelta dello sconto in fattura,
ricorre la fattispecie tipica dell’appalto e il pagamento del corrispettivo (non
in denaro, ma) mediante la successione nel credito d’imposta – che si realizza mediante
l’accordo delle parti sulla diversa modalità di adempimento – costituisce, pertanto,
un’ipotesi di datio in solutum legalmente tipizzata. Le parti
nell’ambito della loro autonomia contrattuale possono prevedere che il pagamento
del corrispettivo avvenga in denaro o con sconto in fattura. Nel caso
di opzione per lo sconto in fattura non sembra potersi vietare alle parti di prevedere
che, in caso di mancata maturazione del credito d’imposta, il corrispettivo sia
comunque dovuto in denaro. Vietata pare essere, invece, una clausola che stabilisca,
in caso di mancata maturazione del credito d’imposta, il mancato pagamento del corrispettivo
ostandovi il generale divieto di donazione futura (cfr. art. 771 c.c.)[10].
Neppure
vietata sembra essere la possibilità di stabilire che il pagamento del corrispettivo
debba avvenire in denaro o con altre modalità esattamente individuate, quale, per
quanto interessa nella presente indagine, lo sconto in fattura, integrandosi un’ipotesi
di obbligazione con facoltà alternativa di adempimento ex art. 1285 c.c. 3. La
mancata esecuzione delle opere appaltate: i rimedi a disposizione del committente
La mancata
esecuzione dei lavori in regime di bonus fiscali o la loro esecuzione tardiva
genera la responsabilità contrattuale dell’appaltatore nel caso in cui l’inadempimento
non sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa
a lui non imputabile, secondo il principio di cui all’art. 1218 c.c. L’inadempimento
nei contratti a prestazioni corrispettive, tra cui deve annoverarsi il contratto
di appalto, offre al committente la possibilità di domandare l’adempimento, ove
permanga l’interesse per la prestazione, oppure la risoluzione per inadempimento,
laddove tale interesse sia venuto meno, sempre salvo il risarcimento del danno,
secondo le norme di cui agli artt. 1453 e ss. c.c. L’inadempimento
legittimante la risoluzione è quello che non è di scarsa importanza avuto riguardo
all’interesse del committente secondo l’art. 1455 c.c. In argomento,
laddove le parti di un contratto di appalto pattuiscano un termine di fine lavori
e questo venga violato, occorre una indagine circa la non scarsa importanza di tale
inadempimento, tranne il caso di pattuizione di clausola di risoluzione ipso
iure del contratto (quale, principalmente, il termine essenziale ex art. 1457
c.c.), che limita l’indagine giudiziale all’accertamento dell’inadempimento essendo
già stata fissata pattiziamente la rilevanza di quest’ultimo. Nel caso
in cui, invece, le parti abbiano stipulato un contratto di appalto esteriorizzando
l’interesse a conseguire il bonus fiscale, è indubbio che, anche a prescindere
dalla pattuizione di un termine per l’adempimento ed anche in assenza di clausole
di risoluzione di diritto del contratto, la mancata esecuzione entro il termine
previsto per fruire del credito d’imposta costituisce inadempimento di non scarsa
importanza avuto riguardo all’interesse del committente con la possibilità di invocare
i rimedi anzi detti. Giova in
ultimo rilevare che se le parti, senza esteriorizzare la volontà di avvalersi del
bonus fiscale, si sono tuttavia determinate a concludere il contratto di
appalto sulla base del presupposto, anche tacito, della possibilità di fruire dello
sconto in fattura o della cessione del credito d’imposta e poi tale possibilità
sfuma per lo sforamento dei termini di esecuzione dei lavori rispetto ai termini
imposti per fruire delle agevolazioni fiscali, ove la causa dell’inadempimento sia
imputabile all’appaltatore, è possibile invocare l’adempimento o la risoluzione
del contratto, oltre che la richiesta di risarcimento del danno coincidente con
la perdita di chance. A proposito
del danno per perdita di chance,la giurisprudenza di merito affacciatasi
in argomento ha identificato il pregiudizio patito dal committente nella differenza
tra il vantaggio ottenibile mediante accesso al superbonus e il vantaggio
solo parziale ottenibile mediante altri bonus minori (scelti in sostituzione
del primo per mancata esecuzione tempestiva delle opere con riferimento alle finestre
temporali previste dalla normativa sugli incentivi fiscali)[11].
È stato
precisato che in tema di risarcimento del danno, la chance consiste nella
seria e consistente possibilità di ottenere il risultato sperato, la cui perdita,
distinta dal risultato perduto, è risarcibile, trattandosi di una situazione giuridica
a sé stante e suscettibile di autonoma valutazione patrimoniale, a condizione che
di essa sia provata la sussistenza, tenendo, peraltro, conto che l’accertamento
del nesso di causa avente ad oggetto la perdita di chance di conseguire un
risultato utile non richiede anche l’accertamento della concreta probabilità di
conseguirlo[12].
Tuttavia,
è stato affermato che la mera scadenza del termine utile ad accedere al beneficio
fiscale non determina in automatico il danno, essendo onerato il committente della
prova circa l’impossibilit à di reperire altre imprese cui conferire l’incarico
dei lavori al fine di fruire delle agevolazioni fiscali nel rispetto dei termini
via via prorogati per legge, nonché il nesso di causalità tra l’inadempimento dell’impresa
appaltatrice e la definitiva impossibilit à di reperire in tempo utile altre imprese
in grado di ultimare i lavori[13].
Ancora in
tema di onere della prova in un’altra occasione la giurisprudenza ha correttamente
ritenuto che, in assenza di elementi sulla particolare situazione reddituale del
ricorrente, che consentano di escludere la possibilità di accesso ad una agevolazione
minore, non è possibile accogliere la richiesta di risarcimento con riguardo alla
perdita di chance dell’intera agevolazione maggiore[14].
Amplia la
dimensione del pregiudizio risarcibile una opinione[15]
secondo cui il danno, nel senso di mancato guadagno, consiste non solo ma anche
nell’accrescimento di valore dell’immobile dopo la realizzazione delle opere di
efficientamento energetico. 4. I
rimedi a disposizione dell’impresa appaltatrice inadempiente a causa dei c.d. «crediti
incagliati» Le imprese
appaltatrici dei lavori all’indomani dell’entrata in vigore del Decreto Rilancio
hanno investito liquidità per dotarsi dell’organizzazione necessaria ad affrontare
le lavorazioni di numerosi cantieri, talvolta anche decisamente impegnativi per
il volume delle opere da realizzare; tale ingente investimento hanno sopportato
sull’affidamento incolpevole e ragionevole che avrebbero ricevuto, quale corrispettivo
dell’opera, la sicura monetizzabilità del credito d’imposta e, quindi, il recupero
della liquidità investita e l’utile di impresa. Con il blocco delle cessioni, avvenuta
ad opera del Decreto Sostegni-ter e della successiva decretazione d’urgenza, il
diffuso e irremovibile rifiuto delle banche e degli altri intermediari finanziari
a rendersi cessionari dei crediti di imposta ormai acquisiti dalle imprese determinava
il fenomeno dei c.d. «crediti incagliati» e in taluni casi una diffusa e strutturata
crisi di liquidità. Secondo
i principi generali in materia di inadempimento, l’impresa appaltatrice, laddove
non abbia eseguito i lavori o li abbia eseguiti non in tempo utile a consentire
l’accesso al beneficio fiscale per causa alla stessa non imputabile, non deve risarcire
il danno al committente ricorrendo l’esimente ex art. 1218 c.c. 4.1 segue:
Il rimedio risolutorio ex art. 1467 c.c. La decretazione
d’urgenza successiva al Decreto Rilancio, per contenuti e rapidità di adozione dei
provvedimenti, in assenza di strumenti normativi di gestione dei c.d. «crediti incagliati»
e della conseguente crisi di liquidità, quale fatto in alcun modo ascrivibile alle
imprese appaltatrici, costituisce evento straordinario ed imprevedibile ovvero sopravvenienza
normativa (pregiudizievole)[16]. Nei contratti
di appalto prevedenti quale corrispettivo lo sconto in fattura si è verificato improvvisamente
ed inevitabilmente uno squilibrio sinallagmatico a sfavore delle imprese, le quali
in taluni casi si sono determinate a concludere l’appalto espressamente pattuendo
tale modalità di pagamento del corrispettivo ed in altri presupponendola, avendo
interesse a monetizzare i crediti fiscali per mezzo della seconda cessione prima
consentita dalla legge e poi vietata. Non pare,
quindi, peregrino ipotizzare che le imprese appaltatrici possano invocare la risoluzione
del contratto di appalto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione
ex art. 1467 c.c., nei casi in cui, sulla scorta degli accordi espressi oppure dell’istituto
della presupposizione[17],
laddove difetti l’esteriorizzazione negoziale dell’interesse alla monetizzabilità
del credito di imposta, il bonus fiscale abbia costituito modalità di adempimento
del corrispettivo di appalto. In questa
ottica è utile domandarsi allora se di fronte al sopraggiungere di una norma imperativa
– tale essendo l’art. 121 del Decreto Rilancio nella nuova formulazione conseguente
alla modifica apportata dal Decreto Sostegni-ter che ha vietato l’ulteriore cessione
del credito di imposta inaugurando un trend normativo sempre più restrittivo
–, possa essere azionato il rimedio in parola. La norma
inderogabile citata, a ben vedere, però non incide sul contratto di appalto vietando
direttamente la prestazione ivi dedotta (nel qual caso la prestazione non sarebbe
maggiormente dispendiosa per l’obbligato, ma diverrebbe impossibile giuridicamente,
con conseguente risoluzione ex art. 1463 c.c. o 1464 c.c., qualora l’impossibilit
à fosse solo parziale), ma lo influenza in via secondaria, in quanto vieta una determinata
modalità di esecuzione della prestazione (lo sconto in fattura). Autorevole
dottrina, pur ritenendo che esulino dal campo di applicazione degli articoli 1467
e ss. c.c. tutte le ipotesi in cui le prestazioni siano conformate da norme imperative,
precisa, tuttavia, che ciò non significa escludere l’applicabilità del rimedio in
ogni caso in cui la norma imperativa incida sul contratto, essendo la risoluzione
preclusa solamente allorquando l’onerosità leda proprio l’interesse tutelato dalla
norma inderogabile e non qualora lo squilibrio inerisca interessi diversi[18]. Nel caso
di appalto stipulato sul presupposto tacito dello sconto in fattura in pagamento
del corrispettivo, il sopravvenuto mutamento normativo, ovvero il divieto di ulteriore
cessione (e l’estrema difficoltà per le imprese di liquidare il credito d’imposta),
non colpisce il contratto in quanto necessariamente strumento attraverso cui si
perpetrano frodi – il contrasto di queste costituisce la ratio legis della
normativa d’urgenza sopravvenuta –, bensì una modalità di adempimento del corrispettivo
di appalto rendendo eccessivamente oneroso l’adempimento per le imprese appaltatrici. Di particolare
interesse in argomento si mostra una recente pronuncia del tribunale capitolino[19]
che ha osservato, sebbene in obiter dictum, come la modalità di pagamento
mediante cessione di un credito d’imposta, anche laddove non condizionata all’effettiva
monetizzabilità dei crediti, avvenga sul
presupposto tacito della loro liquidabilità, e che, con il venir meno della cessione
ad opera delle banche, l’utilizzo diretto del credito d’imposta da parte dell’impresa
appaltatrice si risolve in una modalità di pagamento notevolmente difficoltosa e
la cui accettazione potrebbe risultare sconveniente per un imprenditore operante
nel settore. L’obiter
dictum si spinge in ulteriori considerazioni di notevole momento, rilevando
come sia innegabile che, a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Sostegni-ter
all’art. 121 del Decreto Rilancio, tutti gli istituti bancari, a causa della disciplina
sopravvenuta, adottata per disincentivare alcune prassi illecite, hanno cessato
di acquistare i crediti di imposta rendendo problematica l’utilizzazione da parte
degli appaltatori edili dei crediti ceduti quale corrispettivo, facendo venire meno
anche l’utilizzabilità degli acconti sui lavori appaltati sui quali le imprese edili
solitamente contano per poter avviare l’esecuzione delle opere, e rendendo inutilizzabili
gli altri crediti che tali imprese avevano in precedenza accettato in pagamento
avendo fatto affidamento non irragionevolmente
sulla previgente disciplina. Il pronunciato
romano pare cogliere nel segno anche laddove osserva, con argomentazione condivisibile,
che il contratto di appalto concluso sulla scorta del presupposto tacito della cessione
del credito di imposta è suscettibile di essere risolto per eccessiva onerosità
sopravvenuta della prestazione rintracciando nel mutamento imprevedibile e radicale
del sistema normativo che ha vietato la seconda cessione elemento della fattispecie
di cui all’art. 1467 c.c. Merita,
infine, dar conto dell’esistenza di un autorevole orientamento di dottrina e giurisprudenza[20]
che ancora la fondatezza dell’istituto della presupposizione al principio generale
di bona fides ed in particolare all’obbligo delle parti di interpretare il
contratto secondo buona fede, sicché il mancato verificarsi dell’evento presupposto
per cause svincolate dal volere delle parti conduce alla possibilità di adottare
rimedi che eliminano l’obbligazione. 4.2 segue:
Il rimedio risolutorio ex art. 1463 c.c. Da altro
angolo visuale, tenuto conto che nel caso oggetto d’indagine lo scopo pratico del
contratto di appalto si risolve – e non può che risolversi – nell’interesse di ricevere l’opera verso il pagamento
del corrispettivo mediante sconto in fattura, non pare fuori luogo rivolgere lo
sguardo alla causa concreta[21]
di detto contratto di appalto e, in conseguenza del mutamento sopravvenuto di normativa,
alla inutilizzabilità sopravvenuta della prestazione del committente (lo sconto
in fattura). L’interesse
del committente è, intuibilmente, quello di poter ricevere l’opera essenzialmente
in via gratuita. L’impresa
che conclude il contratto di appalto secondo il regime del Decreto Rilancio intende
soddisfare l’interesse economico-imprenditoriale di poter fruire del credito di
imposta allo scopo non solo di acquisire maggiore competitività rispetto agli imprenditori
concorrenti, ma di poter prontamente negoziare tale credito nel mercato delle cessioni
ottenendo liquidità (eventualmente da reinvestire nello stesso progetto imprenditoriale).
Tali finalità,
richiamando il concetto ormai superato di causa quale funzione economico-sociale
del contratto, resterebbero relegate nell’ambito dei motivi (tendenzialmente) irrilevanti
e, invece, invocando la teoria della causa concreta, si attribuisce loro rilievo
in quanto penetrano nel congegno causale del contratto di appalto condizionando,
pertanto, l’interdipendenza tra le prestazioni. Di conseguenza, il sopraggiungere
di eventi oggettivi ed imprevedibili tali da frustrare le predette finalità, rendendole
non più di interesse, si riverbera inevitabilmente sul sinallagma del contratto
di appalto rendendo la prestazione, sebbene astrattamente possibile, non più utile
ed aprendo al rimedio ex art. 1463 c.c. In tema
la giurisprudenza[22]
afferma da tempo che la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta
della prestazione ex art. 1463 c.c., con attivazione dei relativi rimedi restitutori,
può essere invocata da entrambe le parti del contratto sinallagmatico, ovverosia
dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile e da quella la cui prestazione
sia rimasta possibile.Tornando alla teoria della causa concreta del contratto,
tale orientamento afferma che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si
verifica non solo nel caso in cui diventi impossibile l’esecuzione della prestazione
del debitore, ma anche allorquando divenga impossibile l’utilizzazione della prestazione
della controparte, sempre che tale impossibilità sia comunque non imputabile al
creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno; in tal caso si verifica
la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa
concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione. Data la
sopraggiunta irrealizzabilità della liquidazione del credito di imposta, la prestazione
dello sconto in fattura assegna all’impresa un bene, un valore, inutile sul piano
imprenditoriale. 4.3 segue:
I rimedi manutentivi di cui agli artt. 1664 c.c. e 1374 c.c. Muovendo
dalla disciplina codicistica del contratto di appalto, non può tacersi come una
certa apertura al rimedio manutentivo sia stata operata dall’art. 1664, co. 1, c.c.
– che costituisce applicazione dell’art. 1467 c.c. –, prevedendo la revisione del
corrispettivo di appalto quando, per effetto di circostanze (solo) sopravvenute
(e non anche straordinarie) ed imprevedibili, si sia verificato un sensibile squilibrio
nelle rispettive posizioni contrattuali, sempre che tale squilibrio abbia superato
l’alea normale del contratto di appalto normativamente stabilita nella misura superiore
al decimo del corrispettivo pattuito. Tenuto conto che la ratio del principio
della revisione del corrispettivo, ospitato dall’art. 1664 cit., come può leggersi
nella Relazione al codice civile[23],
si fonda su ragioni di giustizia sostanziale e di solidarietà sociale (mantenere
immutato il margine di guadagno che l’appaltatore si riprometteva al momento della
conclusione del contratto, posto che il valore dell’opera compiuta è normalmente
in funzione del valore dei materiali e della mano d’opera), non pare arduo sostenere
l’applicazione analogica di tale norma per manutenere i contratti di appalto inadempiuti
a causa della sopravvenienza normativa che ha condotto ai c.d. «crediti incagliati»
ed attuare una congrua redistribuzione della crisi di liquidità[24].
Nel caso
di specie potrebbe immaginarsi, in luogo della risoluzione contrattuale, una revisione
del corrispettivo nel senso, non tanto e non solo del quantum debeatur, quanto
piuttosto del quomodo dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento del
corrispettivo di appalto. Alle stesse conclusioni potrebbe giungersi anche argomentando
dall’art. 1664, co. 2, c.c. che, facendo applicazione del principio della revisione
del corrispettivo, prevede come rimedio manutentivo il pagamento di un equo compenso.
Orbene,
per il caso l’impresa appaltatrice sia stata inadempiente in conseguenza del fenomeno
dei c.d. «crediti incagliati», il rimedio manutentivo potrebbe consistere, in applicazione
analogica dell’art. 1664 c.c., nella condanna del committente al pagamento in denaro
del corrispettivo o quantomeno di un equo corrispettivo in denaro, in guisa da non
frustrare totalmente quanto ragionevolmente l’impresa appaltatrice si riprometteva
di ottenere in termini di utile di impresa.
Per il vero
l’esigenza manutentiva del contratto e di connessa rinegoziazione del suo contenuto
ha trovato in dottrina sostenitori che l’hanno argomentata sulla scorta del principio
di solidarietà sociale, rappresentato nel suo portato codicistico della buona fede;
la clausola generale de qua costituisce, da questo punto di osservazione,
presidio di un comportamento corretto nella fase di attuazione delle pattuizioni
contrattuali[25].
Riguardando
il precetto pacta sunt servanda alla luce del criterio della bona fides
e dei connessi obblighi di cooperazione fra le parti nella fase esecutiva del
contratto, l’adeguamento del contenuto contrattuale – scopo dell’obbligo di rinegoziare
– non contraddice il precetto suddetto e quindi
l’autonomia privata, atteso che assolve alla funzione di realizzare il risultato
negoziale prefigurato ab initio dalle parti, e quindi il concreto interesse
perseguito da esse, uniformando il regolamento contrattuale alle circostanze sopravvenute
attraverso la modificazione (che pur sempre rientra nella definizione di autonomia
privata: cfr. art. 1321 c.c. che, infatti, contempla il contratto anche in chiave
di regolazione). A ben vedere,
l’obbligo di rinegoziare, lungi dal porsi in posizione antinomica rispetto alla
libertà di contrarre, realizza la volontà delle parti, quella
volontà scevra dalle sopravvenienze. In altri termini, l’obbligo di rinegoziazione
risponde alla esigenza di riequilibrare il sinallagma, poiché se le parti, sin al
momento delle trattative, avessero avuto presente la situazione sopraggiunta non
avrebbero contrattato o l’avrebbero fatto a condizioni diverse. È chiaro
che la controparte la quale, rifiutando la rinegoziazione richiesta, si arrocchi
sulla propria pretesa – nonostante la sopravvenienza – pone in essere un comportamento
contrario alla buona fede esecutiva e realizzante un abuso del diritto. Tale conclusione
trova, peraltro, un considerevole incoraggiamento ad opera dei Principles of European
Contract Law (art. 6:111) nonché del Codice europeo dei contratti (art. 157, co.
5)[26]. Nonostante
talune resistenze dottrinali, non può negarsi che la teoria dell’obbligo legale
di rinegoziazione ha trovato sempre più consensi nella giurisprudenza di merito
chiamata a pronunciarsi su casi di mancata rinegoziazione del contratto di locazione,
ed in particolare del canone, nel periodo delle restrizioni imposte dalla normativa
anticovid-19[27]
e, pertanto, in ipotesi di sopravvenienza normativa. Calando
tali principi nella casistica che occupa la presente indagine, occorre tenere presente
che verosimilmente sarà l’impresa appaltatrice a domandare al committente di rinegoziare
in ragione della sopravvenienza normativa il contenuto del contratto di appalto
al fine di riequilibrarlo; in tema, il perimetro normativo idoneo a perfezionare
una rideterminazione pattizia del contenuto contrattuale potrebbe essere quello
tracciato dagli artt. 1175, 1375 c.c. in combinato con l’art. 1664 c.c. (laddove
a quest’ultima norma non voglia assegnarsi un ambito di operatività autonomo in
funzione analogica, secondo quanto sopra osservato). Laddove l’obbligo di rinegoziazione
non fosse adempiuto dalla parte cui è richiesto, non sembra che possa ottenersi
una pronuncia che tenga luogo dell’obbligo inadempiuto atteso che l’obbligazione
de qua è di mezzi e non di risultato, in quanto le parti sono tenute a negoziare
e giammai a raggiungere un accordo modificativo[28],
residuando l’eventuale risarcimento dei danni[29].
Nel caso di inadempimento dell’obbligo di rinegoziazione oppure in via autonoma,
quale alternativa ai rimedi demolitori del vincolo obbligatorio, a modesto parere
di chi scrive, residuerebbe un margine di intervento giudiziale di rideterminazione
equitativa del regolamento contrattuale in funzione conservativa[30]:
come ha osservato autorevole dottrina[31],
l’equità di cui all’art. 1374 c.c. si identifica esclusivamente con il «giudizio
di equità», in quanto attiene alla funzione giurisdizionale, e con essa il legislatore
ha voluto ricollegare il giudizio alla persona del giudice direttamente e non già
attraverso lo schermo di «mediate specificazioni legislative»; si tratta, quindi,
di un potere – quello del giudizio equitativo – che già appartiene alla funzione
giurisdizionale, che è esercitabile su domanda di parte e di cui costituisce applicazione
l’art. 10 del d.l. n. 118 del 24 agosto 2021 laddove, nell’introdurre la rinegoziazione
dei contratti dell’imprenditore in crisi, prevede che al mancato esito della rinegoziazione
il giudice possa rimediare con l’equità[32].
È stato osservato che la decisione equa, capace di produrre il riequilibrio del
sinallagma, si risolve nella ragionevolezza della decisione[33];
a sommessa opinione di chi scrive, la complessità della realtà, con cui l’interprete
deve misurarsi al fine di giungere alla decisione equa, comprende il comune sentire,
il sociale senso del giusto ed equo, che caratterizza un dato momento storico, ed
i giuristi interverranno inevitabilmente anche sulla spinta di uno stato d’animo,
inconscio, spesso innato, di un’adesione ad un certo valore, di una condanna per
un dato comportamento, valori tutti, non verbalizzati, cui l’uomo si assoggetta
da sempre in modo inconsapevole, che un autorevole autore ha definito «diritto muto»[34].
5. La
posizione dei subappaltatori e dei fornitori dell’impresa appaltatrice inadempiente
a causa dei c.d. «crediti incagliati» È indubitabile
che grazie alla spinta del Decreto Rilancio l’Italia abbia assistito ad una rapidissima
escalation di stipulazioni di contratti di appalto per lavori di efficientamento
energetico, antisismico, e di ristrutturazione di numerosissimi immobili anche condominiali.
La ripartenza del settore edilizio ha determinato la ripartenza di tutta la filiera
produttiva inevitabilmente legata alle imprese subappaltatrici e alla fornitura
di prodotti necessari all’esecuzione dei lavori appaltati. È altrettanto noto come
la radicale modificazione del sistema normativo intervenuta col Decreto Sostegni-ter
abbia improvvisamente stravolto i piani industriali delle imprese appaltatrici le
quali, a causa del divieto di ulteriore cessione e dello sconto in fattura (c.d.
«crediti incagliati»), si sono trovate in una situazione di forte crisi di liquidità.
L’impossibilità di monetizzare i crediti d’imposta da parte delle imprese appaltatrici,
infatti, le ha rese inadempienti rispetto ai contratti di appalto e di subappalto
conclusi sul presupposto che avrebbero monetizzato il credito fiscale ricevuto in
pagamento dal committente e inevitabilmente le ha rese inadempienti anche rispetto
ai fornitori con i quali avevano nel frattempo concluso contratti di vendita dei
materiali necessari ad eseguire i lavori. In tale
stato di cose, certamente singolare, ad una prima fugace riflessione tali soggetti
che hanno interagito con l’impresa appaltatrice dei lavori potrebbero risultare
estranei alle vicende contrattuali tra questa ed il committente. Tuttavia, se ciò
pare sia in prima battuta più verosimile con riguardo al rapporto con i fornitori
del materiale funzionale all’esecuzione dei lavori, meno convincente appare sin
da subito l’estraneità del subappaltatore alle vicende contrattuali anzidette. Nel caso
di subappalto di tutta o di parte dell’opera da eseguirsi in regime di agevolazioni
fiscali ex Decreto Rilancio l’impresa subappaltatrice, come l’impresa appaltatrice
(c.d. general contractor), è infatti partecipe della volontà comune di ottenere
quale corrispettivo lo sconto in fattura e le sopravvenienze normative non possono
che interessare anche l’impresa subappaltatrice nel rapporto con l’impresa appaltatrice. Il sopraggiunto
divieto dello sconto in fattura e della seconda cessione derivanti dal Decreto Sostegni-ter
e il mancato acquisto ad opera delle banche dei crediti d’imposta ha posto le imprese
subappaltatrici nella medesima situazione di crisi di liquidità delle imprese general
contractor, e ciò per le ragioni già esplicitate al precedente paragrafo: laddove
il contratto di subappalto sia stato concluso sul presupposto tacito della liquidabilità
del credito di imposta derivante dallo sconto in fattura, ne consegue che paiono
percorribili verso il contratto di subappalto sia i rimedi risolutori sia quelli
manutentivi. Anche ragionando in termini di causa concreta del contratto di subappalto,
le conseguenze in termini di inutilità dello sconto in fattura in pagamento del
corrispettivo apre al rimedio della risoluzione per inutilità sopravvenuta della
prestazione; in argomento estensibili sembrano, altresì, le considerazioni fatte
circa l’obbligo di rinegoziazione e relative alla possibilità che il contratto di
subappalto sia ricondotto ad equità ex art. 1374 c.c. Con riferimento
al rapporto tra impresa appaltatrice e fornitori occorre indagare il livello di
coinvolgimento di questi nella vicenda contrattuale riguardante l’impresa medesima
e il committente, per valutare se la sopravvenienza normativa, che ha portato ai
c.d. «crediti incagliati», abbia qualche effetto anche su detto rapporto contrattuale.
Nel caso
in cui l’impresa appaltatrice concluda il contratto di vendita di materiale per
l’esecuzione dei lavori sul presupposto della liquidabilità del credito d’imposta,
sia ragionando in termini di presupposizione sia di causa in concreto, risulta difficile
escludere che la sopravvenienza normativa impeditiva della ulteriore cessione non
impatti sul contratto di vendita citato. Paiono, quindi, estendibili al rapporto
di vendita dei materiali per l’esecuzione dei lavori le riflessioni svolte a proposito
della presupposizione e della causa concreta e dei conseguenti rimedi risolutori,
nonché quelle sull’obbligo di rinegoziazione e sul conseguente rimedio equitativo. Riguardo
alla presupposizione occorre rilevare che dottrina e giurisprudenza tendono a richiedere che il presupposto
tacito sia anche comune alle parti[35];
in tema, allora, la possibilità che l’impresa appaltatrice possa invocare la risoluzione
del contratto di vendita per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione
– conseguente al fenomeno dei c.d. «crediti incagliati» – si riduce alle ipotesi
di comunanza dell’interesse ad ottenere la liquidazione del credito di imposta quale
corrispettivo d’appalto: in tali ipotesi, ovverosia laddove l’impresa fornitrice
dei materiali per l’esecuzione dei lavori abbia concluso la vendita sulla base del
presupposto che il prezzo sarebbe stato pagato dopo la liquidazione dei crediti
fiscali (magari concedendo una dilazione funzionale a consentire detta monetizzazione),
non pare che l’impresa fornitrice possa andare esente dal rimedio risolutorio di
cui all’art. 1467 c.c. Con riferimento alla causa in concreto si evidenzia
che pare ancor più agevole il rimedio risolutorio ex art. 1463 c.c. nel caso di
vendita di materiale edile all’impresa esecutrice dei lavori in regime di agevolazione
fiscale: invero, quest’ultima si determina a concludere l’acquisto dei materiali
in quanto tale negozio è funzionale all’adempimento del contratto di appalto, sicché
il motivo che penetra la causa (concreta) del contratto di appalto (la monetizzabilità
del credito d’imposta del committente) è lo stesso motivo – e non potrebbe essere
altrimenti – che entra nel congegno causale del contratto di vendita di materiali.
In argomento, si deve tenere presente che, stando ai consolidati approdi giurisprudenziali[36],
affinché il motivo, che assume valore determinante nell’economia del negozio, penetri
la causa non occorre che esso sia comune alle parti, ben potendo essere riferibile
ad una sola di esse purché, però, in questo caso, sia quantomeno conoscibile dall’altra
parte. Orbene,
se il contratto di vendita dei materiali sia stato concluso dall’impresa appaltatrice
con l’interesse concreto di pagare il prezzo a seguito della monetizzazione dei
crediti d’imposta e tale finalità viene meno in conseguenza della sopravvenienza
normativa (che ha determinato il fenomeno dei c.d. «crediti incagliati»), sembra
invocabile da parte dell’impresa appaltatrice il rimedio di cui all’art. 1463 c.c.,
dal momento che tale finalità non può certo dirsi non conoscibile dal fornitore
che ha condiviso l’esperienza dei bonus fiscali ex Decreto Rilancio. 6. L’incidenza
della sopravvenienza normativa sul contratto di transazione Pare interessante
ancora domandarsi se la sopravvenienza normativa, inaugurata dal Decreto Sostegni-ter,
possa incidere sugli accordi transattivi raggiunti tra le imprese appaltatrici ed
i committenti nonché tra le prime ed i fornitori con riferimento alla lite rispettivamente
relativa alla mancata o tardiva esecuzione dei lavori oppure al mancato pagamento
del prezzo dei materiali acquistati in funzione dell’esecuzione degli appalti. Invero,
sovente è accaduto che gli attori delle vicende contrattuali avvinte dall’interesse
al bonus fiscale abbiano stipulato contratti di transazione per definire
liti o prevenirne sul presupposto noto e tacito che l’impresa appaltatrice avrebbe
reperito pronta liquidità dalla cessione dei crediti di imposta. Il fenomeno
sopraggiunto dei c.d. «crediti incagliati», derivato dal divieto di operare la ulteriore
cessione, si è riverberato inevitabilmente anche sulle transazioni ad esecuzione
continuata o differita; in altri termini, la mancanza di liquidità ha reso l’impresa
appaltatrice il più delle volte inadempiente alla transazione che ha previsto il
pagamento del quantum transattivo sulla base di più rate periodiche o di
un’unica rata posticipata. La giurisprudenza
è concorde nell’ammettere la risoluzione ex art. 1467 c.c. della transazione non
novativa ad esecuzione differita[37].
Tradizionalmente
si afferma che l’art. 1976 c.c. contiene una norma ad hoc di irresolubilità
per inadempimento della transazione novativa, che si spiega in ragione della peculiarità
di tale tipo transattivo col quale le parti intendono superare il vecchio rapporto
litigioso, e giammai un principio generale di irresolubilità della transazione[38]. Cosicché
da tale previsione codicistica si ricava che deve ammettersi la risoluzione della
transazione non novativa[39],
mentre è vietato alle parti di invocare la risoluzione della transazione se questa
ha sostituito un precedente rapporto. Pertanto,
la dottrina[40]
rileva come, coerentemente con la specifica e rara giurisprudenza di legittimità,
deve essere riaffermato che la disposizione dell’art. 1976 c.c., costituendo un’eccezione
ai principi generali della risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive,
e dovendo quindi essere interpretata restrittivamente, non può essere estesa ai
casi di risoluzione per impossibilit à sopravvenuta, per eccessiva onerosità sopravvenuta
o per l’accertata inesistenza della condizione presupposta. In applicazione
di tali principi, si ritiene che la transazione (non novativa) ad esecuzione differita
o periodica su lite relativa alla mancata esecuzione di lavori in regime di bonus
fiscali oppure relativa al mancato pagamento del prezzo dei materiali nell’ambito
di una vendita funzionale all’esecuzione dei lavori medesimi, in conseguenza della
sopravvenienza normativa che ha prodotto i c.d. «crediti incagliati», è suscettibile
di essere risolta attraverso l’invocazione dei rimedi della risoluzione per eccessiva
onerosità sopravvenuta e della inutilità sopravvenuta della prestazione, proposti
al precedente § 4. Ammessa
la risolubilità del contratto di transazione non novativa, a fortiori dovrebbe
potersi ammettere la rinegoziazione, prevista al precedente § 4, delle condizioni
transattive allorquando queste, in conseguenza di sopravvenienze, appaiano sbilanciate
rispetto al momento della conclusione, sia invocando il principio di buona fede,
sia ricorrendo al rimedio equitativo di cui all’art. 1374 c.c. 7. Brevi
riflessioni conclusive Le opzioni
dello sconto in fattura e della cessione del credito di imposta, strumenti con cui
il legislatore della ripartenza aveva deciso di dare nuovo impulso al comparto dell’edilizia,
e per questa via assicurare nuova linfa al Paese nella fase post pandemica,
hanno registrato un successo probabilmente inatteso per lo stesso legislatore. La sottovalutazione
delle criticità illecite che un tale sistema avrebbe potuto generare, unita a quella
dell’elevatissimo numero di contratti conclusi che pare abbia impattato in termini
di rilevante indebitamento dell’erario, hanno indotto il legislatore ad un repentino
ed inaspettato revirement via via più restrittivo, che è giunto finanche
ad abrogare i bonus fiscali medesimi proprio quando erano a pieno regime.
Il fenomeno
dei c.d. «crediti incagliati» ha determinato una rilevante crisi di liquidità a
danno delle imprese, portando il comparto edile in una situazione probabilmente
addirittura deteriore rispetto a quella precedente. Gli effetti
di tale contraddittoria scelta legislativa non pare possano, però, scaricarsi unicamente
sulle imprese appaltatrici, sia in quanto ciò striderebbe col dovere costituzionale
di solidarietà sociale sia per la considerazione che i committenti sono gli unici
soggetti che – fatta eccezione per i casi di inadempimenti che, allo stesso tempo,
integrano anche ipotesi di reato – da tale stato di cose hanno tratto benefici,
avendo comunque ottenuto tutta o parte dell’opera a titolo gratuito. Ed allora
le riflessioni svolte attorno al tema della sopravvenienza normativa – che ha prodotto
l’effetto indesiderato dei c.d. «crediti incagliati», fattore che ha sbilanciato
il sinallagma dell’appalto con bonus fiscale oppure che ha disintegrato l’interesse
penetrato nella causa concreta dell’appalto medesimo – muovono dal desiderio di
iniziare a porre le basi per la ricerca di soluzioni giuridiche che non riversino
solo sulle imprese appaltatrici tutte le conseguenze negative delle citate novelle
abrogative, anche per le intuibili ripercussioni che ciò avrebbe sull’intero sistema
economico. Nella consapevolezza della complessità del tema
trattato, che involge questioni da sempre al centro di un vivace dibattito da parte
della dottrina civilistica, si è inteso dar conto di emergenti orientamenti – sempre
maggiormente accolti dalla giurisprudenza – che condividono lo sforzo di proporre
una risposta rimediale alle sopravvenienze, la quale, nel rispetto dei principi
civilistici, sia in grado di attuare il principio costituzionale di solidarietà sociale. Agli operatori
del diritto è, pertanto, assegnato l’arduo compito di gestire tale situazione, ricercando
soluzioni congrue, e che quindi siano in grado di redistribuire i costi della crisi
di liquidità indotta dalla sopravvenienza normativa, nell’auspicio che de iure
condendo si intervenga con misure idonee a risolvere il problema dei c.d. «crediti
incagliati» per restituire liquidità alle imprese, così assicurando giustizia sostanziale,
con indubbio beneficio per tutto il sistema economico. [1] Gli interventi ricompresi nelle agevolazioni fiscali (sconto
in fattura e cessione del credito di imposta) sono stati quelli relativi al recupero del patrimonio edilizio, di efficientamento
energetico, strutturali e antisismici, di installazione delle colonnine di ricarica
dei veicoli elettrici, di eliminazione delle barriere architettoniche, di recupero
o restauro della facciata degli edifici esistenti. Per una completa rassegna
dei provvedimenti normativi adottati in materia, v. Amendolagine, Superbonus e responsabilità contrattuale,
in I Contratti, 3, Milano, 2024. [2] Il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 recante «Misure urgenti in materia di salute,
sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza
epidemiologica da COVID-19», pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale
n. 128 del 19 maggio 2020 - Suppl. Ordinario n. 21, è stato convertito nella legge
17 luglio 2020, n. 77, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 180 del
18 luglio 2020 - Suppl. Ordinario n. 25 (il testo coordinato è stato ripubblicato
nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 189 del 29 luglio 2020 - Suppl. Ordinario
n. 26). [3] Il decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, recante «Misure urgenti in materia di sostegno
alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali,
connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli
aumenti dei prezzi nel settore elettrico», pubblicato in Gazzetta Ufficiale,
Serie Generale n. 21 del 27 gennaio 2022, è stato convertito nella legge 28 marzo
2022, n. 25, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 73 del 28 marzo
2022 - Suppl. Ordinario n. 13. [4] La modifica prevista dal Decreto Sostegni-ter si inserisce
nel solco delle misure adottate al fine di contrastare le frodi, che si aggiunge
a quelle già adottate con il d.l. n. 157/2021 (c.d. Decreto Antifrode) e dalla Circolare
dell’Agenzia delle entrate 29 novembre 2021, n. 16/E. [5] Il decreto-legge
16 febbraio 2023, n. 11, recante
«Misure urgenti in materia di cessione dei crediti di cui all’articolo 121 del decreto-legge
19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020,
n. 77», pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 16 febbraio 2023, n. 40, è stato
convertito nella legge 11 aprile 2023, n. 38, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
serie generale n. 85 dell’11 aprile 2023. [6] Il decreto-legge 29 marzo 2024, n. 39, recante «Misure urgenti in materia di agevolazioni
fiscali di cui agli articoli 119 e 119-ter del decreto-legge 19 maggio 2020, n.
34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, altre misure
urgenti in materia fiscale e connesse a eventi eccezionali, nonché relative all’amministrazione
finanziaria», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 75 del 29 marzo 2024, è
stato convertito nella legge 23 maggio 2024, n. 67, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 123 del
28 maggio 2024. [7] Tra le misure maggiormente rilevanti nell’economia della
presente trattazione si segnalano: (i) la restrizione dell’ambito di applicazione
dell’esenzione dal generale divieto di esercizio dell’opzione per la cessione o
per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali, riconosciuto dal d.l. n. 11/2023
ad alcune specifiche categorie di contribuenti, salvo eccezionali deroghe per i
comuni dei territori colpiti da eventi sismici; (ii) la sospensione dell’utilizzo
in compensazione dei crediti di imposta per interventi edilizi agevolati in presenza
di iscrizioni a ruolo per importi complessivamente superiori a € 10.000, per i quali
sia già decorso il trentesimo giorno dalla scadenza dei termini di pagamento e non
siano in essere provvedimenti di sospensione o sia intervenuta decadenza dalla rateazione
disciplinandone il regime (anche con riferimento ai contribuenti con iscrizioni
d’importo superiore a € 100.000) ed i termini di applicazione della norma; (iii)
l’introduzione di modifiche alla disciplina di alcune agevolazioni fiscali in materia
edilizia: è previsto il divieto per alcuni soggetti qualificati di compensare i
propri crediti d’imposta derivanti da cessione del credito con contributi previdenziali,
assistenziali e premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali. Anche l’aliquota del superbonus è stata a più riprese modificata,
passando dal 110%, rimasta invariata sino al 2022, al 90% nel 2023 e al 70% nel
2024 (far à seguito un ulteriore abbassamento al 65% nel 2025). [8] Secondo le stime diffuse dall’Associazione Nazionale Costruttori
Edili, i «crediti incagliati» del superbonus ammontavano nel 2023 ad oltre
€ 30 miliardi, con circa 180.000 cantieri bloccati sul territorio italiano, tra
villette unifamiliari e condomini, e con un danno enorme sia per le imprese sia
per i livelli occupazionali: cfr. articolo consultabile sul sito internet www.ilsole24ore.com, 1° giugno 2023. [9] In giurisprudenza v. Cass. civ., 13 ottobre 1975, n. 3301,
in Mass. Giur. It., 1975 secondo cui: «La qualificazione giuridica di
un contratto, che per inserzione di alcune clausole particolari presenti contenuto
complessivo comunque difforme dalla causa di una o più specifiche tipologie negoziali
previste dalla legge, va individuata avendo riguardo al criterio della prevalenza,
vale a dire applicando la normativa corrispondente al contenuto negoziale tipico
e di maggior rilievo nelle finalità pratiche delle parti. Questo criterio va seguito
non solo nell’ipotesi di contratti misti, ma anche in quei casi in cui, nell’ambito
di un unitario rapporto, il contenuto delle prestazioni assuma un carattere anomalo
o anfibiologico rispetto alle fattispecie legali tipiche.». Per una approfondita
trattazione del contratto misto e della teoria della prevalenza o dell’assorbimento,
secondo cui al contratto misto si applica la disciplina del contratto la cui causa
sia prevalente avuto riguardo agli interessi concreti delle parti, v. Sacco, Il contratto, in Tratt.
Rescigno, 10, Torino, 1998, 554. [10] Sul generale divieto di donazione futura, che costituisce
principio generale dell’ordinamento giuridico, il cui fondamento riposa nello sfavore
per le attribuzioni a titolo gratuito, anche al fine di arginare le liberalità compiute
con avventatezza, v. Torrente, La
donazione, Carnevali-Mora (a cura di), in Tratt. Cicu, Messineo, II ed.,
Milano, 2006, 407); in giurisprudenza, cfr. Tribunale Palermo, Sez. II, 27 marzo
2012, n. 1343, in Leggi d’Italia, 2012. [11] Trib. Frosinone, 2 novembre 2023, n. 1080, in www.biblus.it;
conforme Trib. Pordenone, 26 ottobre 2023, n. 655, in www.dirittopratico.it. [12] Trib. Pordenone, 26 ottobre 2023, n. 655, cit.
che in argomento cita Cass. civ., Sez. III, n. 24050. [13] Trib. Padova, 15 novembre 2023, n. 2266, in www.condominioweb.com. [14] Trib. Frosinone, 2 novembre 2023, n. 1080, cit. [15] Sangiovanni,
Mancata realizzazione di opere col superbonus e risarcimento del danno per perdita
di chance, in Immobili & proprietà, 3/2024, Milano, 2024, 137 e ss.
[16] In dottrina si osserva che i due termini (straordinari
e imprevedibili) non costituiscano un’endiadi, avendo gli stessi un significato
distinto o comunque solo parzialmente coincidente, cosicché è straordinario ogni
avvenimento il cui rischio non possa ritenersi assunto nel contratto per la sua
improbabilità, secondo la valutazione che può essere compiuta al momento della conclusione
del contratto, ed è imprevedibile l’evento che sfugge da una valutazione prognostica
del rapporto: cfr. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Comm. cod.
civ., IV, 2, Torino, 1980. In giurisprudenza, v. Cass. civ., Sez. II, Sentenza,
22 settembre 2023, n. 27152, in Ced Cassazione, 2023, per cui: «L’eccessiva
onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell'art.1467 c.c., la risoluzione del contratto, richiede l’incidenza
sul sinallagma contrattuale di eventi che non rientrano nell’ambito della normale
alea contrattuale e che si caratterizzano per la loro straordinarietà, connotato
di natura oggettiva che qualifica un evento in base all’apprezzamento di elementi,
quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi,
tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto
meno di carattere statistico); e per la loro imprevedibilità, che ha fondamento
soggettivo, in quanto fa riferimento alla fenomenologia della conoscenza.».
[17] La presupposizione è un istituto di matrice dottrinale,
che ha ricevuto altresì riconoscimento giurisprudenziale, consistente in un evento
certo e non dichiarato, passato, presente o futuro, comune alle parti, ma risultante
dalle circostanze e senza il quale il contratto non sarebbe stato concluso, ed inoltre
il presupposto deve essere obiettivo nel senso che il suo verificarsi non deve dipendere
dalla volontà delle parti, né deve essere oggetto di specifica obbligazione. Si
differenzia dalla condizione in quanto l’evento può essere anche passato o presente
e poiché l’evento stesso non è incerto, essendo, al contrario, certo nella sua verificazione.
In dottrina v., per tutti, Messineo,
Il contratto in genere, Milano, 1968, 204 e ss.; in giurisprudenza, cfr.,
ex multis, Cass. 24 marzo 1998, n. 3083, in Giust. civ., 1998, I,
3161, la quale osserva che: «la “presupposizione” ricorre quando una determinata
situazione, di fatto o di diritto, passata, presente o futura, di carattere obiettivo
- la cui esistenza, cessazione e verificazione sia del tutto indipendente dall'attività
o dalla volontà dei contraenti e non costituisca oggetto di una loro specifica obbligazione
possa, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali,
ritenersi tenuta presente dai contraenti medesimi nella formazione del loro consenso,
come presupposto avente valore determinante ai fini dell’esistenza e del permanere
del vincolo contrattuale.». [18] Roppo, Il
contratto, in Trattato di diritto privato, Iudica-Zatti (a cura di),
Milano, 2011, 962. [19] Trib. Roma, Sez. X, 13 febbraio 2024, n. 21607, in Quotidiano
Giuridico, 2024: nella motivazione il giudice capitolino precisa che, in considerazione
della non rilevabilità d’ufficio della presupposizione e della possibile risoluzione
per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, il mutamento della situazione
normativa viene valutato unicamente nell’ambito dell’accertamento della colpevolezza
dell’inadempimento dell’impresa appaltatrice. La prevalente giurisprudenza rintraccia
il fondamento positivo della presupposizione nell’art. 1467 c.c., norma, questa,
che avrebbe introdotto nel nostro ordinamento giuridico, espressamente ed in via
generale, il principio della implicita soggezione dei negozi corrispettivi alla
clausola rebus sic stantibus: in argomento, cfr., per tutte, Cass. 31 ottobre
1989, n. 4554, in Mass. Giust. civ., 1989, 1033. [20] In dottrina, del resto, esiste un filone interpretativo
che fonda l’istituto della presupposizione (non già sull’art. 1467 c.c., ma invece)
sul principio generale di buona fede, individuando il riferimento normativo nell’art.
1366 c.c. secondo cui l’interpretazione del contratto deve essere condotta secondo
buona fede: v., tra i molti, Girino,
voce Presupposizione, in Noviss. Dig. It., Torino, 1966, XIII, 776;
segue tale impostazione la giurisprudenza e, per tutte, cfr. Cass. 13 maggio 1993,
n. 5460, in Giust. civ., 1994, I, 1981, secondo cui: «la rilevanza della
presupposizione postula che una situazione di fatto considerata, ma non espressamente
enunciata dalle parti in sede di stipulazione del contratto, venga successivamente
mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse; per cui,
nel caso che il mutamento della situazione presupposta sia ascrivibile alle pari,
l’eliminazione del vincolo non può trovare giustificazione, né prospettando un conflitto
con la volontà negoziale né adducendo il rispetto dei principi di correttezza e
buona fede che presiedono all’interpretazione dei negozi giuridici.». [21] La dottrina più risalente, ritenendo che la causa consistesse
nella funzione economico-sociale del negozio, era solita osservare che, per i contratti
tipici, il giudizio sulla loro liceità era già risolto a monte dal legislatore mediante
la determinazione dei connotati caratterizzanti il tipo contrattuale: cfr., per
tutti, Betti, Teoria generale del
negozio giuridico, II ed. (1960), Napoli, 2002, 170; di conseguenza, la valutazione
di liceità della causa avrebbe dovuto riguardare soltanto i contratti atipici secondo
Santoro Passarelli, Dottrine generali
del diritto civile, IX ed., Napoli, 1966, 187. La teoria della causa come funzione
economico-individuale, superando la ricostruzione più risalente, si fonda sull’osservazione
secondo cui una figura contrattuale tipizzata esprime solo un modello, per schemi
astratti, un’ipotesi di coordinamento di interessi cui le parti possono dare vita
e non una concreta regolamentazione di tali interessi, con il conseguente corollario
per cui il giudizio di liceità della causa deve svolgersi anche per i contratti
tipici: v., per tutti, Ferri, Causa
e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 345. In giurisprudenza,
si inserisce in un orientamento consolidato che ammette la causa in concreto, Cass.
civ., Sez. I, 16 maggio 2017, n. 12069, in Ced Cassazione, 2017, secondo
cui: «La causa in concreto - intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto
sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare,
al di là del modello negoziale utilizzato - conferisce rilevanza ai motivi, sempre
che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo
a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di
esse, siano comunque conoscibili dall’altra.». [22] Cass. civ., Sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047, in www.ilcaso.it,
2018, la quale afferma che «La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta
della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori,
ai sensi dell’art. 1463 cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del
rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione
sia divenuta impossibile, sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile.
In particolare, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel
caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore,
ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione
della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore
e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta
irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del
contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione. In particolare,
si deve escludere che l’impossibilità sopravvenuta debba essere necessariamente
ricollegata al fatto di un terzo: la non imputabilità al debitore (v. art. 1256
c.c.) non restringe il campo delle ipotesi ma consente di allargare l’applicazione
della norma a tutti i casi, meritevoli di tutela, in cui sia impossibile, per eventi
imprevedibili e sopravvenuti, utilizzare la prestazione oggetto del contratto.». [23] Cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi
al Codice Civile del 4 aprile 1942 che osserva, non solo come l’art. 1664 c.c. costituisca
una decisa applicazione dell’art. 1467 c.c., ma anche che il principio di rivedibilità
del corrispettivo si spiega con evidenti ragioni di giustizia concreta e sulla base
del principio di solidarietà, che deve prevalere sull’esclusiva considerazione degli
interessi singoli, nonché considerato che il valore dell’opera compiuta è normalmente
in funzione del valore dei materiali e della mano d’opera, dacché è giusto variare
il corrispettivo d’appalto al fine di lasciare immutato il margine di guadagno che
l’appaltatore si riprometteva al momento della conclusione del contratto. [24] La riconducibilità del procedimento analogico alla funzione
interpretativa, con il superamento delle precedenti impostazioni che lo riconducevano
alla teoria delle fonti del diritto, costituisce ormai, da tempo, una acquisizione
acclarata nell’attuale teoria generale del diritto: in argomento, cfr. Ferrajoli, Introduzione, in Bobbio, L’analogia nella logica del diritto,
Di Lucia (a cura di), Milano, 2006, 11 e ss.
[25] Galgano,
Libertà contrattuale e giustizia del contratto, in Contr. e impr./Europa,
2005, 509 e ss.; Roppo, Giustizia
contrattuale e libertà economiche: verso una revisione della teoria del contratto?in Politica dir.,
2007, 451 e ss. [26] Principles
of European Contract Law, art. 6:111, rubricato «Mutamento delle circostanze»,
che prevede infatti «Se però la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa
per il mutamento delle circostanze, le parti sono tenute a intavolare trattative
per modificare o sciogliere il contratto […] Se le parti non riescono a raggiungere
un accordo in un tempo ragionevole, il giudice può (a) sciogliere il contratto a
far data da un termine e alle condizioni che il giudice stesso stabilirà o (b) modificare
il contratto in modo da distribuire tra le parti in maniera giusta ed equa le perdite
e i vantaggi derivanti dal mutamento di circostanze. […] Nell’un caso e nell’altro
il giudice può condannare al risarcimento dei danni per la perdita cagionata dal
rifiuto di una parte di intavolare trattative o dalla rottura di esse in maniera
contraria alla buona fede e alla correttezza.». Il Codice europeo dei contratti,
art. 157, co. 5, rubricato «Rinegoziazione del contratto», il quale stabilisce
«Il giudice, valutate le circostanze e tenuto conto degli interessi e delle richieste
delle parti, può, ricorrendo eventualmente ad una consulenza tecnica, modificare
o risolvere il contratto nel suo complesso o nella parte ineseguita, e, se del caso
e ciò gli venga richiesto, ordinare le restituzioni dovute e condannare al risarcimento
del danno.». [27] Cfr., tra le altre, Trib. Milano, sez. XIII, 21 ottobre
2020, in Imm. e propr., 2021, 2, 127, secondo cui: «Il conduttore non
può mai astenersi dal versamento del canone di locazione, ovvero non può mai ridurlo
unilateralmente. La sospensione totale o parziale dell’adempimento delle obbligazioni
contrattuali è legittima solo nel caso in cui venga completamente a mancare la controprestazione
del locatore. Tuttavia, l’insorgere della morosità per “impossibilità parziale
e temporanea della prestazione” dovuta da parte locatrice, legittimerebbe tale sospensione
ed imporrebbe alle parti contraenti di rinegoziare le condizioni contrattuali, con
lo scopo di ripristinare l’equilibrio sinallagmatico del contratto, consentendo
al Giudice, nella fase sommaria di convalida di sfratto, di non emettere ordinanza
ex art.665 c.p.c. e rinviare la causa per verificare che sia stata data attuazione
alla rinegoziazione ed alla composizione della controversia.» e Trib. Roma,
Sez. VI, 27 agosto 2020, in Leggi d’Italia, 2020, che afferma: «[…] qualora
si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce
il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia
del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi dell’esecuzione
del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità
di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva
(o correttezza) nella fase esecutiva del contratto. La buona fede, infatti, può
essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino
dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle
parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale
oltre l'alea normale del contratto.». [28] Sicchiero,
voce “La rinegoziazione”, in Digesto Civ., Appendice di aggiornamento
(II), Torino, 2003, 1200 e ss. [29] Roppo, Il
contratto, in Trattato di diritto privato, cit., 973, secondo
cui in caso di inadempimento all’obbligazione di rinegoziare, la sentenza potrebbe
condannare al risarcimento del danno parametrato in punto quantum debeatur
all’assetto di interessi adeguato alle sopravvenienze e rifiutato dalla controparte.
Si tenga, però, presente che secondo Trib. Roma, Sez. VI, 27 agosto 2020, cit.,
la buona fede esecutiva consente al giudice di adottare decisioni manutentive del
contratto, potendo essere «utilizzata anche con funzione integrativa cogente
nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili
non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto,
che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l’alea normale del contratto». [30] In tema ci si permette di rinviare a Vertucci, L’inadempimento delle obbligazioni
al tempo del coronavirus: prime riflessioni, in www.ilcaso.it,
23 aprile 2020, 7 e ss., ove si è osservato che secondo il procedimento di equità
al giudice compete l’importante funzione di amministrare la giustizia caso per caso,
stabilendo, a seconda del concreto assetto di interessi divisato dalle parti, se
conservare l’efficacia del rapporto contrattuale ed a quali condizioni, se accordare
un risarcimento del danno (determinandone se del caso la misura), e finanche se
risolverlo o dichiararlo in tutto o in parte nullo. In argomento, cfr. anche Sicchiero, L’equità correttiva, in
Contratto e Impresa, 2021, 1194 e ss., secondo cui il giudice sarebbe già
dotato del potere, se richiesto, di ricondurre il sinallagma ad equità per tutto
il tempo in cui la sopravvenienza manifesti i propri effetti. [31] Gazzoni,
Equità e autonomia privata, Milano, 2019, 132 e ss. [32] Sicchiero, Recenti
interventi e proposte in tema di rinegoziazione, in Giur. It., 2023,
215, il quale osserva inoltre che, essendo il processo civile caratterizzato dal
principio dispositivo, non vi è ragione di impedire alla parte minacciata di risoluzione
di aderire a qualsiasi indicazione che il giudice, in quanto richiesto, offra per
evitare lo scioglimento del contratto; in altri termini, secondo l’autore, il potere
di intervento equitativo, essendo demandato al giudice dalla legge, è nella disponibilità
della parte in tutti i casi ove ne ricorrano i presupposti di invocazione. [33] Sicchiero, Recenti
interventi e proposte in tema di rinegoziazione, cit., 216, nt. 71, che
richiama Cass. civ., 4 novembre 2020, n. 24601, secondo cui: «La giusta causa
di licenziamento è una nozione di legge che si viene ad inscrivere in un ambito
di disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi normativi e di clausole
generali - correttezza, obbligo di fedeltà, lealtà, buona fede, giusta causa - il
cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale, di essere
integrato, colmato, sia sul piano di fatto che di diritto, attraverso il contributo
dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza
sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate
cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, in modo tale da
consentire al giudice di pervenire, sulla sorta di questa complessa realtà, alla
soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e consona.». [34] Vertucci,
op. cit., 12, ove si richiama il pensiero di Sacco, Il diritto muto. Neuroscienze, conoscenza tacita, valori
condivisi, Bologna, 2015, 150. [35] Serio, Presupposizione,
in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, 297. Cass. civ., Sez. I, 21 novembre
2001, n. 14629, in Mass. Giur. It., 2001. [36] Cass. civ., Sez. I, 16 maggio 2017, n.
12069, cit. [37] Cass. civ., Sez. II, 20 febbraio 2020, n. 4451, in Corriere
Giur., 2020, 10, 1223, con nota di Carrato,
secondo cui: «La transazione ad
esecuzione differita è suscettibile di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta,
in base al principio generale emergente dall'art.1467 c.c., in quanto l’irresolubilità della transazione novativa
stabilita in via eccezionale dall’art.1976 c.c. è limitata alla risoluzione per inadempimento, e l’irrescindibilità
della transazione per causa di lesione, sancita dall’art.1970 c.c., esaurisce la sua "ratio" sul piano del sinallagma
genetico.». [38] Carrato, Il
regime della risoluzione del contratto di transazione, inCorriere Giur., 2020, 10, 1223 e ss. [39] La transazione non novativa si caratterizza per il fatto
che le parti non sostituiscono al vecchio rapporto giuridico oggetto di lite uno
nuovo, ma si limitando a regolare il primo facendosi reciproche concessioni. Nella
transazione novativa, invece, le parti, facendosi reciproche concessioni, sostituiscono
al primo rapporto giuridico oggetto di lite un nuovo rapporto. In giurisprudenza
è costante l’affermazione secondo cui l’efficacia novativa della transazione discende
dalla situazione di oggettiva incompatibilità che si viene a creare tra il rapporto
preesistente e il rapporto costituito dalla transazione: cfr. ex multis Cass.
civ., Sez. II, 09 dicembre 1996, n. 10937, in Giur. It., 1998, 932, nota
di Scardigno, che infatti afferma:
«La transazione, pur modificando la fonte del rapporto giuridico preesistente,
non ne determina necessariamente l’estinzione in quanto, fuori dell’ipotesi di un’espressa
manifestazione di volontà delle parti in tal senso, l’eventuale efficacia novativa
della transazione dipende da una situazione di oggettiva incompatibilità nella quale
i due rapporti - quello preesistente e quello nuovo - vengono a trovarsi; pertanto,
per determinare il carattere novativo o conservativo della transazione, occorre
accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso
o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto diretto a costituire, in
sostituzione di quello precedente, nuove ed autonome situazioni giuridiche.». [40] Carrato, op.
cit., 1229, nt. 22, che richiama Cass. civ., 28 agosto 1993,
n. 9125, in Foro it., 1995, I, 1601 ss., con nota di Cosentino, Presupposizione e sopravvenuta
inedificabilità dei suoli, e Cass. civ. 15 novembre 1997, n. 11330, in Mass.
Giur. It., 1997.
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