Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 28727 - pubb. 18/02/2023

Interesse ad agire e cessata materia del contendere: un’interpretazione costituzionalmente orientata conforme ai principi personalistico e solidaristico

Tribunale Brindisi, 21 Novembre 2022. Est. Natali.


Cessata materia del contendere - Presupposti applicativi - Effettivo conseguimento - Del bene della vita - Necessità


Cessata materia del contendere di fonte negoziale e prescindente dall’effettivo conseguimento del bene della vita - Configurabilità; interpretazione costituzionalmente orientata - Necessità


Cessata materia del contendere di fonte negoziale e prescindente dall’effettivo conseguimento del bene della vita - Interpretazione costituzionalmente orientata - Necessità


C.m.c. di fonte negoziale - Struttura giuridica - Presupposti; negozio bilaterale e complesso -  Configurabilità


Valutazione unilaterale di una delle parti - Difetto di un’effettiva soddisfazione delle aspettative di tutela - C.m.c. di fonte negoziale - Inconfigurabilità


C.m.c - Interesse ad agire - Differenze - Relazione di specialità - Configurabilità


Valutazione unilaterale meramente soggettiva di una delle parti (e in difetto del riscontro di un’obiettiva perdita di interesse) - Sopravvenuto difetto di interesse - Configurabilità; accordo endoprocessuale delle parti - Necessità - Esclusione



La declaratoria di cessazione della materia del contendere investe il merito e non il rito di una controversia, in quanto presuppone la valutazione dell’effettivo conseguimento, seppur aliunde, del bene della vita da parte degli istanti.


Nella logica di un’interpretazione conforme ai principi personalistico e solidaristico, da cui e’ informata l’architettura costituzionale, deve ritenersi configurabile una cessata materia del contendere volontaria o negoziale, scaturente da una valutazione soggettiva della parti che ritengano che il nuovo assetto di interessi – o, al limite, lo stesso assetto originario – sia satisfattivo delle proprie aspettative di tutela; cio’, per quanto, sul piano oggettivo, il bene della vita agognato non possa dirsi conseguito.


Il fondamento costituzionale dell’autonomia negoziale, seppur indiretto, e rinvenibile negli artt. 2 e 41 Cost., comma 1, sollecita, se non addirittura impone un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme e degli istituti processuali e vertendosi in materia di diritti disponibili, nulla osta a che le parti dispongano, processualmente, con una richiesta di declaratoria di c.m.c., del bene della vita e, in generale, degli interessi dedotti in giudizio e posti a fondamento delle proprie eccezioni o domande.


La cessazione della materia del contendere, di matrice negoziale, configura un negozio bilaterale e complesso – costituito da una valutazione preliminare cui segue una scelta (processuale) – che viene esternato in sede giudiziale mediante un’istanza rivolta al Giudice della cognizione o dell’esecuzione e per la cui configurazione non può prescindersi dalla convergenza di valutazione ad opera delle parti che devono concordare circa la ricorrenza dei presupposti per tale declaratoria, potendo conservare una posizione di reciproco disaccordo solo per quanto concerne la regolazione delle spese processuali.


Quando sia una sola delle parti a chiedere la predetta declaratoria e in difetto di un’effettiva soddisfazione delle aspettative di tutela, non si può pronunciare la c.m.c.


La cessazione della materia del contendere è accostabile a un’ipotesi di sopravvenuta cessazione dell’interesse ad agire, per quanto speciale, in quanto connotata dalla circostanza che l’attore ha raggiunto il suo obiettivo di tutela; evenienza che non ricorre, invece, nell’ipotesi della declaratoria (di rito e non di merito) per sopravvenuta carenza di interesse.


Anche in relazione al sopravvenuto difetto di interesse deve sperimentarsi una interpretazione costituzionalmente conforme e rispettosa dell’autonomia negoziale dell’attore o del convenuto in via riconvenzionale, estrinsecabile anche in sede processuale e che conduce a ritenere ammissibile che una parte manifesti il proprio disinteresse (originario o sopravvenuto) alla prosecuzione della procedura anche in difetto del riscontro di un’obiettiva perdita di interesse (originaria o sopravvenuta), potendo il processo assicurare un’utilità obiettiva a chi ha agito in giudizio; a tal uopo, dovendosi ritenere che sia sufficiente la manifestazione di giudizio della singola parte processuale, non essendo necessario l’accordo endoprocessuale delle parti sul punto non solo perché non richiesto sotto il profilo logico, ma anche perché idoneo a conculcare indebitamente l’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti processuali. (Antonio Ivan Natali) (riproduzione riservata)




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