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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/04/2015 Scarica PDF

La verifica fallimentare del privilegio artigiano

Saverio Mancinelli, Dottore Commercialista in Pescara


(“all’ombra” di Cassazione Sezioni Unite, 20 marzo 2015, n. 5685)

 

Sommario: 1. Premessa – 2. Modifica legislativa – 3. Possibili interpretazioni – 4. Orientamento di merito - 5. Interventi della Suprema Corte – 6. “Oggettivazioni” del Tribunale di Verona – 7. Conclusioni

 

 

1. Premessa

In tema di privilegio artigiano è ben noto come il comma 1 dell’art. 36, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2012, n. 35 abbia modificato l’articolo 2751-bis, primo comma, numero 5, del codice civile. Tale modifica non ha, tuttavia, dissolto (anzi sembrerebbe aver amplificato) le incertezze interpretative che sorgono nell’ambito della verifica del passivo in sede fallimentare, circa la concessione del privilegio de quo.

Prima della variazione legislativa la giurisprudenza, anche alla luce di un quasi ventennale intervento del Giudice delle Leggi[1], era “graniticamente” ed univocamente orientata nel ritenere che per la spettanza del privilegio non occorreva far riferimento (solo) all’iscrizione all’albo artigiani di cui all’art. 5 della Legge n. 443/1985, ma (soprattutto) alla nozione di cui all’art. 2083 c.c.[2]; pertanto, per il riconoscimento nel passivo fallimentare del privilegio artigiano, l’iscrizione al relativo albo costituiva uno status necessario, ma non sufficiente e competeva all’imprenditore interessato fornire l’onere della prova delle “qualità” soggettive ed oggettive artigiane.

   

2. Modifica legislativa

Come già accennato il comma 1 dell’art. 36, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, ha modificato l’art.2751-bis, primo comma, del codice civile, dove al numero 5) si prevede che godono del privilegio generale sui mobili: “i crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, nonché delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti”.

Tale norma, ha aggiunto alla precedente disposizione l’inciso “definita ai sensi delle disposizioni vigenti”, per cui è immediatamente sorto l’interrogativo di stabilire e circoscrivere l’impatto di tale precisazione sulla tradizionale interpretazione della norma.

   

3. Possibili interpretazioni

Dalla modifica (o meglio “specificazione” nel corpo) della norma possono discendere due interpretazioni antitetiche.

Secondo una prima interpretazione l’inciso avrebbe un effetto dirompente, in quanto con esso il legislatore legherebbe il privilegio alla (sola) condizione di essere beneficiaria della prelazione un’impresa con l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane “ai sensi delle disposizioni vigenti”, affermando il principio che l'iscrizione nell'albo non è soltanto il presupposto indispensabile per poter fruire delle agevolazioni previste a favore delle imprese artigiane, ma attribuisce anche la qualifica artigianale in modo definitivo ed indiscutibile e, quindi, preclude ogni possibilità di contraria dimostrazione da parte di chi abbia interesse a contestare l'anzidetta qualifica. A sostegno di ciò la considerazione che, in caso contrario, apparirebbe del tutto vana e priva di senso la modifica del codice civile.

Secondo l’opposta interpretazione il legislatore non avrebbe voluto apportare una così radicale modifica, sia perché non può limitare l’autonomia decisionale, costituzionalmente garantita, del giudice, che rimarrebbe vincolato alla determinazione amministrativa, sia perché, se avesse voluto privilegiare l’aspetto formale sull’attività svolta in concreto, avrebbe diversamente [ri]scritto la norma stabilendo, ad esempio, che: “godono del privilegio i crediti delle imprese iscritte nell’albo imprese artigiane”.

Quindi, l’inciso apportato al codice civile diventerebbe alquanto superfluo e rimarrebbe intatta l’interpretazione giurisprudenziale che parte proprio dalla definizione data dalle leggi speciali, dove si individua l’imprenditore artigiano in colui che esercita professionalmente, personalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità e dove l’art. 3 della Legge 8 agosto 1985 n. 443, come modificata dalla Legge 20 maggio 1997 n. 133, nel definire l’impresa artigiana ne individua i requisiti soggettivi[3], ne traccia le finalità[4] e, sia per l’imprenditore individuale che collettivo, specifica che è artigiana l'impresa che “è esercitata dall'imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge” e per le società richiede che “la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale”.

   

4. Orientamento di merito

Dopo la modifica legislativa, sembrerebbe che gli orientamenti di merito propendano per la seconda delle due interpretazioni indicate nel precedente paragrafo. In particolare si segnala che il Tribunale di Milano[5], previa opposizione di un’impresa artigiana, si è orientato nell’ammettere il credito al passivo fallimentare in privilegio ex art.2751-bis n.5 solamente a seguito di preliminare verifica e sussistenza dei requisiti di cui alla legge quadro 443/1985. Infatti, secondo il Tribunale meneghino, con la modifica dell’art. 2751-bis n. 5) c.c., il legislatore ha inteso raccordare la disciplina dettata dal codice civile in materia di privilegi con la definizione di impresa artigiana prevista dalla legislazione di settore, con la conseguenza che per stabilire la natura artigiana del credito dovrebbe farsi ora riferimento alla legge quadro sull’artigianato [L. 443/1985], che costituisce la specifica normativa di settore e non più all’art. 2083 c.c. Ne conseguirebbe che, in base a quanto previsto dagli artt. 3 commi 1 e 2 e 5 comma 4 della legge quadro sull’artigianato, dovrebbe escludersi, in via di principio, che l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane sia oggi sufficiente a dimostrare la natura artigiana dell’attività svolta (e quindi del credito insinuato al passivo fallimentare), essendo sempre necessaria la verifica circa la perdurante sussistenza – con riferimento all’epoca di insorgenza del credito e, quindi, di svolgimento della prestazione – di tutti i requisiti richiesti per la qualificazione dell’impresa come artigiana, previsti dalla citata legge quadro. Pertanto, il magistrato in fase di verifica dovrebbe sindacare la reale “consistenza” dell’impresa, ovvero: l’oggetto sociale; la prevalenza del fattore lavoro sul fattore capitale; i limiti dimensionali relativi al numero massimo di dipendenti che deve avere l’impresa artigiana; l’importo delle immobilizzazioni in bilancio alla data cui si riferisce il credito richiesto; le dichiarazioni fiscali della società e, se di persone, anche quella dei soci ai quali viene attribuito per trasparenza il reddito societario e, infine, verificare la maggioranza dei soci lavorativi nella compagine sociale.

   

5. Interventi della suprema corte

Dopo l’introduzione dell’inciso in commento nell’art.2751-bis n.5) del codice civile sono intervenute le seguenti pronunce di legittimità:

- Cassazione 4 luglio 2012 n. 11154, che ha escluso il carattere interpretativo (e, conseguentemente, retroattivo) della modifica introdotta dalla L. 35/2012. Inoltre, la Corte sembrerebbe molto dubitativa sull'efficacia costitutiva della sola iscrizione all'albo, ai fini del riconoscimento del privilegio[6].

- Cassazione 9 maggio 2013 n. 11024, che non ha chiarito se la modifica dell'art. 2751-bis n.5 c.c. abbia, o meno, attribuito natura costitutiva all'iscrizione nell'albo artigiani. Infatti, i giudici si sono nuovamente limitati a dire che trattasi di una modifica legislativa che non ha natura interpretativa e che, quindi, non ha effetto retroattivo relativamente alle fattispecie precedenti all’entrata in vigore della novella, senza fornire alcun orientamento sui casi “post”.

- Cassazione 8 agosto 2013, n. 18966, dove in una pronuncia confermativa del complessivo giudizio di “industrialità” dell’impresa che invocava il privilegio artigiano, la Corte ha espressamente negato la natura interpretativa e dunque il valore retroattivo, dell’art. 36 del D.L. n.5 del 2012, con ciò ribadendo che, per il periodo anteriore [cui si riferisce la vicenda trattata], resta acquisito che l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane non reagisce sul riconoscimento del privilegio codicistico, bensì solo sulle provvidenze della legislazione regionale di sostegno. Per le fattispecie pregresse, dunque, la Corte conferma che la nozione di imprenditore artigiano va dedotta dai criteri generali dell’art. 2083 c.c. e, per quelle collettive, esigendo che la maggioranza dei soci svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che in esse il lavoro prevalga sul capitale.

- Cassazione a Sezioni Unite 20 marzo 2015 n. 5685, che ha ribadito l’orientamento secondo il quale la modifica apportata all’art. 2751-bis n. 5) c.c. non costituisce norma di interpretazione autentica e, pertanto, non ha efficacia retroattiva e che per il periodo antecedente la modifica legislativa per la spettanza del privilegio era necessario riferirsi alla nozione di cui all’art. 2083 c.c. e non all’iscrizione all’albo di cui all’art. 5 della Legge n. 443/1985; inoltre anche le Sezioni Unite nulla dicono sull’interpretazione della norma vigente.

In breve si resta “all’ombra” delle sentenze dei Giudici Superiori (dove l’intervento delle Sezioni Unite appare certamente come un’occasione persa), in quanto mai nulla si esplicita, se non incidentalmente in un obiter di un provvedimento, circa la “futura interpretazione” dell’art. 2751-bis, n. 5) c.c.

   

6. Indicazioni del tribunale di verona

Meritano, attenzione le indicazioni “orientative” fornite dal Tribunale di Verona, alla luce del provvedimento del 3 luglio 2013[7], che hanno cercato di oggettivizzare i requisiti (soggettivi) necessari per il riconoscimento della prelazione e dove in relazione alla variazione apportata nell’art. 2751-bis n. 5) ed a far tempo dalla sua modifica (come più volte ritenuto dalla Corte di Cassazione), risulta formulata la seguente tabella riassuntiva dei criteri per il riconoscimento del privilegio artigiano:

1. limiti dimensionali minimi sotto i quali il privilegio è sempre riconosciuto: non superamento dei limiti dimensionali previsti dall’art. 1 della legge fallimentare;

2. limiti dimensionali massimi sopra i quali il privilegio non è mai riconosciuto: superamento dei limiti dimensionali dell’art. 4 della Legge 8 agosto 1985 n. 443, modificata ed integrata con Legge 20 maggio 1997 n. 133[8];

3. limiti intermedi: per ogni socio artigiano (oltre il primo) volume d’affari euro 100.000,00 (oltre il limite minimo di 200.000,00 euro). Per ogni lavoratore subordinato euro 50.000,00[9].

   

7. Conclusioni

In attesa di indicazioni da parte dei giudici di legittimità, sembrerebbe che nihil novi sub sole e che il giudice per decidere se concedere il privilegio in questione, dovrebbe (ancor oggi) valutare i limiti dimensionali dell’impresa e svolgere quell’indagine che semplificativamente va riassunta nella prevalenza del fattore lavoro su quella del capitale, tracciando i contorni della figura dell'imprenditore artigiano, individuale o collettivo, così definito “ai sensi delle disposizioni vigenti”.

In particolare (fermo restando che in relazione alla veste imprenditoriale assunta restano certamente escluse dalla possibilità di godere del privilegio de quo le sole società a base azionaria, quindi s.p.a. e s.a.p.a.[10]), per quanto attiene la prova per il riconoscimento del privilegio in commento, il creditore, oltre al certificato rilasciato dal Registro delle imprese di iscrizione all'albo delle imprese artigiane dovrebbe (ancor oggi) produrre in allegato all’istanza di insinuazione:

- copia della dichiarazione annuale IVA (quadro relativo al volume d'affari), relativa agli anni in cui sono sorte le ragioni del credito;

- copia del libro unico del lavoro (già libro matricola);

- dichiarazione attestante il numero dei dipendenti all'epoca in cui sono sorte le ragioni del credito;

- copia del libro cespiti;

- dichiarazione attestante l'uso di beni strumentali nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, nonché la qualità dei beni prodotti e dei servizi resi usualmente all'impresa.

A sua volta, per la valutazione del privilegio, prima il curatore e poi il giudice delegato, sulla base degli elementi forniti dovrebbero (ancor oggi) riscontrare le “prove ed indizi” forniti dal ricorrente ed in particolare che lo stesso possieda i necessari requisiti soggettivi[11]ed oggettivi[12].

Ricorrendo la prova (non certo agevole) di tutte le condizioni esposte, l’impresa - iscritta all’artigianato – (poteva e) può vedere i suoi crediti beneficiari del privilegio in commento.



[1] Corte Costituzionale 24 luglio 1996 n. 307, secondo cui “l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane costituisce il presupposto per fruire delle agevolazioni previste dalla legge-quadro o da altre disposizioni, ma non vale a far sorgere una presunzione assoluta circa la qualifica artigiana, onde è consentito al giudice di sindacare la reale consistenza dell'impresa ai fini del riconoscimento del privilegio, con la conseguente eventuale disapplicazione dell'atto amministrativo di iscrizione all'albo, una volta accertatane l'illegittimità”.

[2] Fra le tante Cassazione, 4 febbraio 2009, n. 2713, dove si legge che “l’attribuzione del privilegio di cui all’art. 2751-bis cod. civ. al credito vantato dall’impresa che affermi la propria natura artigiana va accertato con riguardo alla ricorrenza dei requisiti dell’art. 2083 cod. civ., che opera, come tutte le norme codicistiche, nei rapporti interprivati. Il coordinamento di tale disposizione con i contenuti della legge speciale n. 443/1985 rinvia infatti, per quest’ultima, al diverso piano dei requisiti necessari per la fruizione delle provvidenze previste dalla legislazione regionale di sostegno. Per cui, l’iscrizione all’albo di un’impresa artigiana, effettuata ai sensi dell’art. 5 legge speciale, non ha influenza sul privilegio ... la presenza di un numero di dipendenti maggiore di quello dei soci già esclude che l’attività dell’impresa sia svolta in prevalenza con il lavoro dei suoi titolari: richiedendosi appunto che la maggioranza dei soci partecipi al processo produttivo, anche manuale e che il capitale abbia funzione subvalente rispetto al lavoro”.

[3] Dopo le “estensioni” apportate dalla Legge n. 57/2001, oggi l’esclusione è per le sole società per azioni ed in accomandita per azioni; v. meglio infra.

[4]L’impresa artigiana deve avere quale scopo prevalente lo svolgimento di un'attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali.

[5] Tribunale di Milano, decreto depositato il 14/6/2013 e pubblicato su www.ilcaso.it.

[6] Infatti, in un obiter di detto provvedimento si legge che: «va premesso che l'attuale testo dell'art. 2751 bis c.c., n. 5) ... quand’anche interpretabile nel senso indicato dalla ricorrente (ovvero come norma volta ad attribuire, anche ai fini del riconoscimento del privilegio, efficacia costitutiva all'iscrizione, legittimamente effettuata, all'albo delle imprese artigiane) non può trovare applicazione nel caso di specie, posto che la ... si è cancellata dal R.I. sin dal 2008. Va escluso, infatti, che la nuova disposizione abbia natura interpretativa (e conseguente valenza retroattiva), non solo perché priva di un’espressa previsione a riguardo, ma anche in ragione dell'assenza di quei presupposti (situazioni di incertezza o significativi contrasti giurisprudenziali nell'applicazione del precedente testo, necessità di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore) che, a tutela del valore della certezza del diritto e del principio costituzionale di uguaglianza, consentono il superamento del divieto di irretroattività della legge, sancito dall'art. 11 pre-leggi, il quale, come ripetutamente ricordato dalla Corte Costituzionale, rappresenta una regola essenziale del sistema, cui il legislatore deve ragionevolmente attenersi, salvo un'effettiva causa giustificatrice (Corte costituzionale nn. 78/2012, 209/2010, 311/2009, 155/1990)».

[7] Reperibile sul sito www.associazioneconcorsualistiverona.it.

[8] Legge 8 agosto 1985 n. 443, Art. 4 - Limiti dimensionali: L’impresa artigiana può essere svolta anche con la prestazione d’opera di personale dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci, sempre che non superi i seguenti limiti:

a) per l’impresa che non lavora in serie: un massimo di 18 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 9; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 22 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;

b) per l’impresa che lavora in serie, purché con lavorazione non del tutto automatizzata: un massimo di 9 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 12 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;

c) per l’impresa che svolge la propria attività nei settori delle lavorazioni artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su misura: un massimo di 32 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 16; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 40 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti. I settori delle lavorazioni artistiche e tradizionali e dell’abbigliamento su misura saranno individuati con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le regioni ed il Consiglio nazionale dell’artigianato;

d) per l’impresa di trasporto: un massimo di 8 dipendenti;

e) per le imprese di costruzioni edili: un massimo di 10 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 14 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti. Ai fini del calcolo dei limiti di cui al precedente comma: 1) non sono computati per un periodo di due anni gli apprendisti passati in qualifica ai sensi della Legge 19 gennaio 1955, n. 25, e mantenuti in servizio dalla stessa impresa artigiana; 2) non sono computati i lavoratori a domicilio di cui alla Legge 18 dicembre 1973, n. 877, sempre che non superino un terzo dei dipendenti non apprendisti occupati presso l’impresa artigiana; 3) sono computati i familiari dell’imprenditore, ancorché partecipanti all’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del codice civile, che svolgano la loro attività di lavoro prevalentemente e professionalmente nell’ambito dell’impresa artigiana; 4) sono computati, tranne uno, i soci che svolgono il prevalente lavoro personale nell’impresa artigiana; 5) non sono computati i portatori di handicap, fisici, psichici o sensoriali; 6) sono computati i dipendenti qualunque sia la mansione svolta.

[9] Esempi numerici: due soci, senza lavoratori subordinati, volume d’affari compatibile 300.000; tre soci senza lavoratori subordinati, volume d’affari compatibile 400.000; tre soci + tre lavoratori volume d’affari compatibile 550.000 per effetto della somma del limite di euro 400.000 per i soci e di euro 150.000 per i lavoratori.

[10] Nella Legge n. 443/1985 (legge quadro per l'artigianato) il legislatore aveva escluso che l'impresa artigiana potesse essere esercitata sotto forma di società a responsabilità limitata, per azioni, in accomandita semplice e per azioni; erano, quindi, ammesse, implicitamente, le sole società artigiane organizzate su base personale (in nome collettivo) ed, esplicitamente, le cooperative. In seguito, ferma l'iniziale esclusione delle società per azioni e in accomandita per azioni, la Legge n. 133/1997, ha consentito il ricorso alla società in accomandita semplice e alla società a responsabilità limitata unipersonale (sempreché ciascun socio accomandatario o il socio unico sia stato in possesso dei requisiti indicati dall’art. 2 della legge quadro per l'artigianato e non sia socio di altra società in accomandita semplice o a responsabilità limitata). La successiva Legge n. 57/2001 ha ammesso anche le società artigiane costituite come società a responsabilità limitata pluripersonale. Pertanto, ove ricorrano le condizioni dell’art. 2 della Legge 443/85 poste per la qualifica di imprenditore artigiano (“… colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”), la caratteristica soggettiva di essere una società in accomandita semplice o a responsabilità limitata non è preclusiva della possibilità di godere del privilegio de quo e restano certamente escluse solo le società a base azionaria (s.p.a. e s.a.p.a.).

[11] Ovvero: titolarità di una sola impresa con prevalenza del lavoro svolto dall’imprenditore, o dai soci accomandatari della s.a.s. o dalla maggioranza dei soci, nel processo produttivo, dove solo marginalmente il lavoro può essere rivolto ad attività amministrative o dirigenziali.

[12] In breve: - l’oggetto dell’impresa artigiana deve essere un’attività volta alla produzione di beni o alla prestazione di servizi; - il credito insinuato deve essere relativo alla prestazione di un servizio reso o alla vendita di un manufatto; - l’impresa deve possedere i limiti requisiti dimensionali per essere qualificata artigiana “ai sensi delle disposizioni vigenti”; - l’imprenditore deve dirigere personalmente i dipendenti, considerando il numero degli addetti e le modalità di lavorazione; - deve sussistere la preminenza dell’impiego del fattore lavoro, globalmente considerato, rispetto al capitale investito.


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