Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 324 - pubb. 01/07/2007

Forma dei contratti di negoziazione e adeguatezza dell'operazione

Tribunale Milano, 15 Marzo 2006. Pres. Vanoni. Est. Silvia Brat.


Processo societario – Notifica degli atti con scambio diretto tra difensori – Nullità – Sanatoria


Servizi di intermediazione finanziaria – Forma scritta ad substantiam – Ordini di negoziazione – Derogabilità


Intermediazione finanziaria – Informazione circa l’adeguatezza dell’operazione – Specificità – Necessità – Mera compilazione del modulo di propensione al rischio – Insufficienza



È nulla la notifica della comparsa di risposta nell’ambito del processo societario di cui al d. lgs. n. 5/2003 effettuata a mezzo fax per scambio diretto tra difensori ove manchi la sottoscrizione per ricevuta sull’originale. La nullità è tuttavia sanabile qualora parte attrice, nei successivi atti difensivi, dia atto di aver ricevuto la comparsa medesima.


Il requisito della forma scritta ad substantiam per i contratti relativi ai servizi di investimento riguarda il solo contratto-quadro e non i singoli ordini di negoziazione, per i quali il reg. Consob n. 11522/1998, all’art. 30 lett. c), prevede che il contratto possa derogare a tale tipo di forma.


La valutazione circa l’adeguatezza dell’operazione, proprio in considerazione della maggiore rischiosità del prodotto richiesto o presentato, costituisce un quid pluris rispetto al generale obbligo informativo di cui all’art. 28, II comma reg. CONSOB e, per tale ragione, deve essere più penetrante e raggiungere in modo più incisivo la sfera cognitiva del cliente. Ne deriva che l’obbligo di valutazione e di eventuale disincentivazione dall’investimento non viene meno né è attenuato nell’ipotesi di rifiuto del cliente di fornire informazioni circa la propensione al rischio e la situazione finanziaria, prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza. Nè tale obbligo è attenuato dalla mera apposizione di una crocetta relativa alle conoscenze personali in ambito finanziario e con espressione così sintetica degli obiettivi di investimento, espressione del tutto disancorata dalla valutazione dell’operazione in concreto effettuata. (Nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto la violazione dei doveri informativi nel rapporto con un investitore che aveva indicato con la crocetta una propensione al rischio medio-alta.)



n. 50770/05 R.G.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione ritualmente notificato in data 11 luglio 2005, O. P. conveniva davanti al Tribunale di Milano il B. s.p.a. in persona del legale rappresentante, ciò assumendo: che, nell’ambito del mandato stipulato in data 14 novembre 2000 per la negoziazione di strumenti finanziari presso l’odierna convenuta, aveva sottoscritto la scheda cliente contenente informazioni circa la propria esperienza in ambito finanziario, la propensione al rischio e gli obiettivi di investimento, informazioni, tutte, che erano lasciate in bianco; che, su consiglio e ad iniziativa del funzionario presso l’agenzia in San Pellegrino Terme, aveva acquistato obbligazioni Argentina emesse dal Banco Hipotecario per controvalore di € 66.000,00 e successivamente, in data 19 febbraio 2001, 152.000 obbligazioni Buenos Aires 10,25% per un controvalore di € 154.854,54; che le prime obbligazioni, giunte a scadenza, erano state rimborsate, mentre, quanto alle seconde, apprendeva della rischiosità delle stesse da notizie di stampa sulla crisi dell’Argentina e nel contempo l’istituto escludeva ogni propria responsabilità a fronte delle contestazioni mosse. Deduceva che l’operazione in data 19 febbraio 2001 era nulla per mancanza dell’ordine scritto; che le obbligazioni acquistate erano, in realtà, riservate ad investitori istituzionali e non potevano essere offerte a privati; che la controparte aveva violato gli obblighi informativi di cui all’art. 21 T.U.F. ed all’art. 28 reg. CONSOB n. 11522/1998, alla luce dei quali l’intermediario deve operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati e deve essere in possesso delle necessarie informazioni circa l’esperienza in ambito finanziario, la propensione al rischio e gli obiettivi di investimento del cliente; sotto questo aspetto, in particolare, la banca aveva violato la disposizione di cui all’art. 29 reg. CONSOB con riferimento all’adeguatezza dell’operazione, in quanto si trattava di investimento altamente speculativo, che aveva assorbito la maggior parte del patrimonio dell’attrice, che, essendo un insegnante in pensione, mirava alla conservazione del capitale e ad una rendita sicura; l’istituto si era reso, altresì, responsabile della mancata informativa circa il conflitto di interesse ex art. 27 reg. CONSOB, che impone la comunicazione al cliente della sussistenza di un conflitto di interesse dell’istituto, in modo chiaro ed esauriente; il B., infine, non aveva informato la cliente circa l’andamento dei titoli acquistati, in violazione dell’art. 28 reg. citato. L’attrice chiedeva, quindi, che fosse accertata la nullità dell’operazione di acquisto delle obbligazioni de quibus in data 19 febbraio 2001; in via subordinata, che la stessa operazione fosse annullata o, ancora, risolta per fatto e colpa della convenuta, con condanna, in tutte le ipotesi, di questa alla restituzione del capitale di € 154,854,54, oltre al danno da inflazione e da mancata rendita, interessi legali dal 19 febbraio 2001 e rivalutazione monetaria. In via istruttoria, l’attrice chiedeva l’ammissione di C.T.U. al fine di verificare l’andamento del rating delle obbligazioni e la sussistenza del lamentato conflitto di interesse. Il B. s.p.a., ritualmente costituitosi in giudizio, osservava come la P. avesse sottoscritto un regolare contratto di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini concernenti strumenti finanziari, avendo preso visione del documento sui rischi in generale connessi agli investimenti; come, tra l’altro, in data 15 febbraio 2001, avesse barrato, nella scheda cliente, una propensione al rischio medio – alta, con prevalente rivalutabilità del capitale, tanto che anche successivamente, nel maggio 2002, aveva così qualificato i propri obiettivi di investimento; prova di ciò era costituita anche dal precedente acquisto di obbligazioni Argentina del Banco HIpotecario. Deduceva, poi, che non vi era alcun conflitto di interesse; che non si trattava di titoli riservati ad investitori istituzionali ed, infine, che non vi era alcun obbligo di informativa circa l’andamento dei titoli, essendo tale obbligo sussistente solo in relazione a strumenti derivati ed a patrimoni affidati. Con istanza depositata il 9 novembre 2005, la Difesa dell’attrice eccepiva l’inesistenza della notifica della comparsa di costituzione effettuata a mezzo fax, da legale non abilitato ai sensi della L. n. 53/1994; nel merito, si riportava alle conclusioni dell’atto introduttivo.

Con note ex art. 10 D.lgs. n. 5/2003, l’istituto bancario contestava la fondatezza dell’eccezione processuale, invocando il disposto di cui agli artt. 2, 3, 17 del nuovo rito societario. A seguito dell’emissione, in data 28 dicembre 2005, del decreto di fissazione di udienza, venivano depositate nei termini le comparse conclusionali. Svolta la discussione all’udienza collegiale del 15 marzo 2006, il Collegio si riservava la decisione nei termini di legge.


MOTIVI DELLA DECISIONE


In via pregiudiziale, va risolta l’eccezione, sollevata dall’attrice, circa la notifica della comparsa costitutiva eseguita a mezzo fax.

È necessario prendere le mosse dalle disposizioni del nuovo rito societario, in materia di notifiche alternative rispetto a quelle previste dal codice di rito.

L’art. 2 del D.Lgs. n. 5/2003 prevede, con riferimento al contenuto dell’atto di citazione, “l’indicazione del numero di fax o dell’indirizzo di posta elettronica presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento”. L’art. 4 del D.Lgs. n. 5/2003 stabilisce, con riguardo al contenuto della comparsa di costituzione, che “nella stessa comparsa il convenuto deve indicare il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento”. L’art. 1, comma IV del D.Lgs. n. 5/2003 stabilisce che “per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”. L’art. 17 del D.Lgs. n. 5/2003 al II comma, autorizza la notificazione e la comunicazione alle parti costituite, oltre che a norma dell’art. 136 e seguenti del codice di procedura civile, anche con trasmissione a mezzo fax, o per posta elettronica, o “con scambio diretto tra difensori attestato da sottoscrizione per ricevuta sull’originale, apposta anche da collaboratore o addetto allo studio del difensore”; inoltre stabilisce: “le disposizioni del comma 1 si applicano a tutti i procedimenti previsti dal presente decreto e le trasmissioni di atti ai sensi del comma 1, lettera a) e b) devono essere effettuate nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione di documenti informatici o teletrasmessi”. L’art. 137 c.p.c. stabilisce che, fatta salva diversa disposizione di legge, le notificazioni sono eseguite dall’ufficiale giudiziario. Precedentemente alle disposizioni del rito societario, solo specifiche disposizioni normative, del tutto eccezionali, avevano consentito la notifica a mezzo fax ed a soggetti diversi dall’ufficiale giudiziario. La legge 16.10.1986, n. 664, concernente la ristrutturazione dei servizi amministrativi dell’Avvocatura di Stato, prevede, all’art. 7, la facoltà, per l’Avvocatura di Stato, di avvalersi dei mezzi di telecomunicazione per la trasmissione a distanza degli atti relativi agli affari contenziosi consultivi e amministrativi. A tale proposito, la S.C. ha notato che “l’art. 7 comma 3 della Legge 664/1986, all’evidente scopo di accelerare le operazioni di trasmissione degli atti relativi agli affari contenziosi, consultivi ed amministrativi, consente all’Avvocatura dello Stato di avvalersi dei mezzi di telecomunicazioni, prevedendo poi al successivo comma 4, al fine di soddisfare l’adempimento dell’obbligo della sottoscrizione, che tale obbligo deve ritenersi assolto con la sottoscrizione dell’Avvocato dello Stato ricevente, purché dalla copia fotoriprodotta risultino l’indicazione e la firma dell’estensore originale. Orbene, in presenza di una previsione di così ampia portata, comprendente espressamente anche gli atti riguardanti il contenzioso, del tutto arbitraria è la tesi dedotta in base alla quale devono considerarsi esclusi da tale disciplina gli atti per i quali è richiesta la notificazione, non essendo una tale interpretazione consentita né dalla lettera, né dalla ratio della norma la quale, essendo finalizzata all’accelerazione delle procedure, finirebbe per non trovare applicazione proprio per quelle attività solitamente sottoposte a rigorosi termini di decadenza. Né a tale lettura è di ostacolo l’art. 137 c.p.c. che impone all’ufficiale giudiziario di eseguire la notifica della copia conforme all’originale e quindi di accertarne previamente la conformità, trattandosi all’evidenza di una deroga in quanto con la sottoscrizione dell’avvocato dello Stato ricevente viene conferita alla copia fotoriprodotta la stessa funzione dell’originale” (Cass. civ., n. 9642/1999).Altra disposizione eccezionale è quella rappresentata dalla L. n. 183/1993, che disciplina la trasmissione di atti tra difensori della medesima parte muniti di un’unica procura alle liti, per consentire la trasmissione di atti da un difensore al proprio domiciliatario di altra città; in forza di tale disposizione, la copia inviata via fax acquisisce valore legale, ove l’avvocato trasmittente la dichiari conforme all’originale esistente presso il suo studio.

Infine, deve essere presa in considerazione la L. n. 53/1994, che abilita l’avvocato munito di procura alle liti e dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine di appartenenza ad eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo del servizio postale, secondo le modalità previste dalla legge n. 890/1982, ad esclusione di una diversa disposizione da parte dell’autorità giudiziaria. La notifica de qua è assistita da specifiche condizioni, quali la tenuta di un apposito registro cronologico – “il cui modello è stabilito con decreto del Ministro di giustizia, sentito il parere del Consiglio nazionale forense” (art. 8 della lege cit.) – e che deve essere numerato e vidimato in ogni mezzo foglio da parte del presidente o di un delegato del Consiglio dell’Ordine di appartenenza del notificante.

Ora, dall’esame delle disposizioni normative citate si traggono due conclusioni: 1) che non esiste una normativa regolamentare in ordine alla trasmissione di atti via fax; 2) che le notifiche di atti sono riservate all’ufficiale giudiziario, ad eccezione di specifica e puntuale normativa derogatoria. Si tratta, a questo punto, di verificare la validità della notifica della comparsa al di fuori delle ipotesi di cui alle leggi n. 664/1986, non trattandosi di notifica dell’Avvocatura di Stato; n. 183/1993, non vertendosi in tema di trasmissione di atti dal cd. dominus al domiciliatario; n. 53/1994, non essendo state rispettate le specifiche modalità previste e non essendo l’avvocato della convenuta in possesso dell’autorizzazione da parte del Consiglio dell’Ordine.

Sulla questione si sono già pronunciati alcuni giudici di merito, anche in epoca anteriore all’entrata in vigore del nuovo rito societario, come Tribunale Roma, con ordinanza del 21 marzo 2001, Tribunale Bari con ordinanza in data 2 giugno 2005, Tribunale Brescia, con ordinanza del 6 dicembre 2005, Tribunale Mantova con ordinanza in data 27 ottobre 2005, Tribunale Monza, con ordinanze del 30 dicembre 2004, del 20 gennaio 2006 e con sentenza in data 19 maggio 2005. Alcuni giudici, pervenuti alla conclusione circa l’inesistenza della notifica così effettuata, hanno sottolineato come l’attuale sistema normativo preveda pur sempre l’intervento dell’ufficiale giudiziario e come, invece, lo scambio diretto tra difensori costituisca valida forma di notifica nel rito societario solo se attestato da una fisica sottoscrizione per ricevuta sull’originale ex art. 17 rito societario (Tribunale Monza, 30 dicembre 2004 e Tribunale Brescia, 6 dicembre 2005). Con pronuncia successiva del 20 gennaio 2006, il Tribunale di Monza, pur non mutando orientamento in ordine alle modalità ed ai soggetti abilitati alla notifica, ha osservato come l’omessa notifica della comparsa di risposta potesse essere sanata, “essendo assolutamente equipollente (quanto a requisiti) a quella ulteriore speciale forma di “notifica” ammessa dallo stesso D.lgs. n. 5/2003 all’art. 17 lett. c)”. Nel caso esaminato dal giudice monzese è stata fatta applicazione del principio di conservazione di cui all’art. 156, III comma, c.p.c., posto che il difensore che aveva sollevato l’eccezione de qua aveva riconosciuto di aver ricevuto a mezzo fax la memoria della controparte; ne derivava che, pur in assenza della fisica sottoscrizione di cui all’art. 17, la dichiarazione di avvenuta ricezione da parte del destinatario induceva a ritenere che l’atto avesse raggiunto il suo scopo (nello stesso senso la sentenza del 19 maggio 2005 del Tribunale di Monza). Anche il Tribunale di Mantova, 27 ottobre 2005, ha aderito alla tesi della nullità della notifica a mezzo fax, sul rilievo che lo strumento del fax non è del tutto estraneo all’ordinamento positivo e che nel caso concreto nessuno dei destinatari aveva lamentato la mancata ricezione dell’atto. Con ordinanza del 2 giugno 2005, il Tribunale di Bari, ha, invece, ravvisato, nell’art. 17 D.L.gs n. 5/2003, l’intenzione del legislatore di legittimare forme di notificazioni e comunicazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle di cui agli artt. 136 e seguenti del codice di procedura civile, eliminando l’esclusiva competenza dell’ufficiale giudiziario; ciò in quanto lo stesso art. 137, I comma, c.p.c. stabilisce che le notificazioni sono eseguite dall’ufficiale giudiziario “quando non è disposto altrimenti”, previsione, questa, che renderebbe compatibile la notifica effettuata anche da altri soggetti. Il Tribunale di Bari, superata in tal modo la questione pregiudiziale, ha, poi, verificato se la notifica effettuata a mezzo posta elettronica o via fax sia “astrattamente rispondente al tipo normativo. Ad avviso del giudicante, dirimente è la circostanza per cui, nel modello legale disegnato dalla novella, l’utilizzo di mezzi alternativi di trasmissione degli atti processuali è consentito solo tra le parti costituite, sicché le parti contumaci sono sottratte a forme di comunicazione e di trasmissione per le quali la garanzia dell’effettiva conoscibilità dell’atto è inevitabilmente connessa alla circostanza che la parte stessa, attraverso il proprio difensore, abbia comunicato formalmente le proprie coordinate tecniche, che ne assicurino la reperibilità attraverso tali mezzi di comunicazione. Pertanto, solo ove vi sia stata la dichiarazione del difensore di volersi avvalere di quei mezzi alternativi, può porsi la questione, logicamente successiva, della sanabilità di una notificazione che, pur invalida per inosservanza della normativa concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici o teletrasmessi, abbia comunque raggiunto lo scopo suo proprio. Ed, invero, solo ove il difensore abbia reso quella dichiarazione può dirsi che egli abbia accettato il rischio (verso la controparte e verso il proprio assistito) legato all’incertezza in ordine alla provenienza dell’atto, alla data di sua effettiva spedizione e ricezione, alla sua conformità all’originale, all’anteriorità della procura rispetto all’atto di citazione etc.”.

Ad avviso del Collegio, la fattispecie in esame non va ricondotta nella categoria dell’inesistenza, per ragioni di ordine sistematico. Ed, invero, l’art. 160 c.p.c. concentra le previsioni di nullità della notifica sull’unico versante della consegna; determinandosi il vizio di nullità nelle ipotesi di incertezza sulla persona cui è stata effettuata la notifica o di inosservanza delle disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, fatta salva l’applicazione dell’art. 156 c.p.c.. Ora, il concetto giuridico della nullità, già di per sé così esteso - tanto da comprendere le anomalie riguardanti il destinatario dell’atto, ossia colui, il cui diritto di difesa e di contraddittorio va primariamente salvaguardato - circoscrive in un ambito del tutto ristretto l’altro concetto dell’inesistenza giuridica. Inesistenza che si determina quando l’atto è privo di elementi essenziali identificatori, è totalmente abnorme ed avulso dalla realtà processuale, come, ad esempio, nell’ipotesi di una notifica effettuata da un privato qualunque. La S.C. ha individuato alcuni casi di inesistenza, laddove l’atto mancava di requisiti indispensabili, come, a titolo esemplificativo, l’assenza della firma dell’ufficiale giudiziario (Cass. civ., n. 6377/1988), l’omessa indicazione della data (Cass. civ., n. 3068/1987) nella relazione di notifica, od, ancora, nell’ipotesi di consegna a legale ormai privo della rappresentanza processuale del destinatario dell’atto (Cass. civ., n. 12002/1998, ipotesi relativa a notifica di atto di appello nei confronti di legale cancellatosi già nel corso del giudizio di primo grado dall’albo professionale e privo, quindi, dell’abilitazione ad esercitare la professione forense). Ora, l’atto inesistente è totalmente privo dei requisiti essenziali per la sua qualificazione in termini di atto del tipo normativamente considerato ed è, perciò, in suscettibile di una qualsiasi sanatoria. Una simile affermazione non implica, tuttavia, a contrario, l’ammissibilità senza limiti della sanatoria nelle ipotesi di nullità – come si osserverà in seguito.

La nullità dell’atto processuale si determina, invece, quando la violazione di norme attinenti ai requisiti formali, sia così grave da rendere l’atto non idoneo al raggiungimento dello scopo processuale cui è destinato, fatto salvo il raggiungimento dello stesso nel caso concreto. E proprio nell’ambito della categoria della nullità (e non dell’inesistenza) la S.C. ha iscritto la notifica di un atto processuale effettuata da soggetto non abilitato, in quanto al di fuori della previsione di cui alla L. n. 53/1994, che consente all’avvocato munito di regolare procura ed alle specifiche condizioni ivi previste, di procedere a notifica, in via del tutto eccezionale ed in deroga alla notifica a mezzo ufficiale giudiziario; “all’infuori di tale eccezionale ipotesi, vale la regola generale: sicché, nella fattispecie – caratterizzata dal singolare fatto che il difensore del resistente dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto, di professione dottore commercialista (e, quindi, abilitato alla difesa tecnica davanti al giudice tributario: v. art. 12, II comma del d.lgs. n. 546 del 1992) ha eseguito personalmente la notificazione della sentenza impugnata presso l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Venezia - siffatta notificazione deve considerarsi radicalmente nulla si sensi dell’art. 156, comma 2 cod. proc. civ., in quanto del tutto estranea alle fattispecie legali tipiche di notificazione della sentenza impugnata, ai fini della decorrenza del termine per impugnare, prefigurate e del decreto sul nuovo processo tributario e dal codice di rito civile e, quindi, priva di effetti al predetto fine” (Cass. civ., n. 6166/2001). Anche l’attività di notificazione svolta dagli avvocati ai sensi della L. n. 53/1994, in assenza dei requisiti previsti dalla legge, determina nullità della notifica, sanabile con la costituzione ( Cass. civ., n. 10208/2004; Cass. civ., n. 15081/2004).

La categoria della nullità è improntata alla tassatività delle ipotesi ex art. 156, I comma c.p.c., temperata, come sopra visto, dal principio di conservazione di cui all’art. 156, III comma, c.p.c.: in forza del quale la nullità non può mai essere pronunciata, qualora l’atto, pur privo di requisiti essenziali, abbia comunque, in concreto, conseguito lo scopo tipico cui era destinato. Così, se la costituzione in giudizio, presupponendo l’avvenuta conoscenza dell’atto, ha efficacia sanante, la mera comparizione del convenuto contumace a seguito di notifica di ordinanza ammissiva di interrogatorio formale non sana il rapporto processuale irregolarmente sorto, proprio perché la notifica dell’ordinanza si prefigge uno scopo ben diverso (la comparizione per rendere l’interrogatorio o la valutazione in termini di ficta confessio) dalla notifica della citazione (Cass. civ., n. 1511/1986).

Ora, la fattispecie all’esame del Collegio va iscritta nella categoria della nullità, in quanto la notifica è stata effettuata con un mezzo di trasmissione previsto in determinate ipotesi dall’ordinamento, ma al di fuori delle disposizioni normative specifiche sopra citate e da soggetti non abilitati. Si è, in sostanza, determinato lo scambio diretto tra difensori di cui all’art. 17, lett. c), anche se in assenza della necessaria sottoscrizione per ricevuta sull’originale. L’adesione alla tesi della nullità comporta, pur sempre, come sopra detto, in analogia con l’art. 156, III comma, c.p.c., la sanatoria ad opera ed in conseguenza di una sorta di convalida da parte degli attori. Sono, infatti, queste parti che si trovano sprovviste della tutela accordata dal legislatore con le specifiche disposizioni e del codice di rito in tema di notifiche e di notifiche via fax (nelle ipotesi eccezionali indicate) ed a loro è rimessa la valutazione circa la regolare, completa e certa ricezione della comparsa costitutiva. Pertanto, è solo in questi termini che si esplica il principio dispositivo, del tutto valido anche in ambito processualistico, laddove sia la parte potenzialmente pregiudicata nel proprio diritto di difesa ad effettuare una valutazione di insussistenza di lesione di tale diritto. Né può farsi riferimento al principio dell’assunzione di responsabilità del difensore che indica un proprio numero di fax, nei termini sopra illustrati, con riferimento alla pronuncia del Tribunale di Bari in data 2 giugno 2005. Una simile assunzione di responsabilità non trova alcun fondamento normativo. Non è, quindi, adottabile il principio dispositivo mediante il richiamo ad un’assunzione di responsabilità, per così dire, preventiva e generica, che lascia la parte esposta a qualsiasi tipo di notificazione, senza la possibilità di un serio controllo successivo dell’atto ricevuto e di un esercizio consapevole del proprio potere di convalida dell’atto irregolare della controparte. Una simile conclusione è in contrasto, ad avviso del Collegio, con l’effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost.. La difesa dell’attrice, pur eccependo ritualmente l’inesistenza giuridica della comparsa notificata via fax, a pag. 1 dell’istanza di fissazione di udienza ha espressamente affermato: “in data 24.10.05 è pervenuta al fax dell’Avv. Lucia Adelfio, una comparsa di costituzione redatta dall’Avv. Arturo Botti di Bergamo e dallo stesso teletrasmessa; tuttavia, né dal contesto della comparsa, né dalla relata di notifica. Risulta che il predetto avv. Arturo Botti sia legittimato ad eseguire notificazioni ai sensi della L. 53/94”. Ora, è del tutto chiaro che una simile contestazione non implica l’affermazione circa la mancata ricezione della comparsa, né la Difesa attorea ha mai eccepito di non aver potuto prendere visione della comparsa. Deve, pertanto, farsi ricorso al principio conservativo di cui all’art. 156, III comma, c.p.c., con conseguente effetto sanante in relazione ad una notifica effettuata al di fuori dei canoni normativi, ma non contestata quanto al raggiungimento dello scopo tipico.

Nel merito, in via preliminare va esaminata la questione relativa alla nullità dell’operazione di investimento in data 19 febbraio 2001 per mancanza dell’ordine scritto (v. pagg. 4 – 5 dell’atto di citazione e pag. 3 – 5 della memoria conclusionale). A tale proposito, in primo luogo, viene preso in considerazione l’art. 23 T.U.F., che stabilisce che “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto”; è, tuttavia, previsto che la CONSOB, sentita la Banca d’Italia, possa prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratti possano o debbano essere stipulati in altra forma. Si tratta, quindi, della possibilità, legislativamente prevista, che norme regolamentari apportino deroghe al requisito della forma scritta ad substantiam.

Ora, l’art. 30 del regolamento CONSOB n. 11522/1998, nel dettare i requisiti strutturali del contratto – quadro, ne conferma la forma scritta ad substantiam. Tale disposizione, alla lettera c), prevede che il contratto indichi le modalità attraverso le quali l’investitore può impartire ordini e istruzioni, senza vincolo, quindi, della forma scritta ad substantiam. Il successivo art. 60, nella parte IV relativa agli obblighi di attestazione, rendicontazione e registrazione, al II comma, dispone che gli intermediari autorizzati registrino su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente dagli investitori. L’art. 1 del contratto – quadro sottoscritto dalla P. in data 14 novembre 2000, prevede che gli ordini siano impartiti alla banca, di norma per scritto e che “qualora gli ordini vengano impartiti telefonicamente, gli stessi vengono registrati su nastro magnetico o su altro supporto magnetico equivalente che ne fa prova fra la banca e il cliente”. Ora, tale disposizione (nel richiamare la normativa di cui al regolamento CONSOB citato) esclude la forma scritta ad substantiam, prevedendo, invece, la documentazione su nastro magnetico o supporto equipollente dell’ordine, al fine della prova dello stesso. Del resto, va considerato che un tale obbligo si rinviene in una disposizione, l’art. 60 del reg. CONSOB (a sua volta inserito nella parte IV intitolata “obblighi di attestazione, rendicontazione e registrazione”), che non attiene ai requisiti di validità ed efficacia dell’ordine, ma a tutti quegli obblighi di attestazione e di rendicontazione funzionali alla corretta trasmissione dell’ordine, tra i quali sono compresi il nome dell’investitore, l’orario e la data di ricevimento dell’ordine, gli elementi essenziali dello stesso e le eventuali istruzioni accessorie (lettere a), b), c) comma I, art. 60). Ritiene, pertanto, il Collegio che la forma scritta ad substantiam involga il solo contratto – quadro, alla luce dell’interpretazione sia letterale, sia sistematica delle disposizioni citate e del principio di tassatività delle nullità. Nel caso in esame, occorre rilevare che l’attrice non ha contestato di aver impartito l’ordine del 19 febbraio 2001 (v. pagg. 1- 2 della citazione), di cui ha chiesto la declaratoria di nullità e, in subordine, l’annullamento. Pertanto, considerato che la forma della registrazione è richiesta ad probationem, ne deriva il rigetto della declaratoria di nullità nei termini di cui alla domanda (nello stesso senso, v. Tribunale Milano 25 luglio 2005).

Con riferimento incentrata sulla violazione dell’art. 94 D.lgs. n. 58/1998, va, in primo luogo, considerato che l’art. 1 comma I del T.U.F. alla lettera t) così definisce la sollecitazione all’investimento: “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”. Manca, invece, nel T.U.F. una definizione di offerta pubblica, di invito rivolto al pubblico. Generalmente, peraltro, si considera pubblica un’offerta rivolta ad un numero indeterminato di destinatari, ossia ad incertam personam, con l’adozione di modalità uniformi e standardizzate (in tal senso si è pronunciata la CONSOB nell’audizione del 27 aprile 2004 alla Camera dei Deputati – Commissione Finanze). Nel caso in esame, le obbligazioni de quibus avevano esaurito la fase del collocamento presso investitori professionali, con la conseguenza che ben potevano essere offerte agli investitori privati.

Con riferimento al profilo informativo adeguato ai sensi dell’art. 21 T.U.F. e degli artt. 28 e 29 reg. CONSOB, parte attorea lamenta una non esauriente informazione circa la rischiosità dei titoli ed una sostanziale inadeguatezza dell’operazione, che avrebbe assorbito la maggior parte del suo patrimonio, in spregio alla funzione conservativa desiderata. La disposizione citata, costituente estrinsecazione del più generale dovere di informazione in favore del cliente sancito dall’art. 21 T.U.F., fa divieto all’intermediario di effettuare, per conto dell’investitore, operazioni non adeguate “per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione”, tenendo conto, ai fini del giudizio di adeguatezza, delle informazioni ricevute dal cliente ai sensi dell’art. 28, I comma, lett. a) e di ogni altra informazione ricavabile dai servizi prestati (cd. suitability rule). Il III comma dell’art. 29 statuisce che quando gli intermediari autorizzati “ricevono da un investitore disposizioni relative ad un’operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” e nel caso in cui l’investitore decida di procedere ugualmente “essi possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto in cui sia fatto esplicito riferimento delle avvertenze ricevute”. Ora, nella fattispecie de qua, risulta dal documento n. 11 di parte P. che l’operazione del 19 febbraio 2001 aveva, di fatto, assorbito la maggior parte del capitale disponibile: ed, infatti, l’unica operazione di investimento finanziario di tutto l’anno 2001 è quella di cui si tratta, mentre solo nell’ottobre dello stesso anno compare il rimborso di € 65.929,16, poi prelevato unitamente all’importo di € 5.629,59 in vista di un altro investimento. Va, inoltre, considerato che nei primi mesi dell’anno 2001 le principali agenzie internazionali (Moody, Standard & Poor’s, Fitch) avevano declassato il rating delle obbligazioni Argentina da “BB” a “B+”, cui corrispondeva un giudizio di incertezza circa la capacità dell’emittente di far fronte al proprio impegno; sottolineando, in tal modo, la maggiore rischiosità dei titoli connessa alle pessime condizioni economiche e finanziarie dello Stato dell’Argentina. Ora, tali dati, ossia un’informazione esaustiva circa la natura speculativa del prodotto offerto e, soprattutto, l’inadeguatezza dell’operazione in rapporto al patrimonio dell’attrice dovevano alla stessa essere resi noti. Al contrario, la difesa di parte convenuta ha opposto che tale obbligo sarebbe stato assolto con la sottoscrizione, da parte dell’investitrice, della scheda cliente in data 14 novembre 2000 (doc. n. 4 della stessa parte). In tale documento risultavano apposte: una crocetta in corrispondenza del riquadro con indicato l’aggettivo “sufficiente” con riferimento all’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari; altra crocetta in corrispondenza della dicitura “prevalenza di rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corso e dei cambi” sotto la sezione C), denominata “obiettivi di investimento”; altra crocetta in corrispondenza del riquadro con specificato “medio – alta” con riguardo al settore D) intitolato “propensione al rischio”. Parte convenuta ha poi prodotto il doc. n. 6 datato 8 maggio 2002 da cui risulta un’esperienza approfondita, una propensione al rischio medio – alta, obiettivi di investimento così qualificati: “prevalenza di rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi e dei cambi”. Ad avviso del Tribunale, il riempimento del modulo documento n. 4 nei termini sopra illustrati non è sufficiente a dimostrare l’assolvimento, da parte dell’istituto bancario, dell’obbligo di fornire un’informazione corretta, trasparente, improntata, in sostanza, alle regole di diligenza e di professionalità esigibili dall’operatore qualificato con riferimento ad un’operazione non adeguata. Ed, invero, la valutazione circa l’adeguatezza dell’operazione, proprio in considerazione della maggiore rischiosità del prodotto richiesto o presentato, costituisce un quid pluris rispetto al generale obbligo informativo di cui all’art. 28, II comma reg. CONSOB e, per tale ragione, deve essere più penetrante e raggiungere in modo più incisivo la sfera cognitiva del cliente. Ne deriva che l’obbligo di valutazione e di eventuale disincentivazione dall’investimento non viene meno, né è attenuato nell’ipotesi di rifiuto del cliente di fornire informazioni circa la propensione al rischio e la situazione finanziaria, prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza, come previsto dall’art. 28, reg. CONSOB n. 11522/98. Certamente, tale obbligo neppure è attenuato con la mera apposizione di una crocetta relativa alle conoscenze personali in ambito finanziario e con l’espressione così sintetica degli obiettivi di investimento, espressione del tutto disancorata dalla valutazione dell’operazione in concreto effettuata. Né, infine, assume alcun rilievo il documento n. 6 per le stesse ragioni, trattandosi di documentazione di formazione successiva al febbraio 2001. Con riguardo alle prove testimoniali di cui al paragrafo n. 3 della comparsa, il Collegio rileva che le circostanze ivi illustrate, oltre a non essere capitolate in forma specifica ai sensi dell’art. 244 c.p.c., sono irrilevanti rispetto all’obbligo che l’istituto avrebbe dovuto dimostrare di aver assolto, con riferimento a quel particolare tipo di operazione. Ed, invero, parte convenuta non ha neppure argomentato in merito al profilo di adeguatezza dell’operazione, ritenendo che qualsiasi ulteriore valutazione fosse, per così dire, superata dalla produzione della scheda cliente di cui sopra. Una volta accertato l’inadempimento della convenuta, debbono ora essere valutate le conseguenze del dedotto inadempimento, rilevandosi che gli attori, nelle conclusioni dell’atto di citazione, hanno chiesto, in via principale, la declaratoria di nullità dell’ordine di acquisto delle obbligazioni ed in via subordinata l’annullamento ed, ancora, la risoluzione dell’acquisto, per fatto e colpa della convenuta, con conseguente condanna della banca “alla restituzione e/o al risarcimento dell’importo di € 154.854,54”. Ora, quanto alla domanda di declaratoria di nullità, il Tribunale non ignora che si è sviluppato un significativo orientamento giurisprudenziale volto a sanzionare con la nullità la violazione di norme che, incidendo sia sulla tutela dei risparmiatori uti singuli, sia sul risparmio pubblico protetto a livello costituzionale, ha ravvisato tale rimedio come quello più consono a tali fattispecie (v. Tribunale Parma, 6 luglio 2005; Tribunale Genova, 18 aprile 2005; Tribunale Venezia, 29 settembre 2005). Ritiene, tuttavia, di discostarsene in quanto la sanzione civilistica più severa della nullità deve trovare ingresso solo nelle fattispecie espressamente previste dal legislatore e non può essere estesa a tutta l’area delle norme comportamentali di carattere generale, (quali la professionalità, la diligenza, la correttezza, l’indipendenza, la trasparenza); norme che, in quanto prive di specificità, debbono essere disegnate di volta in volta, facendosi ricorso al generale concetto della buona fede e del corretto e ragionevole equilibrio tra i contrapposti interessi contrattuali. Sul punto, il Tribunale ha già chiarito che “la voluta distinzione tra adempimenti prescritti a pena di nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell’intermediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell’intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla cd. nullità virtuale di cui all’art. 1418, I comma c.c.” (sentenza n. 7555/05; v. anche Tribunale Rovereto, 18 gennaio 2006). Una simile conclusione non esclude certamente il carattere imperativo delle norme citate in tema di obblighi comportamentali: si tratta di disposizioni inderogabili, è vero, ma – come anche sostenuto da autorevole dottrina - né la natura imperativa di tali obblighi, né le caratteristiche degli interessi tutelati sono idonee a far sorgere una simile sanzione, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge. Infine, l’art. 23 VI comma, D. lgs. n. 58/199 circoscrive l’inversione dell’onere probatorio ai giudizi di risarcimento dei danni cagionati ai clienti nello svolgimento dei servizi e tale rimedio non è certamente inscrivibile nella categoria delle nullità. La domanda di risoluzione merita, invece, accoglimento.

In via generale, va detto che, al fine di individuare la fattispecie risolutoria, è prioritaria la valutazione circa la gravità dell’inadempimento, che deve essere tale da compromettere l’equilibrio contrattuale. Ora, nel caso in esame, il Collegio ha già espresso un giudizio di inadeguatezza dell’operazione e, correlativamente, individuato una condotta non certo diligente e trasparente, né esauriente da parte dell’istituto bancario, con riferimento al profilo di diligenza specifica dell’operatore qualificato. Da tale conclusione segue che, ove l’attrice fosse stata esaurientemente informata circa l’inadeguatezza dell’investimento, certamente si sarebbe astenuta dallo stesso, preferendo titoli più aderenti alla propria situazione patrimoniale. A seguito dell’accoglimento della domanda di risoluzione, il B. s.p.a. va condannato a rimborsare, in favore di O. P., la somma di € 154.854,54 - oltre agli interessi legali dall’esborso al saldo. Nessuna altra somma va riconosciuta a titolo di maggior danno, in assenza di prova dedotta dall’attrice sul punto.

A seguito dell’effetto restitutorio tipico della pronunciata risoluzione, l’attrice deve restituire all’istituto i titoli e l’importo complessivo delle cedole maturate.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come indicato in dispositivo.


P.Q.M.


il Collegio, definitivamente decidendo sulla causa n. 50770/05 R.G., ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:

1) dichiara la risoluzione del contratto di acquisto concluso da O. P. in data 19 febbraio 2001 avente ad oggetto obbligazioni Argentina Buenos Aires Eur 10,25%;

2) condanna il B. s.p.a. in persona del presidente del consiglio di amministrazione a restituire, in favore di O. P., la somma di 154.854,54 - oltre agli interessi legali dall’esborso al saldo;

3) condanna il B. s.p.a. in persona del presidente del consiglio di amministrazione a rimborsare, in favore di O. P., le spese processuali, che liquida in complessivi € 6.875,00 - di cui € 4.400,00 per onorari, € 1.945,00 per diritti, € 530,00 per spese, oltre accessori come per legge.


Così deciso dal Tribunale come sopra composto e riunito in Camera di Consiglio in data 15 marzo 2006.


Il Giudice relatore


Dott. Silvia Brat


Il Presidente

Dott. Alda Maria Vanoni