Diritto dei Mercati Finanziari
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 55 - pubb. 01/07/2007
Nullità o inadempimento... quale sanzione per la violazione degli obblighi di comportamento dell'intermediario?
Tribunale Milano, 25 Luglio 2005. ..
Intermediazione mobiliare –
Negozi esecutivi del cd. contratto quadro – Forma scritta ad substantiam –
Esclusione
Negoziazione di obbligazioni sul mercato secondario – Consegna del prospetto
informativo – Esclusione
Intermediazione finanziaria – Doveri dell’intermediario – Violazione – Nullità
– Insussistenza – Inadempimento contrattuale – Sussistenza – Importanza
dell’inadempimento – Rilevanza – Nesso di causalità tra condotta colposa e
danno – Onere della prova
La forma scritta ad substantiam prevista dall’art. 23 T.U.F. si riferisce al contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro o master agreement) e non ai singoli negozi conclusi nell’ambito e in esecuzione del rapporto che trova la sua fonte nel contratto quadro.
La negoziazione di obbligazioni argentine sul mercato secondario non
costituisce attività di collocamento o di sollecitazione all’investimento e non
presuppone pertanto la consegna del prospetto informativo.
Non può essere condivisa l’estensione dell’area della nullità al di fuori delle
ipotesi in cui tale sanzione è espressamente prevista dal legislatore. Ne
consegue che “la voluta distinzione fra adempimenti prescritti a pena
nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico
dell’intermediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la
disciplina dell’intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente,
presidiata dalla c.d. nullità virtuale di cui all’art. 1418 1° comma c.c.”
(Trib. Milano n.7555/05, Pres. Est. Vanoni). Appare pertanto più appropriato
applicare alle fattispecie di violazione delle norme comportamentali dettate
dal T.U.F., e per le quali non sia stata espressamente prevista dal legislatore
la sanzione della nullità, i generali principi in tema di inadempimento. Il
Giudice, nell’esaminare i comportamenti tenuti dagli intermediari nelle singole
fattispecie, potrà e dovrà dunque valutare l’importanza
dell’inadempimento dedotto dall’investitore, sia ai fini della condanna al
risarcimento dei danni, sia ai fini della eventuale risoluzione del
contratto. Il Giudice, inoltre, non potrà prescindere dall’esame dell’entità del
pregiudizio sofferto, dall’eventuale concorso di colpa del creditore (art. 1227
c.c.) e, soprattutto, dalla verifica del nesso eziologico fra inadempimento e
danno in ordine al quale non può dirsi invertito l’onere della prova ai sensi
dell’art. 23 comma 6. T.U.F. L’investitore dovrà quindi provare che il danno
patito è conseguenza immediata e diretta della condotta colposa
dell’intermediario e non, semplicemente, dell’andamento sfavorevole del
mercato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato ai sensi del D.Lgs n. 5/03 in data 10.11.04 i Sigg. G. G. e B. convenivano in giudizio, avanti il Tribunale di Milano, la Banca Popolare di Milano S.C. a R.L. (di seguito BPM) al fine di sentir accogliere le conclusioni di cui in epigrafe.
A sostegno delle domande proposte, le parti attrici, che dichiaravano di appartenere alla categoria di “piccoli e medi risparmiatori privi di intento speculativo”, affermavano, con specifico riguardo ai quattro contratti di compravendita obbligazionaria in ordine ai quali avevano instaurato il giudizio che qui ci occupa, che tali acquisti erano stati loro consigliati da alcuni addetti dell’Ufficio Titoli di BPM, i quali non ne avevano mai segnalato “l’altissimo rischio”.
Deducevano, inoltre, che contestualmente al perfezionamento delle succitate operazioni, non era stato consegnato loro alcun documento informativo. Eccepivano, quindi, la nullità del contratto 16.7.97 per vizio di forma, ai sensi dell’art. 23 T.U.F. - essendosi il contratto richiamato sostanziatosi in un ordine di acquisto predisposto dalla BPM senza la sottoscrizione dell’investitore – nonché la nullità dei contratti tutti per violazione di norme imperative di legge, ex art. 1418 c.c..
Sul punto, dopo aver richiamato i principi contenuti nella L. 281/98, nell’art. 47 Cost., nel D.Lgs n. 58/98 e nelle norme regolamentari, deducevano la violazione del dovere di informazione, diligenza e trasparenza e del divieto di agire in conflitto di interessi.
Evidenziavano altresì gli attori che la diligenza richiesta all’intermediario è quella qualificata ai sensi dell’art. 1176 secondo comma c.c. ed invocavano in merito ad essa l’inversione dell’onere probatorio previsto dall’art. 23 del T.U.F.In ordine alla responsabilità extra contrattuale (2° subordinata) gli attori censuravano il comportamento della convenuta per violazione dei generali principi di “correttezza, trasparenza e diligenza” nello svolgimento di una attività (quella finanziaria) da considerarsi di particolare rilievo sociale.
Relativamente al danno evidenziavano la pressochè totale perdita del capitale investito a seguito della dichiarazione ufficiale di default in data 21/12/01. Si costituiva in giudizio la Banca convenuta contestando in fatto ed in diritto il fondamento delle avverse pretese e deduzioni ed instando per il rigetto delle domande nel favore delle spese processuali.
Segnatamente, quanto alla nullità per difetto di forma, la BPM deduceva essere stato formalizzato in data 29/5/97 il contratto di “negoziazione di strumenti finanziari” che veniva consegnato all’attore unitamente all’allegato sui “rischi generali degli investimenti”.
Quanto al contratto 16/7/97 deduceva che l’ordine era stato conferito telefonicamente dal Sig. G. G.; debitamente registrato su nastro non attualmente più disponibile, essendo ormai ampiamente superato il periodo minimo di conservazione imposto dalla normativa vigente (cfr. art. 69 Reg. Consob 11522/98).In ogni caso rilevava come della avvenuta esecuzione di tutti gli ordini di cui è causa fosse stata inviata regolare informativa al cliente che mai prima d’ora aveva formulato contestazioni in merito.
Deduceva, altresì, quanto all’obbligo di informazione, che le negoziazioni di specie non rientravano in ipotesi di attività sollecitatoria e/o di collocamento, con conseguente esenzione dell’obbligo di consegna del prospetto informativo e che, tenuto conto del periodo di acquisto, la Banca non disponeva di particolari dati dai quali desumere una specifica rischiosità del titolo cui, peraltro, veniva assegnato dalle principali agenzie internazionali un rating (BB) equivalente alla migliore categoria speculativa.
Evidenziava quindi la Banca che il Sig. G. aveva rifiutato di fornire informazioni in ordine alla sua posizione finanziaria ed ai suoi obiettivi di investimento e che, lungi dal poter esser considerato un “piccolo/medio risparmiatore privo di intento speculativo” disponeva di un portafoglio corrispondente ad un elevato profilo di rischio.
Quanto al conflitto di interessi, riferibile a solo due delle quattro negoziazioni di cui è causa, la Banca convenuta evidenziava l’avvenuta segnalazione della vendita in contropartita diretta e l’assenza di qualsivoglia interesse all’eliminazione di titoli presenti nel proprio portafoglio, acquisiti al solo fine di soddisfare le esigenze della clientela. A seguito di istanza di fissazione di udienza la difesa convenuta presentava istanza ai sensi dell’art. 8 comma 5 D.Lgs. 5/2003 per la declaratoria di inammissibilità: istanza che veniva respinta dal Presidente della sezione con ordinanza 28/2/05.
Il Giudice relatore, contestualmente nominato dal Presidente, fissava quindi l’udienza collegiale dell’1/6/2005, non ammettendo i capitoli di prova dedotti dalle parti, invitando queste ultime a comparire personalmente all’udienza per rendere l’interrogatorio libero e per il tentativo di conciliazione ed assegnando il termine di cinque giorni anteriori alla data dell’udienza collegiale per il deposito delle memorie conclusionali.
A tale udienza comparivano i procuratori delle parti nonché il sig. G. G. personalmente ed il procuratore speciale di BPM.
I procuratori delle parti, dopo ampia discussione, si riportavano ai rispettivi atti difensivi.
Il Tribunale si riservava di decidere e, a seguito della camera di consiglio, ritenendo le prove dedotte ininfluenti, tratteneva la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nullità per difetto di forma
Per quanto attiene alla dedotta nullità per difetto di forma ritiene il Tribunale, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che la forma ad substantiam prevista dall’art. 23 T.U.F. debba essere riferita al contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro, o master agreement) e non anche ai singoli negozi conclusi nell’ambito e in esecuzione del rapporto che trova la sua fonte nel contratto quadro. Il convincimento si fonda sul rilievo secondo cui lo stesso art. 30 comma 2. lett. c) Reg. Consob n. 11522/98 rimette all’autonomia privata, nell’ambito del contratto che ribadisce deve rivestire forma scritta, le modalità attraverso cui possono essere impartiti ordini ed istruzioni: disposizione che in tanto ha significato in quanto la forma scritta per i singoli negozi non sia prevista dalla legge ad substantiam, e cioè ai fini della validità degli stessi.
Ciò premesso, si osserva che nella specie risulta assolto il vincolo di forma previsto a pena di nullità, avendo la Banca convenuta prodotto il contratto di negoziazione, redatto per iscritto e debitamente sottoscritto dall’attore (doc. 1, pag. 5) Relativamente ai singoli ordini (per i quali l’onere della forma è previsto ai fini della prova e non ai fini della validità del rapporto) il Tribunale ritiene superata ogni questione, avendo la difesa attrice dato per ammesso il conferimento degli stessi da parte degli attori.
Ed invero, nella premessa dell’atto introduttivo del giudizio, si deduce che: - “in date variabili fra il 1997 e il 1999 (essi attori) venivano invitati (...) dall’addetto dell’Ufficio titoli che consigliava l’acquisto di obbligazioni argentine”-. “gli attori si affidavano al consiglio ricevuto prestando il loro consenso”- “ venivano pertanto acquistate le seguenti obbligazioni argentine (...)- “la decisione di acquistare i titoli è conseguita alla volontà degli attori di procedere ad un investimento sicuro, in grado di garantire una stabilità economica” E ancora nei capitoli di prova orale dedotti dalla difesa attrice, e segnatamente nel cap. 4, si deduce:“ i sigg. Mondonico nel 1997 e Cigalotti nel 1999 acquisivano il consenso verbale all’ordine di acquisto e solo in un secondo momento consegnarono agli attori copia del documento e ne chiedevano la sottoscrizione; ma in una occasione la firma non veniva chiesta (...) Dunque risulta ammesso l’avvenuto conferimento degli ordini di cui è causa, seppure si lamenta che la volontà espressa sia stata condizionata da carenti o errate informazioni (ma la censura verrà esaminata nel prosieguo) e pertanto non si pone più una questione di prova circa la loro esistenza. Restano da esaminare le ulteriori censure mosse dagli attori in merito al comportamento tenuto dalla Banca.
Obblighi di informazione
Sul punto si ritiene necessaria una premessa.I prestiti obbligazionari della Repubblica Argentina sono stati emessi sull’Euromercato e sono stati assunti, inizialmente, “a fermo” da investitori istituzionali (per i quali sussiste l’esenzione ex art. 100 T.U.F., comma a, in ordine al “prospetto”) e quindi venduti ad altri intermediari e a soggetti privati.
La cessione delle obbligazioni a investitori istituzionali esaurisce la fase del collocamento.
Successivamente, le obbligazioni divengono negoziabili sul mercato secondario (regolamentato e/o non regolamentato) senza che sia prevista la consegna del prospetto informativo. Nè può dirsi nella specie sussistente una ipotesi di “sollecitazione” all’investimento posto che per aversi “sollecitazione” al pubblico occorre ravvisare
- lo svolgimento di una attività di tipo promozionale qualificabile come “offerta”, “invito ad offrire” o “messaggio di tipo promozionale”
- la sussistenza di un pubblico indifferenziato di soggetti (offerta ad incertam personam)
- l’adozione di modalità uniformi e standardizzate (in tale direzione si è pronunciata la Consob nella audizione 27/4/2004 alla Camera dei Deputati-Commissione Finanze)
Dunque BPM non aveva l’obbligo di rilasciare alcun prospetto informativo relativamente ai titoli di cui è causa.
Quanto agli obblighi di informazione comunque previsti ai sensi degli artt. 21 lett. b) e T.U.F. e 28 Reg. Consob n. 11522/98 deve preliminarmente osservarsi che questo Tribunale non condivide l’estensione dell’area della nullità al di fuori delle ipotesi in cui tale sanzione è espressamente prevista dal legislatore.
Ed invero, in ossequio al generale ed indefettibile principio di legalità (e, non di meno, di certezza del diritto) non appare lecito il ricorso indiscriminato alla sanzione della nullità, che costituisce il più severo rimedio civilistico, nei casi di violazione di norme comportamentali generali (di diligenza, correttezza, trasparenza, indipendenza, equità ...) che, in quanto prive di specificità, non risultano idonee ad individuare precise regole di comportamento cui unifomare la condotta dell’agente.
Lo stesso legislatore, nell’esplicitare il generale dovere di diligenza e correttezza di cui all’art. 21 T.U.F., ha valutato certi comportamenti come essenziali e ne ha quindi sanzionato l’inosservanza con la nullità (cfr., ad esempio, art.. 23 commi 1, 2 3; art. 24 comma 2; art. 30 comma 7 del T.U.F.).
Ma dall’impianto normativo complessivo emerge (e comprensibilmente) la volontà del legislatore di evitare la eccessiva tipizzazione delle modalità di condotta, il che rende di dubbia praticabilità il rimedio della nullità. Come già osservato da questo Tribunale in una recente sentenza la voluta distinzione fra adempimenti prescritti a pena nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell’intermediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell’intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla c.d. nullità virtuale di cui all’art. 1418 1° comma c.c. (cfr. sentenza n.7555/05 Pres. Est. Vanoni).
Peraltro, non può sottacersi in proposito che la nota sentenza della Suprema Corte che ha felicemente inaugurato il tema delle “nullità virtuali” (cfr. Cass. 7/3/01 n. 3272) è stata emessa con riferimento ad una vicenda peculiare concernente l’esercizio della attività di intermediazione posta in essere da un “intermediario abusivo” e dunque in una fattispecie del tutto estranea a quella relativa agli obblighi informativi previsti dal T.U.F. Da ultimo soccorre al diverso inquadramento delle fattispecie di violazione degli obblighi comportamentali previsti dal T.U.F. l’argomento letterale desumibile dal comma 6 dell’art. 23 del D.Lgs. n. 58/98 laddove l’inversione dell’onere probatorio viene riferito ai “giudizi di risarcimento dei danni cagionati ai clienti nello svolgimento dei servizi” (previsti dal decreto) ed è noto che il rimedio risarcitorio non appartiene alla categoria delle nullità , che prevedono, invero, l’effetti restitutori. Appare per contro più appropriato, ad avviso di questo Tribunale, applicare alle fattispecie di violazione delle norme comportamentali dettate dal T.U.F. (per le quali non sia stata espressamente prevista dal legislatore la sanzione della nullità) i generali principi in tema di inadempimento.
Il Giudice, nell’esaminare i comportamenti tenuti dagli intermediari nelle singole fattispecie, potrà e dovrà valutare l’importanza dell’inadempimento dedotto dall’investitore, sia ai fini della condanna al risarcimento dei danni, sia ai fini della eventuale risoluzione del contratto, quando le violazioni commesse risulteranno di gravità tale da compromettere del tutto l’equilibrio del rapporto negoziale, ovvero quando, pur prescindendo dal singolo rapporto obbligatorio con l’investitore teso alla tutela del soddisfacimento del suo interesse individuale, ledono il prioritario principio della integrità del mercato.
Risoluzione che, quoad effectum, si risolverà, al pari della nullità, per la sua efficacia retroattiva, nell’obbligo restitutorio. La Corte di legittimità ha significatamente rammentato come l’art. 1455 c.c. riconduca la sanzione di scioglimento del vincolo contrattuale ad una “regola di proporzionalità in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale è legislativamente collegata all’inadempimento di obbligazioni che abbiano notevole rilevanza nella economia del rapporto, avuto riguardo sia all’esigenza di mantenere l’equilibrio fra prestazioni di uguale importanza nei contratti con prestazioni corrispettive, sia all’interesse dell’altra parte che non deve essere tanto inteso in senso subbiettivo, in relazione alla stima che il creditore abbia potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo, in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale e a reagire sulla causa del contratto, e perciò sul comune intento negoziale” (così, ex plurimis, cass. n. 5277/85). Inoltre il Giudice, dopo avere valutato l’importanza dell’inadempimento, non potrà prescindere dall’esame della entità del pregiudizio sofferto, dall’eventuale concorso di colpa del creditore (art. 1227 c.c.) e, soprattutto, dalla verifica del nesso eziologico fra inadempimento e danno in ordine al quale non può dirsi invertito l’onere della prova ai sensi dell’art. 23 comma 6. T.U.F. Dovrà in particolare l’investitore provare che il danno patito è conseguenza immediata e diretta della condotta colposa dell’intermediario (ad es. dell’obbligo di informazione che assume violato) e non, semplicemente, dell’andamento sfavorevole del mercato. Nè varrebbe obiettare che, in tale prospettiva, l’inadempimento sarebbe riferito non già alle prestazioni nascenti da un contratto validamente concluso, ma con riferimento agli obblighi di informazione che devono precedere l’incontro di volontà (c.d. momento genetico del rapporto).
Nessuno ostacolo si pone, infatti, nel considerare l’inadempimento in riferimento agli obblighi assunti dall’intermediario finanziario con il contratto di negoziazione (c.d. contratto quadro) quale fonte primaria degli obblighi comportamentali previsti dal T.U.F. e quale fonte regolatrice dei successivi rapporti.
Nella specie, gli attori lamentano di non essere stati debitamente informati del rischio dell’investimento nei titoli di cui è causa. In particolare deducono di essere “piccoli/medi risparmiatori, privi di intento speculativo” di essere stati “consigliati all’acquisto di obbligazioni Argentina presentate come investimento sicuro” di “non aver ricevuto alcuna concreta informazione supportata da dati ufficiali sull’affidabilità del titolo.” (cfr. atto di citazione, pagg. 1-3) I bond argentini sono, come a tutti noto, obbligazioni riferite ad uno Stato sovrano, non europeo, la cui affidabilità in senso lato, tuttavia, non poteva essere parificata a quella degli stati occidentali ad economia avanzata.
Per questa ragione il loro rendimento era decisamente superiore a quello degli omologhi titoli emessi da questi ultimi.
Seppure possa dirsi di comune esperienza, e dunque circostanza che non necessita di una particolare informazione, il fatto che a rendimenti progressivamente più alti corrisponda un rischio di investimento più elevato, in ogni caso la avvertenza è contenuta nel documento obbligatorio “allegato sui rischi generali dell’investimento” che nella specie è stato consegnato all’attore e da questi sottoscritto (cfr. all. 2, pag. 6). Nondimeno il rating che le principali agenzie internazionali (Moody,s, Standard & Poor’s, Fitch) hanno accordato alle obbligazioni argentine è stato, nel 1997 “BB” (la migliore delle categorie speculative) e nell’ottobre 1999 “BB-“ (sempre, seppure con un lieve peggioramento, nell’ambito delle migliori categorie speculative).
Solo a decorrere dal marzo 2001, e dunque a distanza di circa due anni dall’ultimo acquisto effettuato dagli attori, le agenzie hanno declassato il rating delle obbligazioni della Repubblica Argentina da “BB-“ a “B+” evidenziando l’accresciuta vulnerabilità dei titoli connessa alle avverse condizioni economiche, finanziarie e settoriali del Paese)., sino a giungere, con ulteriori declassamenti, alla categoria “D”: default.
Gli acquisti degli attori sono stati effettuati in un arco temporale che va dal giugno 1997 al maggio 1999 e dunque in periodo “non sospetto” in quanto precedente al primo declassamento operato dalle agenzie internazionali.
La banca convenuta, dunque, non disponeva di dati particolari dai quali desumere una elevata rischiosità del titolo, ed anzi la categoria speculativa in cui detti titoli erano riferiti appariva del tutto compatibile con il “profilo” degli odierni attori.
Sul punto giova osservare che il sig. G. aveva nel proprio portafoglio titoli ben più rischiosi di quelli per cui è causa (cfr. obbligazioni Brazil e Telecom Argentina) ed anche particolarmente volatili, come ad es. titoli tecnologici, azioni del Nuovo Mercato.
Dal complessivo esame della documentazione prodotta dalla Banca convenuta, può altresì desumersi che il sig. G., lungi dall’essere un “investitore sprovveduto”, ha operato con frequenza nel mondo finanziario, investendo in diverse tipologie di prodotti, accettando rischi oggettivamente maggiori di quelli usuali per i “prudenti risparmiatori che vogliono esclusivamente un investimento sicuro” e ricercando rendimenti ben più elevati di quelli associati ai Titoli di Stato. Dunque se da un canto l’obbligo di informazione non può dirsi omesso (non potendosi ritenere che la Banca abbia negato di evidenziare dati ad essa noti), neppure le operazioni possono dirsi “inadeguate”.
Ed invero, il profilo di rischio che emerge dalla composizione del patrimonio degli attori risulta del tutto compatibile con l’acquisto dei bond di cui trattasi che peraltro, essendo stato reiterato dagli attori per ben quattro volte, era evidentemente ritenuto soddisfacente.
Il conflitto di interessi
L’indagine sul tema viene circoscritta al solo profilo del conflitto di interessi per vendita in contropartita diretta, non avendo la difesa attrice dedotto altri profili di conflitto (linea difensiva espressamente confermata nel corso della discussione orale). I primi due contratti non manifestano il dedotto profilo di conflitto, risultando le vendite effettuate “in conto terzi” (cfr. doc. 1 pagg. 2 e 17). Il terzo ed il quarto contratto sono invece frutto di negoziazione in conto proprio, come emerge dalle note informative successivamente inviate (doc. 2 pagg. 26 e 35), ma la segnalazione non risulta effettuata alla data dell’ordine (cfr. docc. 2 pagg. 25 e 34). Orbene, ai sensi dell’art. 21 T.U.F e dell’art. 27 Reg. Consob n. 11522/98, l’informazione di specie doveva essere fornita (per iscritto) dall’intermediario finanziario il quale avrebbe potuto dare corso all’operazione solo a seguito del consenso espresso (per iscritto) dall’investitore.
Tale procedura non risulta invero osservata.
La semplice locuzione “BPM Vi vende” contenuta nelle note informative inviate successivamente al perfezionamento dell’ordine non vale ad integrare i requisiti di trasparenza e di adeguatezza delle informazioni voluti dagli artt. 21 del T.U.F.e 27 del Reg. Consob n. 11522/98. Purtuttavia, ritiene il Tribunale che l’inadempimento, seppure sussistente, non abbia concorso a cagionare il pregiudizio lamentato.
Trattasi infatti di un conflitto di scarso rilievo e nella specie improduttivo di danno, tenuto conto che non risulta contestato il fatto che la Banca abbia venduto ad un prezzo in linea con il mercato ed atteso che non ha applicato commissioni sulla vendita.
Nè potrebbe ipotizzarsi che la vendita agli attori sia stata incoraggiata al fine di eliminare ingombranti giacenze del titolo nel portafoglio, posto che risulta documentato agli atti che la Banca convenuta è ricorsa ripetutamente, prima e dopo le negoziazioni di specie, al mercato per acquisire le medesime obbligazioni di cui è causa al fine soddisfare le richieste dei propri clienti. Alla stregua delle suesposte considerazioni, ritenuto che il dovere di informazione non sia stato nella specie violato e ritenuta l’insussistenza del nesso causale fra l’inadempimento lamentato ed il danno patito (che gli attori individuano nella integrale perdita del capitale investito), le domande degli attori vanno integralmente rigettate. Non può infatti accogliersi la domanda di nullità per difetto di forma atteso che il contratto di negoziazione prodotto rispetta il requisito della forma scritta ad substantiam voluta dal legislatore. Non può accogliersi la domanda di nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c. per violazione di norme imperative, attese le considerazioni in limine espresse in ordine alla inapplicabilità della sanzione di nullità al di fuori dei casi normativamente previsti. Non può accogliersi la domanda di risoluzione perchè l’unico inadempimento ritenuto sussistente (omessa informazione sul conflitto da vendita in contropartita diretta) non si configura di gravità tale da condurre allo scioglimento del vincolo contrattuale.
Non può accogliersi la domanda risarcitoria perchè non risulta provato un pregiudizio economico eziologicamente connesso all’inadempimento accertato.
Non può accogliersi, da ultimo, la domanda ex art. 2043 c.c. sempre per l’assenza del nesso causale fra condotta colposa ed evento lesivo.
Le prove orali dedotte si confermano ininfluenti ai fini della decisione.
Al rigetto delle domande consegue la condanna degli attori alla rifusione delle spese processuali liquidate in favore della convenuta nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, rigetta le domande tutte proposte dagli attori e condanna i medesimi alla rifusione delle spese processuali della convenuta liquidate in € 640,00 per esborsi, € 2.360,00 per diritti ed € 8.600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.