CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/02/2023 Scarica PDF

Concordato minore e cancellazione dal registro imprese dell'impresa individuale

Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - Bicocca


(Note a Trib. Taranto 10 dicembre 2022 e Trib. Ancona 11 gennaio 2023[1])

 

Tribunale di Taranto 10 dicembre 2022, est. De Francesca

Sovraindebitamento - Concordato Minore – Imprenditore individuale cancellato dal Registro Imprese - Inammissibilità

Una volta cessata l’attività d’impresa, l’imprenditore individuale non può accedere al concordato minore, stante il disposto normativo dell’art. 33 ult. co. CCII, la cui previsione letterale è tale da precludere ogni ulteriore e diversa valutazione. (Astorre Mancini)

 

 

Tribunale di Ancona 11 gennaio 2023, est. Filippello

Sovraindebitamento - Concordato Minore liquidatorio - Imprenditore cancellato dal Registro Imprese - Ammissibilità – Condizione di inammissibilità ex art. 33 c.4 CCII  - Interpretazione – Applicabilità al solo imprenditore collettivo – Sussistenza

La cancellazione della ditta individuale dal Registro delle Imprese non è ostativa all’apertura di procedura di concordato minore liquidatorio ex art 74 c. 2 CCII, nonostante il disposto dell’art 33 c. 4 CCII, da intendersi riferito al solo imprenditore collettivo, la cui cancellazione determina la definitiva estinzione ex art. 2945 c.c. (Fabiola Tombolini)

 

* * *

   

Sommario: 1. L’ex imprenditore individuale con residui debiti d’impresa: l’ostacolo dell’art. 33 ult. co. CCII 2. Le pronunce in rassegna 3. Segue: l’iter argomentativo a favore dell’ammissibilità 4. L’art. 33 ult. co. CCII: una diversa chiave di lettura 5. Il richiamo all’art. 271 CCII: esiste un diritto del debitore alla procedura negoziale?

   

1. L’ex imprenditore individuale con residui debiti d’impresa: l’ostacolo dell’art. 33 ult. co. CCII

Le decisioni in rassegna, di segno opposto, sono intervenute a regolare la fattispecie dell’imprenditore individuale (sottosoglia) che chiede l’accesso al concordato minore liquidatorio, ex art. 74 c.2 CCII, per definire i debiti derivanti dal pregresso esercizio di attività d’impresa, pur avendo cancellato la propria ditta individuale dal Registro Imprese.

Tale legittimazione è espressamente esclusa dall’inequivoco dato normativo dell’art. 33 c.4 CCII, emendato poco prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d. lgs. 83/2022 con la previsione dell’estensione della norma, appunto, alla procedura negoziale minore[2].

L’art. 33 CCII riprende il vecchio art. 10 l.fall. e dispone che la liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività dell’imprenditore, coincidente con la cancellazione dal Registro Imprese e, se non iscritto, dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa.

Il quarto comma - non presente nella l. fall. - dichiara inammissibile la domanda di accesso al concordato minore proposta dall’imprenditore cancellato dal Registro Imprese, a prescindere dal decorso o meno dell’anno dalla cancellazione[3].

La norma pone difficoltà all’interprete con riferimento, quantomeno, all’imprenditore individuale; non è infrequente, infatti, la fattispecie dell’imprenditore individuale non fallibile cancellato dal Registro Imprese, in capo al quale permangano residui debiti derivanti dall’attività d’impresa: la norma non sembra lasciare spazio all’imprenditore cessato, anche solo per un concordato minore liquidatorio con risorse esterne, ammesso dall’art. 74 c.2 CCII quando non è prevista la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale[4].

La residua debitoria d’impresa, al contempo, dovrebbe precludergli l’accesso alla ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, consentito al solo consumatore, non essendo i debiti di natura consumeristica, malgrado la formale cessazione della qualità di imprenditore[5].

Dal mero riscontro letterale del dato normativo, dovrebbe concludersi, quindi, che l’unica procedura praticabile (per definire anche i debiti d’impresa o professionali) sia la liquidazione controllata, tramite la quale l’ex imprenditore potrà definire tutti i debiti maturati, d’impresa e non, al costo gravoso rappresentato dal coinvolgimento della totalità dei propri beni e dalla tempistica, non inferiore a tre anni, necessaria per conseguire l’esdebitazione (che sarà accordata, peraltro, solo ove risulti che il debitore non abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode).

     

2. Le pronunce in rassegna

Le pronunce in rassegna delineano bene gli orientamenti destinati ad essere riproposti dalla giurisprudenza nell’attuale quadro normativo, in attesa di eventuali, ed auspicati, interventi correttivi.

Il tribunale di Taranto, chiamato a decidere l’ammissione al concordato minore di un imprenditore individuale cancellato dal Registro Imprese “in data  11.8.2022 con effetto retroattivo dal 31.12.2011”, con residui debiti (anche) professionali, si limita a negare l’accesso in base all’inequivoco dato letterale dell’art. 33 ult. co. CCII, osservando che “al professionista o all’imprenditore, una volta cessata l’attività d'impresa, sia inibita la ristrutturazione del debito in base alle norme sul concordato minore”, stante “l’ostatività della previsione di cui al comma quarto dell'art. 33 CCII, tale da precludere, in assenza di tale preliminare condizione di giuridica ammissibilità, ogni ulteriore valutazione”.

Il tribunale di Ancona apre, invece, la procedura di concordato minore per il debitore persona fisica con ditta individuale cancellata, finalizzata alla definizione di pregressi debiti d’impresa, ritenendo non ostativo il disposto normativo di cui all’art. 33 ult. co. CCII, sulla base di argomentazioni giuridiche e di carattere sistematico meritevoli di essere approfondite.

 

3. Segue: l’iter argomentativo a favore dell’ammissibilità

Il giudice marchigiano opta per l’ammissibilità dell’accesso al concordato minore liquidatorio da parte dell’imprenditore cessato, sulla base delle seguenti considerazioni:

a)        la prima riguarda l’interpretazione dell’art. 33 ult. co. CCII che sanziona con l’inammissibilità la proposta di concordato minore presentata “dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese”; osserva il tribunale che tale disposizione “deve intendersi riferita al solo imprenditore collettivo”, in considerazione del fatto che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2495 c.c., la cancellazione dell’ente dal Registro Imprese ne determina, come noto, la definitiva estinzione, mentre “l’imprenditore individuale che ponga fine alla propria attività, al contrario, sopravvive alla cessazione della ditta”;

b)       inoltre, tenuto conto che un siffatto debitore, qualora versi in stato di insolvenza per debiti d’impresa - e perciò, di natura non consumeristica - non può accedere alla ristrutturazione del consumatore ex art.67 CCII, negargli anche il concordato minore, pur se di tipo liquidatorio, “determinerebbe una ingiustificata limitazione degli strumenti disponibili per la sua esdebitazione (costringendolo, di fatto, alla liquidazione controllata) ed una illogica e contraddittoria esclusione dall’accesso a strumenti di natura negoziale, in aperto contrasto con la ratio ispiratrice della legge”;

c)        ancora, l’interpretazione prospettata - argomenta il tribunale anconetano - risulta l’unica coerente con il disposto dell’art. 271 CCII che, in caso di domanda di liquidazione controllata presentata dai creditori, consente al debitore di chiedere all’accesso ad una delle procedure negoziali (ristrutturazione del consumatore o concordato minore), con effetti sospensivi sulla domanda del creditore di liquidazione controllata: tale possibilità, dunque, “non può che essere riconosciuta anche all’imprenditore individuale cessato per i debiti d’impresa di cui è rimasto onerato e l’unico strumento a ciò utile è il concordato minore ex art. 74 CCII”;

d)       inoltre, il tribunale valorizza lo spazio interpretativo che si apre considerando che al concordato minore possono accedere, escluso il consumatore, “i debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in stato di sovraindebitamento”, tra cui anche “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” (art. 2 c.1 lett.c), “quale certamente è l’imprenditore individuale che ha cessato la propria attività imprenditoriale”;

e) da ultimo, osserva il giudice, se è vero che l’accesso al  concordato minore, da parte dell’imprenditore individuale cessato, è ipotizzabile nella sola tipologia liquidatoria, l’apporto di risorse esterne in misura apprezzabile consente al ceto creditorio di conseguire maggiori utilità rispetto alla liquidazione controllata, per cui anche sotto il profilo della convenienza lo strumento dovrebbe essere ritenuto ammissibile.

 

4. L’art. 33 ult. co. CCII : una diversa chiave di lettura

L’argomento indicato sub a), circa l’interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 33 CCII per cui esso sarebbe riferito al solo imprenditore collettivo e non anche all’imprenditore individuale[6], muove dalla considerazione che la cancellazione dell’ente dal Registro Imprese determina la sua definitiva estinzione ex art. 2495 c.c., fattispecie del tutto diversa, ovviamente, dall’imprenditore individuale che sopravvive alla cessazione della ditta; diversamente, come giustamente osservato in dottrina, dovrebbe concludersi che “nell’impianto del nuovo Codice la permanenza dell’iscrizione nel Registro Imprese risulterebbe una condizione imprescindibile per l’accesso (anche) al concordato minore”[7].

Per comprendere la ratio della disposizione, l’unico elemento ulteriore (in assenza, va ribadito, di analogo dato positivo nella legge fallimentare) emerge dalla Relazione Illustrativa, all’art. 33 CCII, ove si legge che la disposizione ivi contenuta all’ultimo comma - prevista per il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti, e solo successivamente, improvvidamente, estesa al concordato minore dal d. lgs. 83/2022 - viene giustificata con l’esigenza di “risolvere una questione che si era posta nel regime attuale”.

Orbene, la questione a cui allude la Relazione riguardava proprio la possibilità per la società cancellata dal Registro Imprese di proporre il concordato preventivo (o l’Accordo di Ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall.), per sterilizzare l’istanza di fallimento promossa dal creditore entro l’anno dalla cancellazione dell’ente.

Invero, le tre pronunce di Cassazione che hanno affermato l’inammissibilità del concordato preventivo (Cass. 2021/20616 e Cass. 2020/12045, che richiamano Cass. 2015/21286) sono state rese in presenza dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 2495 c.c. in combinato disposto con l’art. 10 l. fall., proprio in detta fattispecie, riguardante l’ente collettivo cancellato dal Registro delle Imprese, di cui, tuttavia, è stato chiesto il fallimento prima del decorso dell’anno.

Nelle citate decisioni, la Cassazione ha statuito che la possibilità di proporre il concordato preventivo è preclusa al liquidatore della società cancellata da meno di un anno,  attinta con istanza di fallimento, e la relativa questione di incostituzionalità è manifestamente infondata, “atteso che la cancellazione della società dal R.I., che ne determina l’estinzione, deriva dalla scelta dei suoi organi che, essendo perfettamente in grado di valutarne le conseguenze, non possono poi pretendere che in capo all’ente estinto residui la legittimazione ad accedere alla procedura di concordato  (che presuppone, in primo luogo, l’esistenza di un’impresa, ancorché in stato di crisi), nel caso in cui sia presentata nei suoi confronti domanda di fallimento entro il termine di cui all’art. 10 l.fall.”. (Cass. 2015/21286).

La questione a cui fa riferimento la Relazione, dunque, da cui scaturisce la previsione di inammissibilità dell’art. 33 ult.co. CCII, non prescinde dagli effetti estintivi connessi alla cancellazione, ex art. 2495 c.c., dell’ente collettivo, ma anzi li presuppone.

Ciò si dica anche se la Suprema Corte, con la pronuncia 20 febbraio 2020 n. 4329, ha ritenuto di ribadire lo stesso principio in riferimento a fattispecie riguardante un imprenditore individuale cessato, concludendo nel medesimo senso che “l'imprenditore, il quale volontariamente cessi l'attività di impresa, tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l'utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell'attività imprenditoriale[8], quale, appunto, il concordato preventivo (ed oggi anche il concordato minore).

La questione interpretativa mantiene, dunque, una sua intrinseca  complessità.

Tuttavia, è proprio dal contesto normativo in cui sono state rese le suddette pronunce di legittimità che è possibile, forse, una nuova lettura del più ampio disposto dell’art. 33 CCII, nel senso condiviso dal giudice anconetano.

In primo luogo, occorre prendere atto che il legislatore è intervenuto sull’art. 33 CCII un po’ troppo frettolosamente, senza aver compreso le implicazioni di carattere sistematico derivanti dall’estensione al concordato minore della originaria previsione di inammissibilità della proposta presentata “dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese”.

Certamente il problema della persona fisica che sopravvive alla cancellazione dal Registro Imprese involge anche l’imprenditore individuale sopra soglia, tuttavia, aver assimilato il concordato minore al concordato preventivo ed all’accordo di ristrutturazione dei debiti, significa non aver tenuto conto di alcune peculiarità proprie della procedura minore che, ove opportunamente valorizzate, potrebbero condurre ad un diverso approccio ermeneutico dell’ultimo comma dell’art. 33 CCII, anche a prescindere dalla distinzione ente collettivo / persona fisica.

In particolare, va osservato che:

i) mentre il concordato preventivo è riservato all’ “imprenditore di cui all’art. 121”, e dunque, all’imprenditore commerciale sopra soglia, il concordato minore è riservato ai “debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in stato di sovraindebitamento, escluso il consumatore”, e tra i debitori indicata dalla norma richiamata rientrano non solo il professionista, l'imprenditore minore o agricolo e la start-up innovativa, ma anche “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” (art. 2 primo comma lett. c), per cui andrebbe ammessa la legittimazione al concordato minore di chi non è mai stato imprenditore od ha perduto detta qualità.

In tal senso, l’imprenditore individuale cessato ha certamente dismesso la qualità di imprenditore, ma resta debitore ‘non assoggettabile alla liquidazione giudiziale’ - se sopra soglia dopo un anno dalla cancellazione dal R.I., se sotto soglia fin da subito - in quest’ultimo caso, dunque, dovrebbe poter accedere al concordato minore liquidatorio;

ii) la finalità del concordato preventivo, a cui più volte torna la Cassazione, è quella della definizione della crisi d’impresa, ovvero di un suo superamento tramite il risanamento aziendale, per cui, a ben ragione, la Cassazione osserva che “l'intervenuta e consapevole scelta di cessare l'attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l'utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare” (Cass. 2015/21286); argomenta, infatti, Cass. 2020/4329, a sostegno della carenza di legittimazione dell’imprenditore individuale cessato al concordato preventivo, che “in definitiva, il dato cruciale è rappresentato dalla persistente esistenza o non di una realtà imprenditoriale rispetto alla quale possa porsi l'esigenza di assicurare, attraverso la procedura concordataria, la risoluzione della crisi con le modalità previste dal legislatore”.

Ma la finalità del concordato minore diverge, evidentemente, da quella propria del concordato preventivo, venendo in evidenza la condizione del debitore, non il risanamento dell’impresa (o l’interesse esclusivo dei creditori): non a caso, anche nella formulazione delle norme, il legislatore del CCII stabilisce che il concordato minore deve indicare “in modo specifico tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento” (art. 74 CCII), dando rilievo, appunto, alla condizione del debitore, mentre nel concordato preventivo il legislatore pretende che la proposta “realizzi il soddisfacimento dei creditori” (art. 84 CCII)[9].

È chiaro che l’attenzione al superamento della condizione di sovraindebitamento in cui versa il debitore, pone sotto una diversa luce l’imprenditore individuale cancellato dal Registro Imprese, avendo a riferimento il legislatore non tanto il risanamento dell’impresa esercitata quanto la fuoriuscita della persona fisica dalla zona grigia del sovraindebitamento: questi non esercita più l’attività d’impresa ma permane gravato da una pregressa debitoria che deve, pertanto, poter essere definita nell’ambito di una procedura di carattere negoziale;

iii) un terzo profilo involge una considerazione di carattere sistematico, che legittima l’interpretazione fornita dal tribunale anconetano nel senso di ritenere l’ultimo comma dell’art. 33 CCII giustificato solo con riferimento alle società, la cui cancellazione dal Registro Imprese determina l’estinzione ex art. 2495 c.c., e non anche all’imprenditore individuale.

Invero, il legislatore del Codice si è affrettato a codificare nell’art. 33 CCII il principio di diritto vivente sopra richiamato, ma la richiamata giurisprudenza di legittimità non appare in linea con il nuovo impianto normativo - ove afferma le endiadi fallimento/liquidazione e concordato/risanamento[10] -, considerato che nell’architettura del Codice, decisamente innovata, le soluzioni concordatarie di carattere liquidatorio sono tutt’altro che svalutate, con strumenti di risoluzione della crisi variegati ed i cui connotati tendono a confondersi[11].


5. Il richiamo all’art. 271 CCII: esiste un diritto del debitore alla procedura negoziale?

Di particolare interesse anche l’ulteriore linea interpretativa che emerge dal provvedimento del giudice anconetano - nel senso di ritenere ammissibile il concordato minore anche per l’imprenditore individuale cessato - per cui al debitore va, comunque, accordata la possibilità di accedere ad una procedura regolatoria e negoziale, in alternativa alla liquidazione controllata.

Come noto, l’apertura della liquidazione controllata a carico della persona fisica, ai sensi dell’art. 268 c.2 CCII, può essere chiesta da un creditore ed in tal caso la legge accorda al debitore il diritto di ‘sterilizzare’ tale iniziativa mediante l’accesso a una procedura negoziale di soluzione della crisi da sovraindebitamento (art. 271 CCII), opzione che, nel caso dell’imprenditore individuale cessato, sarebbe impedita[12].

Osserva il tribunale di Ancona che l’imprenditore individuale cessato, qualora mantenga debiti d’impresa - e perciò, di natura non consumeristica - non può accedere alla ristrutturazione del consumatore ex art.67 CCII, per cui negargli anche il concordato minore (pur se di tipo liquidatorio) “determinerebbe una ingiustificata limitazione degli strumenti disponibili per la sua esdebitazione (costringendolo, di fatto, alla liquidazione controllata) ed una illogica e contraddittoria esclusione dall’accesso a strumenti di natura negoziale, in aperto contrasto con la ratio ispiratrice della legge”.

Il giudice anconetano osserva, dunque, che negare al sovraindebitato l’accesso ad almeno uno degli strumenti negoziale è contrario allo spirito che permea il Codice, e così sembra riconoscere al debitore un vero e proprio diritto ad accedere ad almeno una delle due procedure pattizie.

Certamente il favore del legislatore è verso le regolazioni pattizie della crisi da sovraindebitamento rispetto alla liquidazione controllata, avente carattere meramente residuale, per cui se il tribunale, prima di aprire la liquidazione, deve verificare (anche ai sensi dell’art. 270, comma 1, CCII) che non siano state presentate domande di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore, ciò conduce a dire che “il criterio di soluzione del concorso tra procedure non è quello della priorità temporale, bensì, ed in ogni caso, quello della preferenza per le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento[13].

A fronte di un siffatto favor del legislatore, i soggetti sovraindebitati, dunque, devono poter accedere ad uno strumento concorsuale negoziale, in alternativa alla liquidazione - e dunque alla ristrutturazione dei debiti od al concordato minore - non potendo ammettersi un sistema che escluda l’accesso ad una delle due procedure regolatorie a determinate categorie di debitori[14], in linea con la Direttiva Insolvency che ribadisce in più occasione il carattere residuale della liquidazione.



[1] Le decisioni in commento sono pubblicate in questa Rivista.

[2] Il d. lgs. 147/2020 (c.d. primo Correttivo), infatti, ha aggiunto il ‘concordato minore’ alle procedure menzionate all’art. 33 quarto comma CCII; la norma ora recita: “La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile”.

[3] Per omogeneità di trattamento con l’imprenditore commerciale, in riferimento al professionista non iscritto nel Registro Imprese, legittimato all’accesso al concordato minore, la cessazione dell’attività potrebbe essere ricondotta alla formale cancellazione dall’albo professionale. Peraltro, la norma nulla dispone riguardo l’ipotesi di cancellazione del debitore dal Registro Imprese in epoca successiva all’accesso al concordato minore, ma è forse ragionevole ritenere che la domanda divenga improcedibile.

[4] È ragionevole ritenere salva la vis attractiva della procedura familiare ex art. 66 CCII, per cui ove un familiare sia legittimato al concordato minore, il familiare che avesse cessato l’impresa individuale potrebbe accedere a detta procedura, in presenza delle altre condizioni imposte da detto articolo.

[5] Numerosi sono, peraltro, i tentativi della giurisprudenza di ampliare i varchi di accesso alla ristrutturazione del consumatore con pregressi debiti d’impresa o professionali. Per una disamina delle varie fattispecie riguardanti la regolazione dei debiti c.d. promiscui, nonché delle variegate ragioni giuridiche addotte in sede di elaborazione giurisprudenziale, mi permetto di rinviare al mio contributo “La definizione dei debiti promiscui nel piano del consumatore (Brevi note a Tribunale di Grosseto 22 giugno 2021)”, in questa Rivista, 6/2021, e alle note, redatte con la collega A. MUNARIN, contenute in “Ristrutturazione del consumatore e debiti d’impresa: un tema ancora dibattuto (Note a Tribunale di Spoleto 23 dicembre 2022 e Tribunale di Caltanisetta 1 giugno 2022)”, 1/2023, in questa Rivista.

In giurisprudenza, recentissimamente, constano due pronunce del Tribunale di Bologna, 30 dicembre 2022 e 8 febbraio 2023, est. Rimondini, in corso di pubblicazione su questa Rivista, che hanno ribadito, da un lato, che “al fine di garantire una coerente lettura del complesso delle norme codicistiche, sembra doversi affermare che alla procedura di cui artt. 67 e ss. CCI possa accedere solo la persona fisica che abbia maturato ed intenda ristrutturare solo obbligazioni integralmente consumeristiche”, e dall’altro lato, che i debiti d’impresa eventualmente residuati dalla cessazione dell’attività d’impresa non impediscono l’accesso alla ristrutturazione ex art. 67 CCII a condizione che siano definiti solo i debiti consumeristici e che quelli d’impresa risultino fuori del piano e regolati con finanza messa a disposizione di terzi.

[6] Per cui, secondo il brocardo ‘minus dixit quam voluit’, il legislatore avrebbe statuito, appunto, l’inammissibilità del concordato minore per “l'imprenditore cancellato dal registro delle imprese”, riferendosi all’imprenditore persona giuridica e non fisica.

Sia consentito di osservare che avevo azzardato analoga lettura ‘restrittiva’ dell’art. 33 ult.co. CCII, in “Sovraindebitamento: dall’accordo ex l. 3/2012 al concordato minore. Note operative a seguito del d. lgs. 17 giugno 2022 n.83”, in questa Rivista, 29 agosto 2022, a cui rinvio per proporre un più approfondito sviluppo argomentativo.

[7] Così BONACCORSI-DE SANTIS, “L’ambito soggettivo di applicazione delle nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento”, pag.57, in PELLECCHIA – MODICA, “La riforma del sovraindebitamento nel CCII”, Pacini Editore, 2020.

[8] In Cass. 2020/4329 si legge, altresì, che “siffatta soluzione è, peraltro, stata recepita per il futuro dal codice della crisi di impresa; a norma del d. lgs. 2019/14, art. 33, che reca la disciplina della cessazione dell'attività in relazione a tutte le procedure, è inammissibile la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese”. Si osserva, tuttavia, che la pronuncia fa riferimento all’art. 33 CCII non ancora integrato con l’inclusione del “concordato minore”.

[9] Ciò si dica anche se recentemente, con la decisione Cass., sez. I, 26 settembre 2022 n.28013, la S.C. ha avuto modo di precisare che nelle procedure negoziali di sovraindebitamento “la sola finalità della ristrutturazione - da intendere in guisa di rimodulazione-modificazione di uno o più degli elementi strutturali, oggettivi o soggettivi, dei pregressi impegni obbligatori del consumatore - non è bastevole, siccome deve, imprescindibilmente, in virtù della formula binaria riflessa dal dettato legislativo, coniugarsi con la finalità della soddisfazione”. Mi pare che tale considerazione non muti i termini del problema: è indubbio che nelle procedure di sovraindebitamento lo sguardo del legislatore è rivolto, in primis, alla condizione del debitore.

[10] Si legge in Cass. 2020/4329, cit.,  che “il concordato, diversamente dal fallimento che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l'intervenuta e consapevole scelta di cessare l'attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l'utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare (cfr. Cass. 2015/21286)”.

[11] Sotto tale profilo, appare francamente fragile l’argomento svolto dalla S.C. per cui, anche in riferimento all’impresa individuale, il concordato preventivo avrebbe senso solo in presenza di un’impresa da risanare, ove si consideri il panorama degli strumenti oggi a disposizione.

Istituti come il concordato minore o preventivo liquidatorio (art.74 c.2 e art. 84 c.4 CCII), il concordato semplificato (art. 25 sexies CCII) - quest’ultimo con innesti di elementi che nella legge fallimentare integravano caratteri di continuità indiretta, ex art. 25 septies CCII - o il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64 bis CCII) - ove si ritenga possibile assegnargli una finalità ed un carattere anche liquidatorio - sono tutti strumenti di regolazione della crisi, non espressamente e direttamente rivolti al risanamento dell’impresa.

Del resto, la stessa definizione offerta dall’art. 2 primo comma lett. m-bis) degli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, riconduce detti strumenti a “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.

Peraltro, nel modificato quadro sistematico, viene da chiedersi per quale ragione il d. lsg. 83/2022 si sia limitato ad inserire il concordato minore nell’ultimo comma dell’art. 33 CCII, non anche il concordato semplificato o il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione.

[12] Si legge nella Relazione Illustrativa del d. lgs. 14/2019, a commento dell’art. 271 CCII: “E’ altresì previsto, in ossequio al principio secondo il quale la liquidazione può essere disposta solo quando non sono proposte o non sono percorribili soluzioni concorsuali alternative, che durante il termine concesso non possa essere aperta la liquidazione controllata e che, nel caso in cui venga aperta una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, la domanda di liquidazione debba essere dichiarata improcedibile. Se, tuttavia, alla scadenza del termine concesso il debitore non integra la domanda o la procedura non viene aperta o viene dichiarata cessata, il tribunale dispone l’apertura della liquidazione controllata con sentenza reclamabile innanzi alla Corte di appello”.

[13] S.DE MATTEIS, “La liquidazione controllata nel codice della crisi e dell’insolvenza”, in www.dirittofallimentaresocieta.it.

[14] Anche Tribunale di Trento 4 novembre 2022, in questa Rivista, osserva che “alla stregua del sistema implicato dal CCII, un soggetto può alternativamente rientrare nella figura di consumatore o di non consumatore (dunque di imprenditore o di professionista), senza terze possibilità che comportino l’effetto di precludere al medesimo l’accesso a strumenti di regolazione del proprio stato di insolvenza o di sovraindebitamento diversi dalla liquidazione (giudiziale o controllata), che rappresenta, nello stesso sistema del CCII, la soluzione ultima”.


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