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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 18/11/2025 Scarica PDF

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale dopo 25 anni tra difficoltà investigative e conservatorismo della Comunità Internazionale *

Vincenzo Musacchio, Associato e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra


L'impatto della lotta globale contro la criminalità organizzata continua a minare le risposte efficaci della Comunità Internazionale, complicato dalle persistenti difficoltà delle agenzie investigative nelle indagini transfrontaliere[1].

Uno dei problemi principali è rappresentato ancora oggi dalla scarsa armonizzazione dei sistemi penali a livello europeo e internazionale. Le agenzie impegnate nel contrasto al crimine organizzato spesso incontrano difficoltà nello stabilire collaborazioni solide ed efficaci con le forze di polizia e le autorità giudiziarie di vari paesi.

Questa difficoltà è talvolta causata da una resistenza degli Stati stessi, talaltra da carenze nelle competenze necessarie per affrontare forme di criminalità organizzata sempre più sofisticate. Le indagini mirate a ottenere risultati concreti in sede giudiziaria richiedono, inoltre, risorse finanziarie significative, un aspetto che frequentemente frena gli sforzi di cooperazione internazionale di diverse nazioni.

Le barriere alla cooperazione transfrontaliera rimangono tuttora un problema legato alla sovranità nazionale. Sebbene negli ultimi anni si sia assistito a un miglioramento delle collaborazioni tra Europa e Stati Uniti, specialmente nella lotta al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, molte nazioni in via di sviluppo oppongono resistenza nell’adesione a simili strategie di contrasto. Tale atteggiamento è motivato dal timore di perdere autonomia politica o strategica in ambito internazionale. Di conseguenza, i tentativi multilaterali di integrare questi paesi nella lotta alla criminalità organizzata restano rari, se non del tutto assenti.

È fondamentale, invece, continuare a sensibilizzare i Governi degli Stati membri su questo tema. Una crescente preoccupazione riguarda il divario, sempre più ampio, tra le capacità dei paesi in via di sviluppo e quelle dei paesi avanzati, nel contrastare la criminalità organizzata. Questo squilibrio rischia di favorire l’espansione delle reti criminali nei paesi meno sviluppati, amplificando le disuguaglianze e rendendo ancor più difficile ogni forma di contrasto. Va inoltre considerato il ruolo, finora limitato, che le Nazioni Unite potrebbero svolgere in questo settore.

Mentre la criminalità organizzata si evolve in strutture dinamiche e globali, il sistema delle Nazioni Unite appare ancora ancorato al passato, bloccato su modelli gerarchici e poco reattivi, non adatti a gestire sfide complesse e multifattoriali lanciate dalle nuove mafie. È importante comprendere che la criminalità organizzata contemporanea è una minaccia trasversale, con ripercussioni su molti settori dell’architettura dell’ONU, oltre che per l’implementazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

Questo fenomeno criminale, tuttavia, continua a essere trattato come una questione settoriale, confinato principalmente all'UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine), che opera spesso in isolamento rispetto ad altre agenzie. Si pone quindi una domanda cruciale: come può l’ONU sviluppare una visione politica coerente per affrontare la sfida della criminalità organizzata transnazionale? Una delle principali difficoltà è la scarsa attrattiva del tema per molte agenzie ONU, che lo considerano meno prioritario rispetto a questioni, pur importanti, come i diritti umani o la democrazia. La cronica scarsità di risorse finanziarie all’interno delle Nazioni Unite, inoltre, ostacola ulteriormente i tentativi di coordinare gli sforzi contro questo nemico globale.

Troppo spesso, poi, i governi affrontano il problema della criminalità organizzata in modo isolato, privilegiando i propri interessi nazionali e trascurando la vera natura transnazionale delle minacce che essa comporta. È inevitabile riconoscere che combattere l’attuale criminalità organizzata richieda una risposta collettiva e un approccio realmente globale. In questo contesto, merita attenzione anche il ruolo della Convenzione di Palermo.

Pur avendo rappresentato una pietra miliare nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale, essa appare oggi superata dai rapidi cambiamenti del fenomeno e dalla complessità delle sue reti.

La sfida attuale consiste nel tradurre le disposizioni della Convenzione in strumenti pratici ed efficaci che possano adattarsi all'evoluzione della criminalità organizzata globale.

Ottenere un mandato politico dagli Stati membri per avviare riforme significative alla Convenzione rappresenta, purtroppo, ancora oggi, un’impresa estremamente complessa e di difficile attuazione.



* Scritto presentato al Workshop tematico per la celebrazione del venticinquesimo anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale, adottata a Palermo nel dicembre 2000 e ratificata oggi da 190 Paesi.

[1] Vincenzo Musacchio: Associato e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Giurista, criminologo, docente di strategie di contrasto alla criminalità organizzata, associato al RIACS di Newark. È noto per il suo impegno nella lotta alle mafie e per la sua attività di formazione in ambiti riguardanti la cultura della legalità. Ha insegnato in diverse università italiane e presso l'Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri in Roma. Attualmente tiene corsi negli Stati Uniti, insegnando tecniche di indagine antimafia a membri delle forze di polizia, inclusa la Polizia Metropolitana di New York. È ricercatore indipendente e membro ordinario dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute (RUSI) di Londra. È stato allievo di Giuliano Vassalli e ha collaborato con Antonino Caponnetto. Concentra i suoi studi sulla criminologia delle organizzazioni mafiose e sul narcotraffico internazionale. È artefice di programmi educativi, come il progetto "Legalità Bene Comune" nelle scuole di ogni ordine e grado. Interviene regolarmente in trasmissioni televisive della RAI a livello nazionale come “Presa Diretta”, “Newsroom” e “Report” e su altre testate nazionali e locali per commentare vicende di mafia e criminalità. Ha scritto numerosi libri e articoli su temi di diritto penale e criminologia. Nel 2019 a Casal di Principe gli è stata conferita la Menzione Speciale al Premio Nazionale "don Giuseppe Diana" dai familiari del sacerdote assassinato dalla camorra. Il 27 dicembre 2022 il Presidente della Repubblica gli ha conferito l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Il suo lavoro contro le mafie gli ha causato minacce di morte, che non hanno comunque interrotto la sua attività antimafia.


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