Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/05/2025 Scarica PDF

La lista del cda non serve più? Il caso Generali come paradigma regolatorio. Una breve nota

Maurizio Irrera, Professore Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi di Torino


1.- La disciplina della lista del consiglio di amministrazione per il rinnovo dell’organo gestorio, oggi codificata nell’art. 147-ter.1 del TUF, continua a rappresentare un crocevia sensibile per le dinamiche di governo societario nelle società quotate.

Se in alcuni ambienti essa è stata salutata come strumento razionalizzante nei contesti di azionariato disperso, in altri è stata percepita – talora anche con toni polemici – come espressione di autoreferentiality del management e strumento di cristallizzazione del potere. La novella introdotta con la legge 5 marzo 2024, n. 21 (c.d. “Legge Capitali”), ha alimentato un acceso dibattito dottrinale circa la portata e le finalità della riforma che alcuni hanno ritenuto calibrata ad hoc per disincentivare prassi ritenute distorsive emerse nel passato recente; altri – più o meno velatamente – hanno sostenuto che fosse stata introdotta per favorire alcuni gruppi imprenditoriali; altri ancora hanno sottolineato con dovizia di particolari la carente tecnica legislativa[1]. In tale contesto, il caso Generali – nelle sue evoluzioni tra il 2021 e il 2025 – assurge a modello esemplificativo delle tensioni (e, forse, delle soluzioni) che la nuova disciplina ha inteso regolare.

Nel 2021, in prossimità del rinnovo del consiglio di amministrazione, Generali annuncia – per il tramite dell’organo uscente – l’intenzione di presentare una propria lista di candidati. La decisione suscita perplessità, alla luce della presenza, nella compagine, di un azionista rilevante quale Mediobanca (titolare di oltre il 13% del capitale) e della contrapposizione dichiarata di altri soggetti di peso (Caltagirone e Delfin). La lista consiliare, sostenuta da Mediobanca, viene approvata dall’assemblea dei soci nell’aprile del 2022 con una buona maggioranza. Nel dettaglio: lista del CdA 55,99%, lista Caltagirone 41,73%, lista Assogestioni 1,9%.

Nel marzo 2024 interviene la “Legge Capitali”, che introduce una regolamentazione puntuale e articolata dell’istituto: la legittimazione consiliare è subordinata alla previsione statutaria; la delibera richiede una maggioranza rafforzata (due terzi degli amministratori); la lista deve contenere un numero di candidati superiore di un terzo al numero degli amministratori da eleggere; il deposito deve avvenire 40 giorni prima dell’assemblea. Ma il cuore della riforma risiede nel c.d. “voto referendario”: qualora la lista del CdA sia risultata la più votata, ciascun candidato dovrà essere confermato individualmente, con una votazione separata e soggetta a quozienti di maggioranza specifici. Una disciplina di evidente complessità, la cui razionalità sistemica è stata oggetto – come si è detto - di approfondite valutazioni in dottrina.

    

2.- In un mio contributo coevo all’emanazione della riforma, avevo ritenuto che le condizioni restrittive previste dal nuovo art. 147-ter.1 TUF non rappresentassero tanto un disincentivo contingente, quanto un segnale regolatorio di fondo: contenere l’uso dell’istituto entro i limiti della sua ratio originaria, ovvero nei casi in cui l’assenza di un azionista di riferimento renda strutturalmente difficile la presentazione di liste da parte dei soci[2].

L’assemblea di Generali dell’aprile 2025 offre un interessante banco di prova. Contrariamente alle attese, non viene presentata alcuna lista da parte del consiglio uscente. Mediobanca – in modo diretto e trasparente – propone una lista in qualità di socio. Caltagirone conferma la sua iniziativa concorrente. La lista di Mediobanca ottiene il 52,38% dei voti espressi (36,02% del capitale), quella di Caltagirone il 36,8% (25,3%), mentre a lista Assogestioni si arresta al 3,67%. La disciplina, seppur formalmente inoperante, ha prodotto i suoi effetti ex ante, senza alterare i risultati assembleari, anzi la forbice tra le due liste si è allargata.

La riforma ha quindi raggiunto, almeno in questo caso, un risultato di chiarezza e di responsabilizzazione degli attori istituzionali. Il socio forte non ha più avuto interesse (e modo) a schermarsi dietro un’istanza “neutra” del consiglio uscente; il consiglio, a sua volta, non ha forzato la mano, consapevole delle implicazioni tecnico-procedurali. L’istituto è rimasto disponibile, ma non abusato. L’intervento normativo ha così assolto una funzione deterrente, senza imporsi con forza cogente. Last, but non least, il risultato assembleare non è cambiato.

3.- La nuova impostazione pare segnare - nell’ambito dell’ecosistema normativo e organizzativo delle società quotate - un ritorno ad una visione "prudenziale" della corporate governance, nella quale l’autonomia statutaria è ammessa, ma rigorosamente incanalata entro perimetri funzionali ben definiti. Il legislatore non ha vietato la lista del CdA, ma ha inteso riconfigurarla come opzione residuale, richiedente – in buona sostanza - condizioni di effettiva eccezionalità, nell’ambito delle quali il c.d. “voto referendario” non assume più quel significato punitivo che taluni avevano assegnato al medesimo.

È noto come in altri ordinamenti la partecipazione attiva del board alla formazione delle liste rappresenti un fatto non solo accettato, ma fisiologico. La scelta italiana si muove in senso diverso, segnalando una preferenza per una separazione netta tra organo esecutivo e soggetti legittimati alla nomina, nella logica della neutralità procedurale. Non si tratta di una visione necessariamente "anti-manageriale", quanto piuttosto di una strategia di riduzione di un conflitto di interessi implicito.

Talvolta, per concludere questa breve nota, il legislatore – come ho sostenuto - disciplina in modo minuzioso, proprio per renderla onerosa, la scelta di taluni percorsi ritenuti “sensibili”, come la lista del CdA: nel nostro caso la strategia normativa sembra aver funzionato. E il sistema – almeno a quanto consta – l’ha recepita con misura, senza traumi: tanto tuonò che… non piovve!



[1] Per un’analisi della nuova disciplina della lista del CdA, introdotta dall’art. 12 della legge 5 marzo 2024, n. 21, cfr., tra gli altri, G. Presti, Elezione degli amministratori e lista del CdA: peggio il rammendo del buco, in Riv. Soc., 2023, p. 1078 ss.; M. Ventoruzzo, Sub art. 12, in Commentario alla legge capitali, a cura di P. Marchetti e M. Ventoruzzo, Pisa, 2024, p. 84 ss.; M. Stella Richter jr., Lista del consiglio di amministrazione e autonomia statutaria: prime riflessioni, in Riv. Soc., 2024, p. 113 ss.; M. Perrino, La lista del CdA, in Le Società, 2024, p. 857 ss.; C. Amatucci – G. Mollo, Sub art. 12, in Legge Capitali. Commentario, a cura di G. Martina, M. Rispoli Farina e V. Santoro, Torino, 2024, p. 125 ss.; L. Calvosa, Voto di lista e lista del consiglio uscente, in Riv. Dir. Soc., 2024, p. 419 ss; I. Mecatti, La lista del consiglio di amministrazione, in Riv. Dir. Soc., 2024, p. 553 ss.; E. Mauceri, La legittimità della lista consiliare alla prova della legge n. 21 del 5 marzo 2024, in NDS – Il Nuovo Diritto delle Società, 2025, p. 67 ss.

Cfr., ancora, se vuoi, M. Irrera, La lista del CdA: una nuova norma nell’occhio del ciclone, in “ilcaso.it”, 12 settembre 2024; M. Irrera, La lista del consiglio di amministrazione nelle societá per azioni quotate (art. 12), in AA.VV., La Legge Capitali e la riforma dei mercati (I parte), a cura di M. Callegari ed E. Desana, in Giur. It., 2024, p. 2722 ss.

 

[2] M. Irrera, La lista del CdA: una nuova norma nell’occhio del ciclone, cit.


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