Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 18/06/2025 Scarica PDF

L’annoso problema dell’imponibilità in Italia dei dividendi esteri percepiti da persone fisiche senza l’intervento di un intermediario residente

Andrea Crenca, Dottore commercialista e Revisore legale in Roma


Il problema che intendo affrontare è quello dell’imponibilità in Italia, da parte di una persona fisica, dei dividendi provenienti da una società estera, qualora non vi sia stata l’azione di un intermediario residente.

L’analisi prende le mosse da quanto statuito dall’articolo 18, comma 1, Tuir, dedicato all’imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera. Con detta norma viene stabilito, in linea generale, che tali redditi percepiti dall’estero senza l’ausilio di un intermediario residente, che sarebbero soggetti a ritenuta a titolo di imposta o a imposta sostitutiva, scontano anch’essi un'imposizione sostitutiva, con aliquota corrispondente a quella stabilita per la ritenuta a titolo d'imposta nella normativa italiana. Il contribuente ha, normalmente, la possibilità di non ricorrere al regime di imposizione sostitutiva e in tale circostanza compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero ex articolo 165 Tuir; secondo quest’ultima norma, infatti, le imposte ivi pagate sono detraibili secondo la proporzione esistente fra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo.

Limitandoci all’ipotesi dei dividendi, nell’ipotesi in cui il contribuente percepisca direttamente i redditi da partecipazione estera, la norma dispone, implicitamente, l’assoggettamento degli stessi a imposta sostitutiva, applicando la medesima aliquota del 26%, di cui all'articolo 27, comma 4, del D.P.R. 29/09/1973, n. 600, da liquidare in sede di dichiarazione dei redditi. Questo perché detto articolo 18, comma 1, prevede, appunto, che i descritti proventi, percepiti direttamente da persone fisiche fuori dall’esercizio d’impresa, siano soggetti ad imposizione sostitutiva nella stessa misura della ritenuta a titolo d'imposta del 26%, cioè pari alla citata ritenuta prevista dall’art. 27, comma 4, del D.P.R. 600/1973.

Nella parte finale dell’articolo 18, comma 1, Tuir, si annida però uno dei principali snodi teorici della vicenda: contrariamente a tutti gli altri redditi di capitale di fonte estera, il contribuente, per i dividendi percepiti senza l’intervento di un intermediario residente, non può optare per l'imposizione ordinaria e, quindi, in tale circostanza non compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. Infatti, viene specificato che la facoltà dell’opzione non si applica alle distribuzioni di utili di cui all'articolo 27, comma 4, di cui sopra, cioè proprio alle fattispecie oggetto del presente lavoro.

I dividendi in esame,la cui tassazione, peraltro, avviene secondo il principio di cassa,avendo importanza il momento dell’effettiva percezione, devono quindi essere indicati nel modello REDDITI PF2025 (quadro RM, Sezione II-A, rigo 31), senza che vi sia la possibilità di scomputare il credito d’imposta per quanto pagato all’estero. Esiste nel campo 5 una casella denominata “credito IVCA”, ma si riferisce a una fattispecie affatto differente, ovvero all’imposta versata sul valore dei contratti assicurativi concernente l’erogazione di polizze vita detenute all’estero.

Ma gli svantaggi non finiscono qui: l’articolo 27, comma 4-bis, del DPR 600/1973, precisa infatti che la ritenuta del 26%, nel caso di intervento dell’intermediario residente, viene operata al netto delle ritenute applicate dallo stato estero (c.d “netto frontiera”). La precisazione non viene replicata dall’articolo 18, comma 1, per quanto concerne il caso della mancanza di tale intermediario. Ne consegue che il percettore si trova di fronte a una doppia penalizzazione: non può scomputare l’imposta pagata all’estero e, per di più, deve dichiarare il dividendo al lordo. Si determina così una discriminazione fra contribuenti che incassano il dividendo mediante intermediario e quelli che lo percepiscono senza tale figura.

Quando si viene a configurare quest’ultima situazione, il contribuente deve inserire i proventi nella dichiarazione dei redditi utilizzando il Modello redditi PF: egli deve indicare tali importi, come detto, all’interno della Sezione II-A del quadro RM (rigo RM31). Verrà, quindi, applicata la tassazione con imposta sostitutiva con aliquota al 26%, senza la possibilità di optare per la tassazione ordinaria Irpef.

Stando alle istruzioni diramate dall’Agenzia delle Entrate, la base imponibile che deve essere indicata nel rigo RM31 è quella determinata al lordo delle ritenute subite all’estero, impostazione che risulta essere in linea con quanto previsto con la Risoluzione 26/04/2007 n. 80 e con la risposta all’Interpello 21/04/2020,n. 111.

Tutto ciò, ignorando completamente il fatto che la Corte di Cassazione, con due importanti sentenze (01 settembre 2022, n. 25698 e 16 aprile 2024, n. 10.204, che hanno anche ispirato la Sentenza C.G.T. I di Siena n. 68/1/24)ha affermato che il credito per le imposte pagate all’estero sui dividendi incassati da persone fisiche residenti (non in regime d’impresa) spetta al contribuente quandola normativa italiana stabilisce la debenza (senza facoltà di scelta) dell’imposta sostitutiva a condizione, però, che la Convenzione contro le doppie imposizioni nell'ipotesi vigente con lo stato estero non consenta al nostro Paese di negare il credito.

La Corte di Cassazione, ha esaminato la fattispecie di un cittadino italiano che, privo dell’ausilio di un intermediario residente, ha incassato dividendi provenienti dagli USA. Orbene, il Collegio ha stabilito che al contribuente compete il beneficio del credito per imposte straniere.

Ciò in quanto l’articolo 23, comma 3, della Convenzione contro le doppie imposizioni con gli Stati Uniti prevede che l’Italia è tenuta a sottrarre dalle imposte sul reddito il tributo versato negli Stati Uniti medesimi. Ciò nondimeno, lo scomputo non viene concesso se il provento è assoggettato in Italia a ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario.

Ne deriva che laddove l’assoggettamento a imposizione con ritenuta a titolo d’imposta ha luogo obbligatoriamente, non potendo il cittadino italiano chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta versata negli Stati Uniti è detraibile.

E’ da notare che il porre l’accento decisivo sulla possibilità di scelta del contribuente è presente in numerose Convenzioni, il che dimostra che quando il nostro Paese ha desiderato impedire l’utilizzo del credito d’imposta, lo ha fatto chiaramente. La possibilità di detrarre il credito si deduce da molti trattati internazionali, come rilevato da A. Bindi nell’interessante articolo del 26/09/2024: “Doppia tassazione dividendi esteri per le persone fisiche...come evitarla?”[1]; in questa sede vale almeno la pena di ricordare, oltre agli Stati Uniti: Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Cina , India, Svizzera, Canada, Brasile, Giappone, Australia, Austria, Brasile.

Va precisato che il diritto sovranazionale, sancente il divieto di doppia imposizione, prevale su eventuali norme interne con esso contrastanti, come anche stabilito nell’articolo 75 del D.P.R. 600/1973, secondo cui nell’applicazione delle disposizioni attinenti alle imposte sui redditi prevalgono gli accordi internazionali.

In definitiva, l’orientamento della Corte di Cassazione è omogeneo con la circostanza che in altri testi di Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni è chiaramente sancito che nessuna detrazione viene concessa se l’elemento di reddito viene assoggettato in Italia a imposizione mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente. Nello stesso senso si è espressa l’AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti) con l’orientamento illustrato nella recente norma della Commissione Norme di Comportamento di Milano n. 227 del 15/01/2025.

Né va dimenticato che, inoltre, l’articolo 169 Tuir, stabilisce che le disposizioni si applicano, qualora più vantaggiose per il contribuente, financo in deroga agli accordi internazionali avverso la doppia imposizione.

Tutto risulto, quindi? Il cittadino italiano, ove lo permetta il Trattato con il Paese straniero, può direttamente scomputare in dichiarazione il credito connesso alla tassazione subita direttamente?

Purtroppo no, perché i modelli dichiarativi, con particolare riferimento alla compilazione del rigo RM31, come sopra visto, non lo consentono.

L’unica possibilità per il contribuente che si trova in questa situazione è di richiedere, tramite separata istanza, il rimborso dell’imposta domestica pagata in più per effetto di quanto sopra illustrato con la conseguenza, che, presumibilmente, egli dovrà poi ricorrere presso la giustizia tributaria contro il diniego espresso o avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate.

E’ opportuno rammentare che, per quanto attiene alla domanda di rimborso, va tenuto presente il combinato disposto dagli articoli 19, comma 1, lettera g), e 21, comma 2, del D.Lgs. 31/12/1992, n. 546: il ricorso avverso il rifiuto tacito può essere proposto solo se trascorsi novanta giorni dalla presentazione dell’istanza di restituzione e, in ogni caso, non oltre il termine di dieci anni dal giorno in cui si è perfezionato il silenzio-rifiuto; va altresì precisato che la domanda di rimborso, come regola generale, va presentata entro il termine biennale trascorrente dal momento del versamento.

Una volta instaurato il giudizio, nell’attesa della decisione, non resta che sperare, nelle more del giudizio, che l’Amministrazione si adegui a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione e, quindi, alle norme di diritto internazionale da essa richiamate e rimborsi il sovrappiù pagato dal cittadino residente in Italia, evitando le lungaggini e i costi del contenzioso.


Scarica Articolo PDF