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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/04/2014 Scarica PDF

Considerazioni sulla qualificazione negoziale e sui requisiti di validità e di efficacia dei contratti "derivati" stipulati da enti locali

Andrea Berti, Avvocato


(Nota alla sentenza della Corte di appello di Bologna n. 734 del 11 marzo 2014)

 

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La qualificazione dei contratti “derivati” contenenti clausole di “up-front” sotto il profilo tipologico secondo una visione unitaria dell'ordinamento. - 3. La qualificazione dei contratti "derivati" contenenti clausole di “up-front” sotto il profilo strutturale alla luce del criterio della combinazione ed integrazione delle discipline contrattuali. - 4. Conseguenze della qualificazione della clausola di “up-front” come clausola di finanziamento sotto il profilo del procedimento amministrativo che precede la stipula dei contratti e dei requisiti di validità e di efficacia degli stessi. - 5. La qualificazione dei contratti “derivati” sotto il profilo strutturale come contratti “collegati” ai rapporti debitori sottostanti.

 

 

1. Introduzione

La sentenza in commento rappresenta, a quanto consta, la prima pronuncia di una Corte d'Appello in sede civile in materia di contratti “derivati” stipulati da Enti locali ed offre lo spunto per alcune considerazioni su una tematica ancora poco approfondita a livello dottrinale e giurisprudenziale, afferente alla qualificazione negoziale dei predetti contratti.

Se qualificare giuridicamente un contratto significa assegnarlo ad una data categoria giuridica e schema legale, al fine di individuare la disciplina legale concorrente con quella pattizia, nello specifico dei contratti “derivati” stipulati da Enti pubblici, l'operazione qualificatoria assume rilievo sotto un duplice profilo, tipologico e strutturale: sotto il primo profilo, essa è volta a ricercare nel contratto i caratteri della tipicità o atipicità in relazione alla sua conformità o meno ad un modello di operazione economica prevista dall'ordinamento; sotto il secondo aspetto, essa mira a scrutarne la struttura e ad individuarne la disciplina applicabile avuto riguardo al fenomeno del negozio “misto” (o “complesso”) e del “collegamento negoziale”.

La sentenza di cui trattasi offre interessanti spunti in merito all'operazione qualificatoria di questi particolari tipi contrattuali sotto entrambi i profili sopra menzionati, traendone le conclusioni sul piano civilistico dei requisiti di validità e di efficacia dei contratti stessi.

  

2. La qualificazione dei contratti “derivati” contenenti clausole di “up-front” sotto il profilo tipologico secondo una visione unitaria dell'ordinamento

E' noto che i contratti “derivati” ed in particolare i contratti di "Interest rate swap" (I.R.S.) [1] si sono spontaneamente diffusi nella pratica degli affari come contratti atipici [2]

La prima definizione legislativa risale all'art. 1, comma 1, lett. g) del D.Lgs. 23.07.1996, n. 415 (di recepimento della Direttiva comunitaria 93/22/CEE del 10.05.1993), norma successivamente abrogata e riprodotta nell'art. 1, comma 2, lett. g) del D.Lgs. 24.02.1998, n. 58.

Con il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) il legislatore li ha assegnati al genus degli "strumenti finanziari" secondo la definizione fornita dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. 58/1998 ed in particolare a quello degli "strumenti finanziari derivati" (art. 1, comma 3, D.Lgs. 58/98), disciplinandone (ancorchè in modo frammentario e disorganico) alcuni aspetti anche dal punto di vista della struttura negoziale (vedi ad esempio artt. 23 e 30).

Con riguardo alla disciplina codicistica, trattasi di negozi usualmente definiti come contratti a prestazioni corrispettive e come contratti aleatori, nel senso che la prestazione delle parti dipende da un evento futuro ed incerto quale la fluttuazione dei tassi di interesse.

Va, però, considerato che, parallelamente alla disciplina codicistica ed a quella generale sulla intermediazione finanziaria, è andata via via gradualmente sviluppandosi un'ampia disciplina di origine pubblicistica, riguardante i contratti derivati stipulati dagli Enti pubblici [3].

Le ratio sottesa a questa disciplina differenziata appositamente coniata per gli Enti pubblici è stata efficacemente descritta dalla Corte Costituzionale, che ha evidenziato la necessità del legislatore di tener conto “della spiccata aleatorietà delle negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari in esame, all'evidente scopo di evitare che possa essere messa in pericolo la disponibilità delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere appunto pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività” (sentenza n. 52 del 18.02.2010).

Il Giudice delle Leggi ha così avuto modo di rimarcare come la disciplina legislativa predetta 'si collochi alla confluenza di un insieme di materie, quelle relative ai “mercati finanziari”, all'”ordinamento civile” ed al “coordinamento della finanza pubblica”'.

Trattasi di una normativa di stampo e derivazione pubblicistica, di natura "speciale" (in quanto destinata a disciplinare l'attività contrattuale delle P.A.) e di sempre più marcata pervasività (in quanto destinata a disciplinare molteplici aspetti della suddetta attività contrattuale).

Ne deriva un modello legale di contratto che attinge necessariamente ad entrambi i rami dell'ordinamento (quello per così dire privatistico e quello pubblicistico), sicchè non è azzardato ritenere che oggi i contratti derivati degli Enti Pubblici sono "contratti tipici", la cui disciplina è contenuta in un corpus normativo composto in parte dalla normativa generale codicistica e sulla intermediazione finanziaria ed in parte da una disciplina speciale pubblicistica [4].

Questa prima considerazione sembra essere stata tenuta ben presente dalla Corte d'Appello di Bologna, che, nel qualificare i contratti derivati sottoposti al suo esame, ha rimarcato che "non sussiste incompatibilità alcuna fra la normativa civilistica e quella amministrativa" regolanti i derivati degli Enti pubblici, trattandosi di discipline destinate ad essere "integrate" vicendevolmente.

Ciò significa che la normativa privatistica e quella pubblicistica (utilizzando tali definizioni convenzionalmente, essendo noti i limiti della distinzione) non sono monadi a sè stanti, ma fungono da vasi comunicanti ed il fatto che i contratti derivati (nelle loro molteplici varianti) siano contemplati - e per certi aspetti disciplinati - dal D.Lgs. 58/1998 in materia di intermediazione finanziaria, non significa che essi non soggiacciano contemporaneamente alla concorrente disciplina di rango pubblicistico.

In altri termini, poichè il processo di qualificazione negoziale serve ad identificare il modello legale astratto di un contratto nel quale inquadrare quello in concreto stipulato, nella fattispecie dei derivati stipulati dagli Enti pubblici l'individuazione del modello legale deve considerare anche l'esistenza della predetta normativa speciale di rango pubblicistico.

Il concetto può apparire ovvio, ma è in realtà denso di implicazioni giuridiche, se si considerino i suoi corollari e le conseguenze da esso derivanti sul piano della individuazione dei requisiti di validità ed efficacia di quei contratti [5]

 

Alla luce di questa premessa, vanno in particolare considerate le peculiarità dei contratti stipulati da Enti pubblici contenenti clausole di up-front (o c.d. sconto o premi di liquidità).

Dal punto di vista pratico, l'up-front è quella somma che viene percepita da uno dei due contraenti al momento della stipula del derivato.

Detta clausola può avere diverse finalità, a seconda che si tratti della stipula ex novo di un contratto derivato o della rinegoziazione di uno precedente.

L'elemento innovativo della pronuncia in commento è quello di avere valorizzato, sotto il profilo della qualificazione negoziale, l'up-front come elemento di fondamentale importanza nel programma contrattuale stabilito dalle parti, capace di determinare e sostanzialmente modificare le condizioni economiche dell'operazione, incidendo sull'elemento causale, da intendersi quale funzione in concreto esercitata dal contratto.

In altri termini, secondo la Corte felsinea la clausola che prevede l'up-front è una clausola particolare, riguardante le modalità di determinazione delle rispettive prestazioni contrattuali, che entra nella "causa" del contratto ed è quindi in grado di influire in modo rilevante sulla qualificazione giuridica dello stesso e pertanto sulla disciplina legale ad esso applicabile.

In effetti, la rilevanza della clausola suddetta è da tempo sotto la lente della dottrina, che ha parlato in proposito di “clausole di importazione o clausole aliene” rispetto al derivato [6].

Occorre, al riguardo, distinguere due diverse fattispecie.

In caso di stipula ex novo di un contratto derivato, l'up-front rappresenta la somma che viene percepita dal cliente a titolo di anticipazione di una parte dei differenziali positivi attesi.

E' di rilievo il fatto che detto importo, a differenza dei flussi futuri (che sono indeterminati nel segno e nell'importo), rappresenta una somma determinata e certa, che viene corrisposta immediatamente dall'intermediario al cliente.

Sotto questo profilo, si è sostenuto che l'up-front inciderebbe soltanto sulle modalità del pagamento (unica soluzione anzichè in più), senza per ciò stesso costituire un "indebitamento", che sarebbe un mero effetto possibile del contratto [7].

Questa tesi non è condivisibile, perchè in realtà, nonostante le apparenze, occorre porre mente al fatto che mentre nel contratto di swap le prestazioni delle parti dipendono di regola da un evento futuro ed incerto (quale la fluttuazione dei tassi di interesse), le prestazioni conseguenti alla previsione della clausola di up-front, oltre ad essere ben individuate, sono del tutto certe, essendo rappresentate da una parte dall'erogazione di una determinata somma di denaro, dall'altra dal peggioramento delle condizioni contrattuali in termini di tasso applicato o di spread [8]: in tal modo, il contratto viene a perdere il suo tipico carattere di aleatorietà.

Parimenti non è condivisibile l'affermazione secondo la quale a fronte della corresponsione della somma di denaro a titolo di up-front non sarebbe prevista alcuna forma di rimborso, atteso che questo si sostanzia e si concretizza, ad ogni scadenza periodica del tasso, nella differenza tra le condizioni applicate e quelle che la Banca avrebbe applicato in assenza del c.d. "premio di liquidità".

Non può confondersi, invero, la non estrinsecazione nel contratto del meccanismo di rimborso (causato dal deficit di informazione da parte dell'intermediario) con l'inesistenza dello stesso: l'up-front corrisposto dalla banca in effetti è sempre pagato (rectius: rimborsato) dal cliente, ancorchè in modo occulto [9].

Questo dato è particolarmente valorizzato dalla Corte bolognese, la quale efficacemente rileva come la clausola di up-front non possa essere definita senza considerarne gli effetti.

Peraltro, questi peculiari aspetti legati alle clausole di up-front sono ben noti al Giudice contabile, secondo il quale operazioni siffatte sono sostanzialmente analoghe a quelle di un mutuo [10].

Ad analoghe conclusioni si giunge per i contratti derivati con i quali le Amministrazioni "rinegoziano" contratti derivati già esistenti, laddove questi ultimi vengono in tutto o in parte estinti mediante valorizzazione ed attualizzazione del loro valore di mercato (mark to market), unilateralmente determinato dalla banca mediante previsione di up-front destinato ad essere utilizzato, in tutto o in parte, per coprire il "costo di sostituzione" della prima operazione estinta.

E' infatti evidente che queste "rinegoziazioni" finiscono spesso per servire proprio per “finanziare” le perdite del primo, la cui chiusura anticipata definitivamente consolida.

In disparte la problematica della effettiva corrispondenza della “rinegoziazione” alla funzione di copertura del rischio che per legge devono necessariamente avere i derivati degli Enti pubblici [11], ciò che è certo è che il c.d. “premio di liquidità” previsto con la "rinegoziazione" di precedenti contratti derivati non può essere considerato un semplice anticipo dei futuri ed eventuali flussi finanziari del contratto estinto, ma rappresenta (in tutto o in parte) il valore negativo di quest'ultimo al momento della sua conclusione, di talchè è innegabile la sua natura di “finanziamento” / “indebitamento” dell'Ente.

Anche questo aspetto è stato adeguatamente considerato dalla Corte felsinea, che sottolinea come l'up-front previsto in una "rinegoziazione" di derivati serva in gran parte a coprire il "costo di sostituzione" del derivato sostituito.

Uno degli aspetti più innovativi della sentenza in commento è di avere per la prima volta affermato che, poichè la qualificazione negoziale deve attingere ad entrambi i rami dell'ordinamento, compreso quello di matrice pubblicistica,  per accertare se le clausole di up-front contenute in contratti derivati stipulati da Enti pubblici siano da assimilare a veri e propri "finanziamenti", occorre avere riguardo alla nozione di "finanziamento-indebitamento" assunta dalla normativa pubblicistica, che concorre, insieme ad altre fonti (D.Lgs. 58/1998 e Codice Civile), a disciplinare l'istituto contrattuale [12].

In questa prospettiva, la nozione di "indebitamento" dell'Ente pubblico non può essere tratta o desunta dal Codice civile, poichè questo si occupa di "indebitamento" e "finanziamento" a tutt'altri fini; nè tale concetto è sovrapponibile meccanicamente con le operazioni di "mutuo".

La nozione è invece frutto dell'elaborazione della scienza delle finanze ed è giocoforza destinata ad assumere rilevanza nella qualificazione giuridica dei contratti della P.A..

Sotto questo profilo, assumono precipua rilevanza i riflessi che le operazioni contrattuali comportano sulla situazione economico-finanziaria dell'Ente, di talchè costituiscono "indebitamento" tutte quelle attività di reperimento di risorse finanziarie che concorrono a determinare il "disavanzo" dell'Ente.

D'altra parte, che l'up-front debba essere riguardato e trattato come vero e proprio "indebitamento" trova oggi conferma in recenti interventi legislativi [13], che registrano un assetto definitorio già presente nella prassi e nella giurisprudenza contabile [14].

Sotto questo aspetto, il Legislatore ha avvertito l'esigenza di mettere nero su bianco definizioni già ricavabili in via interpretativa dall'ordinamento [15].

  

3. La qualificazione dei contratti "derivati" contenenti clausole di “up-front” sotto il profilo strutturale alla luce del criterio della combinazione ed integrazione delle discipline contrattuali 

Ovviamente, il "derivato" non si risolve e non si esaurisce nell'up-front, che, laddove previsto, ne rappresenta un elemento negoziale.

E', pertanto, da verificare se il ruolo assunto da clausole siffatte nel complessivo contesto del regolamento contrattuale giustifichi il suo assoggettamento alla disciplina di settore, ovvero alla normativa relativa all'"indebitamento" degli Enti pubblici.

Sotto questo profilo, la Corte d'Appello di Bologna ha correttamente inquadrato la fattispecie del "derivato" contenente l'up-front nell'ambito delle tipologie contrattuali "miste", ovvero di quei contratti a struttura complessa in cui si sommano e si combinano più elementi negoziali dotati di una loro autonomia, ognuno riconducibile ad una sua "causa", con conseguente assoggettamento alla disciplina tipica sua propria, in quanto non incompatibile con le altre.

A questo riguardo, la Corte ha chiaramente aderito alla nota "teoria della combinazione o integrazione" della discipline, per la quale la disciplina unitaria dei contratti misti, cioè quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza) non esclude ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale; elementi ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto non incompatibili con quelle del contratto prevalente (Cass. sez. III 10.03.1979, n. 1494; sez. II 02.12.1997, n. 12199; sez. III 22.06.2005, n. 13399).

Non vi sono, infatti, ragioni per ritenere che la disciplina della clausola di "up-front" alla stregua di un "finanziamento" sia incompatibile con la disciplina degli altri elementi negoziali presenti nel contratto e ciò neppure qualora si ritenesse che la clausola suddetta non abbia carattere di prevalenza nel complessivo regolamento contrattuale [16].

La peculiarità del nostro caso consiste nel fatto che la “combinazione/integrazione” delle discipline avviene tra pezzi dell'ordinamento civilistico e pezzi dell'ordinamento pubblicistico, che alla disciplina dell'"indebitamento" dedicano un'apposita regolamentazione.

Sotto questo profilo, la Corte d'Appello ha chiaramente affermato “che non sussiste incompatibilità alcuna, né astratta, né concreta, fra le norme civilistiche e amministrative regolanti lo swap “puro” rispetto a quelle in ipotesi regolatrici di una enucleabile sottocategoria di swaps connotati da una specifica forma di indebitamento possibilmente individuabile nella clausola di upfront, con conseguente integrazione della relativa disciplina, se anche più restrittiva per la sottocategoria individuata. Infatti vietare o sottoporre a restrizioni un tipo contrattuale perchè prevede determinate pattuizioni non è di per sé incompatibile con la disciplina generale di altro tipo contrattuale consentito perchè tali pattuizioni non prevede; la sommatoria della due discipline comporterà la possibilità o meno di conclusione del contratto misto risultante purchè siano rispettati i requisiti previsti da entrambe.”

  

4. Conseguenze della qualificazione della clausola di “up-front” come clausola di finanziamento sotto il profilo del procedimento amministrativo che precede la stipula dei contratti e dei requisiti di validità e di efficacia degli stessi

La qualificazione giuridica dei contratti prevedenti clausole di up-front in termini di '"indebitamento"/"finanziamento" comporta il loro assoggettamento alla relativa normativa speciale giuspubblicistica. In particolare, vengono in considerazioni le seguenti norme.

 

A) Artt. 42 e 203 D.Lgs. 267/2000.

Secondo il combinato disposto di cui agli artt. 42 e 203 del T.U.E.L., il ricorso all'"indebitamento" va deliberato dal Consiglio comunale (organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell'Ente), secondo determinate modalità procedimentali (esso presuppone l'avvenuta deliberazione del bilancio annuale nel quale sono contenute le relative previsioni).

La Deliberazione consiliare rappresenta, per questa particolare procedura negoziale, la Deliberazione a contrattare (secondi i dettami stabiliti, con norma di portata più generale, dall'art. 192, comma 1, del D.Lgs. 267/2000), che ha la funzione di autorizzare l'operazione contrattuale, avuto riguardo a tutte le sue componenti essenziali [17].

Segnatamente, la delibera consiliare deve necessariamente indicare: "a) il fine che il contratto intende perseguire; b) l'oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali; c) le modalità di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni e le ragioni che sono alla base.".

Il fatto che l'art. 42 del TUEL, nell'elencare gli atti di competenza consiliare, non contempli espressamente gli strumenti finanziari derivati, facendo riferimento soltanto ai "mutui", non è decisivo per escluderne l'applicabilità, sia perchè la Deliberazione consiliare per il ricorso all'"indebitamento" è espressamente prevista dall'art. 203, comma 1 lett. b) del TUEL [18], che esige l'approvazione delle relative previsioni di spesa nell'ambito del bilancio annuale, sia perchè la necessità di un'apposita e specifica Delibera di Consiglio che autorizzi la contrattazione in "derivati" si ricava anche dall'art. 42, comma 2, lett. i), che tra gli "atti fondamentali" del Consiglio fa riferimento alle "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi …" [19] [20].

Quanto sopra è il portato della logica degli assetti delle competenze istituzionali all'interno dell'Ente, atteso che i “derivati”, in quanto operazioni finanziarie di durata, comportano impegni finanziari così rilevanti per l'Ente da condizionare ed avere ricadute negative sulla gestione dei suoi bilanci per molti anni: conseguentemente, un ruolo centrale non può che essere riservato al Consiglio comunale che, quale organo esponenziale della popolazione di riferimento dell'Ente, è l'unico soggetto che può valutare l'opportunità di porre vincoli all'utilizzo delle risorse future.

La preventiva Delibera di Consiglio comunale, in quanto delibera a contrattare, ha valenza e funzione "autorizzativa" la stipula del "derivato", di talchè la sua mancanza - o il difetto dei suoi requisiti essenziali - comporta rilevanti conseguenze sul contratto.

Quello dei rapporti tra gli atti propedeutici alla stipula dei contratti della P.A. ed i contratti stessi è, come noto, un tema molto dibattuto anche nell'ambito della stessa giurisprudenza di legittimità, nell'ambito della quale sono emerse tesi diverse nel corso del tempo.

Secondo il più tradizionale orientamento, la mancanza o la sussistenza di un vizio radicale dell'apposito atto autorizzatorio a contrattare integra una causa di annullabilità del negozio ex artt. 1425 o 1427 del Codice Civile, sul rilievo che le norme che regolano le procedure ad evidenza pubblica servono a consentire la corretta formazione della volontà del contraente pubblico, di tal che la loro violazione costituisce un vizio del consenso della P.A. o comunque ne rivela l'incapacità a contrarre (Cass. sez. II 08.05.1996, n. 4269; I 28.03.1996, n. 2842; II 21.02.1995, n. 1885; III 07.04.1989, n. 1682; I 13.10.1986, n. 5983; I 20.11.1985, n. 5712; II 05.02.1982, n. 671).

A sostegno di questa tesi, si afferma che gli atti della procedura di formazione della volontà dell'Amministrazione (che culminano proprio con la Deliberazione a contrattare) costituiscono requisiti che attengono ad una fase temporale relativa alla "conclusione del contratto", trattandosi di requisiti di "legittimazione a contrattare" della P.A. stipulante oppure requisiti che attengono alla sua "capacità" e "volontà negoziale"[21].

Secondo altro e tradizionale indirizzo, il contratto concluso dal legale rappresentante dell'Ente in assenza del necessario atto deliberativo dell'organo competente o preceduto da un atto radicalmente viziato è da assimilare al negozio concluso dal falsus procurator ai sensi e per gli effetti dell'art. 1398 del Codice Civile (Cass. sez. III 29.07.1987, n. 6578; sez. I 05.03.1993, n. 2681), con conseguente sua inefficacia sino all'eventuale ratifica del dominus.

Infine, secondo il più convincente orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile, la totale mancanza dell'atto o la sussistenza di un vizio radicale viene ad integrare una causa di nullità assoluta del contratto per difetto del requisito dell'accordo delle parti ex art. 1325 n. 1 e 1418 Codice Civile (Cass. Sez. III 09.01.2002, n. 193) o per violazione di norme imperative, attesa la natura inderogabile delle disposizioni che regolano la procedura di evidenza pubblica ed il processo di formazione della volontà negoziale della P.A. (Cass. ss.uu. 19.01.2007, n. 1142).

Nel solco di quest'ultimo orientamento, si è anche parlato di inefficacia originaria del contratto, con risultati pratici pressochè equivalenti (Cass. sez. lav. 01.04.2004, n. 6450).

In particolare, la radicale sanzione della nullità contrattuale è stata enunciata in relazione ai casi in cui la Deliberazione a contrattare non contenga l'indicazione dei mezzi finanziari per far fronte all'obbligazione assunta (vedi Cass. ss.uu. 10.06.2005, n. 12195 e 28.06.2005, n. 13831 in sede di composizione di contrasto; e poi, coerentemente sez. I 26.05.2006, n. 12636; II 31.01.2006, n. 2169) [22].

E' poi appena il caso di rimarcare che la radicale sanzione civilistica della nullità in caso di mancanza o di nullità della Delibera a contrattare riguarda tutti i contratti della P.A., anche se di natura strettamente privatistica, perchè è, anzi, proprio in tali ipotesi che l'Amministrazione, non potendo contare sull'autotutela amministrativa, deve essere messa in grado di avvalersi degli ordinari rimedi civilistici per sottrarsi all'adempimento di obbligazioni invalidamente assunte (Cass. sez. II 18.08.1990, n. 8410).

La Corte felsinea, alla luce dei suesposti consolidati principi, dopo avere accertato la mancanza della preventiva delibera a contrattare, o comunque il radicale difetto dei suoi elementi essenziali, ha dichiarato i contratti derivati stipulati dal Comune radicalmente nulli e li ha comunque annullati e dichiarati inefficaci.

 

B) Art. 119 u.c. Cost., art. 202 D.Lgs. 267/2000 e art. 30, comma 15, Legge 27.12.2002, n. 289 (Legge finanziaria 2003).

Se le somme introitate dall'Ente a titolo di up-front sono un "finanziamento", esse vanno giocoforza destinate a spese di "investimento" e non possono essere impiegate per far fronte a spese di parte corrente.

E' noto, invero, che l'art. 119 u.c. della Costituzione (nella formulazione risultante dalla riforma di cui alla Legge cost. 18.10.2001, n. 3), nel prevedere che gli Enti locali "Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento", ha elevato a rango costituzionale un principio già positivizzato nell'ordinamento dall'art. 202 D.Lgs. 267/2000 ("Il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti.").

L'art. 30, comma 15, della Legge 27.12.2002, n. 289 (Legge Finanziaria 2003) ha poi stabilito le conseguenze della violazione del suddetto precetto, prevedendo che "Qualora gli enti territoriali ricorrano all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell'articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l'indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione.".

La norma ha superato il vaglio di legittimità costituzionale della Consulta [23].

Il Giudice contabile se ne è più volte occupato, facendone frequente applicazione con riferimento alle sanzioni "personali" contemplate nel secondo capoverso della norma, rimesse espressamente alla sua giurisdizione.

Ha, invece, ben pochi precedenti l'applicazione delle sanzioni “oggettive” di nullità degli atti amministrativi e dei contratti, stante l'incertezza interpretativa sorta in merito alla particolare natura delle stesse.

Un parziale chiarimento è venuto dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale (sentenza n. 12/2007 del 27.12.2007), che ha, tra l'altro, precisato: a) che la norma prevede due distinte reazioni alla violazione del divieto costituzionale, una “oggettiva” consistente nella comminatoria di “nullità” degli atti e dei contratti di finanziamento ed una “personale” pecuniaria a carico dei trasgressori; b) che la sanzione della “nullità” va intesa nel senso suo proprio, quale inefficacia ed improduttività di effetti ex tunc sia della delibera di ricorso all'indebitamento, sia del contratto stipulato con l'ente erogatore del finanziamento; c) che le suddette due reazioni (sanzione oggettiva e sanzione personale) sono “strettamente correlate l'una all'altra, tanto che la sanzione pecuniaria sembra configurarsi quale conseguenza ulteriore rispetto alla nullità degli atti”.

Le Sezioni Riunite non si sono, invece, espresse sulla questione della giurisdizione, non chiarendo quale sia l'organo giurisdizionale chiamato ad accertare e dichiarare la nullità degli atti amministrativi e dei contratti in caso di violazione del precetto costituzionale.

Sul punto esistono alcuni sporadici precedenti del Giudice contabile, che in qualche occasione si è spinto sino al punto di ritenere la propria giurisdizione anche per l'applicazione delle sanzioni c.d. “oggettive”, così dichiarando la nullità parziale degli atti amministrativi con cui un Comune aveva deliberato di assumere finanziamenti da destinare a spese diverse da quelle di investimento, nonché i “conseguenti atti negoziali” (Corte Conti sez. giur. Umbria sent. n. 87 del 23.05.2008 e n. 184 del 16.12.2011).

Ma si tratta di precedenti isolati che si prestano a forti obiezioni, in quanto in palese contrasto con l'assetto costituzionale del riparto di giurisdizione.

Va, infatti, ricordato che ai sensi dell'art. 103 comma 2 della Costituzione, “La Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge” e poiché è assai improbabile ricondurre lo scrutinio di validità di un contratto (per quanto della P.A.) nell'ambito delle “materie di contabilità pubblica” (anche alla stregua di una moderna concezione della giurisdizione contabile ancorata al concetto oggettivo di “finanza pubblica”), la giurisdizione della Corte dei Conti sul punto richiederebbe una interpositio legislatoris che nel caso di specie manca, visto che l'art. 30 comma 15 della Legge 289/2002 attribuisce letteralmente alle “sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti” soltanto l'applicazione delle sanzioni personali (di cui al secondo capoverso).

Discorso analogo riguarda l'accertamento di nullità dell'atto amministrativo, atteso l'art. 113 comma 1 Cost. assegna la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della P.A. “agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa” e il successivo comma 3 sancisce che “La Legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.”.

Né la giurisdizione contabile potrebbe radicarsi in considerazione di una qualche interferenza con ragioni di finanza pubblica, stante il noto principio di inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione.

Aggiungasi che, in particolar modo per quanto concerne il contratto, il processo contabile mal si presterebbe alla tutela dei diritti soggettivi di cui l'erogatore del contratto di “finanziamento” è titolare, che non potrebbe trovare adeguata tutela nell'ambito di un processo (come quello contabile) strutturato secondo un modello inquisitorio, contraddistinto da una asimmetria processuale tra le parti ed in cui è completamente assente il contraddittorio nella fase istruttoria [24].

Deve, pertanto, concludersi che il sindacato sulla nullità dell'atto amministrativo e del contratto per violazione dell'art. 30 comma 15 L. 289/2002 segua le ordinarie regole di riparto della giurisdizione e che, per quel che riguarda in particolare il contratto, vada riconosciuta la giurisdizione del Giudice Ordinario, a cui di regola è attribuita la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo.

In questa direzione si è decisamente orientato, di recente, lo stesso Giudice contabile (vedi Corte Conti sez. giur. Lazio 22.03.2011, n. 473), che si è dichiarato privo del potere di ius dicere sulla declaratoria di nullità del contratto ex art. 30 comma 15 L. 289/2002, rimessa alla giurisdizione del Giudice Ordinario.

La Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza in commento, conferma questa linea in punto di giurisdizione e perviene per la prima volta ad una declaratoria, in sede civile, della nullità di contratti stipulati da una P.A. per violazione dell'art. 119 u.c. Cost., dell'art. 202 D.Lgs. 267/2000 e dell'art. 30, comma 15, Legge 27.12.2002, n. 289.

La sentenza è di particolare interesse anche nella parte in cui precisa che la sanzione “oggettiva” di nullità non è collegata al “fatto” della errata imputazione a bilancio delle somme introitate o dell'errato impiego delle stesse da parte dell'Amministrazione (comportamenti rimessi all'esclusiva responsabilità di quest'ultima ed estranei alla sfera di dominio della controparte contrattuale, se non altro perchè successivi alla stipula), ma al dato giuridico della mancanza di previsione del vincolo di destinazione delle somme negli atti amministrativi propedeutici alla stipula e nei contratti stessi, intendendo perciò detta previsione come requisito contenutistico essenziale di tali atti [25].

 

5. La qualificazione dei contratti “derivati” sotto il profilo strutturale come contratti “collegati” ai rapporti debitori sottostanti

Altro importante approfondimento che la sentenza in commento dedica all'aspetto qualificatorio dei contratti "derivati" sotto il profilo strutturale, attiene al rapporto con i rapporti debitori sottostanti.

In questo caso il tema riguarda tutti i contratti "derivati", a prescindere dalla presenza della clausola di up-front, e l'aspetto strutturale viene in considerazione non già come aspetto interno all'operazione negoziale, ma nel rapporto con altri e distinti contratti (rapporti debitori sottostanti).

La fattispecie sottoposta all'esame della Corte riguardava un caso (peraltro assai ricorrente nella prassi contrattuale) in cui nè gli atti amministrativi che avevano autorizzato la contrattazione in derivati, nè i contratti stessi, contenevano l'esatta individuazione dei "mutui swappati", essendosi limitati ad indicare genericamente il "capitale nozionale"  [26].

La tesi sostenuta in giudizio dal Comune era che tale mancanza privava l'operazione negoziale di un elemento necessario ed essenziale, rappresentato dal "collegamento negoziale" del derivato con i rapporti debitori sottostanti.

La necessità e l'essenzialità del suddetto "collegamento" venivano affermate come aspetti di rilievo "sostanziale" dell'operazione, perchè solo con l'esatta individuazione dei mutui swappati e delle loro caratteristiche era possibile verificare l'effettiva corrispondenza con la durata dei rapporti sottostanti.

Invero, poichè le Pubbliche Amministrazioni possono porre in essere operazioni di finanza derivata soltanto se volte a finalità di copertura del debito, ne consegue che la connessione ed il collegamento negoziale con i rapporti debitori sottostanti costituisce elemento essenziale ed imprescindibile per la stessa legittimazione a contrattare in materia.

Il principio, che è immanente alla natura stessa degli "strumenti derivati a scopo di copertura" (mentre è estraneo agli "strumenti derivati a scopo meramente speculativo" cui gli Enti pubblici non sono ammessi), ha trovato consacrazione legislativa già con l'art. 41 della Legge 28.12.2001, n. 448 (Legge finanziaria 2002), norma secondo la quale gli Enti locali "possono emettere titoli obbligazionari e contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza, previa costituzione, al momento dell'emissione o dell'accensione, di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di swap per l'ammortamento del debito.".

Il principio suddetto ha poi trovato ulteriore esplicitazione con l'art. 3, comma 3, del D.M. 01.12.2003, n. 389 (che ha ribadito che "Le operazioni derivate sopra menzionate sono consentite esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute ...", chiarendo, inoltre, che le "altre operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito" sono consentite "solo qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività") e, da ultimo, con l'art. 1, comma 736, della Legge 27.12.2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007) (per il quale "Gli enti possono concludere tali operazioni solo in corrispondenza di passività effettivamente dovute, avendo riguardo al contenimento dei rischi di credito assunti.".

La rilevanza del suddetto collegamento negoziale degli strumenti derivati stipulati dagli Enti pubblici con i rapporti debitori sottostanti è stata adeguatamente posta in risalto in dottrina [27] e poi, di recente, dalla stessa giurisprudenza contabile [28].

Quanto sopra rileva sotto più profili ai fini dello scrutinio sulla validità dei contratti.

Invero, se il collegamento negoziale con i rapporti debitori sottostanti è elemento essenziale ed imprescindibile delle operazioni su strumenti derivati, esso deve emergere espressamente e puntualmente sia nella Deliberazione/Determinazione a contrattare, che nel contratto, mediante la precisa individuazione del rapporto debitorio sottostante (c.d. "mutui swappati"), perchè questo è l'unico modo per consentire il controllo sulla "causa" del contratto, ovvero l'unico modo per far emergere la funzione economico-sociale in concreto esercitata (di copertura) che, per l'Ente pubblico, è l'unica ammessa dall'ordinamento.

In questa prospettiva, è di rilievo constatare che, con specifico riferimento ai contratti over the counter, recente giurisprudenza ha evidenziato che il "derivato" deve contenere tutti i requisiti essenziali a far emergere la causa in concreto esercitata dal contratto, giungendo sino a ritenere che esso debba espressamente indicare il valore del mark to market e finanche il modello matematico mediante il quale tale valore è determinato, pena la sua nullità ex art. 1418 c.c. (Corte App. Milano 18.09.2013, n. 3459 [29]).

Va da sè, pertanto, che, parallelamente, la medesima esigenza sorge anche per il rapporto debitorio sottostante, che rappresenta la base della negoziazione e la cui precisa individuazione, anche dal punto di vista pratico, risponde all'esigenza di consentire una valutazione della convenienza economica dell'operazione, che presuppone evidentemente la definizione in modo certo della stima dei costi dell'indebitamento da ristrutturare.

E' pertanto necessario che i contratti "derivati" stipulati dagli Enti pubblici indichino puntualmente ed analiticamente i singoli finanziamenti swappati e le loro principali caratteristiche (soggetto finanziatore, importo, tipo di tasso, durata, modalità di pagamento, ecc.), perché solo in questo modo è possibile verificare la richiesta "corrispondenza con le passività effettivamente dovute" anche in termini di durata delle rispettive operazioni.

La mancanza di queste specifiche indicazioni nei contratti derivati (e negli atti amministrativi propedeutici alla loro stipula) concreta una patologia negoziale di tale gravità da comportare la nullità degli stessi per difetto di alcuni dei suoi requisiti essenziali ex art. 1325 Cod. Civ., con particolare riferimento all'”oggetto” (che risulta in tal modo indeterminato) ed alla “causa” (nella misura in cui non consente di verificare il rispetto della funzione economico sociale di copertura normativamente predeterminata).

Sotto altro ma connesso profilo (non considerato dalla sentenza in commento), la mancata indicazione del rapporto debitorio sottostante può altresì dare luogo ad un difetto di forma scritta del contratto stesso in relazione ad uno dei suoi elementi essenziali, avuto riguardo a quanto previsto dall'art. 23 D.Lgs. 24.02.1998, n. 58 e dall'art. 30 Delibera Consob 01.07.1998 [30] ed in considerazione del principio generale della forma scritta ad substantiam dei contratti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni previsto dagli artt. 16-17 R.D. 18.11.1923, n. 2440 [31]: ciò in quanto la forma svolge la sua funzione di certezza e di garanzia dei contraenti soltanto quando riguardi quantomeno il contenuto minimo ed essenziale del contratto.

Diversamente opinando, ove ciò non riconoscesse adeguata valorizzazione al "collegamento negoziale" del derivato con il rapporto debitorio sottostante in tutti i suoi vari aspetti, la "corrispondenza con le passività effettivamente dovute" diventerebbe un dato meramente virtuale, in quanto lo swap potrebbero finire per garantire un rischio finanziario in concreto non esistente e ciò non è consentito dalla normativa vigente, pena l'elusione dell'unica funzione per la quale è ammessa la stipula di tali strumenti da parte degli Enti pubblici (finalità di copertura).

Invero, quando il c.d. “nozionale” ha carattere fittizio e non corrisponde alla realtà dei rapporti sottostanti, il derivato assume i tratti di una pura “scommessa” (Corte App. Milano 18.09.2013, n. 3459 in Ilcaso.it).

Questo fondamentale aspetto dei contratti "derivati" con finalità di "copertura" (collegamento negoziale con i finanziamenti swappati) è stato di recente approfondito anche dalla giurisprudenza civilistica.

Si è, invero, precisato che, per poter essere considerati di “copertura”, i derivati devono avere le seguenti caratteristiche: a) siano esplicitamente posti in essere al fine di ridurre la rischiosità di altre posizioni debitorie del cliente; b) vi sia una chiara correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie dell'oggetto della copertura e lo strumento derivato e detta correlazione sia documentata ed approvata dalle parti; c) siano contemplate procedure e misure di controllo idonee ad assicurare che le condizioni di cui sopra ricorrano effettivamente (vedi Corte Appello Milano 03.05.2013, n. 141; Trib. Novara 19.07.2012, n. 569 in Ilcaso.it [32] e comunicazioni Consob del 06.08.1998, del 26.02.1999 e del 11.04.2001).

Ed anche per quanto attiene alle vicende successive alla stipula del contratto, si è affermato che, stante l'interdipendenza funzionale tra il derivato ed i mutui sottostanti e lo scopo pratico unitario che connota la “causa” concreta della complessiva operazione, il venir meno (per qualsiasi motivo) dei primi fa venir meno la funzione economico-sociale del secondo, rendendolo privo di causa [33].

 


[1] Il contratto di Interest rate swap (I.R.S.) è generalmente definito come il contratto derivato con il quale le parti si impegnano a scambiarsi, a date prestabilite, importi determinati in base a diversi tassi di interesse. Tale definizione è stata sostanzialmente recepita dall'art. 3, comma 2, lett. a) del D.M. 01.12.2003, n. 389, per il quale si ha "swap di tasso di interesse tra due soggetti che assumono l'impegno di scambiarsi regolarmente flussi di interesse, collegati ai principali parametri del mercato finanziario, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti". L'operazione viene riferita ad un capitale di riferimento (nozionale), che non è oggetto di scambio e che funge da parametro su cui commisurare gli interessi che verranno scambiati. Di regola, la configurazione tipica dell'operazione prevede la coincidenza temporale delle scadenze per la corresponsione reciproca degli interessi, cosìcchè ad ogni scadenza i contraenti si scambiano soltanto la differenza (positiva o negativa) tra gli interessi (da percepire o da corrispondere) attraverso un unico pagamento (netting).

[2] In assenza di una qualche disciplina legislativa dei contratti di swap (così come di tutti gli strumenti di finanza derivata), la dottrina ha per lungo tempo affermato la "atipicità" di tali contratti, sul presupposto della irriducibilità degli stessi ad un tipo legislativamente regolato. Minoritaria era la tesi della riconducibilità di detti contratti a tipologie contrattuali codicistiche (es. compravendita).

[3] Inizialmente il D.M. 10.11.1995 (Orientamenti operativi di riferimento in merito all'emissione ed alla gestione del debito pubblico dello Stato) menzionava tra "le operazioni di ristrutturazione del debito" anche "quelle effettuate attraverso le operazioni di swap" (art. 1), imponendo allo Stato la stipula con istituti finanziari di elevata affidabilità (art. 2). Successivamente, l'art. 2 del D.M. 05.07.1996, n. 420 (Regolamento recante norme per l'emissione di titoli obbligazionari da parte degli enti locali in attuazione dell'art. 35 della Legge 23.12.1994, n. 724) ha imposto agli Enti locali le operazioni di swap per la copertura del rischio di cambio per tutti i prestiti in valuta estera. Un ulteriore intervento legislativo con più generico riferimento ad "altri strumenti operativi previsti dalla prassi dei mercati finanziari" per la ristrutturazione del debito pubblico statale interno ed esterno, si ha con l'art. 2, comma 165, della Legge 23.12.1996, n. 662 e con l'art. 48 della Legge 23.12.1999, n. 662, che modificano alcune norme della Legge finanziaria del 1985 (Legge 22.12.1984, n. 887). L'art. 41 della Legge 28.12.2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002) ha poi nuovamente previsto per gli Enti territoriali la stipula dei contratti di swap in occasione della emissione dei titoli obbligazionari, rinviando più in generale ad un decreto ministeriale "le norme relative ... all'utilizzo degli strumenti derivati da parte dei succitati enti". La disciplina regolamentare generale delle "operazioni in strumenti derivati" da parte degli Enti locali è stata poi emanata con il D.M. 01.12.2003, n. 389 (Regolamento concernente l'ccesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonchè dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, della L. 28 dicembre 2001, n. 448). L'art. 1, comma 74, della Legge 30.12.2004, n. 311 ha nuovamente confermato la stipula dei contratti swap in connessione con l'emissione di titoli obbligazionari. La Legge 27.12.2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007) con l'art. 1, commi 736, 737 e 738, ha ribadito alcuni principi (espressamente definiti come fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica) sull'utilizzo degli strumenti derivati da parte delle Regioni e degli Enti Locali, rafforzando, tra l'altro, il controllo del governo nazionale sulle singole operazioni poste in essere dagli Enti suddetti. Successivamente è intervenuta la Legge 24.12.2007, n. 244 (Finanziaria 2008), che dopo avere enunciato il principio di trasparenza ("381. I contratti di strumenti finanziari anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali, sono informati alla massima trasparenza"), ha previsto alcuni adempimenti obbligatori volti a rendere effettivo tale principio ("383. La regione o l'ente locale sottoscrittore di strumenti finanziari di cui al comma 381 deve attestare espressamente di aver preso piena conoscenza dei rischi e delle caratteristiche dei medesimi, evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli impegni finanziari derivanti da tali attività.") ed ha rafforzato ulteriormente il controllo del governo nazionale sulle singole operazioni poste in essere dagli Enti suddetti assoggettando gli stessi al rispetto delle modalità di redazione stabilite con Decreto Ministeriale ("382. I contratti di cui al comma 381 devono recare le informazioni ed essere redatti secondo le indicazioni specificate in un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare sentite la CONSOB e la Banca d'Italia. Il Ministero dell'economia e delle finanze verifica la conformità dei contratti al decreto"), disciplinando le conseguenze delle eventuali violazioni, sia in termini contrattuali, che di responsabilità erariale ("384. Il rispetto di quanto previsto ai commi 382 e 383 è elemento costitutivo dell'efficacia dei contratti. In caso di contratti stipulati in violazione di quanto previsto al comma 382 o al comma 383, viene data comunicazione alla Corte dei conti per l'adozione dei provvedimenti di competenza."). La materia è stata successivamente disciplinata dall'art. 62 del D.L. 25.06.2008, n. 112, così come modificato dalla Legge di conversione 06.08.2008, n. 133 e poi successivamente sostituito dall'art. 3, comma 1, della Legge 22.12.2008, n. 203 (Finanziaria 2009): la nuova normativa, ribadita a rango di "principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica e la tutela dell'unità economica della Repubblica" ai sensi  degli artt. 117 e 119 della Costituzione e quindi "di applicazione necessaria" (comma 1), opera una ancora più marcata tipicizzazione dei contratti suddetti sulla base di appositi regolamenti ministeriali (comma 3: Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400, d'intesa, per i profili d'interesse regionale, con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua la tipologia dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti all'articolo 1 comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, che gli enti di cui al comma 2 possono concludere, e indica le componenti derivate, implicite o esplicite, che gli stessi enti hanno facoltà di prevedere nei contratti di finanziamento. Al fine di assicurare la massima trasparenza dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati nonché delle clausole relative alle predette componenti derivate, il medesimo regolamento individua altresì le informazioni, rese in lingua italiana, che gli stessi devono contenere."), specifica le modalità per rendere effettivo il principio di trasparenza (comma 4: Ai fini della conclusione di un contratto relativo a strumenti finanziari derivati o di un contratto di finanziamento che include una componente derivata, il soggetto competente alla sottoscrizione del contratto per l'ente pubblico attesta per iscritto di avere preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche dei medesimi."), stabilisce una nuova sanzione civilistica nel caso di stipula dei contratti in violazione delle norme di legge (comma 5: "Il contratto relativo a strumenti finanziari derivati o il contratto di finanziamento che include una componente derivata, stipulato dagli enti di cui al comma 2 in violazione delle disposizioni previste dal regolamento emanato in attuazione del comma 3 o privo dell'attestazione di cui al comma 4, è nullo. La nullità può essere fatta valere solo dall'ente.") ed impone una moratoria sino alla emanazione dei regolamenti statali (comma 6: "Agli enti di cui al comma 2 è fatto divieto di stipulare, fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, e comunque per il periodo minimo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati. Resta ferma la possibilità di ristrutturare il contratto derivato a seguito di modifica della passività alla quale il medesimo contratto derivato è riferito, con la finalità di mantenere la corrispondenza tra la passività rinegoziata e la collegata operazione di copertura."); infine, ma non per ordine di importanza, il comma 9 dello stesso art. 62 fornisce l'interpretazione autentica dell'up-front ("All'articolo 3, comma 17, secondo periodo, della legge 24 dicembre 2003 n. 350, dopo le parole: “cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche” sono aggiunte le seguenti: “nonché, sulla base dei criteri definiti in sede europea dall'Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l'eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate.").

Il D.M. 11 novembre 2011 n. 236, in attuazione all'art. 6 comma 2-sexies del D.LGs. 58/1998 (introdotto dal D.Lgs. 17.09.2007, n. 164), ha definito ed individuato i “clienti professionali pubblici” ai fini degli ambiti di tutela previsti dal TUIF.

[4] Per la considerazione dei contratti derivati degli Enti pubblici come "contratti tipici", si veda De Iuliis, Lo swap d'interessi e di divise nell'ordinamento italiano, Banca borsa tit. cred., 2004, 3, 391.

[5] In tutt'altra prospettiva si era mossa la sentenza di primo grado riformata dalla pronuncia in commento (Trib. Bologna 5244 del 14.12.2009), secondo la quale la normativa generale sulla intermediazione finanziaria (D.Lgs. 58/1998) sarebbe valsa ad attribuire a tutti gli "strumenti finanziari", compreso quelli stipulati da Enti pubblici, un'autonomia funzionale dal punto di vista giuridico-economico, non intaccata dalle norme di rango pubblicistico.

[6] Vedi U. Patroni Griffi, I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità del contenzioso, in Rivista di diritto bancario, ottobre 2012.

[7] In questo senso si era espresso il Tribunale di Bologna con la riformata sentenza n. 5244/2009, secondo la quale "l'up-front è solo la modalità del pagamento (unica soluzione anzichè in più) che non muta la causa del contratto".

[8] In tal senso vedasi in dottrina Girino E. (I contratti derivati, Milano, 2010, 474), il quale rileva che “l'erogazione dell'up-front si accompagna ad una modifica delle condizioni originarie del contratto in senso peggiorativo per il cliente. Potrebbe con ciò desumersi che tale peggioramento sia il mezzo occulto attraverso il quale il finanziamento viene restituito”.

[9] Nota è la problematica dei “costi occulti o impliciti” insiti nei derivati.

[10] Secondo il parere reso dalla Corte dei Conti - sez. contr. - in data 03.03.2005, relativo alla "Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alla diffusione di strumenti finanziari derivati" inviata alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati "Il premio di liquidità si risolve ... in un anticipato versamento di fondi che sconta l'attualizzazione sui relativi tassi contrattuali a carico della controparte, oppure si ripercuote sullo spread. Sostanzialmente, seppure incorporata in uno swap, si tratta di operazione analoga alla contrazione di un mutuo, laddove la sua concessione comporta un tasso o uno spread che attualizza il premio corrisposto in via anticipata dalla banca all'ente"; il principio è confermato dall'analogo parere reso dalle Sezioni Riunite in data 18.02.2009. Significativa anche la pronuncia della Corte dei Conti sez. reg. di controllo per la Lombardia (Deliberazione n. 596/2007 del 26.09.2007: in www.corteconti.it), che, in merito alla clausola di up-front, ha osservato quanto segue: "Innanzitutto, la previsione dell’erogazione di tale importo che, se non integralmente, per lo meno in parte dovrà essere restituito all’operatore finanziario in sede di regolazione dei rispettivi flussi configura un finanziamento all’ente che, pertanto, sia nell’utilizzo che nella classificazione in bilancio deve tenere conto del disposto dell’art. 119 Cost. Si tratta di una forma di indebitamento la cui regolazione è demandata ad elementi futuri, incerti nella loro dimensione finanziaria, che, comunque, dovranno essere tenuti presenti al momento di allocare in bilancio i proventi derivanti da eventuali plusvalenze. Pertanto, questo importo non può essere utilizzato per finanziare la spesa corrente ma solo per quella di investimento, peraltro previa costituzione di un apposito fondo per far fronte agli eventuali pagamenti che l’ente potrebbe essere tenuto ad effettuare in favore dell’intermediario finanziario, ove la situazione dei tassi evolvesse negativamente per l’ente. ..... A livello di bilancio dell’ente l’anticipazione deve essere allocata al Titolo IV, quale forma atipica di indebitamento, come risulta stabilito anche dai Principi contabili stabiliti dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali del Ministero dell’Interno.".

[11] Ha osservato Corte Cost. con la citata sentenza n. 52 del 18.02.2010 che “... la realtà ha ampiamente dimostrato che persino le operazioni di rinegoziazione dei contratti derivati, a seguito di ristrutturazione del debito, nel prevedere fin dall'inizio condizioni di sfavore degli enti, comportano l'assunzione di rischi aggiuntivi mediante lo spostamento nel tempo degli oneri derivanti da condizioni ancora più penalizzanti rispetto a quelle iniziali.”.

[12] Secondo i Giudici di primo grado, invece, l'opzione qualificatoria suggerita dal Giudice contabile, seppur autorevole, non poteva essere accreditata sul piano civilistico, valendo esclusivamente "sotto il profilo problematico delle norme di bilancio in base alle quali iscriverne le partite ..." (Trib. Bologna n. 5244 del 14.12.2009).

[13] Vedi l'art. 62 del D.L. 25.06.2008, n. 112, così come modificato dalla Legge di conversione 06.08.2008, n. 133 e poi successivamente sostituito dall'art. 3 della Legge 22.12.2008, n. 203 (Finanziaria 2009), il cui comma 9 ha definitivamente chiarito che "sulla base dei criteri definiti in sede europea dall'Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l'eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate" costituisce "indebitamento" dell'Ente.

[14] Si veda, a tale riguardo, la Nota Istat del 22.10.2008 con la quale l'Istituto, illustrando la metodologia di calcolo dell'indebitamento delle P.A. secondo il Trattato di Mastricht, già chiariva che "eventuali somme una tantum incassate dalle pubbliche amministrazioni debbano essere considerate come prestiti e quindi incluse nel calcolo del debito pubblico".

[15] Sul punto la Corte d'Appello afferma che "Il fatto che la normativa amministrativa qualificatoria in termini di indebitamento per la clausola di up-front sia entrata in vigore successivamente a uno o più dei contratti in questione (l'art. 1 c. 739 e 740 l. 296/2006 e la l. 133/2008; il d.m. 389/2003) non significa che gli stessi non potessero essere anche precedentemente interpretati nel medesimo senso, senza che venga in rilievo alcuna applicazione retroattiva delle norme.".

[16] Invero, il criterio della prevalenza non può valere ad escludere ogni rilevanza giuridica agli elementi del contratto non prevalente che pure, in quanto voluti dalle parti, concorrono a fissare il contenuto del negozio, perchè altrimenti si verrebbe a frustrare lo stesso principio di atipicità; seguendo rigorosamente la teoria della prevalenza, infatti, il contratto misto finirebbe per ridursi al tipo prevalente, con evidente lesione dell'autonomia contrattuale delle parti (così, in termini, Cass. sez. II 02.12.1997, n. 12199 ; sez. III 28.05.2001, n. 7226).

[17] Come rilevato dalla Corte d'Appello, non è quindi sufficiente che il Consiglio comunale esprima genericamente una "linea di indirizzo" a stipulare strumenti di finanza derivata nell'interesse dell'Ente, dando generico mandato alla Giunta o ai Dirigenti, occorrendo una ponderata valutazione da parte dello stesso organo consiliare di tutte le componenti essenziali dell'operazione.

[18] L'art. 203 comma 1 D.Lgs. 267/2000 stabilisce che “Il ricorso all'indebitamento è possibile solo se sussistono le seguenti condizioni: a) avvenuta approvazione del rendiconto dell'esercizio del penultimo anno precedente quello in cui si intende deliberare il ricorso a forme di indebitamento; b) avvenuta deliberazione del bilancio annuale nel quale sono incluse le relative previsioni.”.

[19] Invero, come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, la norma va letta nel senso della attribuzione al Consiglio comunale della competenza per tutti gli atti che concernono i più rilevanti aspetti economico-finanziari dell'ente locale (Cons. Stato sez. V 03.03.2005, n. 832).

[20] Il principio è stato ripetutamente segnalato dal Giudice contabile, 'In relazione al mancato coinvolgimento del Consiglio comunale in merito alla sottoscrizione del contratto di swap si osserva che l’impegno finanziario derivante da tale gestione attiva del debito espone l’Amministrazione al rischio di perdite finanziarie future che solo l’Organo consiliare del Comune può, consapevolmente, autorizzare, in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo deputato, ai sensi dell’art. 42 del TUEL, ad approvare gli atti di spesa “che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi”. Sotto questo profilo, la delibera del Consiglio comunale non può limitarsi ad autorizzare l’operazione in modo generico, ma deve indicare, analiticamente, gli indirizzi operativi che devono condurre alla conclusione dell’operazione nonché i vincoli finanziari che l’Ente intende assumere.' (in questo senso, vedi Delibere Corte dei Conti sez. reg. controllo Umbria n. 41/2008 del 02.10.2008 e sez. reg. Molise n. 34/2009 del 23.07.2009).

[21] Come ricordato da Cass. II 21.02.1995, n. 1885, la nozione di “legittimazione a contrarre” è stata elaborata proprio per dar conto di fenomeni che non possono essere ricondotti alle categorie generali della “capacità giuridica” e della “capacità di agire”, nelle quali si esprime la idoneità, riconosciuta al soggetto, ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive e ad esercitare le relative facoltà; per dar conto, cioè, di quelle ipotesi in cui l'ordinamento richieda nel soggetto, perché possa compiere validamente o efficacemente un determinato atto, un potere di disposizione in relazione ad una particolare situazione giuridica, o, come si è detto, l'idoneità ad essere soggetto del rapporto che si svolge nell'atto, ovvero del potere di assumere obbligazioni verso terzi.

[22] Al riguardo si consideri che, come anzidetto, il ricorso all'"indebitamento" esige l'approvazione delle relative previsioni di spesa nell'ambito del bilancio annuale.

[23] Con sentenza n. 320 del 05.11.2004 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di incostituzionalità della norma sollevata da alcune Regioni, ritenendo che "La previsione della nullità degli atti e dei contratti posti in essere in violazione del divieto di ricorrere all'indebitamento per finanziare spese diverse da quello di investimento, di cui all'ultimo comma dell'art. 119 Cost. .... non inerisce, come sostiene la ricorrente, alla materia della disciplina dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa e contabile delle Regioni e degli enti locali, ma trova il suo fondamento nella potestà legislativa dello Stato di dare attuazione al sesto comma dell'art. 119 Cost., dal momento che configura esclusivamente alcune sanzioni per comportamenti confliggenti con il divieto affermato nella disposizione costituzionale.".

[24] Per queste ed altre considerazioni sul modello processuale contabile, vedasi P. Santoro, L'illecito contabile, 2006 (547 ss.).

[25] Spiega al riguardo la Corte felsinea che "Con ciò non si intende naturalmente affermare che [la banca] dovesse verificare a posteriori e sindacare la successiva destinazione dei flussi generati dai contratti, ma che tale necessaria e preventiva destinazione doveva essere contenuta, menzionata e specificata negli atti amministrativi presupposti, se non nei contratti stessi.".

[26] Si definisce "capitale nozionale" il capitale teorico assunto per il calcolo dei flussi di interessi, ovvero quel capitale che, pur non costituendo oggetto di scambio, costituisce il punto di riferimento per definire il volume e la dimensione dell'operazione.

[27] Vedasi, al riguardo, De Iuliis (“Lo swap d'interessi o di divise nell'ordinamento italiano”, Banca borsa tit. cred., 2004, 3, 391), che chiude il suo contributo con il seguente rilievo: "Quanto agli swaps conclusi dagli enti pubblici territoriali, infine, dai quali era venuto lo spunto per queste riflessioni, quel che già appare conseguenza necessaria delle norme recate dall'art. 41, comma 1° l. fin. e dal relativo decreto di attuazione è che, diversamente dagli swaps stipulati tra intermediario e privati, per la validità del contratto dovrà sempre essere evidenziato il collegamento negoziale con l'emissione obbligazionaria od il mutuo da proteggere anche nell'ambito della prestazione dei servizi di investimento. È di tutta evidenza che se si vuole imporre agli enti in parola l'uso dello swaps esclusivamente a scopo di copertura, il solo ritenuto consono al perseguimento dei loro fini istituzionali, è necessaria l'evidenziazione degli scopi negoziali consentiti.". Sulla stessa linea Fadel-Marangoni (“Enti locali e strumenti finanziari derivati: evoluzione normativa” in Il Caso.it, 28.11.2008, 16), i quali osservano che “laddove il contratto abbia come parte un ente territoriale, coerentemente con quanto affermato dalla più recente giurisprudenza contabile, l'espresso vincolo finalistico previsto dalla normativa di settore non può che condizionare, tanto nella fase genetica quanto in quella funzionale, lo stesso elemento causale, inficiando la validità del negozio laddove siano perseguite finalità diverse da quelle di mera copertura. Ed ancora Astegiano (“Enti territoriali e strumenti finanziari derivati: margini di utilità e rischi” in AziendItalia, maggio 2008, n. 5 pag. 5), il quale afferma che “tale finalità di copertura assume rilievo essenziale in relazione ai contratti stipulati dagli enti pubblici, cosìcchè il collegamento funzionale, in quanto espressamente previsto dalla legge o connaturato con la loro natura, entra nella causa giuridica del negozio, in quanto elemento oggettivo dello stesso previsto dalla legge. Con l'ovvia conseguenza, finora non esplorata dalla giurisprudenza, che in relazione agli enti pubblici la mancata funzionalizzazione del contratto all'andamento dei rischi dei mutui precedentemente stipulati dall'ente si riflette sulla causa genetica dei contratti di swap di tasso di interesse”.

[28] Con Deliberazioni n. 596/2007 e n. 52/2008, la Corte dei Conti sez. reg. di controllo per la Lombardia ha rimarcato al riguardo che "Il profilo assume essenziale rilevanza nei contratti stipulati dagli enti pubblici. Per questi enti, e in particolare per gli enti territoriali, il collegamento funzionale in quanto espressamente previsto dalla legge o in quanto connaturato con la natura degli enti pubblici entra nella causa giuridica del negozio, perché elemento oggettivo dello stesso previsto dalla legge. Ne consegue che per detti enti la mancata funzionalizzazione del contratto all’andamento dei rischi di mutui stipulati dall’ente si riflette sulla causa genetica dei contratti di swap."; analogamente Corte Conti sez. reg. Molise n. 34/2009 del 23.07.2009 secondo cui "l’operazione deve essere sempre riferita ad un sottostante debito con il quale sussiste un collegamento funzionale che, in quanto espressamente previsto dalla legge e collegato alla natura degli enti pubblici, penetra nella causa del negozio giuridico. La mancata funzionalizzazione del contratto all’andamento dei rischi scaturenti da mutui stipulati dall’ente si riflette, pertanto, sull’aspetto genetico del contratto di swap di tasso di interesse, viziandolo irrimediabilmente". Nello stesso senso ancora si sono espresse le Sezioni Riunite della Corte dei Conti con il documento di “Indagine conoscitiva sull'utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni” rassegnata alla 6° Commissione Finanze e Tesoro del Senato della Repubblica in data 18.02.2009 (documento reperibile in internet).

[29] Secondo la citata sentenza, “La sola circostanza ... che le parti non conoscessero, al momento della conclusione del contratto, il c.d. mark to market e la circostanza – documentalmente provata – che il mark to market non rientrasse nel contenuto dei contratti stipulati ... comporta la radicale nullità dei contratti di interest rate swap ...”.

[30] Per l'importanza della forma scritta nel contratto "derivato" vedasi Trib. Roma 30.06.2001, secondo il quale “Il contratto di intermediazione avente ad oggetto la negoziazione in prodotti derivati deve necessariamente indicare, a pena di nullità, la somma messa a disposizione dal cliente per l'investimento in prodotti derivati”.

[31] Al riguardo, si consideri che l'art. 31 del Regolamento Consob fa salvo "quanto previsto da specifiche disposizioni di legge", che nel nostro caso sono quelle che impongono in via generale la forma scritta per tutti i contratti della P. A..

[32] Dopo avere ricordato i suddetti requisiti dei derivati in funzione di copertura, il Tribunale di Novara rilevava come segno di criticità dei derivati il fatto che essi non facessero alcun riferimento esplicito ai rapporti sottostanti (a copertura dei quali, i primi sarebbero stati stipulati), escludendo in concreto la correlazione richiesta.

[33] In questi termini Trib. Salerno 21.06.2011 (su IlCaso.it) che, partendo dalla nozione di “negozi collegati” e ravvisando un collegamento negoziale tra il derivato con finalità di copertura ed il mutuo sottostante, afferma che in questi casi “il contratto di swap non può essere riguardato singolarmente, ma unitamente a quello di mutuo cui è strettamente strumentale ... con la conseguenza che la sorte del contratto di mutuo incide anche sulla sorte di quello di swap. Pertanto, se al contratto di mutuo le parti non hanno dato attuazione, ciò non può non influire sul contratto di swap, la cui funzione di copertura è venuta meno, in quanto non v'è alcun adempimento da garantire ...”. Sulla stessa linea Trib. Lucera 26.04.2012 (su IlCaso.it) secondo il quale “deve assumersi in modo altrettanto pacifico l'esistenza di un collegamento negoziale tra strumento di finanziamento e quello di copertura, che ha natura non solo economica ma negoziale ravvisandosi un'interdipendenza funzionale fra i medesimi, utilizzati in combinazione strumentalmente volta a realizzare lo scopo pratico unitario, costituente la causa concreta della complessiva operazione, specifica ed autonoma rispetto a quella dei singoli contratti;”. Vedi anche Trib. Brindisi 29.01.2013 (in IlCaso.it), secondo cui “in presenza di una risoluzione anticipata dei contratti di mutuo e venuta meno la suddetta esigenza di copertura, il contratto di swap ... deve ritenersi oramai privo di giustificazione e sprovvisto di una funzione economico-sociale meritevole di tutela, con conseguente applicabilità del principio simul stabunt simul cadent”.


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