Diritto Penale


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14202 - pubb. 18/02/2016

Intercettazione di chat con sistema Blackberry

Cassazione penale, 23 Dicembre 2015, n. 50452. Est. Elisabetta Rosi.


Processo penale – Intercettazione di comunicazioni con sistema Blackberry svolta in Italia – Necessità di rogatoria internazionale – Non sussiste

Processo penale – Intercettazione di comunicazioni con sistema Blackberry – Necessità di procedere a sequestro probatorio ex art.254 bis c.p.p. – Non sussiste – Legittimità dell’intercettazione ex art.266 bis c.p.p. – Sussiste

Processo penale – Diritto di accesso del difensore ai mezzi di prova – Dati contenuti su supporti informatici – Sufficienza della duplicazione dei dati

Processo penale – Misure cautelari – Ricorso per Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame – Cognizione

Processo penale – Misure cautelari – Sussistenza delle esigenze cautelari – In caso di decorso di un apprezzabile periodo di tempo dai fatti contestati – Necessità di rigorosa motivazione sull’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare

Reato – Aggravante del metodo mafioso ex art.7 D.L. 152/91 – Elemento oggettivo

Processo penale – Reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza – Elemento oggettivo



È principio consolidato che la destinazione ad uno specifico “nodo” telefonico, posto in Italia, delle telefonate estere, provenienti da una determinata zona (cd. Instradamento), non rende necessario il ricorso alla rogatoria internazionale, in quanto l’intera attività di captazione e registrazione si svolge sul territorio dello Stato (cfr. Sez.6, n.18480 del 12/12/2015, Zinghini, non mas.;m sez,6, n.10051 del 3/12/2007, Ortiz e altri, Rv 239459). (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

In materia di utilizzazione di messaggistica con sistema Blackberry è corretto acquisirne i contenuti mediante intercettazione ex art.266 bis c.p.p. e seguenti atteso che le chat, anche se non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni. [La Corte ha precisato che “il sequestro probatorio di supporti informatici o di documenti informatici, anche detenuti da fornitori di servizi telematici, esclude, di per sé, il concetto di comunicazione e va disposto quando è necessario acquisire al processo documenti ai fini di prova, mediante accertamenti che devono essere svolti sui dati in essi contenuti, mentre nel caso di specie è pienamente legittimo (ed anzi doveroso) il ricorso alla procedura di intercettazione regolata dagli artt.266 bis c.p.p. e seguenti”.] (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

La giurisprudenza ha già segnalato la necessità che la difesa predisponga i propri supporti tecnologici per acquisire la fonte conoscitiva, rappresentata dalle risultanze dei mezzi di prova esperiti, mediante operazioni tecnologiche (sul punto, si veda la parte motiva della sentenza Sez.6, n.53425 del 22/10/2014 P.M. in proc. B., Rv. 262334). Il principio deve essere qui ribadito, atteso che il dato informatico rileva con riguardo al patrimonio informativo in esso contenuto e la dottrina ha da tempo evidenziato che il concetto stesso di copia perde di significato nel caso del documento informatico, dovendosi più propriamente parlare di operazione di duplicazione. [Con la decisione in oggetto la Corte ha rigettato il ricorso della difesa che non risultava avesse chiesto alla Cancelleria copia dei supporti informatici DVD, cosa che gli avrebbe consentito di accedere ai documenti con tecnologie opportune con un proprio personal computer.] (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

L’ambito del controllo che la Corte di Cassazione esercita in tema di misure cautelari non riguarda la ricostruzione dei fatti, né le valutazioni, tipiche del giudice di merito, sull’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o concludenza dei dati probatori, né la riconsiderazione delle caratteristiche soggettive delle persone indagate, compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate: tutti questi accertamenti rientrano nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata richiesta l’applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame. Il giudice di legittimità deve invece verificare che l’ordinanza impugnata contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti:il controllo investe, in sintesi, la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez.6, n.3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv.212565; Sez.4, n.2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv.206104). (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

Anche se il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art.274 c.1, lett.c), c.p.p. (cfr., già, Sez.4, n.6717 del 26/6/2007, Rocchetti, Rv.239019); tuttavia è indubbio che in presenza di una distanza temporale dai fatti che sia oggettivamente apprezzabile, l’obbligo di motivazione debba essere adempiuto in termini particolarmente rigorosi nell’indicare le ragioni sia dell’attualità del tipo di esigenza cautelare ritenuta sussistente che della scelta della misura cautelare, perché tale distanza temporale per sé costituisce un elemento di fatto tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, ancorché non per sé incompatibile (si veda Sez.4, n.24478 del 12/3/2015, Palermo, Rv.263722). (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

La ratio legislativa dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dal D.L. 13/5/1991, n.152, art.7 (conv. In L.12/7/1991, n.203) è quella di reprimere il metodo mafioso, che può essere utilizzato anche dal delinquente individuale sul presupposto dell’esistenza in una data zona di associazioni mafiose: si intende, cioè, punire con maggiore severità la condotta illecita di chi, partecipe o meno in un reato associativo, utilizzi metodi mafiosi, cioè si comporti come mafioso oppure ostenti, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle attività criminali poste in essere da organizzazioni di tipo mafioso. Ne consegue che la tipicità dell’atto intimidatorio, necessario per la configurabilità di detta circostanza aggravante, è ricollegabile non già alla natura ed alle caratteristiche dell’atto violento in sé considerato, bensì al metodo utilizzato, nel senso che la violenza con cui esso è compiuto deve risultare in qualche modo collegata, nel concreto, alla forza intimidatrice del vincolo associativo. (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)

In merito alla condotta di cui all’art.513-bis c.p., ai fini della configurazione di tale fattispecie, sono da qualificare atti di concorrenza illecita tutti quei comportamenti sia “attivi” che “impeditivi” dell’altrui concorrenza, che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, sono idonei a falsare il mercato e a consentirgli di acquisire in danno dell’imprenditore minacciato, illegittime posizioni di vantaggio sul libero mercato, senza alcun merito derivante dalla propria capacità operativa (in tal senso, Sez.2, n.15781 del 26/3/2015, Arrichiello e altri, Rv.263529). (Chiara Bosi) (riproduzione riservata)


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