Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/11/2020 Scarica PDF

Proteggere il socio senza fermare la società: il difficile equilibrio della sospensione cautelare ex art. 2378, co. 3, c.c.

Paola Orlando, Dottoranda di ricerca in Gestione finanziaria d'impresa e prevenzione della crisi presso l'Universitas Mercatorum


Sommario: 1. Premessa. – 2. La disciplina dell’art. 2378, comma 3. c.c. – 3. I presupposti temporali della sospensione. – 4. I criteri di valutazione del giudice. – 5. Considerazioni conclusive.

   



1. Premessa

La possibilità di sospendere l’efficacia di una deliberazione societaria costituisce, nel sistema dei rimedi contro le decisioni degli organi sociali, uno degli strumenti più incisivi e delicati a disposizione del socio che si ritenga leso nei propri diritti.

La misura, prevista dall’art. 2378 c.c., si colloca invero all’interno del complesso equilibrio tra esigenza di tutela individuale e interesse collettivo alla stabilità dell’assetto societario, assumendo un ruolo di primaria importanza ogniqualvolta l’esecuzione della delibera impugnata sia idonea a produrre effetti pregiudizievoli tali da vanificare l’utilità stessa del giudizio di annullamento.

La sospensione cautelare risponde a una logica ben precisa: impedire che il tempo necessario affinché il giudice accerti la legittimità della decisione assembleare diventi esso stesso fonte di danno.

Nel diritto societario, più che in molti altri rami del diritto, il fattore temporale riveste un peso determinante. Le deliberazioni degli organi sociali – specie se attinenti alla governance, alla composizione degli organi, alla struttura finanziaria o all’operatività strategica della società – producono spesso effetti immediati e profondi, che possono incidere sulla posizione del socio e sugli equilibri interni ben prima che il giudizio di merito possa realizzare la sua funzione di accertamento.

È proprio questa particolare connotazione “dinamica” delle vicende societarie che giustifica la centralità della tutela cautelare. Il legislatore, consapevole dell’impossibilità per il giudizio di annullamento di fornire una risposta sufficientemente rapida, ha previsto uno strumento che consente di congelare la situazione e preservare lo status quo, impedendo che l’esecuzione della delibera produca quegli effetti potenzialmente irreversibili che renderebbero inutile o tardiva la pronuncia definitiva.

In questo senso, la sospensione cautelare non è un semplice incidente processuale, ma un istituto che trova fondamento nella stessa struttura del diritto societario, nel quale confluiscono – non sempre in modo armonico – il principio della stabilità delle decisioni sociali, la tutela del legittimo affidamento dei terzi e, al contempo, la necessità di garantire al socio la possibilità di reagire contro deliberazioni che ritenga viziate o abusive.

L’art. 2378 c.c. appare, dunque, come uno snodo essenziale che permette al giudice di neutralizzare provvisoriamente la forza tipicamente conformativa della deliberazione assembleare. Senza tale rimedio, l’azione di impugnazione rischierebbe di rimanere priva di efficacia pratica: l’eventuale annullamento della delibera – pronuncia che per definizione interviene a distanza di tempo – non sarebbe più in grado di ripristinare in modo effettivo l’equilibrio violato.

Non sorprende, pertanto, che la giurisprudenza abbia valorizzato nel corso degli anni la portata dell’istituto, riconoscendogli natura non soltanto conservativa, ma anche e soprattutto anticipatoria. In tale prospettiva, la sospensione diviene uno strumento capace di anticipare gli effetti della sentenza di merito, offrendo al socio una tutela immediata e sostanzialmente effettiva.

La recente evoluzione normativa – con la modifica dell’art. 669-octies c.p.c. ad opera del d.lgs. 149/2022 – ha confermato questa interpretazione, sancendo la perdurante efficacia del provvedimento cautelare anche qualora il giudizio principale si estingua.

Da ciò risulta evidente come la sospensione dell’efficacia della delibera non rappresenti un mero rimedio ancillare, ma un presidio essenziale nel governo dei conflitti societari.

Essa consente di bilanciare, in modo flessibile ma rigoroso, l’esigenza di continuità dell’attività sociale con quella di protezione delle posizioni soggettive dei soci, evitando che l’inerzia del processo o l’impatto immediato delle decisioni assembleari possano frustrare il diritto di impugnazione e alterare la fisiologia dei rapporti interni[1].

 

2. La disciplina dell’art. 2378, comma 3. c.c.

Muovendo da queste premesse, risulta più agevole comprendere la funzione attribuita dall’ordinamento all’art. 2378 c.c., disposizione che si colloca al crocevia tra la tutela immediata del socio e l’esigenza di continuità operativa della società.

Tale norma, infatti, consente al socio impugnante di domandare, contestualmente all’introduzione del giudizio di annullamento, la sospensione dell’esecuzione della deliberazione contestata.

Il legislatore ha voluto così costruire un meccanismo di reazione rapida e coordinata, che permette al giudice – ove ricorrano i requisiti dell’urgenza – di intervenire anche in via monocratica e con provvedimento d’urgenza, allo scopo di neutralizzare da subito gli effetti potenzialmente dannosi dell’atto assembleare.

La recente evoluzione giurisprudenziale ha offerto un contributo decisivo nella qualificazione della misura, evidenziandone la natura non soltanto cautelare, ma spiccatamente anticipatoria. Lungi dal limitarsi a sospendere gli effetti della delibera per evitare un pregiudizio immediato, il provvedimento cautelare tende, in realtà, ad anticipare – in termini funzionali – l’esito del giudizio di merito, ripristinando provvisoriamente la situazione anteriore all’adozione della deliberazione. È in questa prospettiva che deve leggersi la funzione della sospensione: un mezzo idoneo non solo a prevenire danni, ma a garantire che l’impugnazione mantenga la propria effettività sino alla definizione della controversia.

L’unico limite fisiologico all’operatività della misura va individuato nelle ipotesi in cui la deliberazione abbia già completamente dispiegato i suoi effetti, in modo tale da rendere la sospensione priva di utilità concreta. Anche su questo punto, tuttavia, la giurisprudenza si mostra incline a un approccio sostanzialistico: ciò che rileva non è l’irrevocabilità in astratto degli effetti dell’atto, ma la persistenza di un periculum in mora che renda ancora possibile, e giuridicamente significativa, la neutralizzazione degli effetti della deliberazione.

In tali casi, la sospensione conserva la propria praticabilità ogniqualvolta la delibera continui, anche indirettamente, a incidere sull’organizzazione societaria o sulle posizioni individuali dei soci[2]. Il giudice è dunque tenuto a valutare in concreto se l’intervento cautelare sia ancora idoneo a prevenire un pregiudizio futuro o irreparabile, evitando applicazioni formalistiche che finirebbero per svuotare di significato la tutela approntata dall’art. 2378 c.c.

 

3. I presupposti temporali della sospensione

Dal punto di vista temporale, il legislatore ha voluto che la domanda di sospensione delle deliberazioni assembleari sia strettamente connessa all’impugnazione della delibera stessa, tanto da prevedere all’art. 2378 c.c. che il ricorso cautelare debba essere depositato contestualmente all’atto di citazione.

Tale disposizione risponde all’esigenza di evitare iniziative cautelari isolate, non ancorate a una concreta volontà di ottenere l’annullamento della delibera, e di assicurare che la tutela temporanea si inscriva organicamente nel processo di impugnazione.

La giurisprudenza ha tuttavia interpretato il requisito della contestualità in termini non rigidamente formalistici, ammettendo che la sospensione possa essere richiesta anche in un momento successivo, a condizione che il giudizio di merito sia già pendente.

Ciò che rileva è che la misura cautelare trovi sempre collocazione all’interno del processo di impugnazione e non si configuri come strumento autonomo o ante causam[3].

In via generale, dunque, la sospensione richiesta prima dell’instaurazione del giudizio di merito si considera inammissibile, poiché la sua natura di misura cautelare tipica prevale sulla disciplina generale dei procedimenti cautelari e il legislatore ha voluto che sia lo stesso giudice competente sull’impugnazione a pronunciarsi anche sulla sospensione[4].

Non mancano tuttavia eccezioni rilevanti.

La principale si verifica nell’ipotesi in cui il merito sia devoluto agli arbitri in virtù di una clausola compromissoria: in questo caso è ammessa la possibilità di chiedere la sospensione al giudice statale prima dell’avvio del procedimento arbitrale.

Un’ulteriore deroga si configura quando il socio dimostra che non è oggettivamente possibile introdurre la causa in tempi compatibili con la tutela richiesta. Deve infine sottolinearsi come sia escluso il ricorso alla tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c., posto che non è ammesso ottenere la sospensione mediante un procedimento atipico, atteso che l’art. 2378 c.c. costituisce uno strumento specifico e prevalente, che assorbe e sostituisce la tutela cautelare generale.

In tal modo, il quadro normativo e giurisprudenziale consolida l’idea che la sospensione delle deliberazioni assembleari sia una misura strumentale, intrinsecamente collegata all’impugnazione, e che il suo utilizzo debba sempre rispettare l’equilibrio tra tempestività della tutela e congruenza con il giudizio di merito.

 

4. I criteri di valutazione del giudice

Per l’emanazione di una misura cautelare di sospensione, il giudice è chiamato a verificare la presenza dei due tradizionali requisiti della tutela cautelare, rappresentati dal fumus boni iuris e dal periculum in mora[5].

Il fumus, inteso come la probabilità dell’esistenza di un vizio tale da poter condurre all’annullamento della delibera, non richiede un’analisi approfondita comparabile a quella del merito, ma una valutazione sommaria e ragionata della fondatezza apparente della pretesa del socio.

Il periculum, che tradizionalmente rappresenta il rischio che la deliberazione produca effetti lesivi durante la pendenza del processo, assume in materia societaria una connotazione peculiare[6]. Invero, l’art. 2378, comma 4, c.c., infatti, impone al giudice di operare una valutazione comparativa tra due tipologie di pregiudizio: da un lato, quello che il socio subirebbe qualora la delibera rimanesse pienamente efficace, dall’altro, quello che la società stessa soffrirebbe in caso di sospensione dell’esecuzione della deliberazione.

È proprio questo bilanciamento, fondato sul confronto tra interessi contrapposti, a costituire il nucleo essenziale del giudizio cautelare, poiché il legislatore ha voluto riconoscere che ogni deliberazione assembleare, pur contestata, esprime la volontà collettiva dei soci e gode di una presunzione di legittimità che non può essere sacrificata se non di fronte a un danno al socio effettivamente prevalente.

La giurisprudenza più recente ha elaborato criteri applicativi di tale principio con crescente raffinatezza, valorizzando in maniera articolata l’interesse della società alla continuità aziendale, alla stabilità degli organi amministrativi e alla realizzazione di operazioni strategiche essenziali[7].

Tale orientamento dimostra come il “bilanciamento tra interessi contrapposti” sia diventato un elemento centrale del giudizio cautelare, al punto che parte della dottrina ha iniziato a considerarlo un vero e proprio “terzo requisito”, distinto e autonomo rispetto ai tradizionali fumus e periculum, capace di guidare l’applicazione concreta della misura sospensiva in chiave pragmatico-strategica[8].

 

5. Considerazioni conclusive

La sospensione cautelare delle deliberazioni assembleari prevista dall’art. 2378 c.c. costituisce uno strumento di primaria rilevanza per garantire l’effettività della tutela del socio impugnante, senza compromettere l’indispensabile equilibrio con l’interesse della società alla stabilità e alla continuità delle proprie decisioni.

Dall’analisi del quadro normativo e dei più recenti orientamenti giurisprudenziali emergono tre direttrici fondamentali che caratterizzano la disciplina della misura.

In primo luogo, la natura anticipatoria della sospensione, che non si limita a una funzione meramente conservativa, ma persegue l’effetto concreto di prevenire danni irreversibili, conservando la propria efficacia anche nell’eventualità di estinzione del giudizio di merito.

In secondo luogo, l’accessorietà della tutela, che ne configura la stretta connessione con l’impugnazione principale, escludendo, salvo rare eccezioni debitamente motivate, la possibilità di ricorso ante causam e imponendo un vincolo funzionale tra sospensione e impugnazione.

Infine, la centralità del bilanciamento degli interessi contrapposti, che rappresenta oggi l’elemento cardine della disciplina: il giudice è chiamato a operare una ponderata valutazione comparativa tra il pregiudizio che la delibera potrebbe arrecare al socio e quello che l’eventuale sospensione potrebbe determinare per la società, in modo da assicurare la prevalenza dell’interesse effettivamente preminente.

Il sistema così delineato appare coerente con la natura delle delibere assembleari come atti fondativi della vita dell’ente societario e riflette l’esigenza di coniugare, in un quadro di efficienza, certezza e continuità gestionale, la tutela dei diritti individuali dei soci con la salvaguardia della stabilità e dell’operatività della società.

La disciplina dell’art. 2378 c.c., in questo senso, si pone quale strumento di equilibrio tra due valori essenziali della governance societaria: la protezione del socio da decisioni potenzialmente lesive e la preservazione della funzionalità e dell’autonomia decisionale dell’organo assembleare.



[1] Cfr.Cass. Civ. Ord. 26 aprile 2021, n. 10986, con commento di G. Romano, “La natura della sospensione dell’efficacia di una deliberazione societaria tra diritto societario e diritto processuale”, in Le Società, 2021.

[2] Cfr. Trib. Catania, sent. 8 marzo 2019.

[3] Il carattere incidentale dell’istanza di sospensiva non esclude, peraltro, che la stessa venga promossa in un momento successivo all’introduzione del giudizio di merito, dal momento che il riferimento operato dall’art. 2378 c.c. alla contestualità del deposito del ricorso cautelare a quello della citazione va inteso nel senso che il legislatore abbia voluto semplicemente correlare la proposizione dell’istanza cautelare alla pendenza del giudizio di merito (Cfr. Trib. Torino 13 maggio 2019, cit.; Trib. Firenze 23 febbraio 2017, in www.ilcaso.it; Trib. Napoli 24 marzo 2016, in www.giustiziacivile.com).

[4] Cfr. A. Morello, “Sospensione delle delibere del CdA nelle Srl: quando e come applicare la disciplina delle SpA”, in Impresa, 2024.

[5] In dottrina, Arieta, De Santis, “Diritto processuale societario”, Padova, 2004, p. 424; C. Ferri, “Le impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 65; Dalfino, “Tutela cautelare ante causam e sospensione della delibera assembleare,” in Le Società, 2012, p. 831; Corea, “Note in tema di tutela impugnatoria e tutela cautelare ante causam (a proposito degli artt. 2378 c.c. e 700 c.p.c.)”, in Giusto proc. civ., 2008, p. 527 ss.

[6] Cfr. Trib. Napoli, 11 aprile 2023, in Giurisprudenza delle Imprese, 2023.

[7] Cfr. Trib. Catanzaro, Ord. 4 novembre 2020, in Rivista Judicium, 2020; Trib. Roma, Sez. XVI, sent. 22 aprile 2018; Trib. Brescia, sent. 1° ottobre 2018. Sul punto si veda anche: Trib. Milano, sent. 7 febbraio 2022, con commento di G. Casella, “Le misure cautelari come extrema ratio”, in Le società, 2022.

[8] Cfr. Trib. Genova, sent. 17 gennaio 2023, in Giurisprudenza delle imprese, 2023; Cfr.Trib. Verona,Ord.25 luglio 2012, in One Legale.


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