CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 27/11/2025 Scarica PDF
Consulenza tecnica e onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore
Andrea Ferri, Antonella Fratalocchi, Barbara Lunghini, Andrea Ferri e Antonella Fratalocchi, dottori commercialisti in Bologna; Barbara Lunghini, avvocato in BolognaSommario: Premessa; 1. Presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità; 2. La relazione particolareggiata del curatore art. 130 CCII; 2.1 Obbligo di informativa; 2.2 Obbligo di Relazione; 3. Utilizzo della relazione particolareggiata ed efficacia probatoria della stessa; 4. L'analisi preliminare delle cause di dissesto; 5. Criteri di quantificazione del danno; 6. Il ruolo del CTU nelle azioni di responsabilità; 7. La soluzione transattiva.
Premessa
Il presente contributo, pur senza pretese di esaustività, si prefigge di fornire indicazioni pratiche, di taglio principalmente aziendalistico, ai soggetti – curatore, commissario giudiziale della liquidazione coatta amministrativa, liquidatore giudiziale, a seconda del contesto procedurale in cui si verte – che si accingono a promuovere un’azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori di una società in procedura.
Verranno illustrati i presupposti per l’esercizio dell’azione ex artt. 255 CCII (art. 146 l. fall.) i cui tratti devono essere analiticamente dettagliati e delineati nella relazione particolareggiata del curatore.
In ambito concordatario, l’art. 115 CCII ha introdotto la legittimazione processuale del liquidatore giudiziale nella fase esecutiva del concordato ad avviare o proseguire l’azione sociale di responsabilità. Nell’intraprendere l’azione, il liquidatore giudiziale fonderà la pretesa risarcitoria sulla disclosure del debitore che l’art. 87 CCII individua quale componente necessaria del piano concordatario, sulla relazione del professionista indipendente incaricato dal medesimo debitore, prevista dall’art. 87, comma 3, CCII e, infine, sulla relazione particolareggiata sulle cause del dissesto del commissario giudiziale, prevista dall’art. 105 CCII.
Il successo dell’azione di responsabilità può essere garantito solo se l’analisi svolta nella relazione particolareggiata del curatore o del commissario è chiara ed analitica e se la documentazione contabile a supporto della stessa (bilanci, schede contabili, libri giornale) risulta completa e tempestivamente acquisita nel processo. È su tale documentazione, infatti, che il Consulente Tecnico d’Ufficio nominato dal giudice, dovrà svolgere la propria analisi tecnico-contabile e redigere un elaborato tecnico idoneo a supportare il giudice nella decisione finale. La mancanza o l’insufficienza della documentazione contabile, potrebbe precludere la possibilità di analisi da parte del CTU che, conseguentemente, non sarebbe in grado di rispondere al quesito.
1. Presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità
L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori si basa principalmente sull'inadempimento dei doveri che la legge o l'atto costitutivo impongono agli stessi. Ciò include necessariamente anche la violazione dell'obbligo generale di vigilanza e quello di intervento sia preventivo che successivo, come previsto dagli articoli 2392, 2447, 2485 e 2486 del Codice Civile.
Ai sensi dell’art. 255 CCII, il curatore, previamente autorizzato ai sensi dell’art. 128, comma 2, CCII, può promuovere o proseguire le azioni di responsabilità nei confronti dei componenti degli organi delle società di capitali svolgendo le seguenti azioni: i) l’azione sociale di responsabilità ex artt. 2392-2393 c.c. nel caso di liquidazione giudiziale di una s.p.a. o ex art. 2476 c.c. nel caso in cui la liquidazione giudiziale riguardi una s.r.l. Detta azione mira a far valere la responsabilità degli amministratori per quelle violazioni dei loro doveri che abbiano cagionato un pregiudizio patrimoniale alla società che tende alla reintegrazione del patrimonio sociale; ii) l’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 c.c. per le s.p.a. e dall’art. 2476, comma 6, CCII, per le s.r.l.; iii) l’azione ex art. 2476, comma 8, c.c. nei confronti dei soci delle s.r.l.; iv) l’azione ex art. 2497, comma 4, c.c. nel caso di violazione degli obblighi di corretta gestione nelle ipotesi di direzione e coordinamento di società.
L’art. 115 CCII, in tema di concordato preventivo, prevede che il liquidatore giudiziale prosegua o eserciti l’azione sociale di responsabilità e che ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano siano opponibili al liquidatore e ai creditori sociali. Il terzo comma del medesimo articolo, prevede che in ogni caso, anche in pendenza della procedura o nel corso della sua esecuzione, permanga in capo ai creditori il diritto di esercitare o proseguire l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2394 c.c.
Infine, a chiusura del quadro normativo relativo all’azione di responsabilità, l’art. 307 CCII in tema di liquidazione coatta amministrativa, ha esteso al commissario le stesse facoltà previste dall’art. 255 CCII per il curatore della liquidazione giudiziale.
Rimandando per una più ampia ed autorevole disamina circa la natura delle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali sopra elencate ([2]), basti qui evidenziare come, in base alla teoria maggioritaria, la responsabilità ex art. 2392 c.c. ha natura contrattuale, mentre quella ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale.
Sotto il profilo probatorio che qui rileva, nel primo caso (azione sociale di responsabilità) il curatore/commissario giudiziale che agisce quale attore, ha l’onere di provare: la condotta illecita degli amministratori, il danno subito dalla società o dai creditori ed il nesso di causa tra la condotta ed il danno, mentre incombe ai soggetti convenuti in giudizio l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova, con riferimento agli addebiti contestati dell’avvenuta osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti (Cass., 24 marzo 1999, n. 2772).
Nel secondo caso (azione dei creditori) è onere del curatore/commissario dare la prova dell’inadempimento degli amministratori, del danno, del nesso causale che lega la condotta all’evento, nonché del dolo o della colpa dei convenuti i quali, a loro volta, sono esentati dall’onere della prova liberatoria di cui all’art. 1281 c.c.
2. La relazione particolareggiata del Curatore ex art. 130 CCII
La relazione particolareggiata del curatore - che rispecchia il contenuto dell’art. 33 l. fall., ma con alcune significative novità ([3]) - è il documento principale che delinea i profili di mala gestio su cui fondare l’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali.
Di seguito, si analizzano i principali aspetti normativi e giurisprudenziali correlati.
2.1 Obbligo di Informativa
L'articolo 130 CCII impone al curatore l'obbligo di redigere una relazione dettagliata sulle cause del dissesto e sulle eventuali responsabilità di amministratori e degli organi di controllo della Società.
Nel primo comma è previsto che: “Il curatore, entro trenta giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, presenta al giudice delegato un'informativa sugli accertamenti compiuti e sugli elementi informativi acquisiti relativi alle cause dell'insolvenza e alla responsabilità del debitore ovvero degli amministratori e degli organi di controllo della Società”.
Si tratta di un obbligo introdotto affinché il curatore, entro 30 giorni dall’apertura della procedura, presenti una pre-relazione in merito ai suoi primi adempienti ed alle prime informazioni acquisite. In particolare, il curatore è tenuto immediatamente ad accertare le cause che hanno determinato la crisi e l’insolvenza della società, nonché il ruolo dell’organo amministrativo e di controllo rispetto al passaggio da crisi ad insolvenza finanziaria, ovvero nel passaggio da una situazione di probabile difficoltà ad affrontare finanziariamente obbligazioni a breve termine, ad una situazione di sicura incapacità ad affrontare finanziariamente i propri obblighi nel breve termine. Con questa prima relazione, il legislatore ha introdotto il concetto di informativa intesa come raccolta di informazioni, in modo anche sintetico, in quanto sono riferibili ad un’attività iniziata nei 30 giorni precedenti ([4]).
Il secondo comma del medesimo art. 130 CCII introduce un ulteriore innovativo onere a carico del Curatore prevedendo che : “Se il debitore o gli amministratori non ottemperano agli obblighi di deposito di cui all'articolo 49, comma 3, lettera c), e se il debitore non ottempera agli obblighi di cui all'articolo 198, comma 2, il curatore informa senza indugio il pubblico ministero”.
Tale previsione assume una forma di deterrenza per il debitore il quale, a fronte di un ingresso immediato nella fattispecie penale, si sente chiamato a collaborare in modo costruttivo con il curatore e con gli organi della procedura in generale.
Sempre il secondo comma dell’art. 130 CCII dispone, dando un impulso forte ed ampio, che il Curatore abbia tutte le autorizzazioni necessarie per accedere alle banche dati ulteriori rispetto a quelle di cui all’art. 49 e specificamente indicate nell’istanza di autorizzazione come, ad esempio, l’accesso all’archivio dei rapporti finanziari.
2.2 Obbligo di Relazione
Entro 60 giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, il Curatore è tenuto a depositare una “relazione particolareggiata” sulle cause e sui tempi di emersione dello stato della crisi e della successiva insolvenza, nonché sulla diligenza e sulle responsabilità del debitore-imprenditore, unitamente a quanto possa interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale. Il Curatore ha l’ulteriore obbligo di depositare, in allegato alla relazione, il bilancio dell’ultimo esercizio formato ai sensi dell’art. 198, comma 2, CCII ed il rendiconto ai sensi dell’art. 2487 bis c.c., evidenziando le rettifiche apportate.
Nel caso in cui il debitore insolvente sia una società o un altro ente, il quinto comma dell’art. 130 CCII prevede che nella relazione debbano essere ugualmente esposti i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla responsabilità degli organi sociali, dei soci e di eventuali terzi estranei, oltre alle indicazioni sulla natura dei rapporti con altre società o enti, in caso di gruppo di imprese.
Il Curatore, infine, entro quattro mesi, e successivamente ogni sei mesi, dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, è tenuto a depositare un rapporto riepilogativo delle attività svolte, delle informazioni raccolte dopo le relazioni precedenti, il conto della sua gestione, gli estratti conto bancari o postali in riferimento al periodo in oggetto al tale relazione. Il rapporto riepilogativo deve essere inviato al comitato dei creditori che potrà svolgere osservazioni entro 15 giorni.
Nei successivi 15 giorni copia del rapporto riepilogativo, unitamente ad eventuali osservazioni del comitato dei creditori, deve essere trasmesso, a mezzo pec, al debitore, ai creditori e al titolare dei diritti sui beni della procedura, omessane le parti secretate attinenti le parti relative alla responsabilità penale del debitore e di terzi ed alle azioni che il curatore intende proporre qualora possano comportare l'adozione di provvedimenti cautelari, nonché alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investano la sfera personale del debitore (comma 8).
Analoga relazione particolareggiata sulle cause del dissesto deve redigere il commissario giudiziale ex art. 105 CCII, in cui deve esporre le cause del dissesto, precisando se l’impresa si trovi in stato di crisi o di insolvenza, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori. Il commissario deve, inoltre, illustrare le utilità che, in caso di liquidazione giudiziale, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti dei terzi. La relazione del commissario deve essere depositata almeno 45 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori del concordato; una copia della relazione è trasmessa al Pubblico Ministero.
3. L’utilizzo della relazione particolareggiata ed efficacia probatoria della stessa
La relazione particolareggiata del curatore o del commissario costituisce un documento di rilevanza cruciale nell'ambito dell'azione di responsabilità poiché può essere utilizzata per supportare le richieste di risarcimento danni nei confronti degli amministratori, sulla base dei fatti e delle circostanze accertate dal curatore/commissario.
Nonostante le modifiche apportate all’art. 33 l. fall. con la riforma del 2006 e con il decreto correttivo del 2007, la formulazione dell’art. 130 CCII non appare in grado di influenzare i termini del dibattito sviluppatosi in precedenza con riguardo all’efficacia da attribuire alla relazione del curatore.
Secondo un primo orientamento, la relazione di cui si tratta dovrebbe essere scomposta, sotto il profilo dell’efficacia, in tre parti: a) degli accertamenti di fatto direttamente compiuti dal curatore, la relazione farebbe prova fino a querela di falso; b) per quanto riguarda fatti venuti a conoscenza del curatore, e soltanto riferiti, avrebbe valore presuntivo, e sarebbe suscettibile di prova contraria; c) eventuali ragionamenti e opinioni, infine, si collocherebbero fuori dal campo delle prove ([5]).
Secondo un altro orientamento, invece, nessuna parte della relazione del curatore assurgerebbe a valore probatorio ([6]).
Di conseguenza, rispetto agli accertamenti di fatto direttamente compiuti dal curatore sarebbe ammissibile la prova contraria; gli altri elementi contenuti nella relazione relativi a fatti solo conosciuti dal curatore, potrebbero valere come indizi ed assurgere valore probatorio soltanto laddove si palesassero univoci, gravi e concordanti, mentre esulerebbero dall’ambito delle fonti di prova i giudizi espressi dal curatore ([7]).
4. L'analisi preliminare delle cause di dissesto
Nell'ambito delle procedure concorsuali, la corretta identificazione delle cause e delle circostanze del dissesto aziendale rappresenta un vaglio essenziale per intraprendere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.
Tale analisi è fondamentale per la tutela degli interessi dei creditori, tanto che, come sopra evidenziato, l'articolo 130 CCIIimpone al curatore l'obbligo di redigere una relazione dettagliata sulle cause del dissesto e sulle eventuali responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo.
La relazione deve essere redatta in modo chiaro e completo, evidenziando non solo gli aspetti finanziari, ma anche le scelte gestionali e operative che hanno condotto alla crisi.
Come detto, più la relazione è esaustiva, maggiori sono le probabilità di successo dell’azione di responsabilità.
Anche nel contesto del concordato preventivo ove pure è contemplata l’azione di responsabilità cui è legittimato il liquidatore giudiziale, assume particolare importanza, la relazione particolareggiata sulle cause del dissesto che il commissario è tenuto a redigere ai sensi dell’articolo 105, CCII.
Il commissario è, infatti, tenuto a fornire un'analisi dettagliata delle circostanze che hanno contribuito al dissesto dell'impresa in sede di concordato preventivo.
Questa analisi deve includere una valutazione delle decisioni gestionali, delle condizioni economiche e di mercato, nonché delle eventuali irregolarità o comportamenti negligenti da parte degli amministratori.
Di seguito vengono delineati i principali aspetti da considerare in tale analisi.
1. Origini del Dissesto
Identificare le origini del dissesto è cruciale per comprendere le dinamiche che hanno portato alla crisi dell’impresa. Le cause possono essere di natura interna, come decisioni gestionali errate, o esterna, come fattori economici e di mercato sfavorevoli. Questa comprensione è essenziale per attribuire le giuste responsabilità e per valutare l’esercizio dell’azione di responsabilità.
2. Epoca del Dissesto
Un altro aspetto fondamentale è la tempistica degli eventi che hanno condotto al dissesto che deve essere analizzata in modo dettagliato:
a) Retrodatazione dello stato di insolvenza: È necessario determinare il momento in cui l’organo di governance ha acquisito conoscenza della situazione di insolvenza e la relativa conoscibilità da parte di terzi.
b) Retrodatazione della perdita della continuità aziendale: Identificare il momento in cui la società non è stata più in grado di sostenere le operazioni caratteristiche dell’attività.
c) Retrodatazione dell’avvenuto azzeramento del patrimonio netto: È importante stabilire quando il patrimonio netto della società ha raggiunto un valore nullo, poiché questo evento può avere implicazioni significative sulla responsabilità degli amministratori.
d) Retrodatazione dello stato di crisi: Comprendere quando è iniziato lo stato di crisi consente di valutare l’adeguatezza delle azioni intraprese dagli amministratori in risposta a tale situazione.
3. Cause del Dissesto e Conoscibilità
L'analisi deve altresì concentrarsi sulle cause specifiche del dissesto, con particolare attenzione alla loro conoscibilità. È fondamentale determinare se le cause siano state evidenti o prevedibili per gli amministratori, in quanto questo aspetto influisce sulla valutazione della loro responsabilità.
4. Documentazione Necessaria
Per supportare l’analisi e l’eventuale azione di responsabilità, è indispensabile allegare integralmente una serie di documenti relativi agli ultimi cinque anni precedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale. Tra i documenti necessari si annoverano:
- Libro Giornale: Registro contabile obbligatorio in cui vengono registrati cronologicamente tutti i movimenti economici e finanziari di un’azienda.
- Libri IVA: Registrazione contabile in cui vengono registrate tutte le operazioni soggette a IVA, necessario per verificare la corretta gestione fiscale.
- Schede contabili: Necessarie per il monitoraggio delle singole movimentazioni contabili.
- Libri sociali: Contengono le decisioni assunte dagli organi sociali e sono fondamentali per ricostruire la gestione aziendale.
- Libro Inventari: Documento che fornisce un elenco dettagliato delle attività e passività dell'azienda.
Nel contesto dell’analisi delle cause di dissesto aziendale, è fondamentale distinguere tra le cause oggettive e soggettive della crisi. Questa distinzione è cruciale non solo per una corretta diagnosi della situazione, ma anche per la valutazione delle responsabilità eventualmente attribuibili agli organi sociali.
Cause Oggettive
Le cause oggettive della crisi sono fattori esterni che influenzano negativamente l'andamento dell’impresa, indipendentemente dalle decisioni gestionali. Queste possono includere:
- Condizioni Economiche: Rallentamenti economici, recessioni o crisi di settore che impattano negativamente sulle vendite e sui ricavi.
- Fattori di Mercato: Cambiamenti nelle preferenze dei consumatori, innovazioni tecnologiche che rendono obsoleti determinati prodotti o servizi, o l’ingresso di nuovi concorrenti.
- Normative Regolamentari: Modifiche legislative che possono influenzare l'attività dell'impresa, aumentando costi o limitando opportunità di business.
Le cause oggettive, pur essendo rilevanti nel contesto della crisi, generalmente non comportano responsabilità diretta per gli organi sociali, poiché non derivano da scelte o comportamenti negligenti.
Cause Soggettive
Le cause soggettive, al contrario, sono legate a decisioni o comportamenti degli organi sociali e possono comportare responsabilità nei loro confronti. Queste possono includere:
- Scelte Gestionali Errate: Decisioni imprenditoriali inadeguate, come investimenti non opportuni o la mancata diversificazione delle attività.
- Negligenza: Comportamenti imprudenti o assenza di una corretta supervisione delle operazioni aziendali, che possono portare a perdite significative.
- Inadeguata Pianificazione: Mancanza di strategie chiare per affrontare situazioni di crisi o la non attuazione di piani di emergenza in presenza di segnali di allerta.
- Mala Gestio: Comportamenti dolosi o fraudolenti, come la manipolazione dei bilanci o la sottrazione di beni aziendali.
Le cause soggettive possono direttamente influenzare la capacità dell’impresa di superare momenti di difficoltà e, in casi di grave negligenza o mala gestio, possono giustificare l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.
In questo contesto di analisi, è fondamentale considerare il principale postulato dell’Economia Aziendale, che afferma l'unitarietà della gestione nel tempo e nello spazio. Questo concetto implica che l'analisi dei sintomi e l'accertamento delle cause del dissesto devono essere effettuati in modo coerente e integrato, rispettando le dimensioni temporali e strutturali della gestione aziendale.
I sintomi e gli indizi di crisi rappresentano fatti censurabili, che possono includere:
- Irregolarità: Discrepanze nella gestione aziendale che possono indicare problemi sottostanti.
- Criticità e Anomalie: Eventi o comportamenti che si discostano dalle normali prassi aziendali.
- Operazioni Azzardate: Decisioni gestionali che comportano rischi eccessivi senza adeguati fondamenti.
- Vizi di Bilancio: Manipolazioni o presentazioni fuorvianti di dati finanziari finalizzate a occultare la reale situazione di dissesto.
Questi elementi non solo fungono da segnali d'allerta, ma sono anche fondamentali per la ricostruzione della situazione aziendale e possono costituire la base per l'attribuzione di responsabilità.
Le cause soggettive del dissesto possono variare e includere:
- Errori Strategici: Decisioni imprenditoriali errate che hanno portato a perdite significative.
- Investimenti Azzardati e Speculativi: Allocazione di risorse in operazioni ad alto rischio senza una giustificazione adeguata.
- Inadeguatezza Organizzativa e Amministrativa: Strutture aziendali che non supportano adeguatamente le operazioni e la gestione.
- Carenza nei Controlli Interni: Mancanza di sistemi di monitoraggio efficaci che possano prevenire il verificarsi di irregolarità.
- Sottocapitalizzazione: Insufficiente capitale a supporto delle attività aziendali, che limita la capacità di affrontare le crisi.
Queste cause possono giustificare l'esercizio dell'azione di responsabilità, poiché evidenziano negligenze o comportamenti dolosi da parte degli amministratori.
L’Analisi Temporale del Dissesto
L'analisi temporale del dissesto è un aspetto fondamentale e deve essere effettuata su un periodo di cinque anni.
Questa imputazione temporale si basa sulla carica ricoperta dagli amministratori, come risultante dalla visura camerale.
Pertanto, la responsabilità per le condotte illecite ricade su coloro che erano in carica al momento in cui si sono verificati gli eventi critici e che hanno approvato i bilanci successivi.
Nell’ambito di tutte queste valutazioni, si inserisce la regola di origine statunitense del Business judgement rule, che introduce un limite al sindacato nel merito delle scelte di gestione compiute dagli amministratori, distinguendo gli atti di gestione negligenti da quelli ricompresi nel rischio di impresa, favorendo un’interpretazione volta a effettuare una valutazione ex ante (e non ex post) delle operazioni realizzate dagli amministratori. Tale regola, da tempo acquisita dal nostro ordinamento, ha lo scopo, da un lato, di garantire agli amministratori un più ampio margine di autonomia gestionale, dall’altro, di limitarne la responsabilità in tutti quei casi in cui, pur nel rispetto degli obblighi, generali e specifici, gravanti sugli amministratori, le scelte gestionali da essi compiute si siano rivelate erronee o imprudenti.
Con ordinanza del 27 agosto 2025, n. 23963, la Corte di Cassazione ha da ultimo chiarito che in tema di violazione dei doveri di cui all’art. 2476, comma 1, c.c. la condotta dell’amministratore deve essere valutata «secondo un giudizio ex ante che tenga conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta analoga a quella adottata, nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione» (cfr. anche Cass. n. 7279/2023). Il principio della c.d. business judgement rule non esclude infatti la responsabilità dell’amministratore ogniqualvolta l’operazione posta in essere risulti irragionevole, imprudente o palesemente arbitraria (nello stesso senso, v. Cass. n. 8069/2024; Cass. n. 2172/2023).
La Corte ribadisce infine il proprio orientamento per cui, stante la natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore, la società è tenuta alla mera allegazione dell’inadempimento di quest’ultimo ai doveri sanciti dall’art. 2476, comma 1, c.c., mentre compete al convenuto la prova del «fatto estintivo del dovere gestorio asseritamente inadempiuto, e cioè di aver esattamente agito con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta».
5. Criteri per la quantificazione del danno
Con riferimento all’azione sociale di responsabilità e all’azione dei creditori sociali, l’art. 378, comma 2, ha introdotto un nuovo comma 3 all’art. 2486 c.c. dettando i criteri per la determinazione del danno risarcibile da parte degli amministratori che abbiano continuato l'esercizio dell'attività di impresa ignorando il principio conservativo imposto dal verificarsi di una causa di scioglimento, con ciò risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente in materia.
Con il nuovo art. 2486 c.c., il legislatore ha ampliato i poteri degli amministratori eliminando qualsiasi riferimento al compimento di nuovi atti d’impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci, preferendo indicare lo standard di condotta, in chiave conservativa, che gli stessi devono osservare nella fase pre liquidatoria.
L’art. 2486, comma 3, primo periodo, c.c., introduce il criterio generale: «quando è accertata la responsabilità degli amministratori, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si verifica una causa di scioglimento di cui all'art. 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione».
Il criterio di determinazione del danno provocato dalla condotta degli amministratori presuppone sempre il preventivo accertamento della responsabilità e del nesso di causalità tra l'inadempimento degli amministratori ed il pregiudizio arrecato. L’attore dovrà, dunque, allegare le condotte attive od omissive degli amministratori che hanno cagionato il danno e fornire la dimostrazione del nesso di causalità tra la condotta ed il danno.
Di seguito verranno esposte, nello specifico, le modalità di calcolo per la determinazione del danno in base al criterio generale dei netti patrimoniali.
Criterio generale delle perdite incrementali (netti patrimoniali) / c.d. Metodo sintetico periodale
Il risultato della gestione per i periodi N1 e N2 è calcolabile confrontando i valori patrimoniali in due momenti distinti e imputando la differenza ai responsabili.
La formula per il calcolo del danno è la seguente:
Danno = N1 - N2
Dove:
- N1 rappresenta il patrimonio netto alla data in cui il dissesto è divenuto conoscibile.
- N2 indica il patrimonio netto (eventualmente deficitario) al momento del fallimento.
Il criterio dei netti patrimoniali offre diversi vantaggi significativi:
1. Valutazione Sintetica del Danno: Permette una visione complessiva e continua della gestione patrimoniale, evitando frammentazioni nella valutazione.
2. Carattere Dinamico: Consente di considerare l'andamento della gestione nel lungo periodo, offrendo una valutazione più completa.
3. Obiettività e Verificabilità: La determinazione del danno è oggettiva e può essere verificata, contribuendo a ridurre le asimmetrie informative e i rischi di comportamenti opportunistici.
4. Razionalità: Si basa su principi scientifici aziendalistici, garantendo una valutazione coerente e rigorosa.
Questo criterio è particolarmente utile in situazioni in cui l'attività di impresa continua per un periodo prolungato, dopo la data del default, rendendo difficile ricostruire ex post le singole operazioni non conservative e collegare a esse un danno specifico. Permette di apprezzare, in modo sintetico ma plausibile, l'effettiva diminuzione patrimoniale della società e il danno subito da essa e dai creditori a causa della ritardata liquidazione.
Tuttavia, il criterio è presuntivo e deve essere applicato con attenzione, considerando che la prosecuzione dell'attività, per quanto conservativa, potrebbe non aver causato alcun danno. Inoltre, le perdite incrementali devono essere depurate da eventuali svalutazioni contabili severe operate dal curatore, specialmente quando i valori si avvicinano a quelli di liquidazione.
Un ulteriore approccio per affinare la valutazione dei netti patrimoniali consiste nel confrontare il valore di mercato dell'azienda al momento della perdita della continuità aziendale con il valore di alienazione durante la gara fallimentare.
Gli amministratori e i revisori sono tenuti a seguire specifiche linee guida, come il documento CNDC n. 570 sulla continuità aziendale e il documento dell'IAASB relativo alla considerazione della continuità aziendale nel contesto economico attuale.
Per determinare le cause e le circostanze del dissesto, il curatore deve rielaborare tutti i bilanci approvati oggetto di indagine, generalmente riferiti ai cinque esercizi precedenti il fallimento.
Nella relazione redatta ai sensi dell'articolo 130 CCII (articolo 33 l. fall.), il curatore deve ripresentare i bilanci in modo rielaborato, includendo le necessarie operazioni di rettifica e supportandoli con adeguata documentazione, come schede di mastro, libri IVA, libro giornale e eventuali documenti contabili contestati. Nelle rielaborazioni e nella nuova redazione dei bilanci contestati, la curatela è tenuta a seguire rigorosi criteri scientifici, facendo riferimento ai principi contabili nazionali e agli International Accounting Standards, considerando che si tratta di bilanci già approvati dall'assemblea dei soci o degli azionisti e depositati presso il Registro delle Imprese. Ad esempio, per quanto riguarda il magazzino, non sarà sufficiente effettuare una registrazione di storno delle rimanenze; sarà necessaria anche un'analisi comparativa relativa al settore merceologico, un esame dei bilanci dei principali concorrenti e dati statistici forniti da enti e istituzioni competenti (come Nomisma, Mediobanca, Ervet e Databank). Per quanto concerne le perdite su crediti, solo l'allegazione delle schede di mastro relative ai cinque esercizi precedenti consentirà al CTU di certificare l'incaglio di ciascun debitore e la corretta imputazione delle perdite.
Per una misurazione più corretta del patrimonio netto iniziale può essere utile isolare i singoli aggregati patrimoniali distorsivi.
Ciò evidenzierebbe ulteriori e precisi indizi di irregolarità e di responsabilità:
- Rimanenze gonfiate, crediti inesigibili, ecc.
- Mancate svalutazioni dei crediti, rischi legali non coperti da adeguati fondi, contenzioso erariale, ecc.
- Contenzioso Erariale (non è sufficiente allegare agli atti di causa l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate o la relativa insinuazione al passivo soprattutto se relativi ad un contenzioso tributario non ancora passato in giudicato ma ammesso solo con riserva. Dovrà il Curatore allegare tutta la contabilità generale (libro giornale, libri Iva, schede di mastro, copia fatture) quale idonea prova della condotta negligente dell’organo amministrativo che ha determinato la pretesa dell’Ufficio)
Criterio supplettivo c.d. del deficit concorsuale
Accanto al criterio generale sopra individuato, vi è quello supplettivo secondo cui «se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura».
Tale criterio, ampiamente utilizzato in passato nelle azioni di responsabilità, ha subito molte critiche in ragione dell'inadeguatezza dello stesso ad esprimere efficacemente il danno patito dalla società, dai creditori e dai terzi, sia perché prescindeva dalla prova del nesso causale, sia perché risultava approssimativo per eccesso e per difetto.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza del 6 maggio del 2015, n. 9100, ha limitato l’utilizzo indiscriminato di tale criterio stabilendo il principio per cui il criterio del deficit patrimoniale può essere utilizzato solo nelle ipotesi in cui le condotte degli amministratori siano consistite in violazioni «del dovere di diligenza nella gestione dell'impresa così generalizzate da far pensare che proprio a cagione di esse l'intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque che quei comportamenti possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell'insolvenza» .
Come è stato rilevato dal Tribunale di Milano, 24 Aprile 2023, n. 3307/2023 in tema di liquidazione del danno ex art. 2486, co. 3, c.c., non può porsi alcun problema di applicazione retroattiva dell’art. 2486, co. 3, c.c. alla luce della consolidata esegesi giurisprudenziale della disciplina previgente, trattandosi di semplice traduzione legislativa di un principio giurisprudenziale di applicazione consolidata.
Particolarmente significativa dell’esatta portata della codificazione è la differenza nella formulazione tra il primo e il secondo periodo del nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c.: mentre per il caso di responsabilità dell’amministratore da prosecuzione dell’attività di impresa in presenza di scritture contabili che consentano di ricostruire la situazione patrimoniale della società il danno è, con presunzione sino a prova contraria, individuato nella cosiddetta differenza tra i netti patrimoniali – ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o è stata aperta una procedura concorsuale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., detratti i costi sostenuti o da sostenere per la liquidazione secondo un criterio di normalità –, nell’ipotesi di accertata responsabilità dell’amministratore, ma in mancanza di scritture contabili che consentano la quantificazione dei netti patrimoniali, il dato letterale appare, in una dimensione di fatto quasi sanzionatoria, superare il regime della presunzione iuris tantum istituendo un criterio di liquidazione legale: il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.
Ravvisare nella nuova formulazione dell’art. 2486, co. 3, c.c. la previsione di un criterio legale di liquidazione del danno, nell’ipotesi di assenza o irregolarità delle scritture contabili, se da un lato favorisce il conseguimento dell’obiettivo deflattivo e acceleratorio avuto di mira dal legislatore ed enunciato nella relazione illustrativa di accompagnamento alla riforma, dall’altro non è esito interpretativo privo di conseguenze. Se, infatti, il criterio in parola stabilisce una misura legale del danno risarcibile, questo semplifica e alleggerisce notevolmente l’onere della prova gravante sul danneggiato chiamato a dimostrare solo la potenzialità lesiva della condotta dell’amministratore, ma preclude sia la possibilità per l’amministratore convenuto di offrire una prova contraria, sia la possibilità per il fallimento attore di ottenere il risarcimento di un danno diverso ed ulteriore rispetto a quello quantificabile alla stregua del confronto tra l’attivo e il passivo fallimentari.
L’applicazione del criterio di liquidazione legale del danno previsto dall’art. 2486, co. 3, c.c. secondo periodo, preclude al curatore di ottenere la liquidazione di ulteriori somme a titolo di risarcimento che si risolverebbe, peraltro, nella duplicazione di poste già comprese nella differenza tra l’attivo e il passivo fallimentare.
Il criterio supplettivo previsto dall’art. 2486 c.c. per la determinazione del danno imputabile agli amministratori e sindaci, si basa sulla differenza tra attivo acquisito, valutato nella prospettiva di realizzo e passivo accertato durante la procedura concorsuale, ovvero sulla formula:
Attivo Fallimentare - Passivo Fallimentare
Il criterio supplettivo potrà pertanto essere applicato nelle ipotesi in cui le scritture contabili della società non rappresentino fedelmente il verificarsi dei fatti aziendali a causa della irregolarità delle stesse, oppure risultino completamente assenti, false o non attendibili, rendendo impossibile determinare i patrimoni netti da confrontare, o quando, per altre ragioni non specificate, non sia possibile determinare il valore dei patrimoni netti.
6. Il ruolo del CTU nell’azione di responsabilità
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 255 CCII, dal liquidatore giudiziale ex art. 115 CCII o dal commissario liquidatore nella liquidazione coatta amministrativa ex art. 307 CCII, non è attratta dalla competenza funzionale del Tribunale del luogo ove si è aperta la procedura concorsuale, ex art. 32 CCII, restando soggetta a quella del Tribunale, Sezione Specializzata delle Imprese.
Generalmente il giudizio viene istruito mediante l’ammissione di una Consulenza Tecnica d’Ufficio che prevede la nomina di un CTU (Esperto contabile) al quale viene sottoposto un quesito elaborato dal giudice nel contraddittorio delle parti.
Il Consulente Tecnico d'Ufficio (CTU) svolge un ruolo essenziale nelle cause di accertamento del danno, con l'obiettivo di fornire un'analisi dettagliata della situazione patrimoniale e finanziaria dell'azienda coinvolta. I principali compiti del CTU includono:
- Analisi delle Cause e Circostanze del Dissesto: Il CTU deve esaminare le cause che hanno portato al dissesto dell'azienda, valutando le dinamiche interne (come decisioni gestionali errate) ed esterne (come crisi di mercato) che hanno influito sulla sua situazione economica. Questa analisi è fondamentale per comprendere la responsabilità degli amministratori e la possibilità di azioni risarcitorie.
- Check-up Economico-Finanziario: Attraverso l'analisi di bilanci riclassificati e l'uso di indici di bilancio, il CTU esegue un check-up completo della salute finanziaria dell'azienda, identificando eventuali anomalie e segnali di allerta che possano essere utili per il giudizio finale.
- Stabilire la Data di Conoscibilità dell'Irreversibilità della Crisi: È fondamentale determinare il momento in cui la crisi è divenuta irreversibile, poiché questo può influenzare le responsabilità degli amministratori. La giurisprudenza ha riconosciuto che la tempestività nel riconoscere una crisi può ridurre le responsabilità civili e penali degli amministratori (Tribunale di Milano, 22 settembre 2015).
- Accertamento della Veridicità dei Singoli Aggregati Patrimoniali: Il CTU deve verificare l'accuratezza e la veridicità dei vari elementi patrimoniali, assicurandosi che siano correttamente rappresentati nei bilanci. Eventuali discrepanze possono giustificare azioni legali contro gli amministratori.
- Valutazione del Capitale Economico Iniziale: È necessario valutare il capitale economico iniziale per ottenere un quadro chiaro del valore dell'impresa, che servirà come base per ulteriori analisi e per determinare l'entità dei danni.
- Identificazione di Atti, Fatti e Operazioni Pregiudizievoli: Il CTU deve identificare le operazioni che hanno avuto un impatto negativo sulla situazione patrimoniale, quantificando analiticamente i danni subiti dall'azienda come prima approssimazione. Questa fase è cruciale per la preparazione di eventuali richieste di risarcimento.
- Vagliatura dei Documenti del Fascicolo di Causa: Il CTU esamina documenti pertinenti come il libro giornale, i mastrini e le fatture, collaborando con i Consulenti Tecnici di Parte (CTP) per valutare le argomentazioni della curatela espresse nella relazione ai sensi dell'articolo 130 CCII (ex articolo 33 L.F.).
La sentenza della Corte di cassazione, Sez. Un. Civili, 1 febbraio 2022, n. 3086 (Pres. Raimondi. Est. Marulli), ha chiarito i poteri del CTU nell’acquisire documenti dalla parti, sempre nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, enunciando i seguenti principi di diritto in materia:
- “il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d’ufficio”.
- “il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio”.
- “In materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 cod. proc. civ.) il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni”. In tali circostanze, il Consulente Tecnico d'Ufficio (CTU), su richiesta della parte convenuta, non potrà sollevare l'eccezione di cui all'articolo 198 del codice di procedura civile riguardo alla mancata allegazione dei documenti al fascicolo del procedimento.
- “l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso”.
Per quanto riguarda il regime della nullità della perizia tecnica, la Corte ha statuito che ricorre:
- nullità relativa, nel caso in cui il consulente accerti, in violazione del principio del contraddittorio, fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni;
- nullità assoluta, nel caso in cui il consulente accerti fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, per violazione del principio della domanda e del principio dispositivo.
7. La soluzione transattiva
Tra le prerogative del CTU rientra anche la possibilità di coadiuvare le parti nel raggiungimento di soluzioni transattive, specie nelle azioni di responsabilità promosse dal curatore o dal liquidatore giudiziale. I momenti di analisi sopra descritti consentono di giungere, attraverso successive approssimazioni, alla formulazione di un giudizio tecnico–contabile che, pur non sostituendo la valutazione giuridica del giudice, consente di prefigurare l’entità del danno, la probabilità di affermazione della responsabilità degli amministratori e, conseguentemente, i margini entro cui può svilupparsi un confronto negoziale.
Un percorso metodologico strutturato – fondato sulla ricostruzione delle cause del dissesto, sulla rielaborazione dei bilanci, sull’individuazione degli atti pregiudizievoli e sulla quantificazione del danno secondo i criteri di legge – aumenta in modo significativo l’efficacia della mediazione tecnica del CTU nella fase di transazione. L’analisi delle operazioni pregiudizievoli e degli esercizi inclusi nel periodo di interesse può aprire la strada a possibili transazioni individuali o plurime, facilitando la risoluzione delle controversie in modo più efficiente e riducendo l’alea processuale per tutte le parti coinvolte.
La giurisprudenza di merito [8] ha più volte sottolineato l’importanza del ruolo del CTU in questo contesto, richiedendo che la relazione peritale sia chiara, motivata e supportata da evidenze documentali, così da consentire al giudice di fare affidamento sulle conclusioni tecniche anche quale base di eventuali sollecitazioni alle parti per una soluzione conciliativa.
In presenza di debitori solidali (si pensi alla responsabilità concorrente di più amministratori o sindaci), la tematica della soluzione transattiva si intreccia con la disciplina codicistica delle obbligazioni solidali e con l’art. 1304 c.c., nonché con i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la nota sentenza 30 dicembre 2011, n. 30174, hanno anzitutto chiarito che, per stabilire gli effetti di una transazione intervenuta tra il creditore ed uno dei debitori solidali, occorre distinguere tra:
a) transazione avente ad oggetto l’intero debito: in questo caso la transazione, ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c., può produrre effetti anche nei confronti degli altri coobbligati, benché rimasti estranei all’accordo, i quali hanno il diritto di dichiarare di volerne profittare. Tale diritto, di matrice legale, non può essere escluso da pattuizioni limitative inserite nell’accordo tra il creditore ed il solo condebitore transigente, essendo la norma imperativa nella parte in cui attribuisce agli altri debitori la facoltà di profittare della transazione;
b) transazione avente ad oggetto la sola quota del debitore con cui è stata stipulata: in tal caso la solidarietà passiva si scioglie limitatamente al rapporto tra il creditore ed il debitore transigente, e gli altri debitori non possono invocare, di regola, gli effetti dell’accordo, permanendo la loro piena esposizione verso il creditore per la parte residua del debito.
Nell’ambito di questa seconda ipotesi, le Sezioni Unite hanno precisato i criteri di riduzione del debito residuo gravante sugli altri debitori solidali: se il debitore che transige versa una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito, il debito residuo complessivo verso il creditore deve ridursi dell’intero importo versato; se, invece, la somma corrisposta è inferiore alla quota ideale, il debito residuo si riduce comunque in misura corrispondente alla quota ideale del debitore che ha transatto, e non al solo importo pagato. In tal modo si evita che una transazione “al ribasso” possa aggravare, in via riflessa, la posizione degli altri coobbligati.
Su questa linea si colloca la giurisprudenza più recente: la Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2021, n. 25980, ha ribadito che, nel caso di transazione pro quota con uno dei condebitori solidali, la riduzione del debito residuo deve essere parametrata alla quota ideale del transigente, e non al solo importo effettivamente corrisposto, confermando l’impostazione di sistema già tracciata dalle Sezioni Unite. Anche la giurisprudenza di merito (ad esempio Trib. Milano, 28 maggio 2019) ha applicato tali principi in materia di responsabilità degli amministratori, valorizzando la funzione riequilibratrice della riduzione pro quota del debito.
Per il CTU, chiamato ad assistere il giudice nella quantificazione del danno e nella valutazione delle possibili ipotesi transattive, tali arresti giurisprudenziali assumono rilievo pratico nella costruzione degli scenari di definizione del contendere. In particolare:
- quando la transazione prospettata coinvolge uno solo tra più amministratori convenuti, occorre preliminarmente chiarire se l’accordo debba considerarsi riferito all’intero debito risarcitorio azionato ovvero alla sola quota del debitore che intende transigere;
- nel primo caso, gli altri amministratori potranno essere posti nelle condizioni di dichiarare di voler profittare della transazione ex art. 1304 c.c., con conseguente possibile estensione degli effetti liberatori o riduttivi anche in loro favore;
- nel secondo caso, il CTU dovrà verificare che la quantificazione dell’importo concordato sia coerente con la quota ideale di responsabilità attribuibile al debitore transigente, prospettando al giudice (e, per il suo tramite, alle parti) l’effetto di riduzione del debito residuo in applicazione dei principi fissati dalla Cassazione.
La prassi applicativa evidenzia, tuttavia, alcune questioni ancora controverse.
In primo luogo, non sempre la “quota ideale” del singolo amministratore è agevolmente determinabile, specie quando le condotte illecite sono plurime, diacroniche e tra loro interferenti: in tali casi, la stima equitativa della percentuale di responsabilità di ciascun soggetto assume un margine inevitabile di discrezionalità tecnica, che il CTU deve motivare in modo particolarmente accurato.
In secondo luogo, la distinzione tra transazione sull’intero debito e transazione pro quota non è sempre univocamente desumibile dal tenore letterale dell’accordo, imponendo un’interpretazione complessiva della volontà delle parti e delle circostanze del caso concreto.
Ulteriori profili di discussione attengono alla natura talvolta novativa della transazione e alla compatibilità di tale natura con l’applicazione dell’art. 1304 c.c.: parte della dottrina[9] ritiene che, in presenza di una transazione novativa sull’intero debito, il diritto degli altri coobbligati di profittarne non venga meno, dovendosi pur sempre valorizzare la funzione di tutela del coobbligato estraneo prevista dalla norma.
Altri orientamenti, più restrittivi, enfatizzano invece la necessità di una valutazione caso per caso, in ragione della struttura concreta dell’accordo e dell’eventuale rinegoziazione complessiva del rapporto.
Nei giudizi di responsabilità degli amministratori, tali incertezze si riflettono sul piano operativo: il CTU, nel prospettare l’ipotesi transattiva, dovrà segnalare espressamente al giudice – e, quindi, alle parti – l’esistenza di margini interpretativi ancora dibattuti, così che la scelta di aderire o meno alla transazione avvenga in piena consapevolezza dei possibili sviluppi giurisprudenziali.
In definitiva, la soluzione transattiva, quando è costruita alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite del 2011, dalla successiva Cass. n. 25980/2021 e dalla giurisprudenza di merito, rappresenta uno strumento idoneo a comporre in modo efficiente le liti in materia di responsabilità degli amministratori.
Il contributo del CTU è decisivo nel tradurre tali principi in scenari numerici coerenti, nella ripartizione delle quote di responsabilità e nella valorizzazione degli effetti, anche riflessi, della transazione sui coobbligati non transigenti, così da rendere la scelta negoziale razionale, informata e, per quanto possibile, stabile nel tempo.
Conclusioni
In conclusione, è possibile affermare che il successo di un’azione di responsabilità può essere garantito solo dalla completezza dei dati e delle circostanze riportate nella relazione particolareggiata del curatore o del commissario giudiziale, a seconda del contesto procedurale in cui viene promossa. Essenziale, anche per definire un accordo transattivo, è il corredo documentale contabile a supporto dell’azione di responsabilità su cui verrà svolta l’analisi del CTU, non acquisibile aliunde, senza il previo consenso di tutte le parti le quali si guarderanno bene dal concederlo laddove, ad esempio, il curatore abbia per sua colpa omesso di assolvere l’onere probatorio a suo carico.
La mancanza del corredo contabile, salvo che ciò non dipenda dal debitore che ha distrutto o occultato le scritture contabili, non consente al CTU di quantificare il danno in base ai criteri di legge comportando, in taluni casi, l’impossibilità di redigere l’elaborato peritale e quantificare il danno.
In assenza di un danno specifico documentato, il curatore potrebbe trovarsi nella condizione di non avere assolto l’onere probatorio a suo carico col conseguente inevitabile rigetto della domanda per difetto di prova da parte del Tribunale.
[1] Andrea Ferri e Antonella Fratalocchi sono dottori commercialisti in Bologna; Barbara Lunghini è avvocato del foro di Bologna.
([2]) v. Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II ed, diretto da O. CAGNASSO e L. PANZANI, Milano, 2025, pag. 1561 e ss.
([3]) In tal senso GRAZIANO, NIGRO, Dal fall. al nuovo CCII dopo il d.lgs. 14/19, 117in cui precisa che: “La norma di nuova istituzione attinge a piene mani dal vecchio e consolidato sistema informativo dell’art. 33 l. fall., ma prevede obblighi ulteriori ed anche più celeri”.
([4]) Cfr. CAPRINO, in BURRONI, SANZO ASPRELLA, in SANTANGELI, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, p. 201
([5]) Si veda Trib. Milano, 18.1.2011, nonché App. Ancona 20.1.2011, dove, sulla stessa linea, si è affermato che “l’efficacia probatoria di quanto riferito dal curatore fallimentare nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 l. fall. si sarebbe atteggiata diversamente a seconda che si trattasse: a) di fatti compiuti dal curatore o avvenuti in sua presenza; b) di fatti riferiti dal curatore, ma diversi da quelli indicati sub a); c) di semplici valutazioni od opinioni. Nel primo caso, alla relazione avrebbe dovuto essere riconosciuta efficacia di prova legale, in quanto atto formato da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, e quindi facente piena prova fino a querela di falso. Nel secondo caso, il giudice, in base al principio del libero convincimento, avrebbe avuto la possibilità di porre a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché venisse fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione e purché tali prove «atipiche» non venissero utilizzate per aggirare divieti o preclusioni di carattere sostanziale o processuale. Delle valutazioni od opinioni personali del curatore, sarebbe risultata evidente, infine, la irrilevanza ai fini probatori”.
([6]) Per Trib. Bologna, 8 febbraio 2018, le opinioni e le valutazioni del curatore contenute nella relazione ex art. 33 L. fall. non hanno efficacia probatoria nel giudizio i cui il curatore è parte. Questa sentenza richiama espressamente App. Ancona, 20 gennaio 2011; Trib. Milano 22 giugno 1988, secondo cui la relazione non può costituire prova dei fatti in essa descritti e posti a fondamento della domanda.
([7]) Ulteriori orientamenti si sono sviluppati nella giurisprudenza di merito. Secondo App. Napoli 30.3.2005, le affermazioni contenute nella relazione del curatore fallimentare farebbero piena prova fino a querela di falso, soltanto dove fossero specificate le modalità di accertamento, da parte del curatore, delle circostanze che ne costituivano oggetto, rappresentando, in caso contrario, dette affermazioni, solo indizi liberamente valutabili; secondo Trib. Milano 16.5.1988 (Fall. 89, 720, con nota di Tarzia) e Trib. Milano 22.6.1989 (Fall. 89, 1275), la relazione prodotta in un giudizio di cognizione promosso dal curatore, non potrebbe costituire prova dei fatti in essa contemplati e posti a fondamento della domanda giudiziale.
[8] Trib. Venezia 10 ottobre 2025 n. 4723 e Trib. Milano, 21 dicembre 2017 n. 12948.
[9] In tema di applicazione “estensiva” dell’art. 1304 c.c., in dottrina: G. Visintini, La transazione, in Tratt. dir. priv. dir. civ. e comm. diretto da P. Rescigno, UTET; L. Bigliazzi Geri, Obbligazioni, in Trattato Cicu-Messineo, Giuffrè; C.M. Bianca, Diritto Civile, vol. V, Giuffrè; A. Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, Giuffrè; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI; P. Torrente – A. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè.
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