Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 28/07/2025 Scarica PDF
Concordato minore: ancora sull’art. 33, comma 4, CCII e l’imprenditore individuale cancellato. (Nota a Corte di Appello di Napoli 14 luglio 2025 e Corte di Appello di Roma 13 dicembre 2024)
Astorre Mancini, Avvocato del Foro di Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all'Università degli Studi di Milano - BicoccaCorte di Appello di Napoli 14 luglio 2025 [1] - pres. Molfino, est. D’Inverno
Sovraindebitamento - Concordato Minore liquidatorio - Imprenditore individuale cancellato dal Registro Imprese - Ammissibilità
Una volta cessata l’attività d’impresa, l’imprenditore individuale può accedere al concordato minore liquidatorio, richiedente l’apporto di risorse esterne, non essendo a ciò di ostacolo il disposto normativo dell’art. 33, comma 4, CCII, che sanziona con l’inammissibilità la sola possibilità di proporre un concordato minore in continuità, ex art. 74, comma 1, CCII, prevista dal legislatore per gli imprenditori collettivi ed individuali al fine di evitare che l’utilizzo dello strumento concordatario, presumibilmente volto alla continuazione dell’attività d’impresa, potesse essere usato, o meglio abusato, da chi volontariamente si era cancellato dal registro delle imprese, scegliendo di porre fine alla propria attività d‘impresa, rispetto alla quale, pertanto, neppure poteva porsi un problema di risoluzione di una crisi d’impresa, e dunque, di continuazione dell’attività. (Astorre Mancini) (Riproduzione riservata)
Corte di Appello di Roma 13 dicembre 2024 - pres. Saracino, est. Gelato
Sovraindebitamento - Concordato Minore - Imprenditore individuale cancellato dal Registro Imprese - Inammissibilità
La domanda di concordato minore presentata dall’imprenditore individuale cancellato dal registro imprese trova un insuperabile ostacolo nella norma di cui all’art. 33, comma 4, CCII, secondo cui l’accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata da un tale soggetto è inammissibile. La tesi con la quale si postula l’inapplicabilità della previsione di cui all’art. 33, quarto comma, CCII all’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese, non è dunque sostenibile, in quanto contraria all’espresso disposto di legge, né tale disposto consente di postulare alcuna distinzione tra imprenditore collettivo ed individuale. (Astorre Mancini) (Riproduzione riservata)
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SOMMARIO: 1. Premessa 2. L’ex imprenditore individuale con residui debiti d’impresa: l’ostacolo dell’art. 33, comma 4, CCII 3. L’art. 33 CCII modificato dal “Correttivo-ter” 4. Gli orientamenti ‘confermati’ dopo la modifica dell’art. 33 CCII 4.1. L’ammissibilità del concordato minore liquidatorio 4.2. La tesi dell’inammissibilità riferita all’imprenditore in generale 5. La lettura dell’art. 33, comma 4, CCII operata dalla Corte di Appello di Napoli 6. Considerazioni conclusive
1. Premessa
Le decisioni in rassegna, di segno opposto, sono intervenute dopo le modifiche apportate all’art. 33 CCII dal “Correttivo-ter” del settembre 2024, a dimostrazione del fatto che il legislatore - pur consapevole delle opposte interpretazioni fino ad allora espresse in dottrina ed in giurisprudenza circa la portata della sanzione di inammissibilità prevista dal quarto comma - non è stato in grado di fare chiarezza sul tema e di impedire, così, il perpetuarsi di orientamenti contrapposti [3].
Peraltro, la decisione della Corte di Appello di Napoli, ampiamente motivata, ha il pregio di sganciare la questione dalla distinzione impresa collettiva / impresa individuale, e di valorizzare, invece, il tipo di concordato proposto, in continuità (primo comma) o liquidatorio (secondo comma), affermando che la norma si rivolge all’imprenditore in generale ma intende inibire solo il concordato in continuità, evidentemente incompatibile con la cancellazione della ditta individuale dal registro imprese.
Per meglio comprendere i termini della questione, tuttavia, non è inutile soffermarsi sulla genesi della norma.
2. L’ex imprenditore individuale con residui debiti d’impresa: l’ostacolo dell’art. 33, comma 4, CCII
L’art. 33, comma 4, CCII, emendato dal d. lgs. 83/2022 con la previsione dell’estensione della sanzione di inammissibilità, appunto, al concordato minore, ha escluso la legittimazione al concordato dell’imprenditore cancellato, senza ulteriore specificazione[4].
La norma ha ripreso il vecchio art. 10 l.fall. disponendo che la liquidazione giudiziale (e controllata) può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività dell’imprenditore, coincidente con la cancellazione dal registro imprese e, se non iscritto, dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa.
Il quarto comma - non presente nella legge fallimentare - dichiara inammissibile la domanda di accesso al concordato minore proposta dall’imprenditore cancellato dal registro imprese, a prescindere dal decorso o meno dell’anno dalla cancellazione.
Il problema è sorto, dunque, in riferimento alla fattispecie dell’imprenditore individuale (sottosoglia) che chiede l’accesso al concordato minore liquidatorio, ex art. 74, comma 2, CCII, per definire i debiti derivanti dal pregresso esercizio di attività d’impresa, pur avendo cancellato la propria ditta individuale dal registro imprese.
La norma pone difficoltà di carattere sistematico, non essendo infrequente, infatti, il caso dell’imprenditore individuale non ’fallibile’ cancellato dal registro imprese, in capo al quale permangano residui debiti derivanti dall’attività d’impresa: la disposizione, tuttavia, non sembra lasciare spazio all’imprenditore cessato, anche solo per un concordato minore liquidatorio con risorse esterne, quando non è prevista la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale[5].
La residua debitoria d’impresa, al contempo, dovrebbe precludergli l’accesso alla ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, consentito al solo consumatore - non avendo detti debiti natura consumeristica - malgrado la formale cessazione della qualità di imprenditore, ciò anche a seguito dell’intervento sull’art. 2 CCII operato dal “Correttivo-ter” che ha sopito i contrasti giurisprudenziali al riguardo.
Dal mero riscontro letterale del dato normativo dovrebbe concludersi, quindi, che l’unica procedura praticabile (per definire anche i pregressi debiti d’impresa o professionali) sia la liquidazione controllata, tramite la quale l’ex imprenditore potrà definire tutti i debiti maturati, d’impresa e non, al costo gravoso, tuttavia, rappresentato dal coinvolgimento della totalità dei propri beni e dalla tempistica, non inferiore a tre anni, normalmente necessaria per conseguire l’esdebitazione (che sarà accordata, peraltro, solo ove risulti che il debitore non abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode).
3. L’art. 33 CCII modificato dal “Correttivo-ter”
Se la procedura ex art. 67 CCII viene riservata dal “Correttivo-ter” alla definizione dei debiti di natura esclusivamente consumeristica, non vi è spazio, dunque, per ricondurre alla nozione di ‘consumatore’ l’imprenditore individuale cessato, sul quale residua una pregressa debitoria d’impresa, anche risalente nel tempo, dovendo aversi riguardo non già all’attuale condizione del debitore bensì alla natura oggettiva delle obbligazioni da definire.
Per tale figura di debitore - l’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese - il “Correttivo-ter” è intervenuto sull’art. 33 CCII non in modo preciso e diretto[6], bensì
a) mantenendo invariato il quarto comma che include il ‘concordato minore’ tra gli strumenti preclusi all’ex imprenditore;
b) chiarendo che egli può accedere alla liquidazione controllata anche oltre l’anno dalla cancellazione della ditta individuale (“al fine di agevolarne l’esdebitazione”, recita la Relazione Illustrativa).
Al contempo, nel primo comma viene precisato che il decorso del termine annuale dalla cancellazione preclude non solo la liquidazione ‘maggiore’ ma anche la liquidazione controllata, “così eliminando una disparità di trattamento particolarmente evidente per le imprese minori” [7].
Come già osservato, l’intervento sull’art. 33 CCII non è apparso idoneo a chiarire la questione di quale procedura di sovraindebitamento sia riservata all’imprenditore individuale cessato, rimanendo di fatto intonsi gli spazi interpretativi già emersi in vigenza dell’art. 33 CCII nella sua originaria formulazione.
In dottrina e giurisprudenza, nei primi commenti emersi, si è ritenuto che il legislatore abbia inteso far proprio l’orientamento di Cass. 2023/22699, che aveva individuato nella liquidazione controllata l’unico strumento di accesso alla esdebitazione per l’imprenditore individuale cancellato[8], nel senso sostanzialmente di ribadire,
da un lato, l’inammissibilità del concordato minore per l’ex imprenditore individuale (con la conferma del quarto comma),
e dall’altro lato, la possibilità di accesso alla liquidazione controllata senza limiti temporali, così da preservare il suo diritto a conseguire l’esdebitazione (precisando, appunto, con il comma 1-bis, che la liquidazione controllata è possibile, per l’imprenditore individuale cancellato, anche oltre l’anno).
Se questa è stata la volontà del legislatore, tuttavia, l’intervento del “Correttivo-ter” ha suscitato numerose perplessità, se è vero che:
a) l’indicazione nel primo comma del termine ‘controllata’ in aggiunta alla liquidazione ‘giudiziale’ - che pone il termine preclusivo dell’anno dalla cancellazione - non ha alcuna valenza effettivamente innovativa o dirimente, perché la giurisprudenza era già unanime nel considerare esteso, anche alla liquidazione controllata, lo sbarramento del predetto termine annuale ai fini dell’apertura della procedura ‘minore’, e ciò in forza del richiamo all’art. 33 CCII disposto dal rinvio generale alle “disposizioni del titolo III, in quanto compatibili” operato dall’art. 65, comma 2, CCII ovvero per ricorso all’analogia[9];
b) la previsione di cui all’introdotto comma 1-bis, per cui, dopo la cancellazione dell’impresa individuale, il debitore persona fisica può chiedere l’apertura della liquidazione controllata “anche oltre il termine annuale di cui al primo comma”, appare anch’essa pleonastica e ultronea: dall’entrata in vigore del Codice la giurisprudenza è stata unanime nell’ammettere la possibilità del debitore persona fisica in proprio, già titolare di impresa individuale cancellata, di accedere in ogni tempo alla liquidazione controllata, sul presupposto che la persona fisica sopravvive alla cancellazione della ditta e resta gravata dai relativi debiti[10];
c) dunque, l’aver mantenuto invariato il quarto comma dell’art. 33 CCII, non ha impedito il riproporsi dell’orientamento giurisprudenziale che riferisce la previsione di inammissibilità al solo imprenditore ‘collettivo’, non anche individuale[11].
In altri termini, non pare che la previsione espressa, per la persona fisica, della possibilità di aprire la liquidazione controllata oltre l’anno, influisca sull’interpretazione del quarto comma dell’art. 33 CCII: il legislatore avrebbe potuto chiarire in modo esplicito e diretto che la domanda di accesso “presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese, anche persona fisica, è inammissibile”.
4. Gli orientamenti ‘confermati’ dopo la modifica dell’art. 33 CCII
4.1. L’ammissibilità del concordato minore liquidatorio
Anche dopo il “Correttivo-ter”, infatti, larga parte della giurisprudenza ha continuato a ritenere che la previsione del quarto comma dell’art.33 CCII andasse riferita al solo imprenditore collettivo, non anche all’imprenditore individuale.
Tribunale di Bari 5 novembre 2024, Tribunale di Vicenza 14 marzo 2025, Tribunale di Ancona 3 aprile 2025 e Tribunale di Modena 7 aprile 2025[12], per esempio, hanno ribadito l’ammissibilità del concordato minore liquidatorio proposto dall’ex imprenditore individuale sulla scorta delle pregresse considerazioni già svolte in ordine all’interpretazione originaria dell’art. 33 CCII, anteriore alla modifica del “Correttivo-ter”:
a) tale disposizione “deve intendersi riferita al solo imprenditore collettivo”, in considerazione del fatto che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2495 c.c., la cancellazione dell’ente dal registro imprese ne determina, come noto, la definitiva estinzione, mentre “l’imprenditore individuale che ponga fine alla propria attività, al contrario, sopravvive alla cessazione della ditta” (Trib. Ancona 3.4.2025);
b) inoltre, tenuto conto che un siffatto debitore, qualora versi in stato di insolvenza per debiti d’impresa - e perciò, di natura non consumeristica - non può accedere alla ristrutturazione del consumatore ex art.67 CCII, negargli anche il concordato minore, pur se di tipo liquidatorio, “determinerebbe una ingiustificata limitazione degli strumenti disponibili per la sua esdebitazione (costringendolo, di fatto, alla liquidazione controllata) ed una illogica e contraddittoria esclusione dall’accesso a strumenti di natura negoziale, in aperto contrasto con la ratio ispiratrice della legge”;
c) ancora, l’interpretazione prospettata risulta l’unica coerente con il disposto dell’art. 271 CCII che, in caso di domanda di liquidazione controllata presentata dai creditori, consente al debitore di chiedere all’accesso ad una delle procedure negoziali (ristrutturazione del consumatore o concordato minore), con effetti sospensivi sulla domanda del creditore di liquidazione controllata: tale possibilità, dunque, “non può che essere riconosciuta anche all’imprenditore individuale cessato per i debiti d’impresa di cui è rimasto onerato e l’unico strumento a ciò utile è il concordato minore ex art. 74, comma 2, CCII”;
d) inoltre, si valorizza lo spazio interpretativo che si apre considerando che al concordato minore possono accedere, escluso il consumatore, “i debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), in stato di sovraindebitamento”, tra cui anche “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale”, “quale certamente è l’imprenditore individuale che ha cessato la propria attività imprenditoriale”;
e) da ultimo, se è vero che l’accesso al concordato minore, da parte dell’imprenditore individuale cessato, è ipotizzabile nella sola tipologia liquidatoria, l’apporto di risorse esterne in misura apprezzabile consente al ceto creditorio di conseguire maggiori utilità rispetto alla liquidazione controllata, per cui anche sotto il profilo della convenienza lo strumento dovrebbe essere ritenuto ammissibile[13].
Senza dire, poi, “che la norma, per come scritta ed ove interpretata in modo acritico, impedirebbe l’accesso al concordato minore anche a soggetti che – già imprenditori individuali – si siano cancellati dal registro delle imprese in epoche remote, ampiamente precedenti l’entrata in vigore del codice della crisi, così ‘sanzionando’ pro futuro condotte passate, in spregio al principio di ragionevolezza e di autodeterminazione dei consociati” (Trib. Modena 7.4.2025).
4.2. La tesi dell’inammissibilità, riferita all’imprenditore in generale
Un’altra parte della giurisprudenza, dopo il “Correttivo-ter”, ha invece proseguito nell’intendere assolutamente ostativo il dettato normativo del quarto comma dell’art. 33 CCII, che non ammetterebbe diverse interpretazioni.
Corte di Appello di Roma 13 dicembre 2024, in rassegna, ha ritenuto insuperabile il tenore letterale della norma, valorizzando altresì l’introduzione nell’art. 33 del comma 1-bis - immutato il quarto comma - per cui sarebbe chiara l’indicazione del legislatore circa il fatto che lo strumento a disposizione dell’imprenditore individuale cancellato è esclusivamente la liquidazione controllata, appunto nel senso già espresso da Cass. 2023/22699[14].
Il tenore letterale della richiamata disposizione – osserva il giudice romano – ponendo tout court una sanzione di inammissibilità, non è tale da consentire di postulare alcuna distinzione tra imprenditore collettivo ed individuale: quando il legislatore ha inteso operare distinzioni ha posto norme espresse in tal senso, se è vero che il nuovo comma 1-bis dell’art. 33 CCII stabilisce la possibilitàsolo “per il debitore persona fisica, dopo la cancellazione dell’impresa individuale” di “chiedere l’apertura della liquidazione controllata anche oltre il termine annuale”.
La Relazione Illustrativa al “Correttivo-ter” - conclude la Corte capitolina - a fronte dell’orientamento che limita alle sole imprese societarie minori la preclusione all’accesso al concordato minore, ha poi espressamente escluso una simile interpretazione “in quanto dopo la cancellazione dell’impresa dal registro delle imprese non può essere consentito il ricorso a strumenti quali il concordato minore, che presuppongono l’esistenza di un’attività imprenditoriale. L’esigenza di consentire al debitore persona fisica di esdebitarsi in questi casi è ampiamente soddisfatta dalla possibilità di chiedere la liquidazione controllata, se vi è attivo da liquidare, o la esdebitazione del debitore incapiente, se non vi è patrimonio da destinare ai creditori”.
5. La lettura dell’art. 33, comma 4, CCII operata dalla Corte di Appello di Napoli
Con la decisione in rassegna la Corte di Appello di Napoli offre un’ampia e articolata motivazione alla tesi favorevole all’accesso al concordato minore liquidatorio da parte dell’ex imprenditore individuale cancellato, declinando diversamente, tuttavia, l’interpretazione del quarto comma: la Corte riconosce che la norma si riferisce all’imprenditore in generale, senza distinzione tra impresa individuale e collettiva, ma limita la sanzione di inammissibilità ai soli casi di concordato in continuità.
Il Giudice campano prende le mosse dalla criticità già evidenziata dall’Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione (est. Farolfi e Romano) nella propria Relazione al “Correttivo-ter” del 30 gennaio 2025, in cui si esprimono forti perplessità - ai fini che ci occupano - sull’efficacia chiarificatrice della modifica normativa[15].
Tuttavia, nel tentativo di trovare una “soluzione convincente che armonizzi la norma con i principi generali del codice”, come auspicato dall’Ufficio del Massimario, la Corte campana offre una prospettiva diversa rispetto a quella che vuole che la norma in esame si applichi solo all’imprenditore collettivo, la cui cancellazione dal registro delle imprese determina la definitiva estinzione ex art. 2945 c.c., al contrario dell’imprenditore individuale, che, con l’iscrizione della sua cancellazione dal registro imprese ex art. 2196 ult.co. c.c. non "cessa di esistere", ma semplicemente perde la qualità di imprenditore, restando un soggetto debitore che sopravvive alla cessazione della ditta.
Il Giudice campano, infatti, prende atto che “imprenditore cancellato” è formula omnicomprensiva e chiara, tale da non poter essere declinata solo in riferimento all’impresa collettiva.[16]
Tuttavia, andando alla ratio della norma, la Corte ricorda che l’esigenza sottesa alla previsione di inammissibilità era quella di evitare l’abuso del concordato, nato quale strumento di risanamento aziendale, da parte di chi volontariamente si era cancellato dal registro imprese, scegliendo di porre fine alla propria attività d‘impresa.
“È plausibile, pertanto, ritenere che la norma dell’art. 33, ult. comma, CCII, prendendo spunto dal diritto vivente, abbia inteso riferirsi al solo concordato preventivo in continuità, non anche a quello liquidatorio, rispetto al quale non si ponevano le problematiche evidenziate”.
Del resto, ciò che contraddistingue il concordato liquidatorio rispetto al concordato preventivo in continuità è la liquidazione dei beni senza la previsione della continuazione dell’attività, che, per l’appunto, si voleva “escludere” nell’ipotesi di impresa che volontariamente aveva deciso di cancellarsi dal registro delle imprese.
Sovviene a confermare detta interpretazione - afferma la Corte - il fatto che:
a) la norma dell’art. 33, ult. co., CCII accomuna al concordato preventivo ed al concordato minore l’ipotesi dell’accordo di ristrutturazione, “destinata a risolvere la crisi d’impresa mediante la continuazione dell’attività, sicché è presumibile che anche le prime due procedure si riferiscano ad ipotesi diverse da quelle liquidatorie, che prevedono cioè la continuità aziendale delle imprese che ad esse fanno accesso, alle quali, dunque, deve giustamente essere preclusa tale continuazione, nell’ipotesi in cui mediante la cancellazione dal registro delle imprese, esse hanno rinunziato, sia pure implicitamente, a tale continuità”;
b) il primo Correttivo ha avuto tra i suoi obiettivi, in coerenza con l’intero impianto del Codice - di chiaro disfavore per le ipotesi liquidatorie - la continuazione dell’attività d’impresa, “così decidendo di sanzionare con l’inammissibilità, nella parte del titolo III, capo III, anche la proposta di concordato minore (in continuità) presentata dal piccolo imprenditore cancellato, onde evitare che tale proposta possa ritardare la liquidazione del suo patrimonio, qualora nell’anno dalla cancellazione ne sia stata richiesta l’apertura, sostanzialmente allineando tale soluzione a quella già adottata per l’imprenditore commerciale non piccolo”;
c) il successivo “Correttivo-ter” ha voluto ampliare, anziché restringere, le possibilità di tutela dell’imprenditore persona fisica cancellato (presumibilmente, quello piccolo, il solo che può accedere alla liquidazione controllata), consentendo a quest’ultimo di poter richiedere la liquidazione controllata anche oltre l’anno, e dunque, di accedere - alla chiusura di tale procedura, e comunque, dopo tre anni dalla sua apertura - all’esdebitazione dai propri debiti, “sicché non avrebbe senso un’interpretazione dell’art. 33, ult. co., CCII, che priva tale soggetto di un altro strumento di tutela, quello del concordato liquidatorio, che, a ben vedere, è l’unico strumento di carattere negoziale a contenuto liquidatorio, cui l’imprenditore piccolo può accedere e che gli garantisce, più della liquidazione controllata, un’effettiva seconda chance”[17].
Infine - si osserva - l’interpretazione proposta appare l’unica conforme alla Costituzione, in quanto consente di evitare disparità di trattamento, “quelle cioè tra l’imprenditore piccolo cancellato da una parte, ed il professionista cancellato dall’albo, l’ex piccolo imprenditore irregolare non iscritto nel registro delle imprese, il socio fideiussore di società in cui egli rivestiva un ruolo dominante, dall’altra, nonché quella con la posizione del piccolo imprenditore cessato, ma non ancora cancellato dal registro imprese”: a tali soggetti non è precluso il concordato minore di tipo liquidatorio.
6. Considerazioni conclusive
La sentenza della Corte di Appello di Napoli ha il pregio di attingere alle ragioni sottese alla regola posta dall’art. 33, comma 4, CCII, fondate sull’esigenza del legislatore di “risolvere una questione che si era posta nel regime attuale” (Relazione Illustrativa, art. 33 CCII).
La questione atteneva, appunto, alla possibilità per la società cancellata di proporre il concordato preventivo (o l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall.), per sterilizzare l’istanza di fallimento promossa dal creditore entro l’anno dalla cancellazione dell’ente.
Invero, le tre pronunce di Cassazione che hanno affermato l’inammissibilità del concordato preventivo (Cass. 2021/20616, Cass. 2020/12045, Cass. 2015/21286) sono state rese in presenza dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 2495 c.c. in combinato disposto con l’art. 10 l. fall., proprio in detta fattispecie, riguardante l’ente collettivo cancellato dal registro imprese, di cui, tuttavia, è stato chiesto il fallimento prima del decorso dell’anno.
Nelle citate decisioni, la Cassazione ha statuito che la possibilità di proporre il concordato preventivo è preclusa al liquidatore della società cancellata da meno di un anno, attinta con istanza di fallimento, e la relativa questione di incostituzionalità è manifestamente infondata, “atteso che la cancellazione della società dal R.I., che ne determina l’estinzione, deriva dalla scelta dei suoi organi che, essendo perfettamente in grado di valutarne le conseguenze, non possono poi pretendere che in capo all’ente estinto residui la legittimazione ad accedere alla procedura di concordato (che presuppone, in primo luogo, l’esistenza di un’impresa, ancorché in stato di crisi), nel caso in cui sia presentata nei suoi confronti domanda di fallimento entro il termine di cui all’art. 10 l.fall.”(Cass. 2015/21286).
La questione a cui fa riferimento la Relazione, dunque, da cui scaturisce la previsione di inammissibilità dell’art. 33, comma 4, CCII, non prescinde dagli effetti estintivi connessi alla cancellazione, ex art. 2495 c.c., dell’ente collettivo, ma anzi li presuppone.
Ciò si dica anche se la Suprema Corte, con la pronuncia 20 febbraio 2020 n. 4329, ha ritenuto di ribadire lo stesso principio in riferimento a fattispecie riguardante un imprenditore individuale cancellato, concludendo nel medesimo senso che “l'imprenditore, il quale volontariamente cessi l'attività di impresa, tiene un comportamento a lui imputabile che preclude l'utilizzo di strumenti finalizzati alla composizione della crisi dell'attività imprenditoriale”[18], quale, appunto, il concordato preventivo (ed oggi anche il concordato minore).
Ma è proprio dalla lettura di Cass. 2020/4329 che si desume la riferibilità della norma al concordato in continuità, non liquidatorio, se è vero che anche verso l’imprenditore individuale che volesse richiedere il concordato preventivo vale il ragionamento sotteso all’inammissibilità dello strumento per le società.
Cass. 2020/4329 osserva infatti che il concordato preventivo eventualmente proponibile anche dall’impresa individuale, “diversamente dal fallimento che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicchè l'intervenuta e consapevole scelta di cessare l'attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto l'utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare”.
In definitiva, osserva Cass. 2020/4329, il dato cruciale è rappresentato “dalla persistente esistenza o non di una realtà imprenditoriale”, rispetto alla quale possa porsi l'esigenza di assicurare, attraverso la procedura concordataria, la risoluzione della crisi con le modalità previste dal legislatore.
In conclusione, App. Napoli 14.7.2025 porta, dunque, a logica conseguenza il ragionamento svolto dal Giudice di legittimità nell’unica pronuncia che estende la sanzione di inammissibilità all’imprenditore individuale cancellato: la previsione dell’art. 33, comma 4, CCII non può, dunque, che riferirsi al solo concordato in continuità - che presuppone una realtà imprenditoriale in crisi e un risanamento da conseguire - non anche al tipo liquidatorio sorretto da finanza esterna, che non richiede un’impresa attiva ai fini della sua presentazione.
In ultima analisi, sia consentito di evidenziare come la questione ermeneutica della ‘sorte’ dell’imprenditore individuale cancellato - al pari di altri temi riguardanti le procedure di sovraindebitamento - sia maggiormente presente in giurisprudenza piuttosto che nella riflessione dottrinale e accademica, a dimostrazione della rapidità con cui le tante situazioni di crisi emergono all’attenzione degli operatori.
[1] Si ringrazia il Sostituto Procuratore Generale presso la Cassazione dr. S. De Matteis per la segnalazione della sentenza. Entrambe le decisioni in commento sono in corso di pubblicazione in questa Rivista.
[2] Avvocato in Rimini, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Fallimentare all’Università degli Studi di Milano – Bicocca.
[3] Peraltro, siamo stati facili profeti, all’indomani del “Correttivo-ter”, nel ritenere che l’introduzione del comma 1-bis dell’art. 33 - che consente al debitore persona fisica di chiedere la propria liquidazione controllata anche oltre l’anno dalla cancellazione della ditta dal registro imprese - non avrebbe indotto una lettura univoca del quarto comma, osservando che “ad una prima lettura, l’intervento sull’art. 33 CCII non appare decisivo ai nostri fini; l’aver mantenuto invariato il quarto comma dell’art. 33 CCII non esclude in futuro il riproporsi dell’orientamento giurisprudenziale che riferisce la previsione di inammissibilità al solo imprenditore collettivo non anche individuale” (A.MANCINI, “Sovraindebitamento: una prima lettura del ‘Correttivo-ter’ - d lgs. 13 settembre 2024 n.136 - I parte: disposizioni generali, consumatore e concordato minore”, in questa Rivista, settembre 2024).
[4] Il d. lgs. 147/2020 (c.d. primo Correttivo), infatti, ha aggiunto il ‘concordato minore’ alle procedure menzionate all’art. 33 quarto comma CCII; la norma ora recita: “La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile”.
[5] È ragionevole ritenere salva la vis attractiva della procedura familiare ex art. 66 CCII, per cui ove un familiare sia legittimato al concordato minore, il familiare che avesse cessato l’impresa individuale potrebbe accedere a detta procedura, in presenza delle altre condizioni imposte da detto articolo.
[6] Art. 33. Cessazione dell'attività
1. La liquidazione giudiziale o controllata può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell'attività del debitore, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo.
1-bis. Il debitore persona fisica, dopo la cancellazione dell’impresa individuale, può chiedere l’apertura della liquidazione controllata anche oltre il termine di cui al co. 1.
[…]
4. La domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile.
[7] Relazione Illustrativa, sub art. 33 CCII.
[8] Osserva, infatti, Cass. 2023/22699 che “del resto, negare l’accesso allo strumento concordatario non significa escludere il debitore dalla possibilità di ottenere l’esdebitazione, che anzi con il nuovo Codice diviene un vero e proprio diritto, ex art. 282 CCI, con il decorso di un triennio dall’apertura della liquidazione controllata, senza neppure dover attendere la chiusura della procedura liquidatoria”.
[9] Le pronunce in tal senso sono numerosissime. Ex pluribus, Trib. Milano 15 dicembre 2022 ha osservato che “anche la liquidazione controllata (come è previsto espressamente per la liquidazione giudiziale) potrà essere aperta ma entro un anno successivo alla cessazione dell’attività, per insolvenza anteriore o manifestatasi entro l’anno successivo. […] Invero, trattasi di una procedura concorsuale e di un sottotipo della liquidazione giudiziale riservata ai debitori minori, con la conseguente possibilità di attingere alla relativa normativa per colmare eventuali lacune esistenti nella normativa della liquidazione controllata”.
Trib. Udine 1 giugno 2023, invece, sul presupposto che “l’art. 33 CCII non è stato richiamato in relazione alla liquidazione controllata, atteso che il rinvio operato, nei limiti della compatibilità, dall’art. 270 CCII si riferisce alle disposizioni sul procedimento unitario di cui al titolo III (contenute nella sezione II, artt. 40-53)” ha comunque ritenuto che “l’omesso richiamo non possa però precludere l’apertura della liquidazione controllata della società già cancellata dal registro delle imprese, entro l’anno dalla cancellazione, sul presupposto dell’applicazione analogica della disposizione di cui all’art. 33 CCII”.
[10] Cfr., Trib. Gela 4 giugno 2024, Trib. Verona 1 luglio 2024.
In giurisprudenza si è chiarito, altresì, che il limite annuale non preclude neanche l’iniziativa del creditore che insta per l’apertura della liquidazione controllata, quando “pur a fronte dell’avvenuta cancellazione dal registro per le imprese - da oltre un anno - della ditta di cui il debitore era titolare, il credito per cui si agisce risulti venuto ad esistenza dopo la cancellazione stessa. Invero, un’interpretazione logico-sistematica (oltre che costituzionalmente orientata al rispetto del canone di ragionevolezza ricavabile dall’art. 3 Cost.) dei commi 1 e 1-bis dell’art. 33 CCII induce a ritenere che, con riferimento all’istanza di apertura della liquidazione controllata della persona fisica titolare di impresa individuale, la preclusione da decorso del termine annuale dalla cancellazione dal registro per le imprese operi solo per i crediti maturati prima della cancellazione stessa” (Trib. Verona 22 marzo 2025).
[11] Nel senso di ritenere l’ultimo comma dell’art. 33 CCII riferibile al solo imprenditore collettivo, cfr. Trib. Ancona, 11 gennaio 2023; Trib. Napoli Nord 3 gennaio 2023; Trib. Treviso 7 febbraio 2023; Trib. Rimini 15 febbraio 2023; giurisprudenza ribadita anche dopo la pronuncia Cass. 2023/22699: cfr. Trib. La Spezia 30 agosto 2023; Trib. Torre Annunziata 3 novembre 2023; Trib. Ancona 15 novembre 2023; Trib. Vicenza 14 novembre 2023 e Trib. Mantova 22 novembre 2024. Vedremo in prosieguo di trattazione che detto orientamento risulta confermato anche dopo il “Correttivo-ter”.
[12] Nello stesso senso si segnala anche la recentissima Trib. Rimini 23 luglio 2025, per cui la disposizione del quarto comma dell’art. 33 CCII “deve intendersi riferita al solo imprenditore collettivo, la cui cancellazione dal registro delle imprese determina la definitiva estinzione ex art. 2945 c.c.; l’imprenditore individuale che pone fine alla propria attività, al contrario, semplicemente cessa la sua attività di impresa e, tecnicamente, è tenuto ad iscrivere la cessazione nel R.I. entro 30 giorni, a norma dell’art 2196 uc c.c.: con la ‘iscrizione della cessazione’ dal R.I. - che è evento diverso dalla ‘cancellazione’ - non cessa di esistere ma semplicemente perde la qualità di imprenditore, restando un soggetto debitore che sopravvive alla cessazione della ditta”.
[13] A sostegno di tale orientamento, la giurisprudenza ha svolto anche ulteriori argomentazioni.
Trib. Vicenza 14 marzo 2025 ha osservato che “se la ratio dell’esclusione fosse quella dell’inesistenza dell’impresa al momento della domanda di concordato minore (come indicato a pag. 35 della Relazione Illustrativa al Correttivo-ter) non si capirebbe perché tale limitazione non debba valere anche per il professionista cancellato dal rispettivo albo che - mutatis mutandis - come l’imprenditore, dalla cancellazione non esercita più la propria attività; né si spiegherebbe perché il socio illimitatamente responsabile o il garante ‘professionale’ per debiti d’impresa - amministratore della società o socio maggioritario - possano accedere al concordato (esclusivamente) liquidatorio pur dopo la cancellazione della società per ristrutturare l’esposizione debitoria maturata e l’imprenditore individuale invece no, non sussistendo significative differenze tra tali soggetti”. Vedremo che dette argomentazioni sono riprese da App. Napoli 14.7.2025, in rassegna.
Il tribunale vicentino ha anche precisato che “la disposizione sarebbe inoltre intrinsecamente irragionevole ove interpretata in senso estensivo, dato che vieterebbe a solo tale figura [imprenditore individuale cancellato, n.d.r], in presenza di una ‘debitoria mista’, di ristrutturare il proprio debito in ragione del sopravvenuto sovraindebitamento derivante da pregressi debiti professionali cui se ne aggiungano, in un tempo successivo alla cancellazione, altri di natura consumerista o di nuovo professionale, in caso di inizio di altra attività, costringendolo ad una illogica ed antieconomica ‘parcellizzazione’ delle istanze con moltiplicazione dei giudizi”.
[14] Peraltro, detto orientamento post “Correttivo ter” sembra consolidato in seno alla medesima Corte di Appello di Roma: nello stesso senso della pronuncia in rassegna, infatti, constano App. Roma 17 ottobre 2024 e App. Roma 6 dicembre 2024, entrambe rese in una diversa composizione collegiale.
Conformi alla giurisprudenza capitolina, cfr. Corte di Appello di Brescia 6 febbraio 2025, Tribunale di Pisa 19 ottobre 2024 e Tribunale di Ragusa 15 novembre 2024.
Osserva Trib. Pisa 19 ottobre 2024 che la previsione del comma 1-bis “fa sì che la strada maestra per la risoluzione della crisi da sovraindebitamento cui afferiscano debiti di matrice imprenditoriale sia rappresentato proprio e solo dalla liquidazione controllata”.
Trib. Ragusa 15 novembre 2024 ritiene la disposizione come riferita all’imprenditore in generale: “se il legislatore avesse voluto differenziare l’imprenditore collettivo da quello individuale lo avrebbe fatto, come avvenuto nella norma immediatamente precedente del comma 3, prevedendo - in caso di cancellazione avvenuta su istanza di parte - solo per l’impresa individuale, e non anche per l’impresa collettiva, la facoltà (per il creditore o per il PM) di provare l’effettiva cessazione dell’attività in un momento successivo alla cancellazione medesima” [Il comma 3 dell’art. 33 CCII recita: “In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta comunque salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del comma 1”]
[15] I Relatori muovono dall’introduzione della facoltà per il debitore persona fisica di accedere alla liquidazione controllata anche oltre l’anno dalla cancellazione dell’impresa individuale, osservando a pag.79 della Relazione [il neretto è dell’autore del presente contributo, n.d.r.]: “Vi è tuttavia da chiedersi se la norma – nel sancire tale perdurante legittimazione al comma 1-bis – non riconosca anche, implicitamente, la perdurante possibilità del debitore di sottoporre a ristrutturazione i propri debiti, che avendo origine almeno in parte imprenditoriale, richiederanno l’utilizzo del concordato minore.
In tal senso potrebbe sostenersi che il divieto di cui all’ultimo comma riguardi i debitori diversi dalle persone fisiche posto che, come detto, la cancellazione dal registro delle imprese, non sancisce alcuna estinzione “artificiale” del debitore; in contrario dovrebbe ipotizzarsi che solo per questa categoria di debitori non sia ammesso alcun tipo di ricorso agli strumenti diversi dalle procedure liquidatorie, pur se tale lettura – oltre a risultare contraria alla ratio complessiva dello stesso Codice – potrebbe dare adito a differenze di trattamento spesso ingiustificate.
Si pensi al caso del debitore persona fisica che sia stato prima imprenditore e, poi, una volta cessata l’attività di impresa abbia svolto per alcuni anni mansioni di lavoratore dipendente e poi, di nuovo, di lavoratore autonomo professionale, trovandosi infine sovraindebitato: l’esclusione del concordato minore legate alla sua prima avventura imprenditoriale porterebbe a soluzioni illogiche quali il ricorso a più procedure eterogenee o all’esclusione di soluzioni di carattere conservativo anche per la sua vita professionale più recente.
Resta, occorre riconoscere, il non modificato ultimo comma della norma. In questo senso, quindi, starà soprattutto all’interpretazione giurisprudenziale ricercare una soluzione convincente e che armonizzi la norma con i principi generali del codice”.
[16] Si legge in App. Napoli 14 luglio 2025 che “la norma dell’art. 33, ult. co., CCII, non consente di ritenere che essa si riferisca soltanto agli imprenditori collettivi (ovvero alle società) cancellati dal registro dalle imprese, giacché l’intero articolo si riferisce alla cessazione dell’attività in generale degli imprenditori, senza distinguere tra impresa individuale e collettiva, mentre laddove il legislatore ha voluto riferirsi al solo imprenditore individuale, lo ha fatto espressamente, come ad es. all’art. 33, co 1 bis di tale articolo, inserito col correttivo ter, che ha attribuito al solo imprenditore individuale persona fisica cancellato la possibilità di fare ricorso alla liquidazione controllata anche oltre l’anno dalla cancellazione”.
[17] Per cui, prosegue il Giudice napoletano, “l’interpretazione prescelta da questa Corte è l’unica compatibile con i principi informatori del Codice, in quanto consente al piccolo imprenditore persona fisica cancellato dal registro delle imprese, mediante la scelta del concordato minore liquidatorio:
a) di poter evitare la liquidazione integrale di tutti i suoi beni (non potendosi avere una procedura di liquidazione controllata limitata soltanto ad una parte dei suoi beni) (cd. principio della residualità delle ipotesi liquidatorie integrali),
b) di poter ottenere l’esdebitazione automatica dai propri debiti senza dover attendere il termine di tre anni previsto dall’art. 282, co. 1, CCII, e comunque, la chiusura della procedura (cd. principio della rapida esdebitazione per favorire una seconda chance);
c) ma, soprattutto, consente al citato piccolo imprenditore cancellato - esigenza questa del tutto dimenticata nel decreto della Prima Presidente della Corte di Cassazione - di poter fare ricorso alla finanza esterna, prevista dall’art. 74, co.2, c.c., mediante l’apporto di risorse (esterne) che incrementano in misura apprezzabile l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda (cd. principio del miglior soddisfacimento possibile dei creditori concorsuali rispetto all’alternativa liquidatoria)”.
[18] In Cass. 2020/4329 si legge, altresì, che “siffatta soluzione è, peraltro, stata recepita per il futuro dal codice della crisi di impresa; a norma del d. lgs. 2019/14, art. 33, che reca la disciplina della cessazione dell'attività in relazione a tutte le procedure, è inammissibile la domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese”. Si osserva, tuttavia, che la pronuncia fa riferimento all’art. 33 CCII non ancora integrato con l’inclusione del “concordato minore”.
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