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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/06/2025 Scarica PDF
L’autovelox non è omologato. La multa è illegittima!
Tomas Schena, Praticante avvocatoSommario: 1. La pronuncia della Suprema Corte. – 2. L’impossibilità di omologazione. – 3. I precedenti di legittimità. – 4. Le pronunce di merito successive e la difesa dell’Avvocatura generale. – 5. Come promuovere il ricorso dinnanzi al Giudice di Pace.
1. La pronuncia della Suprema Corte. – In tema di violazioni del codice della strada per superamento del limite di velocità, si è di recente espressa la Corte di cassazione con l’ordinanza del 18 aprile 2024, n. 10505 sancendo il principio per cui: “è illegittimo l’accertamento eseguito con apparecchio autovelox approvato ma non debitamente omologato, atteso che la preventiva approvazione dello strumento di rilevazione elettronica della velocità non può ritenersi equipollente, sul piano giuridico, all’omologazione ministeriale prescritta dall’art. 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992, trattandosi, in forza della citata disposizione e dell’art. 192 del relativo regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 495 del 1992), di procedimenti con caratteristiche, natura e finalità diverse”.
Nel caso di specie, l’Avv. A.A. ha convenuto in giudizio il Comune di Treviso, dinnanzi al locale Giudice di Pace, chiedendo l’annullamento del verbale di accertamento della Polizia locale di Treviso in ordine alla violazione dell’art. 142, comma 8, C.d.S., per aver superato, con il suo veicolo, il limite di velocità (viaggiando a 97 km orari) su una strada tangenziale in cui era prescritto il limite di 90 Km orari, con accertamento eseguito a mezzo apparecchiatura RED & SPEED-EVO-L2 (matr. 179) installata in postazione fissa, di proprietà dell’Amministrazione comunale di Treviso.
In seguito all’accoglimento della richiesta, il Comune di Treviso ha impugnato la sentenza n. 648/2021 dinnanzi al Tribunale locale, il quale ha rigettato l’appello con sentenza n. 2046/2021 (pubblicata il 2 dicembre 2021), confermando la legittimità della pronuncia di primo grado, con la quale era stato annullato il verbale opposto, poiché l’accertamento dell’indicata infrazione era avvenuto con la citata apparecchiatura elettronica senza che fosse stata preventivamente omologata ai sensi di legge, non risultando rilevante allo scopo la mera approvazione preventiva di tale mezzo di rilevazione, siccome non equipollente all’omologazione ministeriale, posto che quest’ultima autorizza la riproduzione in serie del prototipo di un apparecchio testato in laboratorio, mentre la semplice approvazione è riconducibile ad un procedimento di tipo semplificato che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o previste da particolari previsioni del regolamento.
Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per Cassazione, affidato un unico complesso motivo, il Comune di Treviso.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, comma 1 e 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 142, comma 6, 45, comma 6, e 201, comma 1-ter, C.d.S. 1992, nonché degli artt. 345, comma 2, e 192, commi 2, 3 e 4, del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo C.d.S. (D.P.R. n. 495/1992), oltre che dell’art. 4, comma 3, D.L. n. 121/2002 e del D.M. n. 282 del 13.06.2017 (art. 1 e relativo allegato, capo 1). Ha, inoltre, dedotto la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, e 140, comma 1, del C.d.S., c.d. "ponente il principio di sicurezza della circolazione", sulla base del fatto che i procedimenti di approvazione e di omologazione sono equivalenti al fine di considerare legittimo l’accertamento della violazione di cui all’art. 142 C.d.S. sul superamento dei limiti di velocità eseguito.
A supporto di tale tesi, l’Ente territoriale sostiene che il disposto dell’art. 142, comma 6, C.d.S., pur discorrendo della necessità che lo strumento di misurazione elettronico della velocità debba essere "debitamente omologato", non specifica in cosa consista tale operazione, dovendo, perciò, desumersene il contenuto sulla scorta del coordinamento sistematico di altre disposizioni normative di riferimento, e, specificamente, di quelle di cui all’art 45, comma 6, e 201, comma 1-ter, C.d.S., oltre che di quella prevista dall’art. 4, comma 3, d.l. n. 121/2002, le quali prescrivono indifferentemente l’approvazione o l’omologazione.
Tale risultato interpretativo – secondo l’ottica ermeneutica del ricorrente – sarebbe avvalorato anche dal testo dell’art. 192, comma 2, del D.P.R. n. 495/1992, il quale prevede che il prototipo di mezzi tecnici per l’accertamento ed il rilevamento automatico delle violazioni viene omologato qualora se ne verifichi la rispondenza alle prescrizioni stabilite nello stesso testo normativo, mentre in assenza di prescrizioni il prototipo viene approvato seguendo – per quanto possibile – il procedimento dettato per l’omologazione. Ad analoga conclusione – ad avviso del Comune ricorrente – dovrebbe giungersi anche considerando quanto sancito nel parere del Ministero dei Trasporti del 22 marzo 2007, nella nota del 31 maggio 2017 dello stesso Ministero e nella circolare n. 8176/2020 del Ministero delle infrastrutture e trasporti (alla stregua dei quali i termini "approvazione" e di "omologazione" andrebbero qualificati come sinonimi o equivalenti).
Tale motivo è risultato infondato. Posto che l’apparecchio autovelox utilizzato per l’accertamento a carico del A.A. non era omologato, la questione diritto sottoposta all’attenzione del Collegio consiste nello stabilire se possa ritenersi, sul piano giuridico, equipollente all’omologazione la sola preventiva approvazione dell’apparecchio (procedimento al quale, invece, lo stesso strumento elettronico era stato – altrettanto incontestatamente – sottoposto nel caso in discorso).
Per affrontare adeguatamente la specifica tematica che viene in rilievo in questa sede è necessario porre, imprescindibilmente, riferimento alle norme legislative di ordine primario (prevalenti su quelle secondarie e di carattere regolamentare-amministrativo), e, sulla base delle stesse, partire da due argomentazioni indiscutibili:
- la prima è che, letteralmente, l’art. 142, comma 6, C.d.S. parla solo di "apparecchiature debitamente omologate", le cui risultanze – si sottolinea – sono considerate "fonti di prova" per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità (la stessa espressione – sempre in funzione della valutazione della legittimità dell’accertamento – si rinviene, peraltro, nell’art. 25, comma 1, lett. a) della legge n. 120/2010, con la quale ne è stato previsto l’inserimento nel comma 1 dello stesso art. 142 C.d.S., con riguardo ai tratti autostradali);
- la seconda è che il complementare ed esplicativo art. 192 del regolamento di esecuzione del C.d.S. (D.P.R. n. 495/1992) – il quale disciplina i "controlli ed omologazioni" (in attuazione della norma programmatica di cui all’art. 45, comma 6, C.d.S.) – contempla distinte attività e funzioni dei procedimenti di approvazione e di omologazioni (donde la differenza dei conseguenti effetti agli stessi riconducibili)[1].
Già da questa disposizione si evince che il procedimento di approvazione costituisce un passaggio propedeutico (ma comunque dotato di una propria autonomia) al fine di procedere all’omologazione (costituente, perciò, frutto di un’attività distinta e consequenziale) dell’apparecchio di rilevazione elettronica della velocità.
Il terzo comma dello stesso articolo sancisce che:
“quando trattasi di richiesta relativa ad elementi per i quali il presente regolamento non stabilisce le caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il Ministero dei lavori pubblici approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista dal comma 2”[2].
È, quindi, condivisibile la motivazione della sentenza impugnata che ha operato la distinzione tra i due procedimenti di approvazione e omologazione del prototipo, siccome aventi caratteristiche, natura e finalità diverse, poiché l’omologazione ministeriale autorizza la riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio, con attribuzione della competenza al Ministero per lo sviluppo economico, nel mentre l’approvazione consiste in un procedimento che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali o con particolari prescrizioni previste dal regolamento.
L’omologazione, quindi, consiste in una procedura che - pur essendo amministrativa (come l’approvazione) - ha anche natura necessariamente tecnica e tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato, requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione per la legittimità dell’accertamento stesso, a cui pone riguardo la norma generale di cui al comma 6 dell’art. 142 C.d.S. (funzionalità che, peraltro, a fronte di contestazione del contravventore, deve essere comprovata dalla P.A. dalla quale dipende l’organo accertatore, secondo l’ormai univoca giurisprudenza di legittimità: cfr., da ultimo, Cass. n. 14597/2021)[3].
Naturalmente non possono avere un’influenza sul piano interpretativo - a fronte di una chiara ermeneusi basata sulle fonti normative primarie - le circolari ministeriali evocate dal ricorrente, le quali sembrerebbero avallare una possibile equipollenza tra omologazione ed approvazione, basata, però, su un approccio che, per l’appunto, non trova supporto nelle suddette fonti primarie e che, in quanto tali, non possono derogate da fonti secondarie o da circolari di carattere amministrativo.
Alla stregua di queste ultime l’art. 142, comma 6, C.d.S. andrebbe "letto in connessione con l’art. 45, comma 6, dello stesso C.d.S., ove si pone riferimento esplicito ai mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni, per i quali è prevista la procedura dell’approvazione ovvero dell’omologazione, secondo le modalità indicate dall’art. 192 del regolamento di esecuzione e attuazione".
Sennonché, è evidente che il citato art. 45, comma 6, C.d.S. - per quanto già posto in risalto in precedenza - non opera alcuna equiparazione tra approvazione e omologazione. Al contrario, esso distingue nettamente i due termini, da ritenersi perciò differenti sul piano formale e sostanziale, giacché intende riferirsi a tutti i "mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni", taluni dei quali destinati ad essere necessariamente omologati (quali, per l’appunto, i dispositivi demandati specificamente al controllo della velocità, stante l’inequivocabile precetto 142, comma 6, C.d.S., laddove l’utilizzo dell’espressione "debitamente omologati" impone necessariamente la preventiva sottoposizione del mezzo di rilevamento elettronico a tale procedura e che, solo se assolta, è idonea a costituire "fonte di prova" per il riscontro del superamento dei prescritti limiti di velocità: in claris non fit interpretatio) e altri per i quali è sufficiente la semplice approvazione (perciò, certamente non bastevole, da sola, per far considerare legittimo l’accertamento della velocità veicolare a mezzo autovelox).
2. L’impossibilità di omologazione. – Quanto stabilito da codesta Corte stupisce, non tanto sulla logicità della motivazione, quanto al procedimento di omologazione così come delineato.
Invero, nel definire che esso consiste nella riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio, attribuisce la competenza di tale procedimento al Ministero per lo sviluppo economico.
Sennonché non è mai stato adottato dal MISE lo specifico disciplinare tecnico di riferimento che ne definisca requisiti tecnici e caratteristici.
Insomma, è impossibile dichiarare conforme un dispositivo a qualcosa che non c’è.
Sia nel Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti n. 282 del 13.06.2017, che nell’art. 45 C.d.S. che nell’attuazione di quest’ultimo ex art. 192 Reg. C.d.S. i procedimenti di approvazione ed omologazione, da un certo punto di vista, sono trattati in modo analogo o alternativo.
Si rileva, infatti, che l’art. 192 Reg. C.d.S. al comma 1, prevede una medesima modalità di avvio per le procedure di omologazione e approvazione per, poi, consentire che, sulla base della distinzione recata dai commi 2 e 3, laddove manchino le prescrizioni di riferimento, nell’impossibilità di procedere all’omologazione,il Ministero, con la medesima istruttoria tecnico-amministrativa, tesa a valutare la validità, l’efficacia e l’efficienza del prodotto, prevista per l’omologazione, procede all’approvazione e che l’art. 345, comma 2, Reg. C.d.S. dispone che le singole apparecchiature debbono essere approvate (e non omologate) dal Ministero.
Tuttavia, questa Corte sviscera un ragionamento antitetico rispetto a quanto sinora esposto, in linea con quanto sancito dalla Corte Costituzionale 18 giugno 2015, n. 113, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 6, del Codice della Strada, nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, e non dell’art. 142, comma 6, C.d.S. il quale, letteralmente, parla di "apparecchiature debitamente omologate".
In più, osserva la medesima, l’art. 192 Reg. C.d.S., il quale disciplina i "controlli ed omologazioni", contempla distinte attività e funzioni dei procedimenti di approvazione e di omologazioni.
Ne deriva che, poiché – per quanto già osservato – mancano le prescrizioni di riferimento, nell’impossibilità di procedere all’omologazione, il Ministero dei Trasporti, con la medesima procedura tecnica prevista per l’omologazione, procede all’approvazione.
Ministero dei Trasporti appunto, in quanto con parere dell’8 giugno 2021, il Ministero dello Sviluppo Economico (a cui tale sentenza demanda l’onere di definire la procedura di omologazione) ha dichiarato che, sulla base dell’art. 45, comma 6, C.d.S., sul tema vi è competenza esclusiva del MIMS (Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili), ora Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
3. I precedenti di legittimità. – La Suprema Corte già nel 2018[4] era arrivata a conclusioni simili a quella in commento, sancendo il principio per cui “In materia di violazione delle norme del codice della strada relative ai limiti di velocità, l’efficacia probatoria dello strumento rivelatore del superamento di tali limiti ("autovelox"), che sia omologato e sottoposto a verifiche periodiche, opera fino a quando sia accertato, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionamento del dispositivo elettronico. Peraltro, in presenza del certificato di taratura rilasciato da soggetto abilitato, non è consentito al giudice di merito sindacare le modalità con le quali tale taratura è stata effettuata” e poi anche nel 2021[5]: “In tema di circolazione stradale, tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere periodicamente tarate e verificate nel loro corretto funzionamento, non essendone consentita la dimostrazione od attestazione con altri mezzi, quali le certificazioni di omologazione e conformità. In caso di contestazione da parte del soggetto sanzionato, è posta a carico della Pubblica Amministrazione, la prova positiva dell’omologazione iniziale e della taratura periodica dello strumento. In presenza di detti elementi, di per sé sufficienti a dimostrare il corretto funzionamento dell’apparato di rilevazione della velocità, circostanza, quest’ultima, che costituisce elemento essenziale costitutivo della fattispecie sanzionatoria, spetta alla parte sanzionata, l’onere della prova contraria”[6].
Tuttavia, è evidente come quest’ultime menzionate, seppur di fatto conformi, non hanno distinto chiaramente i due procedimenti di approvazione ed omologazione.
È proprio il passaggio in più eseguito dalla Cassazione in commento, secondo cui l’omologazione è un fenomeno distinto (e necessario) che richiede la comparazione in laboratorio con altri prototipi.
4. Le pronunce di merito successive e la difesa dell’Avvocatura generale. – La novità della sentenza in commento è rinvenibile anche nella giurisprudenza di merito.
Se prima di questa le pronunce di merito erano in gran parte difformi rispetto a quanto sancito[7], così, oggi, com’è comprensibile che sia, non può più dirsi.
Seppure il Tribunale di Bari, in funzione di giudice di appello, si sia posto in consapevole contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, quest’ultima, con le successive ordinanze 24 luglio 2024, n. 20492 e 26 luglio 2024, n. 20913, ha ribadito quanto già precedentemente sancito dalla Suprema Corte in commento.
Ed infatti, troviamo quasi un totale allineamento dei Tribunali di merito[8], i quali dal punto di vista normativo sottolineano – ancora una volta – che la distinzione è giustificata dall’art. 192 Reg. C.d.S. che, al comma 2, stabilisce che l’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e la efficacia dell’oggetto di cui si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole.
Ciò comporta che il procedimento di approvazione costituisce un passaggio propedeutico, ma comunque dotato di una propria autonomia, al fine di procedere all’omologazione, costituente il frutto di un’attività distinta e consequenziale dell’apparecchio di rilevazione elettronica della velocità.
Il comma 3 della stessa norma dispone che, se trattasi di richiesta relativa ad elementi per i quali il suddetto regolamento non stabilisce le caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il Ministero dei lavori pubblici approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista dal comma 2.
Infine, il comma 7 della medesima disposizione prevede che, su ogni elemento conforme al prototipo omologato od approvato deve essere riportato il numero e la data del decreto ministeriale di omologazione o di approvazione ed il nome del fabbricante.
Conseguentemente, l’inerzia del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non può certo giustificare la legittimità della sanzione.
Non possono dunque trovare applicazione – secondo quanto sostenuto più volte dall’Avvocatura Generale di Stato – le circolari ministeriali, laddove tendono ad avallare una possibile equipollenza tra l’omologazione e l’approvazione, basata, però, su un approccio che non trova supporto nelle fonti primarie e che, in quanto tali, non possono essere derogate da fonti secondarie o da circolari di carattere amministrativo.
In estrema sintesi, non solo l’
Occorre osservare, però, come, in tema di autovelox, il Ministero continui imperterrito ad attenersi alle proprie ragioni. È infatti nel frattempo intervenuto il D.M. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 11 aprile 2024, pubblicato in G.U. del 28 maggio 2024, il quale, in particolare, all’art. 1, comma 3, prevede che “restano ferme, altresì, le eventuali prescrizioni e modalità di rilevamento contenute nei provvedimenti di approvazione o di omologazione dei dispositivi o sistemi impiegati”.
Infatti, dopo un’attenta riflessione durata nove mesi ed a seguito di un confronto con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e con l’Avvocatura Generale dello Stato, il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 995 del 23.01.2025, ha fornito indicazioni per garantire un’applicazione uniforme nella difesa delle Amministrazioni nei contenuti legati all’orientamento espresso fornito dalla Corte di Cassazione sulla distinzione tra “approvazione” e “omologazione” dei dispositivi di accertamento della velocità.
Al fine di giungere ad una pronuncia di legittimità innovativa e difforme rispetto a quella in commento, l’Avvocatura – con l’obiettivo di far sancire la piena omogeneità tra le due procedure di omologazione e di approvazione – consiglia agli Enti territoriali di depositare tempestivamente e dunque sin dal primo grado di giudizio, la documentazione all’uopo rilentante e precisamente il decreto di approvazione dello specifico strumento di rilevazione infaticato nel verbale di accertamento e, soprattutto, eventuali decreti di omologazione di strumenti, altri e diversi da quelli volti a verificare il superamento dei limiti di velocità.
Tuttavia, tale difesa, al netto di quanto esplicato, non pare convincente, forse neanche a loro stessi, dato che il Viminale ha rappresentato che è stato istituito un tavolo tecnico presso il Ministero dei Trasporti con i rappresentanti del Ministero dell’Interno, dell’ANCI e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, al fine di definire le procedure per l’omologazione del prototipo, la taratura e le verifiche di funzionalità dei dispositivi, delle apparecchiature e dei mezzi tecnici di cui all’art. 201 c. 1 bis, lett. e) ed f), C.d.S. per l’accertamento delle violazioni ai limiti massimi di velocità.
5. Come promuovere il ricorso dinnanzi al Giudice di Pace. – Alla luce di quanto sinora esposto, diventa intrigante approfondire dal punto di vista pratico il ricorso avverso il verbale d’infrazione del Codice della Strada. L’ordinamento consente al cittadino di muovere tre tipi di ricorsi: per autotutela, al Prefetto e al Giudice di Pace. Di questi, il solo chiamato a conoscere del diritto (sebbene si faccia riferimento ad un giudice onorario) è il Giudice di Pace competente a seconda del luogo d’infrazione.
Tuttavia, per quanto si dirà in seguito, non sono da escludere le altre ipotesi.
Il ricorso al Giudice di Pace prevede spese di contributo unificato pari a € 43,00 per sanzioni fino ad € 1.100,00, oltre alla marca da bollo pari ad € 27,00 se la sanzione supera € 1.033,00.
Per semplicità, considerato il fatto che sanzioni per violazione del Codice della Strada e, nello specifico per eccesso di velocità, comportano di solito sanzioni di poche decine di euro, possiamo affermare che i costi esenti siano pari ad € 43,00.
Sarebbe a tal punto conveniente per il cittadino, nel solo bilanciamento spesa-beneficio, affrontare tale ricorso dinnanzi al Giudice di Pace, che potrebbe durare anni, se vi fosse il solito meccanismo della soccombenza delle spese.
Cioè, se una volta ritenuta la sanzione illegittima, l’Ente territoriale competente fosse condannato a rifondere le spese legali del ricorrente.
Tuttavia, per i motivi sopra esposti al paragrafo 1 e dunque alla non rimproverabilità all’Ente della mancata omologazione degli autovelox, i Giudici sinora hanno sempre compensato le spese.
Ed ecco fatto, la gabola. Pertanto, al netto dei costi del legale e del contributo unificato, sebbene il principio di diritto possa dirsi ad ora pacifico, ricorrere al Giudice di Pace risulta, nella maggior parte dei casi, sconveniente, a meno che non si rinvengano importanti sanzioni accessorie.
In questo meccanismo diventa forse allora interessante provare a proporre prima altro ricorso e, nel rispetto dei termini, soltanto in via consequenziale, adire il Giudice di Pace, ad esempio quale giudice di “appello” al Prefetto, posto che comunque al termine dell’udienza è sempre possibile pagare nella misura dello sconto del 30% entro cinque giorni dalla data di emissione del verbale.
[1] Infatti, il suo secondo comma stabilisce che: “l’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e la efficacia dell’oggetto di cui si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole” (...).
[2] Il comma settimo del medesimo articolo prevede, poi, che: “su ogni elemento conforme al prototipo omologato o approvato deve essere riportato il numero e la data del decreto ministeriale di omologazione o di approvazione ed il nome del fabbricante”.
[3] Oltretutto, anche recentemente, è stato precisato che in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio di misurazione della velocità, il giudice è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, puntualizzandosi – si badi – che detta prova non può essere fornita con mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformità né la prova dell’esecuzione delle verifiche sulla funzionalità e sulla stessa affidabilità dello strumento di rilevazione elettronica è ricavabile dal verbale di accertamento (cfr. Cass. n. 3335/2024).
[4] Cass., 12 luglio 2018, n. 18354.
[5] Cass., 26 maggio 2021, n. 14597.
[6] E così anche Cass., 17 marzo 2022, n. 8694.
[7] Ex multis, Trib. Santa Maria Capua Vetere, 14 gennaio 2019; Trib. Cagliari, 30 gennaio 2020, Trib. Bari, 14 gennaio 2021; Trib. Pescara, 10 febbraio 2022; Trib. Catania, 15 maggio 2023.
[8] Ex multis, Trib. Torino, 28 giugno 2024; Trib. Pavia, 12 settembre 2024, Trib. Asti, 30 settembre 2024.
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