Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21953 - pubb. 11/01/2019

Mandato in rem propriam con una cessione di credito con funzione solutoria

Cassazione civile, sez. I, 04 Novembre 1992, n. 11966. Est. Bibolini.


Mandato e commissione - Mandato in "rem propriam" - Cessione di credito con funzione solutoria - Integrazione - Fallimento del creditore cedente - Conseguenze - Art. 78 legge fall. - Disciplina - Inapplicabilità - Revoca del mandato per giusta causa - Ammissibilità - Esclusione



Con riguardo ad un mandato in "rem propriam" che integri una cessione di credito con funzione solutoria, ancorché sia seguito dal fallimento del creditore cedente, l'effetto sostanziale dell'avvenuta cessione, che fa uscire il credito dal patrimonio del fallito prima della dichiarazione di fallimento (salva l'esperibilità della revocatoria fallimentare), non solo preclude l'applicazione dell'art. 78 legge fall., ma neppure legittima gli organi della curatela alla revoca del mandato per giusta causa, ai sensi del secondo comma dell'art. 1723 cod. civ.. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Francesco FAVARA Presidente
" Pietro PANNELLA Consigliere
" Giuseppe BORRÈ "
" Antonino RUGGIERO "
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 6098-87 proposto

da

GILDEMEISTER ITALIANA S.P.A., con sede in Brembate Sopra, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, c.so Trieste n. 54, presso lo studio dell'Avv. Giovanni B. che la assiste e difende, anche in via disgiuntiva, con l'Avv. Lado S., giusta delega a margine del ricorso.

Ricorrente

contro

BANCO DI ROMA, filiale di Monza, in persona del suoi legali rappresentanti, rappresentato e difeso, giusta delega a margine del controricorso, dagli Avv.ti Goffredo O. e Antonio L., elettivamente domiciliata in Roma, via Castelfidardo n. 8, presso lo studio del primo.

Controricorrente

e sul ricorso n. 6294-87 proposto

da:

BANCO DI ROMA, filiale di Monza, in persona dei suoi legali rappresentanti, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del ricorso, dagli Avv.ti Goffredo O. e Antonio L., con domicilio eletto in Roma, via Castelfidardo n. 8 presso lo studio del primo.

Ricorrente

contro

GILDEMEISTER ITALIANA S.P.A., con sede in Brembate Sopra, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, c.s. Trieste n. 54 presso e nello studio dell'Avv. Giovanni B., dal quale è rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, con l'Avv. Aldo S., giusta delega a margine del controricorso.

Controricorrente

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 29-4-1986;
udita la relazione svolta dal Cons. Gian Carlo Bibolini;
sentito l'Avv. B. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale;
sentiti, inoltre gli Avv.ti O. e L. i quali hanno chiesto l'accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto di quello principale;
Udito il P.M. Dr. Francesco Simeone che ha concluso chiedendo l'accoglimento del primo e del quarto motivo del ricorso del Banco di Roma, con assorbimento del secondo motivo e rigetto del terzo;
rigetto del ricorso della s.p.a. Gildemeister.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Attenendosi, nella descrizione del fatto, all'esposizione della sentenza oggetto del ricorso, si rileva che, con citazione notificata il 20-9-1978 la s.p.a. Banco di Roma, filiale di Monza, conveniva davanti al Tribunale di Monza la s.p.a. Gildemeister Italiana della quale chiedeva la condanna al pagamento di una somma che risultasse ad essa dovuta, anche a titolo risarcitorio, con interessi e rivalutazione della somma ex art. 1224 c.c.. A fondamento della domanda l'attrice poneva le seguenti situazioni di fatto:
1) essa, richiestane dalla ditta Massano e Giorgio, come da lettera 13-10-1987, aveva anticipato alla stessa società la somma di L. 22.100.000 sulla fattura n. 143-77 di L. 28.000.000 emessa nei confronti della s.p.a. Gildemeister Italiana per la fornitura di due carri ponte;
2) poiché l'anticipazione era contestuale al conferimento alla banca, da parte della "Massano e Giorgio", di mandato irrevocabile all'incasso del credito verso la Gildemeister Italiana s.p.a., a quest'ultima era stata data comunicazione dell'operazione;
3) con lettera 16-11-1977 la Gildemeister aveva comunicato il proprio impegno a pagare alla banca la somma di cui alla fattura predetta; tuttavia il 5-12-1977 essa aveva eseguito il pagamento di L. 10.000.000 direttamente alla "Massano e Giorgio";
4) dopo la dichiarazione di fallimento della "Massano e Giorgio", avvenuta il 10-1-78, la s.p.a. Gildemeister si era rifiutata di aderire alla richiesta stragiudiziale di risarcimento formulata dalla banca.
La s.p.a. Gildemeister Italiana, costituitasi, dopo avere pregiudizialmente eccepito l'incompetenza territoriale del Tribunale di Monza, in favore di quello di Bergamo, assumeva di non essere tenuta al pagamento richiesto per una serie di ragioni, così riassumibili:
A) essa non aveva assunto l'obbligo di pagare alla banca l'eventuale debito verso la "Massano e Giorgio", essendosi limitata a prendere atto dell'invito al pagamento alla ditta debitrice tramite l'agenzia di Monza del Banco di Roma;
B) la fornitura dei carri ponte era avvenuta dopo il fallimento della Massano e Giorgio (dopo, vale a dire, il 10-1-78) e dopo nuova negoziazione del contratto con la curatela fallimentare, situazione rilevante volta che il pagamento del prezzo, secondo il contratto originario, avrebbe dovuto avvenire per il 50% alla consegna (rectius al montaggio) e per il residuo entro 90 giorni dalla consegna stessa;
C) il mandato irrevocabile era illegittimo, in quanto eventuali pagamenti alla banca, in esecuzione dello stesso sarebbero stati soggetti a revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F.;
D) la banca non aveva offerto alcuna prova di avere subito danno reale;
E) il mandato alla banca era stato revocato per giusta causa dal curatore fallimentare in data 23-3-1978, per cui nulla poteva pretendere la banca per le somme che la s.p.a. Gildemeister Italiana aveva pagato dopo tale data.
Il Tribunale di Monza con sentenza n. 1676 del 13-12-1982, previo rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale, rigettava la domanda con compensazione integrale delle spese processuali. Avverso detta sentenza proponeva appello il Banco di Roma, chiedendo l'accoglimento delle domande già formulate, si costituiva la Gildemeister la quale, dopo avere contestato l'impugnazione, in via di appello incidentale chiedeva la condanna della banca alla rifusione delle spese di I grado e, in via subordinata riproponeva la questione dell'incompetenza territoriale del Tribunale di Monza;
riproponeva, infine, ove necessarie, le prove già articolate in primo grado, dichiarando di non accettare il contraddittorio in ordine a nuove domande della banca:
Sugli appelli, la Corte di Milano provvedeva con sentenza n. 820-88, condannando, in parziale riforma della sentenza di I grado, la s.p.a. Gildemeister Italiana al pagamento della somma di L. 10.000.000, rivalutata dal 5-12-1977 al saldo, secondo gli indici ISTAT di aumento del costo della vita e compensava le spese del grado.
In particolare la Corte di merito, superata l'eccezione di incompetenza territoriale negli stessi termini già oggetto della sentenza del Tribunale, decideva in sequenza le seguenti situazioni:
a) riteneva, contrariamente alla tesi espressa dal tribunale, che con la lettera 10-11-1977 la Gildemeister avesse espresso la volontà di accertare gli impegni derivanti dal mandato irrevocabile conferito dalla Massano e Giorgio al Banco di Roma, deducendo ciò da due situazioni:
1) il riferimento, nella lettera della Gildemeister 10-11-1977, alla missiva inviatale dalla banca, riferimento che dava significato alla "conferma che alla scadenza pattuita la Gildemeister avrebbe provveduto al regolamento della fattura tramite il Banco";
2) l'argomento a contrariis, secondo cui, con la diversa interpretazione, l'atto avrebbe dovuto essere ritenuto improduttivo di qualsiasi effetto giuridico, in contrasto con la regola interpretativa dell'art. 1367 c.c. b) la Corte riteneva infondata la tesi secondo cui il mandato si sarebbe sciolto a causa della dichiarazione di fallimento della "Massano e Giorgio" e ciò in quanto il mandato di credito in rem propriam, quando assume una finalità satisfattoria, come nella specie, si connota come una vera e propria cessione di credito e non è assoggettabile alla disciplina dell'art. 78 L.F., meritando tutela l'interesse del mandatario, che l'art. 1723 c.c. autonomamente considera, anche in contrasto con la regola della par condicio;
c) respingeva la tesi della Gildemeister, secondo cui essa non avrebbe potuto adempiere per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ed inoltre secondo cui la banca non aveva dimostrato di avere subito un reale e concreto pregiudizio a seguito della condotta della convenuta e non sarebbe prospettabile un pregiudizio eziologicamente ricollegabile al proprio comportamento, ritenendo;
1) l'avvenuta ammissione al passivo fallimentare della banca, non incideva sull'obiettiva constatazione che tale somma allo stato non era stata corrisposta al Banco;
2) non era possibile argomentare da una possibile ed astratta azione revocatoria per trarne conseguenze rispetto ad una situazione concreta ed attuale;
3) comunque, una volta riconosciuto il mandato in rem propriam come atto sottratto alla disciplina dell'art. 78 L.F., il pagamento eseguito in base ad esso non poteva comunque configurare un mezzo anormale di pagamento;
4) in effetti il mandato in rem propriam al momento della sua costituzione, al di fuori di ogni effetto solutorio, era un negozio costitutivo di garanzia, perché diretto a rafforzare un'obbligazione (rapporto tra mandante e mandatario) contestualmente creata e come tale esulante dalla disciplina dell'art. 67, comma 1 n. 2 L.F.. 5) Ogni pretesa del fallimento sulle somme che (in parziale accoglimento della domanda) spettavano alla banca, dovrebbe essere respinta, in quanto il mandato implicava per il mandante l'obbligo di non pretendere la restituzione delle somme riscosse dal mandatario ed il diritto incondizionato del mandatario stesso di portare dette somme a decurtazione del proprio credito nascente dall'anticipazione effettuata.
d) Veniva rigettata la tesi dello scioglimento automatico del mandato a causa della dichiarazione di fallimento, sia perché ai sensi dell'art. 72, comma 4 L.F., se la cosa venduta è già passata in proprietà al compratore, il contratto non si scioglie, sia perché non si verifica comunque scioglimento automatico del contratto essendo attribuita al curatore la scelta tra esecuzione e scioglimento, sia ancora perché, in fatto, la Gildemeister non aveva fornito la prova della sostituzione del precedente negozio con altro contratto concluso con la curatela. Dalle lettere, infatti, del curatore del 22-5-1978 e della Gildemeister del 24-3-78, emerge soltanto che la curatela si era impegnata a consegnare alcune parti dei carri-ponte già venduti alla stessa, la quale doveva ancora corrispondere L. 15.260.000.
e) Riteneva, inoltre, la Corte territoriale che legittimamente il curatore avesse revocato il mandato con la lettera 23-3-78 al Banco di Roma, sostenendo che il mandato è revocabile per giusta causa (ex art. 1723, comma 2 c.c.) e che, di fronte al fallimento del mandante, detta giusta causa può consistere in una valutazione discrezionale, affidata agli organi del fallimento, delle esigenze della procedura nell'interesse della massa (cita al fine Cass.16-5-1962 n. 1096), valutazione certamente esistente nella specie, essendo sufficiente considerare, in via incidentale, l'opportunità per la curatela di sceglierne una linea di comportamento considerata più vantaggiosa.
f) Del tutto sfornita di prova era ritenuta la addotta ipotesi di responsabilità precontrattuale o extracontrattuale. Sulla base delle considerazioni esposte, la Corte di Milano scindeva le situazioni della s.p.a. Gildemeister Italiana nei confronti del Banco di Roma, a seconda che gli adempimenti del terzo debitore si fossero verificati prima o dopo la revoca del mandato alla banca da parte della curatela.
Per gli adempimenti successivi, nessuna pretesa poteva essere attribuita al Banco, in quanto la revoca del mandato si poneva per la Gildemeister quale fatto impeditivo all'adempimento. D'altronde la Gildemeister, prima della dichiarazione di fallimento, non poteva essere considerata in mora nei confronti della "Massano e Giorgio" e della Banca, una volta che per contratto il pagamento avrebbero dovuto decorrere, non dalla consegna dei carri ponte, ma dal loro montaggio che pacificamente era avvenuto in corso di fallimento. Ciò malgrado, anche se non vi era tenuta secondo contratto, la Gildemeister aveva eseguito, prima del montaggio e del fallimento della creditrice principale, il pagamento alla "Massano e Giorgio" della somma di L. 10.000.000, somma che, in virtù dell'impegno assunto, avrebbe dovuto versare alla banca.
Sotto questo profilo si riteneva sussistente il danno per la banca, nei limiti di dieci milioni di lire, oltre a danno da svalutazione monetaria.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la s.p.a. Gildemeister Italiana deducendo tre motivi; ricorso incidentale, con la deduzione di 4 motivi, veniva proposto dal Banco di Roma, filiale di Monza; entrambe le parti depositavano controricorsi ai ricorsi avversi ed il Banco di Roma depositava anche memoria.


MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi per cassazione, aventi ad oggetto un'unica sentenza, debbono preliminarmente essere riuniti.

RICORSO S.P.A. GILDEMEISTER ITALIANA.
Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul'interpretazione della lettera 16-11-1977 (art. 360 n. 5 c.p.c.) nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1324, 1362 e 1367 c.c. dolendosi del fatto che la Corte di merito abbia ritenuto detta lettera a carattere negoziale ed adesiva al contratto intervenuto tra altri, con affermazione apodittica e tautologica, dando per scontato il carattere negoziale della dichiarazione, senza alcuna analisi critica volta ad indagare la natura ed il significato logico-letterale del documento.
Inoltre, sul piano dell'atto unilaterale, il criterio interpretativo avrebbe dovuto avere riguardo essenzialmente all'intenzione ed al comportamento di colui che detto atto aveva posto in essere; in tale ipotesi, unendo al tenore letterale della lettera in questione, quello delle successive missive 13-1 ed 1-6-1978, si sarebbe visto che la società non si era impegnata a pagare in via esclusiva alla banca, ma solo ad eseguire il pagamento al suo creditore diretto tramite la banca; la banca, quindi, era stata considerata dalla s.p.a. Gildemeister Italiana come semplice incaricata all'incasso.
Tanto premesso in ordine al mezzo di cassazione in esame, deve ritenersi che la Corte del merito, nel definire e qualificare il senso ed il tenore della missiva datata 16-11-1977 della s.p.a. Gildemeister Italiana, non si fosse espressa con un'affermazione apodittica e tautologica, come contestato con la doglianza, ma abbia dato esatta applicazione proprio ai criteri degli artt. 1324, 1362 e 1367 c.c., richiamati dalla ricorrente, dando ragione dell'iter logico seguito.
Proprio al fine, infatti, di individuare la volontà effettiva espressa con detta missiva della Gildemeister, la Corte territoriale ha rapportato il tenore della nota a quello della lettera di cui costituiva risposta e, interpretando l'atto in senso contrario a quello del giudice di primo grado, dichiarava espressamente di dare applicazione al criterio dell'art. 1367 c.c. Nè a diversa conclusione potrebbe portare il tenore delle missive della Gildemeister datate 13-1 e 1-6-1978, volta che le stesse vennero spedite quando ormai il fallimento della Massano e Giorgio era stato dichiarato e si stava instaurando, in sede stragiudiziale, la controversia nei termini poi assunti nella fase giudiziale. Dette missive, quindi, costituivano già espressione di una fase contenziosa, e nulla di diverso apportano al significato originario del rapporto, quale era emerso dallo scambio di note iniziale. Con il secondo mezzo la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sugli effetti della revoca del mandato (art. 360 n. 5 c.p.c.), dolendosi del fatto che la Corte di merito, dopo avere affermato che la Gildemeister non era in mora prima della dichiarazione di fallimento della Massano e Giorgio in quanto la decorrenza del termine per il pagamento del debito decorreva dal montaggio dei carri ponte, montaggio eseguito pacificamente dopo il fallimento; dopo avere, inoltre, affermato l'efficacia della revoca del mandato da parte del curatore del suddetto fallimento concludendo, quindi che la Gildemeister non poteva "essere chiamata a rispondere, a titolo di risarcimento del danno, rispetto a quanto non corrisposto al Banco di Roma prima della revoca "sopra menzionata";
dopo di ciò, sostiene la ricorrente, sarebbe stata conseguente l'assoluzione dalle pretese avverse. Al contrario viene, illogicamente in tesi, ritenuta la Gildemeister obbligata al pagamento alla banca dell'acconto corrisposto sua sponte, senza che ne sussistesse l'obbligazione, prima della dichiarazione del fallimento.
Se si parte dal presupposto, affermato dalla Corte territoriale e non inficiato dal primo mezzo di ricorso, che la s.p.a. Gildemeister Italiana aveva assunto l'obbligo negoziale di pagare direttamente alla banca, quale effettiva cessionaria del credito, e non alla Massano e Giorgio tramite detta banca, meramente conseguente è la deduzione, svolta dalla Corte del merito, secondo cui il pagamento di parte del debito ceduto, avvenuto prima della dichiarazione di fallimento, avrebbe dovuto essere fatto direttamente alla banca, e non al creditore originario. Sul punto (a parte quanto verrà esposto in relazione al primo motivo di ricorso incidentale), poco incide il fatto, dedotto dalla ricorrente, secondo cui essa avrebbe eseguito detto pagamento prima della scadenza convenuta. Ciò che rileva, al fine è il fatto puro e semplice che quel pagamento aveva titolo nel credito oggetto di mandato irrevocabile all'incasso, la cui sostanziale natura la corte territoriale ha individuato in una vera e propria cessione di credito, con funzione solutoria, per cui l'adempimento di parte della prestazione, non poteva non essere eseguito secondo i termini dell'obbligazione assunta con la missiva 16-11-1977.
Nè sulla situazione incide la revoca del mandato all'incasso operato dalla curatela fallimentare, volta che, a tutto concedere, la revoca avrebbe potuto avere effetto su un rapporto in corso, ma nessuna efficacia avrebbe potuto assumere sulla parte ormai esaurita. Fondato appare, invece, il terzo mezzo di cassazione con cui la società ricorrente deduce la violazione e-o la falsa applicazione degli artt. 1277 e 1224 c.c., nonché l'omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla definizione del debito ed alla sua rivalutazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), dolendosi del fatto che la somma indicata fosse stata rivalutata, in relazione alla ritenuta sua funzione risarcitoria.
La ricorrente richiama al fine il principio nominalistico dell'art. 1227 c.c, applicabile a tutte le obbligazioni contrattuali, che fin dall'origine abbiano un'espressione monetaria certa e la cui traduzione in denaro non sia la conseguenza di un "aestimatio rei", come nel caso di specie.
Nè avrebbe potuto applicarsi, in tesi la rivalutazione in base alla disciplina dell'art. 1224, u.c. c.c, perché sul punto non era stata condotta alcuna indagine, ne' addotta la sia pur minima valutazione in ordine alla sussistenza ed all'entità del "maggior danno".
Con il mezzo in esame la ricorrente, qualificando l'oggetto della condanna pronunciata dalla Corte d'Appello come adempimento di un "credito di valuta", censura la stessa natura risarcitoria dell'obbligo di pagamento della somma capitale, risultante nella parte finale della motivazione della sentenza oggetto di ricorso, con conseguente giustificazione del riconoscimento, pressoché automatico della rivalutazione monetaria.
Sul punto giova ricordare che la banca, sia nella citazione originaria, sia nell'atto di appello, aveva chiesto la condanna della s.p.a. Gildemeister Italiana al pagamento di quanto ad essa dovuto "anche a titolo di risarcimento danni" ponendo, quindi, il titolo risarcitorio in via di mero subordine, mentre in via principale il titolo dedotto doveva ritenersi il puro e semplice adempimento dell'obbligazione che la predetta società aveva assunto nei suoi confronti con l'accettazione della cessione di credito. La Corte di merito, nella prima parte della motivazione, ha seguito sostanzialmente la linea della domanda principale, qualificando il mandato irrevocabile all'incasso come vera e propria cessione di credito con funzione solutoria, da cui sarebbe derivato in via diretta l'obbligo della debitrice ceduta di pagare direttamente alla banca cessionaria. Il fatto, quindi, che il pagamento parziale fosse avvenuto direttamente alla cedente, costituiva fatto ininfluente per la banca, se non per il rilievo della sua legittimazione a ricevere il pagamento, ancorché anteriore alla scadenza convenuta. Non si vede, infatti, come l'adempimento nei confronti del cedente possa costituire atto illecito verso il cessionario donde deriverebbe il titolo di questi ad avere il risarcimento del danno; esso può porsi come un atto irrilevante per la banca, la quale conserva intatto il suo diritto alla percezione della somma. D'altronde è chiaro che la domanda della banca era in via principale orientata nel senso dell'adempimento contrattuale, volta che essa aveva ad oggetto anche le somme della Gildemeister non ancora corrisposte e per le quali il fatto risarcitorio si sarebbe posto come oggetto di richiesta ulteriore rispetto all'adempimento, non individuandosi altra situazione che potesse fare qualificare la prestazione stessa, oggetto di adempimento, come prestazione di un'obbligazione risarcitoria.
La Corte, peraltro, trattando nella parte finale della sentenza, della rivalutazione monetaria, qualifica senz'altro la somma, oggetto della pronuncia di condanna, sotto il profilo risarcitorio, per farvi accedere la rivalutazione secondo gli indici ISTAT del costo della vita.
In questa qualificazione finale si individua una carenza di motivazione, in quanto non si spiega perché mai la prestazione del ceduto verso il cedente debba costituire fonte di responsabilità risarcitoria verso il cessionario, anziché situazione irrilevante nei confronti del cessionario stesso, il quale conservi il suo diritto all'esatto adempimento. Conseguentemente privo di motivazione è il riconoscimento della rivalutazione monetaria che, se accedente ad un credito di valuta, determinato ab origine nella sua determinazione quantitativa e monetaria, non sarebbe oggetto di applicazione automatica ex art. 1224, comma 2 c.c., ma richiederebbe una analisi specifica.
Sotto il profilo della carenza motivazionale, quindi, incidente sia sulla qualificazione della prestazione come oggetto di adempimento contrattuale, ovvero di obbligazione da illecito contrattuale, sia sulla natura del credito pecuniario sotto il profilo del valore o della valuta, sia infine sulla liquidazione dell'ulteriore danno da inadempimento ex art. 1224 c.c., il terzo mezzo di gravame della ricorrente deve trovare accoglimento.

RICORSO DE BANCO DI ROMA.
Con il primo motivo il Banco deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1260 e ss., 1723 c.c., art. 78 R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (art. 360 n. 3 c.p.c.), dolendosi del fatto che la Corte di merito abbia ritenuto revocabile per giusta causa, ex art. 1723, comma 2 c.c., il mandato, e ciò dopo avere ammesso, in coerenza con l'indirizzo giurisprudenziale espresso dalla sent. cass. 14-2-1979 n. 974, che nel caso di specie il mandato in rem propriam aveva una finalità satisfattoria, assumendo i connotati di una vera e propria cessione di credito, per cui era sottratto alla disciplina dell'art. 78 L.F. Una volta perfezionata la la cessione del credito, quindi, il credito stesso era uscito dal patrimonio della ditta, poi fallita, ed inammissibile era qualsiasi revoca ex art. 1723, comma 2 c.c.. La censura è fondata.
Ed invero, la sentenza della Corte di merito si è espressa sul punto con una serie di qualificazioni giuridiche, tra le quali non è agevole trovare la linea di collegamento.
Innanzi tutto la Corte di Milano ha qualificato il mandato irrevocabile all'incasso conferito dalla ditta Massano e Giorgio al Banco di Roma con accettazione della Gildemeister Italiana, come vera e propria cessione di credito con "finalità satisfattoria", non assoggettata alla regola giuridica prevista dall'art. 78 L.F., meritando l'interesse del mandatario tutela anche laddove essa contrasti con il principio della par condicio creditorum. In altra parte della sentenza, poi, affrontando l'argomento sotto un diverso profilo, la Corte del merito ritiene indubbio che il mandato conferito al Banco di Roma è revocabile per giusta causa ai sensi del secondo comma dell'art. 1723 c.c., e nella specie er astato rettamente revocato dal sopravvenuto fallimento della Massano e Giorgio, per una giusta causa, consistente semplicemente in una valutazione discrezionale degli organi della procedura, delle esigenze della procedura nell'interesse della massa. La prima proposizione, con cui la sentenza della Corte territoriale si esprime, è indubbiamente coerente con un indirizzo fondamentale espresso da questa Corte.
La seconda proposizione, peraltro, si discosta dal più recente indirizzo, concretizzato nella sentenza 19-11-1987 n. 8505 secondo cui la cessione con funzione solutoria che si accompagni al mandato in rem propriam, ha effetto traslativo del credito prima del fallimento e legittima il cessionario a trattenere per sè il credito, anche se la riscossione sia avvenuta o debba avvenire dopo, salva l'integrazione di un'ipotesi di revocatoria fallimentare. In sostanza, la disciplina del mandato in rem propriam, quale è stata delineata dalla giurisprudenza di questa Corte, trova applicazione diretta nell'ipotesi che con detto istituto, non venga integrata una cessione di credito con funzione solutoria. In presenza di quest'ultima situazione, per contro, la disciplina applicabile è quella del rapporto sostanziale dalle parti attuato attraverso il mandato, con la conseguenza che la cessione, facendo uscire il credito dal patrimonio del fallito prima della dichiarazione del fallimento, non solo preclude l'effetto tipico dell'art. 78 L.F., ma neppure legittima gli organi della curatela alla revoca di un mandato, sia pure per giusta causa, in considerazione dell'effetto sostanziale della cessione già determinatasi.
Posto che la Corte milanese ha ravvisato nel mandato irrevocabile all'incasso in esame, una cessione di credito con funzione solutoria, non si giustifica in quanto tale, e per ciò stesso, l'ulteriore deduzione della revocabilità del mandato da parte del fallimento. In tale senso il motivo merita accoglimento, e determina l'assorbimento del secondo e del terzo mezzo di cassazione dedotti dalla banca, volti a contestare rispettivamente la sussistenza della giusta causa di revoca ex art. 1723 c.c. ed il rigetto dell'alternativa ipotesi di responsabilità della Gildemeister Italiana, sotto il profilo precontrattuale ed extracontrattuale. Fondato è infine, il quarto motivo del ricorso con cui il Banco di Roma, deducendo la violazione dell'art. 112 c.p.c. ed omessa motivazione, lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di condanna la pagamento degli interessi sulle somme riconosciute. Come emerge dalle stesse conclusioni del Banco di Roma, riprodotte nell'epigrafe della sentenza, la banca aveva chiesto, oltre alla rivalutazione monetaria, gli interessi.
Sul punto non vi è pronuncia, ne' motivazione alcuna, nella sentenza oggetto di ricorso.

 

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi; accoglie il terzo motivo del ricorso principale e rigetta il I ed il II ; accoglie il I ed il IV motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbiti il II ed il III . Cassa e rinvia, in relazione ai motivi accolti, ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Roma 21-5-1991