Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 54 - pubb. 01/07/2007

Mancata consegna delle copie del contratto di deposito titoli

Tribunale Milano, 15 Giugno 2005. ..


Contratto di deposito titoli amministrato – Mancata consegna di copia al cliente – Nullità – Insussistenza – Inadempimento – Sussistenza



La mancata consegna al cliente, al momento della sottoscrizione, delle copie di un contratto di deposito titoli amministrato non configura una ipotesi di nullità del contratto stesso ma semmai di inadempimento, la cui gravità deve essere valutata alla stregua delle conseguenze pregiudizievoli che ne sono eventualmente derivate.



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione notificato in data 13/5/2004 G.R. conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Milano la Deutsche Bank SpA per sentir accogliere le conclusioni di cui in epigrafe.

Deduceva l’attore che la Banca convenuta si era resa ripetutamente inadempiente nel corso del rapporto ormai conclusosi e, segnatamente, lamentava l’omesso disinvestimento, con conseguente  accreditamento del corrispettivo valore, di quote di fondi comuni di investimento, in violazione di specifici ordini all’uopo impartiti.

Invocava altresì attore la nullità dei contratti stipulati, ovvero degli ordini su di essi fondati, e la risoluzione di tutti “rapporti” intercorsi con la convenuta. La convenuta si costituiva in giudizio eccependo, in via preliminare, l’applicabilità, alla fattispecie in esame, delle norme di cui D. Lgs. n. 5/2003.

Nel merito, dopo aver riferito e documentato la pregressa esistenza di un analogo giudizio parimenti promosso da G.R. e conclusosi, a seguito di tre conformi gradi, con il rigetto di tutte le domande dallo stesso avanzate, eccepiva l’intervenuto giudicato su parte delle domande avanzate in questo processo, la prescrizione di qualsivoglia azione fondata sui rapporti intercorsi, la genericità della domanda di risoluzione, la infondatezza, in ogni caso, delle pretese oggetto del presente procedimento. Il G.I., verificata la applicabilità del D.Lgs n. 5/2003 alla fattispecie in esame, disponeva il mutamento del rito ordinando e la cancellazione della causa dal ruolo.

A seguito di riassunzione, scambiate le memorie secondo il rito, il Giudice relatore, su istanza del procuratore di parte attrice, fissava l’udienza collegiale non ammettendo le prove orali da questa richieste. Alla udienza fissata avanti il Collegio comparivano i difensori delle parti, nonchè le parti personalmente.

Il Tribunale, acquisiti i chiarimenti ritenuti necessari ed opportuni e verificata la inconciliabilità della lite, tratteneva la causa in decisione disponendo il deposito della sentenza. 


MOTIVI DELLA DECISIONE


Le domande tutte proposte dall’attore si appalesano infondate e pertanto insuscettibili di accoglimento. Per quanto attiene alle quote dei fondi comuni di investimento (BAI GEST MONETARIO e BAI GEST GIARDINO), che l’attore assume acquistato nei mesi di giugno e luglio 1993 per il complessivo importo di £. 133.460.000, osserva il Tribunale che la banca convenuta ha prodottto in giudizio gli ordini di disinvestimento (docc. da 5 a 9) datati 23-26 /11/93.

L’attore medesimo deduce di avere impartito l’ordine di disinvestimento, come emerge dalla narrativa del suo atto di citazione (pag. 2) laddove dichiara “nonostante l’espressa richiesta formulata e più volte verbalmente reiterata di riscatto delle quote relative ai fondi comuni di investimento (...) e del relativo rimborso del loro controvalore, nonchè di restituzione di tutti gli importi versati l’istituto di credito (...) ad oggi risulta non aver evaso la richiesta formulata dall’attore”.

Inoltre l’attore, presente in udienza, su specifica richiesta di chiarimento del Collegio, ha riconosciuto che gli ordini di disinvestimento da lui all’epoca impartiti sono in effetti quelli prodotti dalla Banca sub docc. da 5 a 9, lamentando, purtuttavia, il mancato accredito del loro controvalore. Alla stregua di tali risultanze, la domanda volta ad accertare la proprietà delle quote dei predetti fondi in capo a G.R. non può trovare accoglimento perchè pacificamente l’attore si è spogliato, sin dal novembre 1993, delle quote impartendo un ordine di vendita - che la Banca riconosce di aver ricevuto e che assume aver eseguito - e ciò indipendentemente dal successivo accredito del controvalore delle medesime, che costituisce, invero, mero adempimento degli obblighi nascenti da un contratto già perfezionato. Il pagamento del prezzo non è infatti elemento costitutivo del negozio, ma obbligazione conseguente il cui inadempimento può  determinare una serie di azioni (adempimento, risoluzione) che nella specie risultano tutte prescritte. Relativamente al pagamento del prezzo, prescindendo da ogni valutazione circa l’efficacia probatoria del doc. 10 prodotto dalla Banca attestante l’avvenuto accredito del controvalore dei fondi liquidati, l’azione va dichiarata prescritta perchè proposta, per la prima volta, con il presente giudizio introdotto oltre il termine decennale di prescrizione.

Passando ora all’esame della domanda di nullità dei contratti per “mancata consegna materiale degli stessi al momento della sottoscrizione”, il Tribunale, dopo aver preso atto, a seguito dei chiarimenti resi in udienza nel contraddittorio delle parti, che i contratti dei quali è stata eccepita la nullità sono quelli denominati

a) conto/deposito amministrato titoli n. 08/473/10212

b) contratto n. 89249 accessorio al deposito amministrato n. 09/473/10212

osserva che la mancata consegna delle copie al cliente non configura una ipotesi di nullità, ma semmai di inadempimento, la cui gravità va valutata alla stregua delle conseguenze pregiudizievoli che ne sono eventualmente derivate.

L’attore nulla ha dedotto in proposito, ed anzi risulta ammesso che di tali contratti ha avuto copia nel dicembre 1993 a seguito della instaurazione di una procedura cautelare. La domanda di nullità della clausola n. 1 del contratto n. 80249 svolta in via subordinata appare per converso coperta da giudicato.

Ed invero, il giudizio intrapreso dall’attore con atto di citazione 22/4/94, confermato in sede di appello e di legittimità, ha avuto precipuamente ad oggetto la validità degli ordini impartiti dall’attore siccome recepiti dalla Banca sulla base della clausola di cui trattasi, avendo G. contestato, in quella sede, l’efficacia probatoria delle produzione documentale della Banca fondata su tale clausola che l’abilitava, appunto, a considerare probante l’annotazione sui registri dell’azienda di credito degli ordini impartiti telefonicamente. (cfr., in particolare, atto di appello, pagg. 10, 14, 15 e segg.)

L’attore avrebbe dunque dovuto eccepire la nullità di tale clausola in quel giudizio, mentre ora, in virtù del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, la domanda deve considerarsi definitivamente preclusa. Ed anche laddove si volesse aderire alla tesi della nullità  per violazione del principio di cui all’art. 2698 c.c., la declaratoria di nullità della clausola non comporterebbe la nullità tout court del contratto di amministrazione secondo il principio di cui all’art. 1419 c.c. (vitiatur sed non vitiat), di talchè gli ordini impartiti ed eseguiti sulla base di un contratto comunque valido non sarebbero inficiati da nullità poichè la nullità riguarderebbe il regime della  prova e non l’esistenza del rapporto.

E nel presente giudizio non risultano proposte contestazioni relative alla esistenza e consistenza degli ordini. La domanda di risoluzione risulta infine inammissibile per la genericità della sua formulazione.

L’attore non deduce quali “rapporti” intende risolvere e, soprattutto, quali inadempimenti pone a fondamento della propria domanda: inadempimenti la cui gravità deve peraltro necessariamente essere valutata dal Tribunale ai fini dell’accoglimento del rimedio invocato. In ogni caso le domande restitutorie, su qualunque titolo fondate (nullità/risoluzione) sono tutte prescritte per l’incontestabile decorso del termine massimo decennale per la proposizione di qualsivoglia azione. Alla stregua delle suesposte considerazioni le prove dedotte dall’attore si confermano irrilevanti ai fini della decisione, pur prescindendo dai profili di loro ammissibilità. Alla reiezione delle domande consegue la condanna dell’attore al pagamento delle spese processuali della convenuta nella misura di cui al dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, respinge le domande proposte e condanna  l’attore al pagamento delle spese processuali della convenuta liquidate in €                    per esborsi, €                      per diritti ed €                            per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.


Così deciso in Milano, il 15/6/2005