Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 274 - pubb. 01/07/2007

Contratto di negoziazione e mandato, nullità

Tribunale Rovereto, 18 Gennaio 2006. ..


Intermediazione finanziaria – Servizi d’investimento – Contratto relativo alla prestazione di servizi di investimento – Qualificazione – Contratto di mandato


Intermediazione finanziaria – Servizi d’investimento – Violazione degli obblighi di comportamento dell’intermediario – Qualificazione come obblighi contrattuali di diligenza – Violazione – Conseguenza – Responsabilità da inadempimento


Intermediazione finanziaria – Servizi d’investimento – Violazione degli obblighi di comportamento dell’intermediario – Nullità virtuale relativa – Insussistenza – Principio del minimo mezzo


Intermediazione finanziaria – Servizi d’investimento – Negoziazione per conto proprio effettuata dall’intermediario in situazione di conflitto d’interessi – Conseguenza – Annullabilità


Intermediazione finanziaria – Servizi d’investimento – Negoziazione per conto proprio di titoli quotati sul mercato – Annullabilità del contratto concluso dal mandatario con se stesso – Inconfigurabilità
 



Il contratto relativo alla prestazione dei servizi d’investimento in strumenti finanziari disciplinato dall’art. 23 del D. lgs. 24 Febbraio 1998 n. 58 e dall’art. 30 del Regolamento Consob 11522/1998 va qualificato come contratto di mandato; l’ordine del cliente all’intermediario finanziario va qualificato come direttiva impartita dal mandante al mandatario ai sensi dell’art. 1711 C.c.; l’atto di negoziazione per conto terzi dell’intermediario finanziario va qualificato come negozio di attuazione del mandato.


La violazione da parte dell’intermediario degli obblighi di informazione attiva e passiva e dell’obbligo di astenersi dall’effettuazione di operazioni non adeguata costituisce violazione degli obblighi di diligenza gravanti sul mandatario e determina responsabilità da inadempimento contrattuale.


Non è configurabile la nullità virtuale, a protezione della parte debole, per la violazione da parte dell’intermediario degli obblighi di informazione attiva e passiva e dell’obbligo di astenersi dall’effettuazione di operazione non adeguata perché il t.u. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria ha stabilito in favore del cliente-consumatore il diverso rimedio dell’inversione dell’onere della prova nelle azioni per risarcimento del danno.


La violazione da parte dell’intermediario finanziario del divieto di effettuare operazioni in conflitto d’interessi determina annullabilità e non nullità dell’atto di negoziazione.


L’effettuazione da parte dell’intermediario finanziario di negoziazione per conto proprio di prodotti finanziari quotati sul mercato non determina annullabilità del contratto concluso dal mandatario con se stesso.



(omissis)


FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione notificato il 9 febbraio 2005 e depositato in cancelleria il successivo 14 Novembre 2005 il sig. Z. G. esponeva quanto segue:

- di essere “correntista” della Cassa *** (di seguito: CASSA), filiale di *** presso la quale egli intrattiene il conto corrente ordinario n. ** ed il “deposito a custodia ed amministrazione titoli n. **” che egli utilizza “per realizzare piccoli investimenti mobiliari, con le somme risparmiate durante tutta la sua vita”;

- che egli, di professione “gommista” a capo di una “piccola azienda artigianale”, ha sempre improntato a prudenza i suoi investimenti finanziari, avendo sempre acquistato “titoli di Stato che, pur non avendo consistenti rese, hanno sempre garantito il capitale investito”;

- che, nel mese di febbraio 2001, dopo avere conferito incarico all’addetto all’ufficio titoli della CASSA, tale sig. P., di provvedere al rinnovo di alcuni BOT. (buoni ordinari del tesoro) e CCT (certificati di credito del tesoro) in scadenza, riceveva, ai primi di Marzo 2001, la contabile che certificava l’acquisto di obbligazioni di stato emesse dalla Repubblica Argentina (di seguito: obbligazioni Argentina);

- che, dopo avere conferito con il P., che lo aveva rassicurato sulla “tranquillità” e “convenienza” dell’investimento, egli sottoscriveva “un modulo d’acquisto in bianco, o forse riportante poche parole appuntate, che, verosimilmente, potrebbe essere quello poi rilasciato in copia dalla Banca” (doc. 2);

- che, quindi, nel suo dossier titoli del venivano inserite Obbligazioni Argentina per un controvalore di lire 170.000.000.= con addebito in conto di £ 173.049.733.=;

- che, in data 19 Marzo 2001, la Cassa *** accreditava sul suo conto corrente la somma di lire 10.412.500.= corrispondente all’importo della cedola periodica pagata dalle obbligazioni Argentina.

A seguito di queste premesse l’attore narrava gli eventi che avevano colpito l’economia dello Stato Argentino che, nel Dicembre 2001, dichiarava il default con riferimento al proprio debito pubblico e sospendeva il rimborso delle obbligazioni di stato così come il pagamento degli interessi.

L’attore riferiva pure di avere in un primo tempo aderito, seguendo l’invito della CASSA, all’ “Associazione per la tutela degli interessi degli investitori in titoli argentini” ma di esserne poi uscito il 21 Maggio 2004, non prima di avere richiesto ripetutamente alla CASSA i documenti giustificativi degli acquisti di obbligazioni Argentina effettuati per suo conto e di avere quindi appreso dalla consultazione dei due documenti inviati dalla CASSA - ossia “il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” (doc. 6 bis) e l’ordine di acquisto dei titoli (doc. 6 ter) - che:

- la CASSA aveva agito in conflitto d’interesse perché aveva trasferito le obbligazioni Argentina dal proprio “paniere interno”;

- la sua apparente sottoscrizione sul documento denominato “documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” era stato falsificata.

Con l’atto introduttivo dunque l’attore, oltre a disconoscere la sottoscrizione apposta in calce al documento denominato “documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari”, chiedeva al Tribunale di dichiarare la nullità ovvero annullare il “contratto d’acquisto di obbligazioni Argentina intercorso nel febbraio-marzo 2001” e “conseguentemente” condannare la CASSA alla restituzione del corrispettivo dell’acquisto dei titoli, pari a nominali € 89372,72.-, oltre interessi, previa compensazione con l’importo di € 5377,60.- accreditato dalla CASSA a titolo interessi pagati dalla Stato Argentino e contro la restituzione alla CASSA da parte dello stesso Z. dei titoli in questione.

L’attore chiedeva inoltre la condanna della CASSA a risarcirgli il danno morale subito in conseguenza della falsificazione del “documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” datato 30.09.1998 (doc. 6 bis), danno che indicava in € 30.000,00.-.

Lo Z., dopo avere qualificato l’ordine di acquisto di strumenti finanziari come contratto di mandato finalizzato alla compravendita fondava la domanda di dichiarazione di nullità del contratto stesso sulla violazione delle norme imperative contenute nel D.Lgs. n. 58 del 24 Febbraio 1998 “testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (di seguito T.U.F.”) e della delibera n. 11522 dd. 1 Luglio 1998 della CONSOB, contenente il regolamento d’attuazione (di seguito: Regolamento).

In particolare lo Z. si doleva che la CASSA avesse violato:

- gli art. 23 del T.U.F. e 30 del regolamento che impongono la forma scritta “del contratto” a pena di nullità, perché lo Z. aveva sottoscritto un contratto in bianco e quindi mancante di oggetto;

- gli art. 21 del T.U.F. e 1176 c.c. del codice di civile che impongono ai soggetti abilitati il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nonché i più dettagliati articoli del Regolamento che onerano gli intermediari di specifici doveri di comportamento, e precisamente:

§ l’art. 27 del regolamento che vieta all’intermediario le operazioni in conflitto d’interesse; a tal riguardo affermava dunque lo Z. che la CASSA avesse a lui trasferito titoli propri per scaricare sul cliente “il rischio di solvibilità” dell’emittente;

§ l’art. 28 che impone all’intermediario finanziario obblighi di informazione passiva ed attiva ed in particolare l’obbligo di consegnare il documento sui rischi generali degli investimenti finanziari; al riguardo sosteneva lo Z. che la CASSA non avesse né assunto né scambiato con lui qualsivoglia comunicazione informativa e non avesse comunque consegnato il documento sui rischi generali degli investimenti finanziari, di cui egli aveva disconosciuto la sottoscrizione;

§ l’art. 29 che impone all’intermediario finanziario di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate al profilo di rischio dell’investitore se non alle specifiche condizioni prescritte dalla norma stessa; affermava dunque lo Z. che “l’operazione di acquisto delle obbligazioni Argentina era assolutamente non adeguata sia in relazione alla natura dello strumento finanziario, attesa la sua elevata natura speculativa, sia in relazione alla considerevole somma che l’attore aveva investito, (..) elevata in assoluto ed a maggior ragione in relazione al rapporto pressoché totale con le capacità di risparmio e di investimento del cliente”.

Con comparsa depositata in cancelleria l’8 Aprile 2005 si costituiva in giudizio la CASSA che, in punto di fatto, contrastava le affermazioni attoree ed in particolare contestava che il sig. Z. potesse essere ascritto alla categoria della “massa dei piccoli ed incauti risparmiatori, inconsapevolmente indotti, secondo un cliché largamente utilizzato nella aule di giustizia, ad assumere i rischi connessi all’acquisto di bond argentini”; a tal riguardo la convenuta eccepiva che:

- lo Z. era stato “fino a pochi anni or sono, un autorevole esponente della Cassa Rurale di Rovereto” – e precisamente uno dei cinque membri del consiglio di amministrazione dell’istituto nel periodo dal 1996 al 1999 – e che, anche in epoca successiva, egli aveva libero accesso all’interno degli uffici della BANCA;

- “proprio nel periodo in cui amministrava la CASSA e precisamente il 20 Aprile 1998, egli stipulò con la CASSA un contratto di gestione su base individuale di portafoglio di investimento per conto terzi, in senso al quale si era esplicitamente rifiutato di fare dichiarazioni circa la propria propensione al rischio ed al quale fece seguito il 30 Settembre 1998 la sottoscrizione (..) del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari”;

- “nella seduta del consiglio d’amministrazione della cassa del 24 Dicembre 1998, egli aveva preso atto della inclusione, nel paniere unico della Banca, proprio dei titoli Argentina” - “solo in data 13 Novembre 2003 l’attore ha revocato il mandato alla Cassa Rurale e disposto la vendita di tutte le sue attività finanziarie collegate, con accredito del ricavato sul conto corrente a lui intestato, precisando che “i titoli Argentina saranno trasferiti sul dossier amministrato intestato a Z. G. 051851””;

- l’attore “non aveva BOT, bensì solo CCT in scadenza e, desiderando comperare titoli Argentina, a ciò spinto dall’alto tasso di interesse praticato da questi titoli (9,25%) chiese alla CASSA di vendere le obbligazioni emesse da quest’ultima, che aveva in portafoglio, allo scopo preciso di acquistare i titoli Argentina predetti, inducendo la CASSA, in questo modo, a porre in essere un’operazione a sé sfavorevole”;

- che l’operazione di acquisto dei titoli Argentini fu dunque effettuata in seguito a specifica istruzione dello Z., per la quale fu raccolta la sua sottoscrizione.

Sulla base di tali eccezioni, dunque, la CASSA chiedeva al Tribunale di rigettare le domande dell’attore; in via riconvenzionale subordinata, per l’ipotesi di accoglimento delle domande attoree, la CASSA domandava che lo Z. fosse condannato a restituire alla convenuta i titoli Argentini e gli interessi medio-tempore percepiti.

Con istanza depositata nella cancelleria del Tribunale il 29 Aprile 2005, lo Z. chiedeva al giudice di fissare l’udienza di discussione ed instava affinché il collegio volesse ordinare alla CASSA l’esibizione dell’originale del documento sui rischi generali dd. 30.09.1998 e perché volesse disporre una C.T.U. grafologica sulla sottoscrizione dello stesso documento.

In data 29 Aprile 2005 la CASSA depositava nota di precisazione delle proprie conclusioni con la quale confermava le conclusioni rassegnate nella comparsa di costituzione e risposta.

Con decreto depositato in cancelleria il 29 Giugno 2005 il giudice non ammetteva, in quanto irrilevante, l’ordine di esibizione richiesto dallo Z. e fissava udienza collegiale di discussione.

Con memoria conclusionale depositata il 21 Settembre 2005 lo Z. contestava le deduzioni della CASSA sui fatti di causa ed in particolare sulla sua esperienza finanziaria, sulla composizione del suo portafoglio e sul rapporto contrattuale con la CASSA replicando che:

- egli aveva fatto parte del Consiglio d’Amministrazione della CASSA quale rappresentante degli artigiani e tale presenza nel “Consiglio di una piccola banca non è stata sufficiente a fargli comprendere, assimilare e divenire esperto nei complessi e sofisticati meccanismi degli strumenti finanziari o dei mercati immobiliari internazionali”;

- il portafoglio dell’attore “alla data del 31.03.2001 era composto quasi esclusivamente da titoli azionari italiani di società molto solide, con grandi capitalizzazioni ed azionariato diffuso, tra cui Assicurazioni generali, Banca Intesa, Autostrade S.p.A. (.. e solo per una minima parte da titoli obbligazionari -Nef Obbligazionario e Brasile-) che rappresentano meno del 10% del totale del portafoglio titoli”;

- l’acquisto di obbligazioni Argentina non era avvenuto in senso al contratto di gestione di portafogli – disciplinato dall’art. 32 del regolamento – perché mentre questo rapporto di gestione risultava acceso sul dossier titoli 05.501132 l’ordine di acquisto delle obbligazioni Argentina “avrebbe dovuto accedere al dossier titoli n. 05.0151” secondo quanto risulta dalla contabile del 26.02.2001 e dal “documento che dovrebbe integrare il contratto di acquisto”.

All’udienza collegiale del 27 Settembre 2005 il Tribunale confermava il decreto del giudice relatore e fissava udienza per la discussione finale al 20 Ottobre 2004.

All’udienza del 20 ottobre 2004 la causa era trattenuta in decisione.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Le domande di nullità dello Z. sono infondate e vanno respinte.

Va, peraltro, pronunziata sentenza non definitiva, secondo quanto richiesto da parte convenuta, e disposta la prosecuzione del processo sulla diversa domanda di risarcimento del danno per falsificazione della sottoscrizione apposta sul documento generale sui rischi finanziari. Muovendo da tale ultima domanda, osserva il Collegio che essa è solo soggettivamente connessa alla domanda principale di nullità. Si tratta invero di un’ordinaria domanda di risarcimento del danno morale soggettivo da reato, la quale non è soggetta al rito societario.

La domanda risarcitoria è del tutto autonoma rispetto all’oggetto del lite; è lo stesso attore, infatti, ad affermare che il documento tacciato di falsità si riferisce ad un rapporto con la CASSA diverso da quello controverso e precisamente ad un contratto di gestione portafogli (cfr. comparsa conclusionale dell’attore, pag.7).

La CASSA, dal canto suo, a fonte del disconoscimento della sottoscrizione dello Z., ha dichiarato di non volersi avvalere del documento nel processo.

Sul piano probatorio, dunque, il documento non è utilizzabile contro lo Z..

Resta, però, la domanda risarcitoria proposta dall’attore che è ammissibile ma non ancora matura per la decisione.

È ammissibile perché il Collegio condivide l’assunto sostenuto dall’attore e confortato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, per il quale è ammissibile una domanda principale di accertamento di falsità di un documento pur in carenza di della proposizione di una formale querela di falso – che non è stata appunto proposta dall’attore –, quando la domanda non sia volta a rimuovere l’efficacia probatoria del documento ma a dimostrare la responsabilità del falsificatore e ad ottenere la condanna di questi a risarcire il danno. (Cass. Sez. III sent. N. 1252 del 7 Aprile 1975). La domanda deve però essere istruita per accertare appunto la falsificazione della sottoscrizione.

Conseguentemente le parti vanno rimesse davanti al giudice con separata ordinanza.

Va, invece, respinta la domanda centrale di questo processo, quella cioè volta a far dichiarare la nullità ovvero a pronunciare l’annullamento del contratto di negoziazione delle obbligazioni Argentina. Tale domanda va in realtà scomposta in più domande concorrenti, in quanto basate su diverse causae petendi.

Ebbene talune di tali domande sono infondate nel merito ed altre vanno respinte perché l’attore invoca un rimedio, la nullità, non previsto dall’ordinamento.

Sono infondate nel merito le domande di nullità per difetto di forma del contratto e di annullamento del contratto per conflitto d’interessi.

Sono invece infondate sotto il profilo della incoerenza del petitum rispetto alla causa petendi le domande di nullità del contratto per violazione degli obblighi generali e speciali del mandatario di diligenza, trasparenza e correttezza (art. 1176 del codice civile, 21 del T.U.F., 26 e 28 del Regolamento); di violazione della regola sul conflitto d’interessi (art. 21 del T.U.F. e 27 del Regolamento) e di violazione della regola relativa alla effettuazione di operazione non adeguata (art. 21 del T.U.F e 29 del Regolamento).

Andiamo per ordine.L’attore invoca innanzitutto la nullità del contratto per la mancanza della forma scritta ad substantiam ex art. 23 del T.U.F e 30 del Regolamento, perché egli avrebbe sottoscritto un ordine in bianco o solo parzialmente compilato e quindi carente del requisito della forma scritta per ciò che riguarda un elemento essenziale del contratto, ossia l’oggetto che il documento avrebbe invece dovuto contenere nella sua interezza.

Prima di affrontare il merito della domanda, è opportuno procedere alla individuazione del “negozio giuridico” che, secondo l’attore, dovrebbe essere dichiarato nullo (per la qualificazione giuridica di tale negozio vedi infra).

L’attore non domanda che sia dichiarato nullo il “contratto relativo alla prestazione dei servizi d’investimento” (art. 23 del TUF). Egli domanda invece la nullità dell’”atto di negoziazione” delle obbligazioni Argentina eseguito dalla CASSA nel Febbraio-Marzo 2001.

In verità ritiene il Collegio che l’attore intenda riferirsi non all’atto di negoziazione, che è l’atto di acquisto (negoziazione per conto terzi, art. 1 comma 5. lett. b) del T.U.F.), ovvero nel caso specifico il mero trasferimento (negoziazione per conto proprio, art. 1 comma 5. lett. a) del T.U.F.), di Obbligazioni Argentina effettuato dalla banca, quanto piuttosto all’ordine di acquisto attribuito dalla CASSA al cliente, al quale è seguita la negoziazione dei titoli.

Solo per l’ordine, e non per la negoziazione, il regolamento e non il T.U.F, prescrive, a determinate condizioni, requisiti di forma.

Ai fini di evidenziare la rilevanza dei requisiti di forma pretesi dal T.U.F. e dal Regolamento per gli atti giuridici posti in essere dal cliente-risparmiatore, è bene tenere distinto il contratto “contratto relativo alla prestazione dei servizi d’investimento” dall’ordine, per quanto essi siano, come si dirà, parte di un unico contratto.

Il requisito della forma scritta è invero preteso dalla legge a pena di nullità solo per il contratto relativo alla prestazione di servizi d’investimento (cfr. art. 23 del TUF).

Ebbene tale contratto, per ammissione dello stesso attore, fu stipulato per iscritto: si tratta infatti del contratto di “deposito a custodia ed amministrazione titoli” n. 501581 menzionato dall’attore nel primo punto dell’atto di citazione (pagina 2).

Diversa è, invece, la disciplina relativa all’ordine.L’ordine, con il quale il cliente domanda all’intermediario autorizzato la prestazione di un servizio finanziario di negoziazione, non deve necessariamente rivestire la forma scritta.

Tanto risulta dalla disciplina positiva ed in particolare dall’art. 29 del Regolamento che impone un requisito formale per l’ordine nel solo caso di operazione non adeguata, in relazione alla quale il requisito formale è soddisfatto dalla registrazione telefonica dell’ordine verbale (che è ammesso in alternativa alla forma scritta).

Ne consegue che nelle operazioni di negoziazione adeguate al profilo di rischio dell’investitore è valido l’ordine verbale anche non documentato su nastro magnetico o su supporto equivalente mentre l’ordine relativo ad operazioni che siano giudicate non adeguate deve quantomeno esser registrato su tali supporti.

Va ad abundantiam osservato che l’art. 29 del Regolamento non introduce, a differenza dell’art. 23 del TUF, un caso di forma ad substantiam (né peraltro sarebbe stato ad avviso del giudicante possibile che una fonte secondaria introducesse una causa di nullità del contratto), con la conseguenza che la violazione della forma rileva solo sul piano della prova del comportamento diligente dell’intermediario finanziario. In altri termini l’intermediario finanziario che, ai sensi dell’art. 23 del TUF, deve sempre dimostrare di avere diligentemente adempiuto il contratto, nel caso di operazione giudicata non adeguata ha obblighi di diligenza ulteriori, cioè quelli: di avvisare il risparmiatore della natura non adeguata dell’operazione, di informarlo pienamente sulle possibili conseguenze dell’operazione sul suo patrimonio e di documentare, nella forma prescritta dal Regolamento, il consenso dato dal cliente nonostante l’avviso e l’informazione. Nel caso di specie non esiste un problema di prova dell’ordine: entrambe le parti hanno infatti prodotto la scrittura contenente l’ordine. Le ulteriori doglianze dello Z., per le quali l’ordine sarebbe stato compilato in bianco dalla CASSA non hanno rilevanza, atteso che esse non si sono tradotte é in conclusioni processuali né in istanze istruttorie. In altri termini lo Z. non si è mai lamentato di un riempimento effettuato contra pacta ma si è limitato soltanto a lamentare la nullità dell’ordine per ragioni formali (il che lascia supporre l’esistenza dell’ordine stesso).

Solo in comparsa conclusionale lo Z. ha per la prima volta sostenuto l’inesistenza del “contratto quadro” e non dell’ordine. Tale affermazione, oltrechè tardiva, è però smentita dal documento contrattuale sopra menzionato.

Va, infine osservato, che la CASSA ha sostenuto in corso di causa che l’ordine di acquisto delle obbligazioni Argentina sarebbe riferibile non al “contratto di deposito ed amministrazione titoli” ma ad un diverso contratto di gestione del portafoglio dello Z.

L’affermazione, oltre a contrastare con i documenti acquisiti (vedi ordine e contabile d’acquisto che fanno espresso riferimento al contratto di deposito ed amministrazione titoli), è irrilevante perché mira ad inficiare le doglianze dello Z. di violazione da parte della CASSA degli obblighi di diligenza, doglianze che, come si specificherà infra, non possono avere ingresso nella presente lite, perché assorbite dal rigetto della domanda di nullità.

Le domande con le quali l’attore chiede al Tribunale di dichiarare la nullità dell’ordine sono infatti infondate, non essendovi coerenza tra causa petitum e petendi.

L’attore si duole della violazione da parte della CASSA di obblighi di diligenza, dettati dall’art. 21 del T.U.F. e specificati negli articoli da 26 a 30 del Regolamento (obbligo di informazione passiva ed attiva, divieto di astenersi ad operare in situazione di conflitto d’interessi, divieto di porre in essere operazioni non adeguate), afferma che tali obblighi di comportamento sono imposti da norme imperative e trae la conseguenza della nullità dell’ordine per violazione di norme imperative in forza della cosiddetta nullità virtuale (art. 1418 primo comma del codice civile).

Nell’invocare la sanzione della nullità, l’attore segue evidentemente il ricco filone giurisprudenziale che, a partire dalla oramai famosa sentenza del Tribunale di Mantova del Marzo 2004 (Tribunale di Mantova 18.03.2004, in Giur.It,, 2004, 2128), accredita la tesi della nullità virtuale per violazione di norme imperative (tra le moltissime sentenze pubblicate si vedano da ultimo: Tribunale di Venezia 29 Settembre 2005 – in un caso di conflitto di interessi –, in www.ilcaso.it; Tribunale di Parma 6 Luglio 2005, in www.ilcaso.it; Tribunale di Avezzano 23 Giugno 2005, in Foro It., 2005, I, 2536; Tribunale di Genova 18 Aprile 2005 in Danno e Resp., 2005, 604; Tribunale di Ferrara 25 Febbraio 2005 n. 217, in www.ilcaso.it ; Tribunale di Palermo 16.03.2005 in Foro It., 2005, I, 2539). Alla corrente di pensiero che scorge nella violazione degli obblighi di diligenza una causa di nullità dell’ordine si contrappone, però, una voce giurisprudenziale, sempre più corposa (vedi: Tribunale di Roma, 31.03.2005, in Foro It., 2005, I, 2538; Tribunale di Genova 15 Marzo 2005, in Foro It., 2005, I, 2540¸ Tribunale di Taranto 28.10.2004 in Foro. It., 2005, I, 896), la quale afferma che l’unica conseguenza compatibile con il nostro sistema giuridico, in caso di violazione di obblighi di comportamento, è la responsabilità per inadempimento del contratto, perché le regole violate attengono al momento funzionale e non a quello genetico del contratto. Nel caso in esame l’opzione da parte del Tribunale per la responsabilità da inadempimento invece che per la nullità virtuale è decisiva, nel senso che l’attore ha proposto soltanto un’azione di invalidità.

È dunque compito del collegio spiegare perché non si possa condividere l’ampia giurisprudenza che, richiamando un precedente della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 7 Marzo 2001 n. 3272) fa discendere dalla violazione degli obblighi di comportamento dettati dall’art. 21 del TUF e specificati dalle norme contenute nel regolamento CONSOB (arrt. 26-29) la nullità dell’atto di negoziazione, con le conseguenti restituzioni.

Va subito detto che il collegio non intende mettere in dubbio il principio affermato dalla corte di Cassazione, sia pure con riferimento alla normativa previgente (legge 2 Gennaio 1991 n. 1) e ripreso dalle sentenze citate, per il quale le norme del T.U.F., e tra esse anche l’art. 21 che impone all’intermediario obblighi di comportamento, hanno forza imperativa, in quanto sono volte tutelare interessi di carattere generale, che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singuli a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore dell’economia nazionale, a quella stabilita della stabilità del sistema finanziario, come considerata dalla Dir. 93/22/CEE del 10 Maggio 1993; (..) a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari con vantaggio per le imprese e per la economia tutta, interessi tutti prevalenti su quelli del privato, che pure di riflessone rimane tutelato (Cass. 327272001) La forza imperativa di tali norma va intesa nel senso che si tratta di norme inderogabili, con la conseguenza che l’intermediario ed il risparmiatore, nel concludere “un contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento” (art. 23 del TUF e 30 del Regolamento) non potrebbero esonerare l’intermediario dall’osservanza di tali obblighi né congegnare il contratto senza rispettare il contenuto minimo prescritto dalla legge.

La valutazione di conformità tra fattispecie e schema normativo, utilizzando come criterio di individuazione la natura degli interessi tutelati nel quadro dei valori dell’ordinamento (Cass. 3272/2001 cit.) andrebbe dunque riferita all’atto di autonomia privata che si realizza con la sottoscrizione del contratto “relativo alla prestazione dei servizi d’investimento”.

La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione riguardava, appunto, la conclusione da parte di una società per azioni di un contratti di Domestic Indixed Swap, la cui stipulazione è riservata dalla legge (art. 2 della legge n. 1 del 1991) alle società S.I.M.; in relazione a tale fattispecie la Corte di Cassazione affermava dunque la nullità “virtuale” del contratto, intesa quale strumento di controllo normativo utile, insieme ad altri, a non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con valori fondamentali del sistema (Cass. 3272/2001).

Nel caso che ci riguarda, invece, così come in pressoché tutti i casi relativi all’intermediazione di prodotti finanziari venuti all’esame della giurisprudenza di merito, l’attore non invoca la nullità del “contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento” per contrasto tra la fattispecie e lo schema normativo, ma invoca la nullità della negoziazione dei titoli per inadempimento da parte dell’intermediario delle regole di comportamento, siano essi obblighi siano essi divieti, sanciti dalla legge (citati artt. 21 T.U.F. e 26-29 regolamento). Tale doglianza vuole trovare fondamento, almeno così si crede, in un passaggio della motivazione della sentenza della Cassazione n. 3272/2001, nel quale la Suprema Corte afferma testualmente quanto segue: Ne consegue che ove le norme imperative siano in linea generale inderogabili dalla volontà dei privati, in relazione a tali valori, tutto ciò che sia programmato o compiuto in contrasto con essi è interamente nullo, necessariamente estendendosi la illiceità della condotta all’atto compiuto, per il rilievo che la sanzione di invalidità ha in relazione all’interesse perseguito dalla norma che risulterebbe frustrato.

Il ragionamento è dunque quello per il quale non è necessario che sia violata una regola di validità perché si possa affermare la nullità del contratto ma è sufficiente la violazione di una regola di comportamento che si rifletta sull’atto compiuto, perché questo possa essere dichiarato nullo. Il corollario è poi che la violazione degli obblighi di comportamento imposti dalla legge determinerebbe la nullità dell’atto di acquisto di prodotti finanziari posto in essere dall’intermediario su mandato del cliente. Tale mandato, infine, si concluderebbe, almeno nella generalità delle ipotesi, con l’accettazione mediante esecuzione (art. 1327 primo comma c.c.) da parte dell’intermediario della proposta contrattuale contenuta nell’ordine del cliente.

Tale ricostruzione vede dunque nella complessiva operazione di negoziazione, costituita da ordine più acquisto del prodotto finanziario da parte dell’intermediario, l’atto di autonomia che resterebbe inficiato per causa di nullità dalla violazione delle regole di comportamento legali, che l’intermediario stesso sarebbe dunque chiamato a rispettare per il solo contatto con il cliente ovvero in forza del contratto di investimento in servizi finanziari (art. 23 del T.U.F. e 30 del Regolamento) - spesso denominato nella giurisprudenza come “contratto quadro” -, prima ancora che sia emessa la proposta contrattuale di acquisto dei prodotti finanziari stessi.

Senonchè tale ricostruzione giuridica della fattispecie concreta finisce per svalutare il contratto - e si vorrebbe dire l’unico contratto - regolato dalla legge, ossia “il contratto relativo alla prestazione di servizi di investimento” (art. 23 TUF), nonostante che il legislatore proprio in relazione a questo contratto appunti il proprio interesse, manifestato nella previsione di oneri formali e di vincoli contenutistici.

Solo “il contratto relativo alla prestazione di servizi di investimento” va infatti stipulato per iscritto a pena di nullità (art. 23 T.U.F.), e non l’ordine del cliente; solo quel contratto, e non l’ordine, deve avere un preciso contenuto (art. 30 del Regolamento) che metta in chiaro le modalità dello svolgimento del rapporto tra cliente ed intermediario.

L’atto di autonomia che costituisce dunque il punto di riferimento della fattispecie legale è il contratto di prestazione di servizi di investimento; a questo contratto, e solo a questo può essere riservata, si ritiene, la valutazione di conformità della concreta pattuizione con gli interessi primari tutelati dall’ordinamento.

Né l’ordine, né l’atto di negoziazione dei titoli, nemmeno se considerati unitariamente, possono, invero, essere riguardati come atti di autonomia contrattuale; tali atti a parere del collegio non hanno un’autonoma causa negoziale ma trovano il loro fondamento causale nel contratto d’investimento.

Il collegio non ignora, invero, che autorevoli commentatori della legge individuano nel contratto di “prestazione dei servizi di investimento” e nella negoziazione - intesa come ordine più esecuzione dell’acquisto dei prodotti finanziari - due diversi contratti tra loro collegati, il primo dei quali sarebbe un “contratto di cooperazione” ed il secondo un mandato.

Seguendo però questa teoria non si riesce a spiegare come, nelle sentenze sopra citate che vedono nella condotta dell’intermediario un’inadempienza contrattuale, si possa qualificare come difetto funzionale la violazione degli obblighi di comportamento di tale intermediario.

Non è infatti agevole chiarire come un “contratto di cooperazione” che avrebbe la limitata funzione di regolare le modalità della successiva attività negoziale, possa generare degli obblighi di comportamento, molti dei quali aventi natura di obblighi di diligenza, che presuppongo dunque un’attività di adempimento – attività esecutiva che la natura “normativa” del regolamento patrizio porterebbe invece ad escludere”.

Ed, infatti, la dottrina che individua due contratti collegati è propensa a ritenere che tali doveri di comportamento siano piuttosto obblighi precontrattuali, idonei a generare responsabilità precontrattuale e non responsabilità da inadempimento.

Il collegio ritiene, invece, che la fattispecie legale vada ricondotta sì ad un contratto “di cooperazione” ma ad unico contratto, ossia al contratto di mandato, tesi questa svolta, sia pure in una diversa controversia pendente davanti all’ufficio, dal legale di parte convenuta.

Si tratta di un contratto di mandato, collegato ad un diverso contratto bancario, in genere - come nel caso di specie - ad un contratto di conto corrente (art. 1823 e ss. c.c.) o ad un contratto di deposito bancario (art. 1834 e ss.), dai quali l’intermediario preleva la provvista per l’esecuzione del mandato.Il contratto stipulato dalle parti è dunque un mandato a comprare e vendere prodotti finanziari (quindi assimilabile più alla commissione che al mandato).

Osserva il collegio come, secondo la dottrina tradizionale, il contratto di mandato sia sorto dall’esigenza di ottenere cooperazione da parte di colui che, essendo interessato al compimento di atti giuridici, non possa o non voglia compiere tali atti personalmente.

Nel caso del soggetto che voglia acquistare prodotti finanziari è la legge stessa a precludere la possibilità dell’acquisto diretto ed ad imporre la cooperazione di un intermediario qualificato. Proprio la peculiarità dell’oggetto del mandato ad acquistare prodotti finanziari, che incrocia gli interessi primari sopra evidenziati tutelati dall’ordinamento, giustifica dunque la disciplina speciale del contratto disegnata dalle norme imperative del T.U.F. (in particolare artt. 21 e 23).

Il contratto di mandato ad acquistare prodotti finanziari è così “eteroregolato” non solo dal mandante che, come si dirà, impartisce istruzioni al mandatario-intermediario ma anche dalle norme imperative di legge.

Il nostro contratto di mandato ad acquistare prodotti finanziari ha, come il generale contratto di mandato, una causa gestoria. Esso, non esaurendosi nel compimento di un atto giuridico isolato, deve contenere il programma non solo dell’attività indispensabile alla conclusione del negozio gestorio ma anche di tutti gli sviluppi esecutivi. Di qui dunque l’esigenza del “legislatore” (art. 30 del regolamento) di stabilire normativamente, in considerazione dell’importanza degli interessi sottesi al contratto, le modalità del programma gestorio, comprensivo da un lato delle modalità tecniche dell’imputazione e degli effetti nella sfera giuridica del mandante – ad es. lett. c dell’art. 30 del Regolamento indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni –, dall’altro degli obblighi di comportamento che il mandatario deve osservare nella conclusione del contratto (art. 21 TUF e 26-29 del regolamento).

Dal contratto scaturisce dunque il rapporto gestorio costituito da un complesso di diritti ed obblighi reciproci tra le parti, tra i quali è caratteristico l’obbligo dell’agente di impiegare la propria attività per la realizzazione dell’interesse del mandante. Gli obblighi di comportamento previsti dall’art. 21 del TUF e dagli artt. da 26 a 29 del Regolamento, lungi dall’essere obblighi precontrattuali, contrassegnano proprio lo svolgimento del rapporto gestorio finalizzato alla realizzazione dell’interesse del cliente, e quindi ad orientare correttamente le sue scelte di acquisto di prodotti finanziari in coerenza al suo profilo di rischio; in tale prospettiva l’intermediario ha l’obbligo di informarsi ed informare, di segnalare situazioni di conflitto d’interessi e di sconsigliare il cliente dall’effettuare investimenti non consoni al suo profilo d’investitore.

Tali obblighi di comportamento non sono null’altro che gli obblighi di diligenza gravanti sul mandatario (art. 1710 c.c.) adattati dal legislatore alla specificità dell’incarico in ragione degli interessi pubblici e privati sottesi al rapporto.

In tale ricostruzione, l’ordine del cliente non è una proposta di mandato, ma è un’istruzione (art. 1711 secondo comma c.c.) del mandante al mandatario per l’esecuzione del mandato.

Secondo la dottrina tradizionale, invero, il mandato tollera anche “un alto grado di indeterminazione” nel suo contenuto, nel senso che il regolamento iniziale può essere integrato, a volta a volta che le esigenze lo richiedano, a mezzo di istruzioni impartite dal mandante.

Nel mandato ad acquistare e vendere prodotti finanziari, dunque le istruzioni, ovvero gli ordini di acquisto, possono essere pure emessi contestualmente alla sottoscrizione del “contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento” ma generalmente sopravvengono, nel corso della esecuzione del rapporto gestorio che, per sua natura, è prolungato nel tempo, a seconda delle esigenze di investimento e disinvestimento del cliente, il quale deve essere assistito dall’intermediario affinché il suo il potere di direzione sia esercitato in modo consapevole ed informato.

Il compimento dell’atto gestorio, ovvero l’acquisto o vendita di prodotti finanziari (ovvero l’atto di negoziaizione per conto proprio o per conto terzi ai sensi del paragrafo 3. lett. a) e b) dell’art. 1 del TUF) è sì una compravendita, ma soltanto nei rapporti tra intermediario e terzo venditore o acquirente del titolo, nel caso di negoziazione per conto terzi, ovvero verso lo stesso mandante nel caso – come quello di specie – di negoziazione per conto proprio; rispetto al mandato, tuttavia, la negoziaizione integral’esecuzione del contratto, in quanto finalizzato a realizzare l’interesse del mandate.

Tale atto di negoziazione, inteso come adempimento finale degli obblighi nascenti dal contratto di mandato, va annoverato nella categoria dei cosiddetti negozi di attuazione. Lo spostamento patrimoniale conseguente alla negoziazione trova, infatti, la sua giustificazione nel complessivo programma contrattuale, il cui nucleo centrale è costituito dal “contratto relativo alla prestazione dei servizi d’investimento” che è, come detto, presidiato dal legislatore con requisiti formali e di contenuto.

Il cliente, nel mandato senza rappresentanza, godrà infine dell’azione di rivendicazione dei titoli ai sensi dell’art. 1706 del codice civile.

Se tale ricostruzione è corretta, la nullità virtuale della negoziazione non è nemmeno astrattamente configurabile, perché la negoziazione non è un atto di autonomia dotato di una propria causa ma è un negozio di attuazione del mandato (si può al riguardo ricordare un’autorevolissima dottrina per la quale “il contratto contrario a norme imperative è nullo in quanto la violazione della legge comporta un giudizio di dannosità sociale e quindi immeritevolezza della causa, qualificabile essa stessa come illecita”).

In tale prospettiva il giudizio di difformità tra fattispecie e schema normativo utilizzando come criterio di individuazione la natura degli interessi tutelati (Cass. 2372/2001 cit.) può essere riferito solo al programma negoziale, presidiato da norme imperative, che costituisce il nucleo del contratto di mandato, ma non alla negoziazione che è negozio attuativo.

Gli obblighi di comportamento incombenti sul mandatario, infine, sono speciali obblighi di diligenza nell’esecuzione del contratto (art. 1710 c.c.) dalla cui violazione può discendere solo responsabilità da inadempimento.

Il collegio ritiene che la suddetta ricostruzione giuridica della fattispecie negoziale trovi riscontro anche nel linguaggio normativo e nelle scelte di fondo del legislatore.

L’art. 23, comma 1, si riferisce alla prestazione di servizi d’investimento e, nel sesto comma, allo svolgimento di servizi di investimento, in tal modo lumeggiando un’attività di tipo esecutivo.

Infine, si deve sgombrare il campo da un ultima possibile obiezione, quelle cioè per la quale la nullità virtuale invocata dall’attore sarebbe non assoluta ma relativa, cioè una nullità derivante dal sistema giuridico a presidio della parte contrattuale debole.

Un’eco normativa di questa nullità sarebbe rinvenibile ad esempio nell’art. 11 della legge 50/1992 in tema dei contratti dei consumatori negoziati fuori dai locali commerciali, che ha specificamente previsto la sanzione della nullità qualora l’operatore commerciale abbia fornito al consumatore un’informazione incompleta o errata sul soggetto nei confronti del quale va esercitato il diritto di recesso.

Ebbene, premesso che è estremamente dubbio, in dottrina e soprattutto in giurisprudenza che la nullità dell’art. 1418 c.c ricomprenda anche le nullità protettive (la stessa Cassazione 2732/2001 significativamente lascia cadere, nel corso della motivazione, la segue frase: al si là della configurabilità in astratto della categoria delle nullità relative), va, in ogni caso, osservato che, per espressa previsione normativa, alla nullità del primo comma dell’art. 1418 c.c. si applica il criterio del cosiddetto minimo mezzo, ossia la nullità non può essere pronunziato quando il legislatore abbia apprestato un diverso rimedio (“salvo che la legge disponga diversamente”).

Ebbene il T.U.F prevede espressamente il rimedio, che è quello naturale dell’azione per inadempimento contrattuale e, a protezione del risparmiatore, al fine di compensare l’asimmetria informativa rispetto all’intermediario, stabilisce espressamente che nello svolgimento dei servizi di investimento ed in quelli accessori spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di avere agito con la specifica diligenza richiesta.

La protezione del contraente debole si gioca dunque piano probatorio ed è risolta dalla legge stessa con “l’inversione dell’onere della prova”.

L’ultima possibile obiezione potrebbe essere che il sistema già pone l’onere della prova a carico del debitore dopo la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 30 Ottobre 2001, n. 13533 (in For it., 2002, I 769) in base alla quale, ai sensi dell’art. 1218 c.c., il debitore deve dimostrate la propria mancanza di colpa non solo nel caso di inadempimento definitivo ma anche in caso di inadempimento inesatto. Va peraltro sul punto osservato che fino alla giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione (riferita alla responsabilità medica, cfr. Cass. Civ. sez. III, 21 Giugno 2004, n. 11488 e Cass. Sez. III, 28 Maggio 2004 n. 10297, in Danno e resp. 2005, 23 e ss.) si è sempre dubitato del fatto che la regola probatoria sull’inadempimento inesatto fosse riferibile alle obbligazioni di diligenza (altrimenti dette obbligazioni di mezzi, art. 1176 c.c.) e non solo alle prestazioni misurabili; né è, allo stato, certo se la citata giurisprudenza della Corte di Cassazione, basata sul criterio della “vicinanza della prova”, si consoliderà con riguardo a tutte le obbligazioni di diligenza. In ogni caso la norma dell’art. 23 del TUF fu adottata prima della sentenza delle sezioni unite e della successiva “svolta” della terza sezione della cassazione; essa indica una chiaro intento protettivo della parte debole sul piano processuale ed è resistente ad ogni mutamento giurisprudenziale.In definitiva la domanda di nullità dell’attore è infondata. Le doglianze dell’attore ove fondate nel merito potrebbero giustificare solo un’azione di responsabilità da inadempimento.

L’ultima doglianza dell’attore si riferisce al conflitto d’interessi della CASSA che avrebbe scaricato sul cliente titoli prelevati dal proprio paniere interno.

L’attore nel corpo dell’atto riporta anche tale violazione alla sanzione di nullità del contratto. Sotto tale profilo la domanda dell’attore è infondata. La sanzione apprestata dall’ordinamento per l’azione del mandatario in conflitto d’interessi è infatti l’annullamento e non la nullità (cfr. art. 1394 e 1395 c.c., e, per altre ipotesi di annullamento in caso di conflitto d’interessi, artt. 320 c.c. e 322 c.c., artt. 347 e 377 c.c. 360 e 377 c.c.).

Va peraltro osservato che l’attore, seppur in modo non convinto, rassegna nelle conclusioni anche una domanda di annullamento che impone al Collegio di esaminare la questione del conflitto d’interessi.

Orbene la CASSA non ha negato di avere acquisito i titoli dal proprio “paniere interno” ma ha, fondatamente, eccepito che lo Z., quale componente del Consiglio d’Amministrazione della CASSA concorse alla decisione di acquistare le Obbligazioni Argentina (cfr. verbale del c.d.a. del 24 Dicembre 1998 (doc. 1). Non solo, risulta anche documentalmente che nella suddetta riunione del 24 Dicembre 1998 (doc. 1) il c.d.a. della CASSA prendeva atto di una comunicazione della Banca d’Italia, con la quale l’ente di vigilanza domandava alla CASSA di giustificare le ragioni di un “investimento in titoli estero caratterizzati da un elevato rischio paese per un importo complessivo di lire 9.582 mln. pari a circa il 5,2% dell’intero portafoglio della suddetta”. A tale comunicazione della Banca d’Italia la CASSA rispondeva con missiva del 15 gennaio 1999 (allegata al doc. 1) con la quale precisava che “trattasi quasi esclusivamente di obbligazioni di Stato Argentina che presentavano all’epoca interessanti caratteristiche di redditività”, acquistate sulla base di una specifica consulenza del partner Caboto Holding SIM (il cui report è pure allegato al doc. 1).

Venendo dunque al conflitto d’interessi del mandatario, si deve osservare come, nel caso di specie, non possa trovare luogo l’annullamento del contratto perché concluso dal mandatario con se stesso (art. 1395 c.c).

Va, infatti, ribadito il principio più volte affermato dalla Suprema Corte di Cassazione per il quale in materia di operazioni su prodotti finanziari quotati o con prezzo predeterminato non è configurabile alcun conflitto d’interessi (Cass. sez. III n. 606 del 27 gennaio 1981; Cass. sez. III, n. 5308 del 18 Settembre 1980).

Resta dunque solo da esaminare il profilo dell’informazione al cliente del possibile conflitto d’interessi, profilo disciplinato dall’art. 27 del Regolamento, a mente del quale gli intermediari autorizzati, in caso di conflitto d’interessi, debbono informare per iscritto l’investitore sulla natura e sull’estensione del loro interesse nell’operazione e devono raccogliere il consenso espresso dell’investitore all’effettuazione dell’operazione.

Come si è sopra chiarito, con riferimento alla forma dell’ordine, il Regolamento, anche in caso di conflitto d’interessi, pone un obbligo di diligenza ulteriore sull’intermediario, quello cioè di informare adeguatamente il cliente sulla natura del conflitto e quello di raccogliere per iscritto la prova dell’informazione e del consenso.

Nel caso di specie la prova scritta della consapevolezza del cliente dell’esistenza e dell’estensione del conflitto d’interessi è acquisita aliunde ed è pienamente soddisfacente, si tratta della citata prova documentale (doc. 1) che dimostra come lo Z. concorse all’acquisto da parte della CASSA dei titoli Argentina, conoscendone redditività e rischi attraverso la consulenza resa dalla Caboto Holding S.I.M. Per tali ragioni dunque le domande dell’attore, ad eccezione di quella relativa al risarcimento del danno per falsificazione di documento, vanno respinte.

Spese al definitivo.


P.Q.M.


Non definitivamente pronunziando, rigetta le domande dell’attore di nullità e/o di annullamento “del contratto d’acquisto intercorso nel Febbraio- marzo 2001” e le conseguenti domande di ripetizione dell’indebito;

rimette le parti innanzi a sé per l’udienza del 27 gennaio 2006 ore 11.00 per la prosecuzione della lite sulla domanda di risarcimento del danno per falsifica