Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/10/2025 Scarica PDF
Composizione negoziata per le imprese minori, fra vecchi problemi e nuove opportunità
Alessandro Farolfi, Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario della Corte di CassazioneSommario: 1. Il problema. 2. L’inadeguatezza crescente delle soglie 3. I vantaggi competitivi della composizione negoziata
1. Il problema
Il tema della composizione negoziata relativa alle imprese minori può certamente apparire come un argomento di nicchia e lo è, probabilmente, almeno allo stato, da un punto di vista numerico.
Dai dati tratti dalla VII edizione dell’Osservatorio trimestrale pubblicato da Unioncamere[3], scopriamo che il ricorso alla composizione negoziata è in forte incremento ed ha raggiunto, complessivamente, il numero di 2765 istanze (dati al 15/05/2025) con una parallela evoluzione del tasso di successo delle negoziazioni, passato dal 5% del secondo quadrimestre 2022 ad un lusinghiero 22,5% del primo quadrimestre 2025. Tuttavia, il dato relativo alle imprese sottosoglia non è altrettanto incoraggiante: di tutte le istanze presentate, infatti, solo il 5% riguarda imprese sottosoglia, pari a complessive 132 istanze.
Se, quindi, da un lato i dati statistici sembrano smentire chi, all’indomani dell’entrata in vigore del d.l. n. 118/2021 aveva profetizzato che la composizione negoziata non avrebbe mai preso piede, dobbiamo cercare di capire perché questo trend positivo non si è ancora esteso alle imprese sottosoglia. Proviamo a vedere le cause di questo problema.
In primo luogo, è lo stesso meccanismo di incontro dei diversi attori della negoziazione a non essere favorito dalle piccole dimensioni del debito da ristrutturare che, generalmente, connota la crisi dell’impresa minore. Svolgere plurimi incontri necessari per individuare una soluzione della crisi rappresenta per gli attori economici una possibile perdita di tempo che non è apparentemente compensata dalla modestia del debito da risolvere: per un finanziatore come una banca, più semplicemente, può trattarsi di una posizione da passare a sofferenza o cedere a cuor leggero, pur se spesso un debito tutto sommato modesto nella vita di quel piccolo imprenditore può invece essere essenziale. È quindi, innanzitutto, un problema di rapporto fra tempi e massa critica del debito da risolvere, la cui lunga negoziazione può tradursi in occasioni perdute più proficue.
In secondo luogo, i tempi di reazione degli imprenditori ai segnali di crisi sono spesso molto, troppo lenti: ci si rivolge al proprio advisor quando ormai si è in piena insolvenza, che per un'impresa minore vuol dire aver già ricevuto la notifica dello sfratto dal locale in cui si esercita l’attività, oppure la notifica di un pignoramento o un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Si tratta qui di un fenomeno culturale, che il nuovo Codice in modo sfidante ha cercato di superare con una serie di incentivi volti a favorire – anche per le imprese di maggiori dimensioni o i gruppi – una emersione precoce della crisi, prima che la stessa distrugga valore, nello stesso interesse dei crediti e del sistema economico nel suo complesso.
In terzo luogo, rilevano i costi, che per una impresa di piccolissime dimensioni spesso costituiscono un ostacolo di fatto a ricercare la migliore soluzione possibile, in quanto, se si percorre negativamente una composizione negoziata, chiaramente si dovrà un onorario all'esperto ed all’eventuale ausiliare nominato dal giudice, per poi ricominciare eventualmente una procedura di sovraindebitamento, con i costi dell’OCC che si aggiungono a quelli della fase precedente. Vedremo però che gli sbocchi finali oggi consentiti dal combinato disposto degli artt. 25 quater e 23 c.c.i.i. possono, almeno in parte, compensare tale onere economico.
2. L’inadeguatezza crescente delle soglie
Vi è un tema che credo sia stato finora sottovalutato, ma che occorre mettere al centro, per quanto possibile, di una riflessione più generale, che riguarda anche la crisi d’impresa tout court. Si tratta dell’inadeguatezza delle soglie minime cui l’art. 2 lett. d) c.c.i.i. ricollega la stessa nozione di impresa minore, in modo pedissequo rispetto a quanto già faceva l’art. 1, comma 2, l. fall. nel definire le imprese non soggette a fallimento. Si tratta di soglie che, ormai, sono le stesse dal 2006, pur se fin dall’inizio si era previsto che avrebbero dovuto essere adeguate periodicamente, con apposito decreto ministeriale. Orbene, è sufficiente una semplice verifica internet molto veloce per scoprire che i prezzi al consumo, in questi ultimi vent'anni, sono mediamente aumentati del 49%. Il che vuol dire che rispetto al 2006, in cui era stata fissata la soglia minima di ricavi lordi annui pari a euro 200,000, questa limitazione si è oggi di fatto, in termini di moneta reale, molto abbassata: l’aumento di prezzo fa sì, infatti, che generalmente si faccia molto più in fretta a raggiungere tale limite minimo rispetto a quello che accadeva nel 2006, ciò che vale, fatte le dovute differenze, anche per i valori di attivo patrimoniale e indebitamento complessivo. Si può perciò affermare, senza tema di smentite, che l'area dell'impresa minore di fatto è diminuita e con essa, correlativamente, si è incrementata l'area della sottoposizione a liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento per intenderci), così come l’area della sanzionabilità penale dei comportamenti economici di chi fa impresa. Può essere che ciò corrisponda ad una precisa scelta di politica economica che, se fosse stata espressa e condivisa con operatori ed associazioni imprenditoriali, non sarebbe di per sé seriamente discutibile. Ma io credo che questo tema andrebbe oggi comunque affrontato in sede ministeriale, per comprendere gli effetti prodotti da questa inerzia, consapevole o meno. Si tratta infatti di una scelta che – rispetto alla iniziale perimetrazione - certamente oggi limita il novero delle imprese sottratte alla liquidazione giudiziale e sottoposte, invece, al sovraindebitamento o alla composizione negoziata per le imprese sottosoglia di cui all’art. 25 quater c.c.i.i. Analoga inerzia, del resto, sembra immotivatamente riguardare anche la attuazione concreta del fondo per l'esdebitazione dei soggetti incapienti che, introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, commi 893-895 della l. n. 207 del 30 dicembre 2024) si trova di fatto ancora inutilizzato a causa della mancata emanazione di un decreto ministeriale che avrebbe dovuto essere adottato entro 90 gg. dall’entrata in vigore della normativa. Il che produce forse un effetto combinato di minor tutela proprio per i soggetti economici più deboli o addirittura emarginati dal ciclo della produzione- scambio-consumo.
E allora, occorre chiedersi, perché occuparsi di composizione negoziata per le imprese sottosoglia?
3. I vantaggi competitivi della composizione negoziata
Non pochi, ad avviso di questo relatore, sono i vantaggi che potrebbero trarsi da un utilizzo oculato di questo istituto[4].
Tali vantaggi competitivi ruotano attorno ad almeno una triade di effetti favorevoli conseguibili, che possono così riassumersi: a) maggiore protezione dell’impresa; b) stabilità delle operazioni compiute per il risanamento; c) modalità di soluzione della crisi non perseguibili negli stessi termini attraverso le procedure di sovraindebitamento.
Il tema merita un approfondimento, sia pure con la sintesi richiesta dal poco spazio a disposizione.
Va innanzitutto considerato attentamente che solo attraverso la composizione negoziata è garantita ad una impresa sottosoglia la possibilità di ottenere misure protettive e cautelari in un momento precoce, che anticipa la stessa presentazione definitiva del piano di ristrutturazione. Nel concordato minore, infatti, le uniche misure protettive sono quelle consentite dall’art. 78 c.c.i.i. che il tribunale può concedere, tuttavia, solo quando il piano e la proposta concordataria sono stati completamente elaborati così da ottenere l’ammissione alla procedura minore. Nessuna protezione anticipata sembra possibile: da un lato, infatti, l’art. 78 c.c.i.i. appare disposizione speciale, non compatibile con alcune disposizioni in tema di procedimento unitario, come gli artt. 54 e 55 dello stesso codice; dall’altro, l’art. 65 c.c.i.i., con il d.lgs. n. 136 del 20204, meglio conosciuto come c.d. Correttivo ter, è stato novellato così da chiudere definitivamente la possibilità, per il vero adombrata soltanto da una tesi minoritaria, di ricorso alla domanda prenotativa. Il nuovo comma 2 della norma da ultimo citata, con testo lessicalmente non così felice, afferma infatti che “Si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni del presente capo, le disposizioni del titolo III, ad eccezione dell'articolo 44, in quanto compatibili”: laddove l’esigenza di affrontare un vaglio di compatibilità non riguarda certo l’art. 44, ma le altre disposizioni diverse in tema di procedimento unitario, mentre per la norma sulla domanda prenotativa è in ogni caso esclusa l’applicabilità.
La composizione negoziata, quindi, garantisce – a patto ovviamente di conferma o concessione da parte del giudice – uno stay e l’eventuale accesso a misure cautelari in un momento nel quale le trattative sono ancora in corso, proteggendo l’impresa minore da iniziative aggressive che potrebbero impedire ogni soluzione non liquidatoria. Anzi, poiché molto spesso un’impresa di piccole dimensioni ha un debito tutto sommato non così ampio, in termini assoluti, non poche volte concentrato in pochi creditori (ad esempio un grosso fornitore da cui dipende l’attività economica minore, una o due banche che sostengono finanziariamente l’imprenditore di modeste dimensioni), proprio la protezione offerta dalla composizione negoziata può dare concretezza al tavolo delle trattative, garantendo all’impresa minore quel peso contrattuale che altrimenti non avrebbe. E ciò non senza sottovalutare altri due vantaggi immediati:
i. la presenza di un esperto che il citato ultimo correttivo non vuole come un mero muto testimone degli altrui colloqui, ma come un soggetto attivo, chiamato a rendere pareri e ad indicare le iniziative che intende adottare per propiziare le intese (cfr. art. 16 comma 2 bis c.c.i.i.), con l’esigenza di farsi perciò attore del dialogo fra impresa e suoi stakeholders, nonché a partecipare anche alla fase attuativa delle intese, dopo la formale chiusura della composizione (cfr. art. 16, comma 1, ultimo periodo, anche in relazione al nuovo art. 22, comma 1 bis), mentre chi scrive ritiene applicabile analogicamente anche l’art. 23, comma 2 ter, nonostante l’art. 24 quater rinvii espressamente al solo comma immediatamente precedente, in tema di accordo con il fisco, posto che tale norma appare la pratica estensione dell’art. 16, comma 1, certamente applicabile, di cui completa praticamente la disposizione più generale, con riferimento alla sottoscrizione successiva di contratto e accordi eventualmente conclusi in seno alla composizione negoziata;
ii. la circostanza che i destinatari di misure protettive (si ricorda che nella composizione negoziata sono solo tipiche e ad efficacia semiautomatica) siano altresì destinatari, ope legis, di una limitazione alla propria autonomia contrattuale e, in particolare a quelle forme di autotutela contrattuale che potrebbero irrimediabilmente danneggiare l’andamento in continuità dell’impresa, come la possibilità di avanzare l’exceptio inadimpleti contractus, sospendere l’esecuzione del contratto o recedere dallo stesso solo perché si sono verificati inadempimenti anteriori cui è seguito l’accesso alla composizione negoziata; tale avvertenza, in ragione degli artt. 16 e 18 comma 5 vale, in particolare, per gli operatori bancari, garantendo anche in questo modo ad un piccolo imprenditore - che altrimenti rischierebbe di restare inascoltato - una maggiore voce in capitolo e, soprattutto, la possibilità di continuare a fruire di anticipazioni e finanziamenti in corso, purché, beninteso, non si renda inadempiente anche rispetto alle obbligazioni che scadono successivamente all’inizio della fase di composizione negoziata.
b) Stabilità.
L’ingresso nella composizione negoziata consente una gestione dell’impresa più ordinata e, soprattutto, più libera rispetto all’ingresso nelle procedure concordataria, anche se di concordato minore, ove pure vale la regola dello spossessamento minore. Non si vuole certo auspicare una gestione disinvolta, o addirittura caratterizzata da tratti fraudolenti, perché anche qui valgono le regole generali del dovere dell’imprenditore di garantire la sostenibilità e, nel caso di insolvenza, di gestire l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori, in relazione anche ai doveri più generali di buona fede posti dall’innovativo art. 4 c.c.i.i.[5] Si vuole però mettere in evidenza come la composizione negoziata, lungi da provocare di per sé ingessature nella gestione dell’attività caratteristica, finisca invero per garantire una maggiore fluidità: i pagamenti di crediti anteriori sono liberi e il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione non costituisce l’oggetto di un’autorizzazione preventiva, ma si esplica in un dovere di informazione preventiva cui può fare seguito, ma solo in via eventuale e secondo un meccanismo dialogico di avvertimento e effettiva realizzazione dell’atto, una opposizione formale iscritta nel registro delle imprese da parte dell’esperto.
Vale poi il principio per cui il compimento degli atti autorizzati (art. 22) e anche di quelli, compresi i pagamenti, che siano coerenti con il piano di ristrutturazione predisposto dall’imprenditore, risulterà sottratto alla revocatoria ordinaria (che qui, per le dimensioni minori del soggetto economico, è comunque esclusa la revocatoria fallimentare; non a caso, infatti, l’art. 25 quater rinvia al precedente art. 24, commi 3 e 4, ma non al comma 2 della stessa disposizione).
Quanto agli atti autorizzati previsti dall’art. 22 c.c.i.i., l’importanza della composizione riguarda essenzialmente la possibilità di ottenere la prededuzione rispetto ai finanziamenti. Si tratta di un effetto rilevante, che può spingere i soggetti finanziatori e le banche ad elargire credito con maggiore facilità. Molto spesso un’impresa minore non ha necessità, in effetti, di somme ingenti per ritrovare il proprio equilibrio finanziario, ma le porte “sono chiuse” ugualmente per la difficoltà, a volte, di reperire delle garanzie sufficienti a propiziare l’effettiva concessione del credito. La possibilità di fruire della prededuzione può invece destare interesse nel finanziatore e, al tempo stesso, garantirlo con sufficiente ragionevolezza dell’effettiva possibilità di recupero delle somme mutuate o anticipate, per l’ipotesi in cui in un futuro prossimo l’impresa abbia una “recidiva” e perda nuovamente la propria solvibilità. Al tempo stesso l’imprenditore minore può acquisire, indirettamente, una maggiore importanza al tavolo delle trattative, potendo offrire qualcosa di concreto al finanziatore, come un’autorizzazione giudiziale che sancisca la bontà dell’operazione di risanamento e la sua finanziabilità. Proprio tale autorizzazione, inoltre, non può che riflettersi – nello scenario peggiore di una futura apertura della liquidazione controllata – nella stabilità dell’atto, per quanto sopra si è detto, e in una esenzione da responsabilità civile (giacché la minore dimensione dell’impresa se può offrire uno scudo certo alla configurabilità di reati di tipo fallimentare, non può ugualmente – in assenza di autorizzazione - proteggere da azioni civilistiche poste in essere dal liquidatore)[6].
Certamente può rilevare anche il compimento di una cessione autorizzata del compendio aziendale o di uno o più rami di essa, prevista ugualmente dall’art. 22 cit.[7] Qui il beneficio appare essenzialmente quello da ultimo richiamato della stabilità e della esenzione da responsabilità, mentre l’effetto volto ad esentare il cessionario dell’azienda dalla responsabilità solidale prevista dall’art. 2560, comma 2, c.c. ha qui un minor rilievo, posto che molto spesso ci si trova di fronte a imprese in contabilità semplificata, non obbligate a tenere una documentazione contabile formale nei sensi richiesti, con valore costitutivo, proprio dal citato art. 2560, comma 2, c.c.
Non da ultimo, infine, il rimando che - a seguito del Correttivo ter - l’art. 25 quater effettua al nuovo art. 23 comma 2 bis, consente anche all’impresa minore di farsi attrice diligente di un dialogo a scopo transattivo con il fisco, che diviene, proprio in virtù di tale disposizione, un soggetto della composizione negoziata e non un estraneo, valendo anche rispetto all’ufficio pubblico quei doveri di buona fede che l’art. 4 impone anche ai creditori. Sarà quindi possibile ricercare una intesa che, pur non potendo allo stato riguardare né il debito contributivo né quello per i tributi locali, può consentire di ottenere una rateizzazione e anche uno stralcio del debito fiscale, purché la soluzione proposta sia conveniente rispetto all’alternativa, non della liquidazione giudiziale ma di quella controllata. Naturalmente con efficacia condizionata all’autorizzazione successiva del giudice, essenzialmente fondata su un controllo di regolarità dell’accordo raggiunto fra debitore e fisco.
c) Gli esiti.
Nel chiudere questa relazione non si può, infine, sottacere che solo attraverso la composizione negoziata è consentito all’impresa minore di ottenere degli sbocchi verso istituti della crisi d’impresa altrimenti utilizzabili soltanto dai soggetti economici sopra soglia.
Iniziando dagli esiti, per così dire, fisiologici, occorre subito rimarcare che la composizione negoziata può consentire anche all’impresa minore, di fatto, di utilizzare degli strumenti assimilabili al piano attestato di risanamento. Infatti, sia il contratto (art. 23 lett. a), che l’accordo con i creditori (art. 23 lett. c), producono degli effetti di stabilizzazione degli atti e pagamenti esecutivi delle intese raggiunte che, nell’ipotesi del contratto, sono addirittura facilitate rispetto all’impresa di maggiori dimensioni, in quanto la convenzione contrattuale deve garantire semplicemente la continuità dell’attività di impresa, senza che sia altresì richiesto che tale prospettiva sia garantita per un orizzonte temporale biennale. Per gli accordi, invece, così come per le imprese sopra soglia, non si richiede un’attestazione, ma una semplice sottoscrizione dell’esperto che dovrà dare atto della coerenza del piano rispetto alla specifica crisi affrontata.
La logica della composizione, se condotta in buona fede, può inoltre aprire all’utilizzo del concordato semplificato per la liquidazione, strumento certamente più duttile della liquidazione controllata (che comunque l’imprenditore resta libero di richiedere all’esito), che non richiede alcuna attestazione e neppure una relazione dettagliata da parte dell’OCC, che qui non viene coinvolto, con un notevole risparmio di costi che potrebbero, sul nascere, far propendere per l’inutilità della fase di composizione. Nel caso dell’accesso al concordato semplificato, naturalmente, spetterà all’advisor del debitore l’elaborazione di un piano di liquidazione che può procedere anche all’uso di classi, purché nel rispetto dall’ordine delle cause legittime di prelazione.
Infine, oltre al concordato minore, l’impresa agricola – pur se di minori dimensioni – potrà ricorrere anche all’accordo di ristrutturazione, anche se agevolato o ad efficacia estesa, ancora una volta senza dover necessariamente coinvolgere l’OCC. Per l’accordo ad efficacia estesa vale poi, ad avviso del presente relatore, anche l’ulteriore vantaggio della diminuzione della percentuale necessaria degli aderenti al fine dell’estensione degli effetti ai creditori “recalcitranti” della stessa categoria, nei termini consentiti dal precedente art. 23 c.c.i.i.
Come si può vedere da questi brevi spunti, i vantaggi competitivi della composizione negoziata per le imprese sottosoglia sono tutt’altro che minimi o trascurabili e, si crede, una loro più attenta valutazione potrà permettere una maggior frequenza di impiego di un istituto che, anche per le imprese maggiori, dopo aver mosso timidamente i primi passi, è oggi utilizzato in modo sempre più crescente nell’ambito della ristrutturazione del debito e del risanamento dell’impresa.
[1] Testo tratto dalla relazione tenuta al convegno “Valori aziendali nella crisi d’impresa e loro trasferimento”, a Riccione, 26 e 27 settembre 2025, organizzato dall’Ass.ne Riminese dei Concorsualisti unitamente all’Ass.ne Bolognese Concorsualisti.
[2] Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione.
[3] Il documento è leggibile nella sua interezza al seguente link: https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Documento/695__UnionCamere-Osservatorio-semestrale-Settima-edizione
[4] Per un primo approfondimento ci si permette di rinviare a FAROLFI, Composizione negoziata della crisi, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da CAGNASSO – PANZANI, Torino, 2025, 1013 e ss.
[5] Su tale disposizione si rinvia, per ulteriori approfondimenti e note bibliografiche, a LEUZZI, I creditori e la buona fede in concreto nelle crisi d’impresa, in www.dirittodellacrisi, 2025.
[6] In termini più generali, STAUNOVO POLACCO, Concessione abusiva di credito e responsabilità delle banche nella composizione negoziata della crisi d’impresa, in questa Rivista, 2025.
[7] Per un primo approfondimento vds. MANENTE, Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata della crisi alla luce della giurisprudenza, in questa Rivista, 2025.
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