Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 263 - pubb. 01/07/2007

Inadempimento ai doveri informativi e vizio funzionale del contratto

Tribunale Catania, 21 Ottobre 2005. Pres. Macrì. Est. Paternò Raddusa.


Intermediazione finanziaria – Obblighi informativi dell’intermediario – Finalità – Contratto di mandato – Distinzione


Intermediazione finanziaria – Obblighi di condotta dell’intermediario – Natura imperativa della norme – Vizio funzionale del contratto – Risoluzione per inadempimento – Conseguenze – Limiti


Intermediazione finanziaria – Doveri informativi dell’intermediario – Monitoraggio dell’andamento del titolo successivamente all’acquisto – Esclusione



Gli obblighi imposti agli intermediari di informarsi, informare e di non effettuare operazioni inadeguate trovano una immediata giustificazione nella esigenza di ridurre la asimmetria informativa che contraddistingue le relazioni tra intermediario e investitore e si sostanziano in regole di condotta sicuramente più stringenti rispetto a quelle dettate nel codice civile in ordine ai doveri di correttezza, lealtà e diligenza chiesti al mandatario. Ciò nonostante, l’ordine impartito dall’investitore all’intermediario presenta notevoli affinità con le istruzioni dettate dal mandatario nella esecuzione del mandato, in quanto, in entrambi i casi, vengono poste in essere dichiarazioni non negoziali di volontà (cd determinative) cui fa seguito una mera attività esecutiva (l’acquisto o il disinvenstimento) che non si concreta in un ulteriore accordo tra le parti.


Il rafforzamento degli obblighi di condotta imposti all’intermediario finanziario in nome delle regole di correttezza, lealtà e diligenza dettate dal diritto comune con riferimento alla fase di esecuzione del contratto appare diretto non solo a realizzare una riduzione del gap informativo che connota i rapporti tra investitore e intermediario ma anche a garantire un interesse della collettività quale quello della “integrità dei mercati” espressamente richiamato dall’art. 21 del TUF. Riconoscendo tuttavia a tali norme natura imperativa (peraltro confermata dall’art. 190 del TUF), si deve ritenere che la loro violazione non possa dar luogo a vizi genetici - incidenti cioè sulla conclusione del contratto - bensì a vizi funzionali inerenti alla fase esecutiva di un contratto già concluso.

A fronte di una asserita violazione delle norme di condotta dell’intermediario, all’investitore spetta pertanto il rimedio della risoluzione del contratto per inadempimento e/o della risarcimento del danno, con la precisazione che: 1) oggetto della domanda di risoluzione dovrà essere il contratto base e non l’ordine di negoziazione che ne costituisce solo un momento esecutivo; 2) la gravità dell’inadempimento andrà vagliata tenendo conto della natura degli interessi tutelati, non esclusivamente riconducibili alla sfera soggettiva del contraente investitore; 3) vertendosi in ipotesi di contratto di durata, la risoluzione travolgerà il contratto limitatamente al solo ordine negoziato in difformità agli obblighi di condotta, senza che la risoluzione si estenda agli altri ordini e acquisti posti in essere in forza del contratto base.


L’attività di consulenza finanziaria che si accompagna al contratto di negoziazione trova un limite invalicabile nella negoziazione finalizzata all’acquisto o al disinvestimento, dovendosi escludere, per il resto, che gravi sull’intermediario un obbligo specifico di monitorare l’andamento del titolo (e quindi della situazione finanziaria dell’emittente) al fine di suggerire all’investitore di intervenire sul mercato per ridurre eventuali conseguenze negative collegabili a probabili default.



Rg. 2874/2004


Svolgimento del processo


Con citazione notificata il 2 marzo 2005 S. O. conveniva in giudizio Credito Siciliano spa all’uopo esponendo, in fatto, che:

· nel novembre del 2001, con l’intermediazione della banca convenuta, aveva acquistato titoli obbligazionari emessi dalla Parmalat spa a ciò spinto dalla prospettiva, evidenziata dall’intermediario, di conseguire guadagni medio alti senza una rilevante alea in ordine alle probabilità di rimborso quantomeno del capitale investito;

· in occasione dell’acquisto aveva manifestato all’intermediario la sua assenza di propensione al rischio perché assolutamente estraneo al settore dei prodotti finanziari;

· nell’ottobre del 2003 prima e nel dicembre immediatamente successivo, aveva sentito dire, in televisione, della perdita di valore delle obbligazioni acquistate, ricevendo dall’intermediario, sollecitato al fine della eventuale dismissione, rassicurazioni sulla stabilità del titolo che, a dire della banca, malgrado le difficoltà della società emittente, sarebbe stato comunque liquidato al valore originario sì da garantire il rimborso dell’investimento;

· il 30 dicembre del 2003 si era aperta la procedura di amministrazione straordinaria della Parmalat spa e che esso attore aveva fatto domanda di ammissione al passivo per ottenere la restituzione del quantum investito nelle obbligazioni in oggetto.


Ciò premesso in fatto, evidenziava, in diritto, che la convenuta, sia al momento della offerta che in quello successivo di verifica dell’andamento della situazione finanziaria della emittente, aveva violato

a) le regole di condotta imposte dal TUF e dal regolamento Consob nr 11522/98 quanto alla attività di intermediazione nell’acquisto di strumenti finanziari omettendo, per un verso, di assumere le informazioni relative alle caratteristiche, alle conoscenze, alla propensione al rischio dell’investitore e alle connotazioni dello strumento oggetto dell’interesse del proponente e, per altro verso, di valutare la adeguatezza del prodotto scelto alla tipologia dell’investitore secondo il profilo tracciato in base alle informazioni assunte in punto alle caratteristiche soggettive del cliente;

b) la regola generale imposta dagli artt 1337 e 1375 cc in ordine al rispetto del principio di buona fede nelle trattative e nella esecuzione del contratto, avendo in particolare omesso di evidenziare all’investitore le mutate condizioni finanziarie dell’emittente finendo per sconsigliare, malgrado i dubbi evidenziati dal cliente, la dismissione dell’investimento.


Ciò posto, concludeva chiedendo accertarsi l’inadempimento della convenuta agli obblighi imposti ex lege e dal contratto e condannarsi la convenuta al risarcimento del danno da quantificare in misura pari all’investimento effettuato o in subordine nella misura ritenuta equa dal Tribunale adito.

Con comparsa notificata nel rispetto del termine concessole dall’attore la convenuta contestava in fatto e diritto la prospettazione dello S. segnalando all’uopo, tra l’altro, che: in occasione della stipula del contratto di negoziazione, ricezione e/o trasmissione ordini su strumenti finanziari l’attore, dopo aver ricevuto e sottoscritto il documento sui rischi generali degli investimenti sugli strumenti finanziari, aveva tuttavia dichiarato, sempre per iscritto, di non voler fornire informazioni utili alla individuazione del relativo profilo di investitore; diversamente da quanto affermato, lo S. non poteva ritenersi del tutto estraneo al mercato finanziario avendo provveduto, negli anni interessati dalla odierna vicenda processuale, ad acquistare - sempre per il tramite del medesimo intermediario - altri strumenti finanziari, alcuni dei quali aventi carattere meramente speculativo; in ogni caso, il rating che caratterizzava il prodotto in esame all’epoca dell’acquisto rendeva comunque adeguata l’operazione anche per un investitore dal basso profilo di rischio; peraltro, solo negli ultimi giorni del 2003 era emersa, con una certa chiarezza, la effettiva consistenza della situazione economico finanziaria della emittente; doveva, infine, ritenersi erronea anche la richiesta di risarcimento, inesatta nel quantum perché non teneva conto delle prospettive di rimborso comunque ricavabili dalla dismissione del titolo o dalla partecipazione al passivo della procedura concorsuale della emittente.

Concludeva, quindi, per la reiezione della domanda.


In esito alla notifica della comparsa di costituzione e risposta la convenuta provvedeva poi alla tempestiva notifica e quindi al deposito della istanza di fissazione udienza in esito alla quale il Giudice relatore all’uopo designato fissava con decreto l’udienza Collegiale di discussione.

Depositate, infine, le rispettive comparse conclusionali la causa, in esito alla discussione orale innanzi al Collegio, veniva così decisa.


MOTIVI DELLA DECISIONE


La domanda di parte attrice non può essere accolta perché infondata nel merito.


Il petitum di parte attrice, le regole di condotta asseritamente violate e il rimedio previsto dall’ordinamento all’interno del quadro negoziale cui riferire i rapporti tra investitore e intermediario nella negoziazione degli strumenti finanziari.

Parte attrice ha concluso chiedendo accertarsi l’inadempimento contrattuale ascrivibile alla convenuta e la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni eziologicamente legati al lamentato inadempimento. Ha, quindi, palesemente optato - nell’ambito delle scelte interpretative legate alle possibili reazioni che l’ordinamento prevede, in materia di negoziazione di strumenti finanziari, in ipotesi di violazione delle regole di condotta sancite ex lege e trasfuse nei rispettivi contratti - per la tesi dell’inadempimento contrattuale e non per quella, per vero forse più adottata dalla giurisprudenza di merito ad oggi nota, che lega a siffatte violazioni la radicale sanzione della nullità del contratto (più precisamente degli ordini di acquisto posti in esecuzione del generale impegno di negoziazione assunto a monte: cfr, nel segno della nullità, Trib. Mantova 18/3/04 in Società, 2004, 1139; ancora sempre Trib. Mantova 12/11/04, Trib. Firenze 30 Maggio 2004, Trib. Milano 7 ottobre 2004, Trib Venezia 22/11/04, tutte in in Giur. It. 2005, 754). Ed è di tutta evidenza che nella specie, in forza di siffatto, radicalmente circostanziato, petitum – tale da non consentire spazio alcuno ad una diversa qualificazione giuridica della domanda – occorre preventivamente definire la questione legata al tipo di rimedio che meglio si attaglia alle violazioni lamentate in citazione giacchè, ove si pervenisse al risultato interpretativo della nullità aderendo così alla giurisprudenza prevalente, altro non resterebbe che la reiezione della domanda che occupa per l’inesattezza del rimedio giudiziale invocato, tale da rendere superfluo lo stesso accertamento della fondatezza dei rilievi comportamentali ascritti all’intermediario, diversamente concretanti il fulcro della controversia in esame.

La valutazione interpretativa che occupa non può di certo prescindere dalla preventiva qualificazione del quadro negoziale di riferimento cui ancorare i rapporti tra gli odierni contraddittori; quadro, questo, che sembra indispensabile nell’ottica di una esauriente comprensione in primis della disciplina sottesa a siffatta situazione contrattuale e quindi del contenuto e soprattutto della natura delle regole di condotta che nella specie si assumono violate. In punto di fatto, va segnalato come con scrittura privata (allegata sub 1 del fascicolo della convenuta ) del marzo del 2001, l’attore ebbe a conferire al Credito Siciliano spa l’incarico a tempo indeterminato, di negoziare, ricevere o trasmettere ordini su strumenti finanziari secondo le modalità ivi espressamente regolate; in ottemperanza all’impegno a monte assunto con il contratto sopra citato e allo specifico ordine impartitole dall’investitore il 14 novembre successivo, la banca convenuta ha poi provveduto ad acquistare obbligazioni Parmalat per un valore nominale di euro 40.000.

Questo il quadro fattuale di riferimento, va poi osservato che la fattispecie in esame trova diretta regolamentazione oltre che nel programma negoziale sopra riferito anche e soprattutto nella disciplina di settore (pedissequamente trasfusa nel primo), raccolta sia nel TU 58/98 (artt 21 e 23 per quel che qui più direttamente interessa) che nel successivo regolamento attuativo della Consob nr 11522/98 (artt da 26 a 30 ) che, com’è noto, costituiscono le fonti normative, primaria e secondaria, in seno alle quali risultano cristallizzati i doveri degli intermediari finanziari nello svolgimento dei servizi di investimento (tra i quali va annoverato quello che qui rileva di negoziazione di strumenti finanziari giusta l’art 1, comma V, lettere a e b del TUF).

Più in particolare, l’art 21 del TUF prevede – tra gli altri criteri generali – che, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati (lettera a), acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati (lettera b)”. In attuazione del precetto generale dettato nel Tuf, l’art 26 del regolamento 11522 sancisce poi a carico degli intermediari, sempre nell'interesse degli investitori e dell'integrità del mercato mobiliare, “l’obbligo di acquisire una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire (lettera e) “; ai sensi del successivo art 28 è altresì previsto che “prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devonochiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio” mentre “l'eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore”; ancora, giusta il comma II del citato art 28, “gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”; infine, ai sensi dell’art 29 stesso regolamento, è espressamente imposto che “gli intermediari autorizzati debbono astenersi “dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” dovendo, in tali casi, informare l’investitore della inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione e provvedere alla stessa solo in esito ad “un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

Il quadro normativo sopra riferito, pedissequamente richiamato in più punti dal programma negoziale specificatamente adottato nella specie dalle parti in occasione del contratto del marzo del 2001, porta il Collegio a ritenere che lo schema relativo alla negoziazione di strumenti finanziari, pur se non esaustivamente riconducibile alle figure codicistiche del mandato o della commissione, trova tuttavia in questi tipi contrattuali forti momenti di analogia che divengono punti di assoluta identità con specifico riguardo agli ordini impartiti all’investitore e portati ad esecuzione dall’intermediario in forza dell’incarico conferito a monte.

Più precisamente, ma per forza di cose succintamente, ritiene il Collegio:

a) che i particolari doveri imposti normativamente agli intermediari, icasticamente riassunti nella sinergia tra gli obblighi di informarsi ( sulla situazione finanziaria del cliente, sulla propensione al rischio dello stesso, sulla conoscenza che questi ha del mercato finanziario e sulle connotazioni del prodotto oggetto dell’investimento), informare (il cliente della tipologia del prodotto finanziario oggetto di interesse) e di non effettuare operazioni non adeguate (alle informazioni attive e passive sopra riferite), trovano una immediata giustificazione nella esigenza di ridurre la asimmetria informativa che contraddistingue le relazioni tra intermediario e investitore e si sostanziano, conseguentemente, in regole di condotta sicuramente più stringenti rispetto a quelle dettate nel codice civile in punto ai doveri di correttezza, lealtà e diligenza chiesti al mandatario;

b) che tuttavia, pur se gli obblighi gravanti sull’intermediario non consentono di ricondurre lo schema del contratto relativo alla negoziazione di strumenti finanziari pacificamente e pedissequamente alla figura del mandato, non v’è ragione, per contro, per distinguere tra l’ordine impartito dall’investitore all’intermediario e le istruzioni dettate dal mandante al mandatario nella esecuzione del mandato, trattandosi in entrambi i casi di dichiarazioni non negoziali di volontà (cd determinative) cui fa seguito una mera attività esecutiva (l’acquisto o il disinvestimento) che non si concreta in un ulteriore accordo tra le parti (proprio perché l’intermediario esegue e non accetta di eseguire l’ordine);

c) che quanto affermato sub b) trova conferma nel disposto dell’art 29 del regolamento 11522 (riportato, nel contratto che occupa, al punto 8 del comma I) che, in presenza di operazioni non adeguate, in prima battuta legittima l’intermediario ad astenersi dall’esecuzione ma poi impone allo stesso di dare comunque corso all’ordine in caso di insistenza in tal senso manifestata dal cliente all’uopo debitamente informato.

Ne viene che, alla luce di quanto sopra, il contratto stipulato inter partes, pur se non riconducibile, pedissequamente, all’alveo della disciplina dettata in tema di mandato, da questa tuttavia deriva la sua struttura di base (concretandosi in un contratto di durata con il quale l’investitore conferisce all’intermediario l’incarico avente ad oggetto, per l’appunto, l’attività di negoziazione e raccolta ordini su strumenti finanziari) dalla quale devia in termini di evidente rilevanza in punto alla regolamentazione degli obblighi di diligenza imposti al mandatario (in considerazione della specialità dell’oggetto dell’incarico e dei soggetti che lo eseguono) ma non con riferimento al momento della esecuzione dell’incarico.

Ciò precisato, osserva il Tribunale che alla violazione delle prescrizioni contenute negli artt 21 TUF e 28 e 29 Reg 11522/98 parte della giurisprudenza ( sopra richiamata) fa seguire la nullità dell’ ordine di acquisto dei titoli per la natura imperativa dei precetti violati. Più precisamente, si sostiene che le norme in questione sono poste a presidio di interessi che superano la sfera soggettiva del contraente immediatamente interessato, perchè dirette a tutelare l’ordine pubblico economico costituzionalmente garantito; e si richiama a conforto l’arresto reso dalla Corte regolatrice (sent. Nr 3272/2001) in forza al quale “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418, comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità. Pertanto - poiché il carattere inderogabile delle disposizioni della l. 2 gennaio 1991 n. 1, che prevedono la necessità dell'iscrizione all'albo delle società di intermediazione mobiliare, previo accertamento da parte della CONSOB della sussistenza di una serie di requisiti, deriva dalla natura, pubblica e generale, degli interessi con esse garantiti, che concernono la tutela dei risparmiatori "uti singuli" e quella del risparmio pubblico come elemento di valore della economia nazionale - è affetto da nullità assoluta il contratto di "swap" (da annoverare tra le attività di intermediazione mobiliare disciplinate dalla suddetta legge) stipulato, in contrasto con la stessa, da un intermediario abusivo, atteso l'interesse dell'ordinamento a rimuovere detto contratto per le turbative che la conservazione di esso è destinata a creare nel sistema finanziario generale”.

L’assunto non convince.

È incontrovertibile che le ragioni poste a fondamento dell’intervento normativo cristallizzato nel TUF e nel regolamento Consob più volte citato superano la sfera soggettiva del singolo contraente debole, il risparmiatore non professionale privo delle necessarie conoscenze utili ad un consapevole approccio con il mercato finanziario, così che il rafforzamento degli obblighi di condotta imposti in nome delle regole di correttezza, lealtà e diligenza ordinariamente dettate dal diritto comune con riferimento alla fase di esecuzione del contratto appare diretto non solo a realizzare una riduzione del gap informativo che connota i rapporti tra investitore e intermediario ma anche (per il tramite della prima) a garantire la realizzazione di un interesse della collettività quale quello della “integrità dei mercati“ espressamente richiamato dall’art 21 del TUF. Nè, ancora, si vuole mettere in discussione la natura imperativa ( peraltro confermata dall’art 190 del TUF) dei precetti in esame che, come più volte affermato in dottrina e giurisprudenza, costituiscono canoni comportamentali immediatamente conformanti il regolamento negoziale a prescindere da una esplicita sussunzione delle dette regole nelle specifiche ipotesi di contratto all’uopo stipulate. Ciò che non convince, piuttosto, è il tipo di rimedio suggerito per la violazione delle regole di condotta sancite da queste norme.

Non può non evidenziarsi in primo luogo come non sempre la violazione di una norma imperativa porti con se la nullità del contratto. Lo precisa l’art 1418 comma I che, nel prevedere le ipotesi di nullità virtuali da contrapporre a quelle testuali di cui al II comma, fa espressamente salvi i casi in cui è la stessa legge a prevedere un diverso rimedio a fronte della violazione del precetto imperativo.

Va poi sottolineato come nella specie trattasi di violazioni legate a norme di condotta, id est a comportamenti imposti ex lege ai singoli contraenti e divenuti parte integrante dei relativi contatti a prescindere da specifici richiami giusta l’art 1374 cc; e la violazione di obblighi comportamentali in genere è destinata a provocare vizi non genetici – incidenti cioè sulla conclusione del contratto – bensì funzionali, inerenti quindi ad un contratto già perfezionato e strumentali a rimedi diversi dalla nullità quale la risoluzione del contratto e/o il risarcimento da inadempimento.

Non ignora peraltro il Collegio che negli anni, a livello legislativo e con ricadute non irrilevanti sul piano interpretativo, si è via via ridotta la linea di demarcazione tra regole di validità e regole di comportamento, quest’ultime in diverse occasioni considerate non più in prospettiva dello scioglimento dal rapporto e del risarcimento del danno bensì quali vizi direttamente incidenti sul momento genetico dell’accordo (proprio con riferimento al TUF, vedi l’art 122 comma III). Siffatta tendenza va, tuttavia, radicalmente esclusa la dove il legislatore, espressamente, abbia preso posizione per mantenere la violazione di regole comportamentali nell’ambito tradizionale dei vizi funzionali concretanti inadempimento agli obblighi contrattuali. E nella specie, il mantenimento dell’ordinario sillogismo tra regole di comportamento e giudizi di responsabilità trova una inequivoca conferma nel disposto di cui all’art 23 comma VI del TUF la dove, nel regolare l’onere della prova inerente il rispetto del grado di diligenza richiesto all’intermediario, viene espressamente precisato che la regola è destinata ad operare “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento”, così chiarendo che la violazione delle regole di condotta imposte all’intermediario è destinata ad incidere funzionalmente sul contratto ai fini della risoluzione e del risarcimento danni e non sulla conclusione dell’accordo.

Non sembra poi conducente il richiamo al precedente della Corte regolatrice sopra riportato. L’ipotesi affrontata e risolta dalla Corte, peraltro nella vigenza della legge 1/91, da ultimo superata dal TUF, involgeva la stipula di un contratto di negoziazione per il tramite di un intermediario abusivo; ed è di tutta evidenza che in siffatta ipotesi, la violazione di legge incideva direttamente sulla capacità del soggetto a stipulare inerendo quindi alla fase genetica del rapporto, al contratto come atto e non come rapporto. Più in particolare, così come recentemente affermato da altro Tribunale (Roma, sentenza del 25/5/05, ad oggi inedita, che si riporta pedissequamente per la relativa chiarezza) la pronuncia in questione riguardava un caso di “ difformità tra fattispecie e schema normativo, cioè di contrasto – accertato all’esito di un confronto per così dire statico – tra modello negoziale configurato dalla legge in astratto ( con riguardo ad esempio ai requisiti soggettivi che devono essere posseduti da uno dei contraenti) e fattispecie realizzata dalle parti in concreto” mentre, nel caso in esame, le disposizioni violate “prescrivono obblighi comportamentali di cui si deve accertare in concreto l’esatto adempimento da parte della banca, alla luce dei parametri di diligenza stabiliti dalla legge nell’ambito di un giudizio di responsabilità da inadempimento”.

Del resto ed infine, sul punto, militano in favore della tesi contraria alla nullità e favorevole all’inadempimento le ulteriori seguenti considerazioni. In primis, va ricordato che la dove il legislatore, nel TUF, ha voluto correlare a specifiche violazioni la sanzione della nullità lo ha fatto espressamente (cfr l’art 23 commi I e II, in tema di forma scritta del contratto di investimento e di richiamo agli usi ); e lo ha fatto introducendo una nullità relativa, rilevabile cioè solo da parte dell’interessato, mentre pare al Collegio che in assenza di una apposita previsione esplicita da parte del legislatore, l’eventuale nullità virtuale qui ricavabile in via ermeneutica non potrebbe che essere assoluta. Se fosse così, tuttavia, resterebbe da chiedersi come possa ritenersi logico un sistema che, per le ipotesi ben più pregnanti e di certo incidenti sulla formazione dell’accordo, quali quelle legate alla trasparenza delle operazioni di intermediazione sottese al vincolo di forma, prevede, in modo esplicito, una nullità per così dire attenuata mentre colpisce, per contro, violazioni inerenti obblighi di condotta con la nullità, non espressamente sancita, assoluta del contratto.

Seguendo la tesi interpretativa qui criticata, resta poi poco comprensibile il disposto di cui all’art 28 comma I lettera a Regolamento Consob in forza al quale se per un verso, prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono, (in quell’ottica) a pena di nullità (per la natura collettiva e non individuale dell’interesse tutelato), chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio, per altro verso consente all’intermediario di non procedere alla acquisizione di siffatti dati, sempre che il cliente si sia rifiutato di fornire le notizie richieste e tale rifiuto risulti dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore.

Lascia perplessi, infatti, l’attribuzione ad una parte, l’investitore, non titolare esclusivo dell’interesse tutelato, della possibilità di consentire omissioni relative a regole comportamentali poste a tutela di interessi superiori, e quindi estranee al suo potere di disposizione; per contro, la norma riacquisisce razionalità intrinseca ove ci si sposti dal piano della validità a quello della responsabilità, ferma, peraltro, la considerazione, sulla quale si dirà da qui a poco, che in tali ipotesi, sempre in nome degli interessi sovra individuali che connotano tali rapporti negoziali, l’intermediario sarà comunque tenuto, per un adempimento immune da censure, a valutare l’adeguatezza della operazione proposta considerando il profilo di investitore avente la propensione al rischio più bassa. Infine, la scelta interpretativa della nullità, pur se spinta dalla non emendabile intenzione di garantire - tramite la sanzione più radicale – la piena realizzazione degli interessi interessi in gioco, involgenti il singolo contraente ed il regolare e corretto funzionamento dei mercati, potrebbe tuttavia portare nella pratica ad effetti distorsivi del tutto contrastanti con le finalità che la hanno motivata.

Va ricordato, infatti, che la declaratoria di nullità prescinde da una valutazione della incidenza della condotta asserita siccome illegale sull’assetto di interessi, immediato o indiretto, che appare sotteso alla singola negoziazione. Allontanandosi, cioè, dalla responsabilità per l’inadempimento, si finisce per considerare motivi di nullità omissioni o comportamenti non in linea con le regole di condotta normativamente imposte, destinati tuttavia, a non incidere nè sull’interesse dell’investitore a stipulare nè, in via mediata, sulla stessa “integrità del mercato”, tanto da favorire possibili speculazioni da parte del cliente che, innanzi ad una debacle dello strumento prescelto in alcun modo non addebitabile all’intermediario, intenda approfittare del rimedio per privare di effetti una scelta, a monte, incauta. Con la particolarità, non del tutto irrilevante, che nella specie manca una specifica tipizzazione delle ipotesi di nullità, trattandosi di regole di condotta che non consentono una preventiva analitica tipizzazione normativa diversamente da quanto la forza dirimente del rimedio suggerito sembra invece imporre.

Ritiene quindi il Tribunale (peraltro con il conforto, quantomeno in punto alla soluzione adottata, di non pochi precedenti conformi nel variegato panorama recentemente espresso dalla giurisprudenza di merito nella materia de qua: vedi Trib. Taranto, 27 Ottobre 2004, in Giur IT 2005,, 754; la citata Trib. Roma 25/5/05; Trib Monza, sez Desio, 27/7/04 in Resp Civ e Prev 2005, 135; Trib. Genova 15 Marzo 2005, ad oggi inedita) che alla luce di quanto sopra, a fronte di una asserita violazione degli obblighi di condotta, imposti ex lege e trasfusi in contratto gravanti, nei contratti di investimento, sull’intermediario, al cliente spetta il rimedio della risoluzione da inadempimento e/o del risarcimento del danno. L’inadempimento, in particolare, attiene alla avvenuta esecuzione dell’ordine impartito dall’investitore senza ottemperare ai canoni comportamentali che trovano fonte immediata nel contratto di investimento e mediata nelle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano la materia de qua.

Con l’ulteriore precisazione, per completezza di disamina, che, in ipotesi di iniziativa volta alla risoluzione

· ad essere aggredito è il contratto base di investimento e non l’ordine, che costituisce solo un momento esecutivo e non un accordo;

· la gravità dell’inadempimento andrà vagliata tendendo conto della natura degli interessi tutelati, non esclusivamente riconducibili alla sfera soggettiva del contraente investitore;

· comunque, vertendosi in ipotesi di contratto di durata, opera il disposto di cui all’art 1458 cc e viene quindi travolto il contratto (di investimento) limitatamente al solo ordine negoziato in difformità agli obblighi di condotta, senza che la risoluzione si estenda agli altri ordini e acquisti posti in essere in forza del contratto base e che la stessa possa comunque incidere sul contratto di acquisto realizzato dall’intermediario con il terzo sul mercato.


Dell’insussistenza dell’inadempimento ascritto dalla attrice alla banca convenuta

Considerato, quindi, il petitum di parte attrice, può ora procedersi alla disamina, nel merito, delle ragioni di doglianza che hanno giustificato l’odierna azione risarcitoria per l’inadempimento ascritto alla convenuta.

Quanto lamentato dalla ricorrente non ha trovato riscontro.

Guardando alle doglianze articolate in citazione (pag 5 ultimo cpv e 6), è agevole evidenziare che l’attore nella specie ha lamentato l’inosservanza delle “regole generali di comportamento nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare”, non avendo la convenuta acquisito “ una conoscenza degli strumenti finanziari... adeguata al tipo di prestazioni da fornire; conoscenza, questa che è mancata al momento dell’offerta del prodotto finanziario e nei successivi ulteriori momenti di verifica relativi all’andamento della situazione finanziaria della società emittente e ciò nonostante fossero intervenute, in modo reiterato e pressante, richieste di informazioni e chiarimenti da parte dello S..

Quanto alla espressamente contestata inadeguatezza della operazione in questione è facile osservare che

· pur avendo nella specie lo S. volontariamente omesso di fornire le informazioni utili alla individuazione del profilo di investitore che gli apparteneva all’epoca della stipula del contratto di negoziazione, così come consentito dall’art 28 del più volte citato regolamento Consob, siffatta circostanza non precludeva comunque alla banca (che mostra, peraltro, nelle sue difese di esserne consapevole) in forza di siffatta omissione di prescindere dalla valutazione della adeguatezza dell’operazione commissionata (cd suitabiliti rule, che rappresenta il fulcro del diligente adempimento chiesto all’intermediario);

· in tali casi la valutazione della adeguatezza va effettuata all’uopo considerando tutti i dati comunque riferibili al cliente del quale l’intermediario è comunque in possesso, se del caso anche guardando a pregresse esperienze maturate dal cliente nel campo del mercato finanziario (cfr la comunicazione consob nr DI / 30396 del 21 aprile 2000);

· nella specie, anche a voler non considerare i dati da ultimo richiamati (riferibili a pregresse esperienze dello S. poste in essere sempre con l’intermediazione della convenuta), dedotti dalla banca in comparsa di costituzione e fortemente contestati dalla difesa dell’attore in conclusionale, è agevole osservare, grazie agli elementi tecnici forniti dalla banca in ottemperanza all’onere impostole dal comma VI dell’art 23 del Tuf, non contraddetti, questi, in alcun modo dalla controparte, che all’epoca dell’acquisto dei titoli in esame gli stessi presentavano un rating (bbb- ) comunque adeguato anche all’investitore dal più basso profilo di propensione al rischio.

Esclusa, quindi, l’inadeguatezza della operazione al momento dell’acquisto, deve poi ancor più radicalmente negarsi che in forza del contratto di negoziazione stipulato inter partes gravasse sull’intermediario l’obbligo specifico di attivarsi per favorire il disinvestimento del titolo in ipotesi di verosimile default dello stesso.

Più precisamente, ritiene il Tribunale che l’attività di consulenza finanziaria che si accompagna implicitamente al contratto di negoziazione e che appare implicitamente sottesa ai tre momenti dell’obbligo di informarsi, informare e valutare l’adeguatezza dell’ordine impartito, trova un limite invalicabile, per l’appunto, nella negoziazione finalizzata all’acquisto o al disinvestimento, dovendosi escludere, per il resto, che gravi sull’intermediario in tali casi un obbligo specifico di monitorare l’andamento del titolo (e quindi della situazione finanziaria dell’emittente) al fine di suggerire all’investitore di intervenire sul mercato per ridurre eventuali conseguenze negative collegabili a probabili default. E nella specie è pacifico, seguendo lo stesso assunto di parte attrice, che non venne conferito alcun ordine di disinvestimento nelle forme convenzionali imposte dal contratto base (art 1, nr 3); circostanza, questa che avrebbe, per contro, attivato gli oneri comportamentali imposti all’intermediario si da poter concretare l’inadempimento lamentato in caso di ingiustificata omissione tout court o di suggerita inadeguatezza della operazione di disinvestimento.

Né, ancora, la sussistenza di un siffatto specifico obbligo può ritenersi desumibile dal regolamento negoziale inerente il collegato e accessorio rapporto di deposito titoli e custodia nella specie stipulato contestualmente al contratto base di negoziazione. Non si è, in tal caso, infatti, in presenza di un servizio di gestione su base discrezionale della Banca ma, al contrario, come si vedrà, di un servizio di negoziazione, raccolta e trasmissione di ordini collegato ad un contratto di amministrazione c.d. statica, avente ad oggetto la mera custodia degli strumenti finanziari dei clienti. E nell’ambito di tale ultimo rapporto, la banca è abilitata a porre in essere esclusivamente le operazioni specificamente disposte dal cliente in forza e con le forme imposte dal contratto di negoziazione, risultandole preclusa la possibilità di attivarsi autonomamente nella gestione degli strumenti finanziari custoditi.

Un discorso a parte merita, poi, il riferimento che la difesa dell’attore fa al rispetto del principio di buona fede nella esecuzione del contratto quale generale criterio di condotta che informa ogni tipo negoziale prescindendo dagli obblighi peculiari che connotano il contratto oggetto della odierna disamina; e dal quale, per quel che pare di comprendere, nell’alveo degli obblighi di informazione finalizzati a preservare l’interesse dell’altro contraente, si desume l’inadempimento ascritto alla convenuta che, conosciute le difficoltà finanziarie dell’emittente, innanzi ai dubbi manifestati dall’investitore sulla tenuta del titolo, avrebbe dovuto favorire il disinvestimento. Non occorre prendere posizione sulla correttezza di un siffatto assunto, perché lo stesso appare viziato in radice quanto alla insussistenza della situazione di fatto che viene indicata a presupposto dello stesso. Non v’è in giudizio, cioè, alcun elemento dal quale inferire che la convenuta fosse a conoscenza della sopravvenuta situazione di difficoltà della emittente né della conoscibilità della stessa tramite l’utilizzo degli strumenti e delle cognizioni tecniche che indubbiamente appartengono all’intermediario quale operatore qualificato nel settore. Piuttosto, sulla base dei dati forniti dalla convenuta (cfr doc da 17 a 21 del relativo fascicolo di parte), in alcun modo contestati dall’attore, può affermarsi che solo nelle ultime settimane del 2003 e nei primi giorni del 2004 – e quindi dopo la richiesta di informazioni sollecitata dall’attore, risalente all’ottobre del 2003 – ha acquisito notorietà la situazione finanziaria della emittente (vedi, in particolare il bollettino economico della Banca D’Italia, allegato sub 22 del fascicolo di parte convenuta, dalla pag 6, dal penultimo capoverso in poi ). Va quindi esclusa, già in punto di fatto, fondatezza all’assunto di parte attrice anche in parte qua.

La domanda di S. O. non può quindi essere accolta.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.


PQM


rigetta la domanda e compensa tra le parti le spese del giudizio


Così deciso in Catania il 21/10/2005.


IL GIUDICE ESTENSORE

(DOTT. BENEDETTO PATERNO’ RADDUSA)

IL PRESIDENTE

(DOTT. GIOVANNI BATTISTA MACRÌ)